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sezione I penale; sentenza 6 dicembre 1994; Pres. Pirozzi, Est. La Cava, P.M. (concl. conf.); ric....

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sezione I penale; sentenza 6 dicembre 1994; Pres. Pirozzi, Est. La Cava, P.M. (concl. conf.); ric. Proc. gen. App. Firenze in c. Vernengo. Annulla senza rinvio Trib. sorv. Firenze, ord. 22 giugno 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 417/418-421/422 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193380 . Accessed: 28/06/2014 15:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.52 on Sat, 28 Jun 2014 15:25:35 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 6 dicembre 1994; Pres. Pirozzi, Est. La Cava, P.M. (concl. conf.); ric.Proc. gen. App. Firenze in c. Vernengo. Annulla senza rinvio Trib. sorv. Firenze, ord. 22giugno 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 417/418-421/422Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193380 .

Accessed: 28/06/2014 15:25

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GIURISPRUDENZA PENALE

tributari concessa con d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, la prescri zione non si era ancora verificata.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la

condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versa

mento della somma di lire 1.000.000 a favore della cassa delle

ammende.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 6 dicem

bre 1994; Pres. Pirozzi, Est. La Cava, P.M. (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Firenze in c. Vernengo. Annulla senza

rinvio Trib. sorv. Firenze, ord. 22 giugno 1994.

Ordinamento penitenziario — Situazioni di emergenza — Gravi

motivi di ordine e sicurezza pubblica — Applicazione delle

ordinarie regole di trattamento — Provvedimento del mini

stro di grazia e giustizia — Inefficacia parziale — Esclusione

(L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenzia rio e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della

libertà, art. 41 bis).

Il provvedimento con il quale il ministro di grazia e giustizia esercita la facoltà, attribuitagli dall'art. 41 bis, 2° comma,

l. 26 luglio 1975 n. 354, di sospendere, per gravi motivi di

ordine e sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti per ta

luno dei reati specificati nell'art. 4 bis, 1 ° comma, l. 26 luglio 1975 n. 354, l'applicazione degli istituti e delle ordinarie rego le del trattamento penitenziario è sindacabile dalla magistra tura di sorveglianza in punto di legittimità quanto ai presup

posti che ne consentono l'adozione, ma non nel merito, quanto alle singole modalità di attuazione del particolare regime

imposto. (1)

II

TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE; ordinanza

22 giugno 1994; Pres. ed est. Marcar a; Vernengo.

Ordinamento penitenziario — Situazioni di emergenza — Gravi

motivi di ordine e sicurezza pubblica — Applicazione delle

ordinarie regole di trattamento — Provvedimento del mini

stro di grazia e giustizia — Limitazioni imposte — Inefficacia

parziale — Fattispecie (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 41 bis).

Va dichiarata l'inefficacia anche di singole limitazioni all'appli

cazione degli istituti e delle ordinarie regole del trattamento

penitenziario, disposte dal ministro di grazia e giustizia in forza dell'art. 41 bis, 2° comma, l. 26 luglio 1975 n. 354, se non

(1-2) Le decisioni che si riportano — e da ultimo, Cass. 26 gennaio

1995, depositata il 31 marzo 1995, Proc. gen. Firenze in c. Salerno — segnano un nuovo profilo di contrasto tra giudice di legittimità e

(parte della) magistratura di sorveglianza in tema di conseguenze deri

vanti dalla sospensione delle ordinarie regole del trattamento peniten ziario disposta dal ministro di grazia e giustizia ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, 1. 354/75, la cui temporanea efficacia è stata ora prorogata fino al 31 dicembre 1999 dall'art. 1 1. 16 febbraio 1995 n. 36 (Le leggi,

1995, I, 442). In precedenza, la sindacabilità da parte del giudice ordinario del rela

tivo provvedimento ministeriale era stata oggetto di altro contrasto, sa

nato soltanto dall'intervento della Corte costituzionale che, in due di

II Foro Italiano — 1995.

giustificate dal conseguimento delle finalità cui l'imposizione del particolare regime detentivo è volto (nella specie, l'impu

gnato provvedimento, pur ritenuto legittimo quanto alla sus

sistenza dei presupposti che ne consentivano l'adozione, è stato

dichiarato inefficace limitatamente alla previsione dei divieti di corrispondenza telefonica con familiari e conviventi, di col

loqui ordinari con familiari e conviventi eccedenti il numero

di uno al mese per la durata di un'ora, di acquisto di generi alimentari che secondo l'uso comune richiedono cottura e di

fruizione del passeggio all'aria oltre le due ore). (2)

I

Rileva. — In data 22 giugno 1994 il Tribunale di sorveglianza di Firenze rigettava l'istanza di liberazione anticipata avanzata

da Vernenga Giuseppe, nonché il reclamo ex art. 44 ter avanza

to dallo stesso Vernenga contro il provvedimento del ministero

di grazia e giustizia che applicava nei suoi confronti il regime di cui all'art. 41 bis, 2° comma, ord. penitenziario mentre di

chiarava, in relazione a detto provvedimento, la inefficacia del

le limitazioni stabilite nel decreto ministeriale alle lettere A (di vieto di corrispondenza telefonica con familiari e conviventi) D (divieto di colloqui ordinari con familiari e conviventi ecce

denti e non meno di uno al mese per la durata di un'ora) I

(divieto di acquisto di generi alimentari che secondo l'uso co

mune richiedono cottura) M (limite di due ore per fruire del

passeggio all'aria). Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione

il procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze

nonché il condannato Vernengo Giuseppe.

Quest'ultimo non ha presentato i relativi motivi.

Osserva. — Preliminarmente va dichiarata inammissibile l'im

pugnazione proposta dal Vernengo perché non sono stati indi

cati i motivi a sostegno della stessa. Va, invece, accolto il ricor

so del p.g. La sindacabilità del provvedimento ministeriale è attinente,

in quanto controllo giurisdizionale, alla legittimità delle prescri zioni e cioè alla riconoscibilità di un collegamento tra il detenu

to e la situazione che si intende tutelare con l'atto amministrati

vo ma non al merito delle stesse e cioè in ordine alle singole modalità del regime imposto.

Pertanto, i giudici di sorveglianza una volta ritenuto legitti mo il provvedimento reclamato non potevano modificarlo e ri

tenere ingiustificate alcune specifiche imposizioni in esso previ ste dichiarando cosi inefficaci alcune di esse.

Sul punto, quindi, l'ordinanza impugnata va annullata senza

rinvio.

II

Motivi della decisione. — a) Considerazioni preliminari. - L'in teressato muove reclamo ai sensi dell'art. 14 ter ord. penit. av

Stinte occasioni (sent. 28 luglio 1993, n. 349, Foro it., 1995, I, 488, con nota di richiami di M. Prestipino Giarritta e 23 novembre 1993, n. 410, id., Rep. 1993, voce Ordinamento penitenziario, n. 44), nel

respingere diverse censure di costituzionalità mosse avverso tale facoltà

di sospensione, ha posto il principio, nuovamente ribadito con ord. 22 luglio 1994, n. 332 (Cass. pen., 1994, 2911, e Legislazione pen., 1995, 63) che le modalità secondo cui essa viene in concreto esercitata

non si sottraggono al vaglio di legittimità da parte del competente tri

bunale di sorveglianza (su cui, da ultimo, v. Cass. 4 febbraio 1994,

Ciampà e Trib. sorv. Sassari, ord. 22 ottobre 1993, Foro it., 1995,

II, 236), apparendo i diritti dei quali è titolare la persona detenuta co

munque suscettibili di tutela giurisdizionale. In merito al contenuto del regime penitenziario cui sottoporre i dete

nuti condannati ovvero indagati/imputati per reati di criminalità orga

nizzata, e più specificamente di mafia, la necessità di rimodulare le

disposizioni dell'art. 41 bis 1. 354/75, sostituendo all'attuale generica formulazione una più dettagliata articolazione dei presupposti applica tivi ed una specifica elencazione delle limitazioni consentite, è segnalata da S. F. Vitello, Brevi riflessioni sull'art. 41 bis dell'ordinamento pe nitenziario nel più vasto contesto del sistema penitenziario, in Cass.

pen., 1994, 2861.

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PARTE SECONDA

verso il decreto ministro di grazia e giustizia con cui è stato

sottoposto a regime di massimo rigore ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, ord. penitenziario.

Va anzitutto precisato che il reclamo, sotto il profilo proces

suale, risulta perfettamente ammissibile stante quanto da ulti

mo chiarito sia dalla Corte costituzionale con le sentenze nn.

349 (Foro it., 1995, I, 488) e 410 del 1993 (id., Rep. 1993, voce Ordinamento penitenziario, n. 44), sia dalla Corte di cassazione

che, mutando il precedente insegnamento, con la sentenza 20

dicembre 1993, sez. I, ric. Fidanzati, ha cosi statuito: «In ade

sione ai principi affermati dalle sentenze della Corte costuzio

nale 349/93 e 410/93, deve affermarsi la reclamabilità e la sin

dacabilità dei provvedimenti con i quali l'amministrazione peni

tenziaria, ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, dell'ordinamento

penitenziario, disponga la sospensione, in situazioni di emer

genza, delle normali regole di trattamento nei confronti di de

terminati detenuti. Il reclamo, in applicazione analogica dell'art.

14 ter del suddetto ordinamento, va proposto al competente tri

bunale di sorveglianza». La giurisprudenza della Suprema corte

si è quindi uniformata senza eccezioni a questa decisione.

Detto questo e verificata la regolarità formale dell'odierno

procedimento, deve darsi luogo all'esame nel merito.

A seguito di gravissimi episodi delittuosi verificatisi in più parti del territorio nazionale e delle indagini incessantemente

condotte dalle autorità inquirenti, si è dovuto prendere atto che

molteplici iniziative di agguerrite organizzazioni criminali trae

vano origine, o quanto meno supporto decisionale, dalle indica

zioni di soggetti già ristretti in carcere i quali riuscivano comun

que a far giungere la loro voce all'esterno determinando in va

ria misura gli eventi.

Nell'assoluta necessità di far fronte a tale fenomeno, il le

gislatore ha inteso fornire al ministro di grazia e giustizia uno

strumento di particolare rigore con il quale — di sua iniziativa

o a richiesta del ministro dell'interno — arginare il perpetuarsi di attività illecite da parte di persone detenute mediante la ridu

zione degli spazi di movimento interno, dei contatti con l'ester

no e delle modalità generali di trattamento penitenziario. L'art.

41 bis, 2° comma, ord. penit. — introdotto con d.l. 306/93,

convertito con 1. 356/93 — consente dunque al ministro di indi

viduare situazioni di grave pregiudizio per l'ordine e la sicurez

za pubblica in relazione alle quali sia necessario sospendere ad

alcuni detenuti l'applicazione di alcune regole trattamentali o

istituti giuridici previsti dalla legge penitenziaria. Non vi è dubbio che il tribunale di sorveglianza, nell'esami

nare le doglianze del ricorrente, non può sindacare le scelte mi

nisteriali inerenti le situazioni di grave pericolo per l'ordina

mento: un sindacato di tal genere non può infatti spettare ad

un organo giurisdizionale che deve unicamente porsi il proble ma dei diritti soggettivi di cui i singoli sono portatori e di cui

possono richiedere la tutela in sede processuale. Quel giudizio

(sulle scelte ministeriali inerenti le situazioni di grave pericolo

per l'ordine e la sicurezza pubblica), che concerne una opzione formulata da un organo di alta amministrazione, direttamente

responsabile in sede politica, e a maggior ragione in una situa

zione quale quella in esame ove esso viene investito del potere di disattivare, sia pur eccezionalmente, norme di legge mediante

un semplice atto amministrativo, quel giudizio dunque non può che spettare al parlamento.

Viceversa, una volta preso atto delle ragioni generali che muo

vono il ministro, il tribunale, sollecitato dal reclamo dell'inte

ressato, risulta competente a verificare da un lato se quest'ulti mo effettivamente e con ragione possa essere ricollegato ai fatti

ed alle situazioni addotte dal ministro come causa del suo inter

vento; dall'altro se le limitazioni imposte, singolarmente e/o nel

loro complesso, possano ritenersi giustificate, nel senso che esse

debbono apparire, almeno in parte, funzionali al perseguimento dell'obiettivo finale dell'atto amministrativo.

È in questi termini e con questi limiti che deve quindi proce dersi alla disamina della posizione del ricorrente.

b) La posizione del reclamante. - Vernengo Giuseppe, nato

a Palermo il 5 gennaio 1935, è stato raggiunto da provvedimen to ministeriale ex art. 41 bis, 2° comma, ord. penit. recante

data 2 giugno 1994 (che seguiva ad altra e precedente applica

li Foro Italiano — 1995.

zione) ed in virtù di esso è sottoposto a regime di rigore secon

do le modalità indicate nel medesimo. Il decreto riassume in

termini generali la situazione esterna da cui prende le mosse,

sottolineando in particolare alcuni episodi di inaudita ferocia

che hanno colpito la collettività. Tali episodi, lungi dal costitui

re il motivo specifico del provvedimento, rappresentano unica

mente una esemplificazine che sposta l'attenzione ben oltre essi

verso l'intero quadro dell'ordine e della sicurezza pubblica che,

nel momento storico dato, appare assai precario ed esposto in

permanenza alle scorribande di pericolosissime organizzazioni criminali.

Nella sua genericità, il provvedimento esprime assai bene la

sua ragion d'essere: preso atto della situazione delicatissima e

della condizione di costante all'erta cui le istituzioni ed il con

sorzio sociale sono costretti per prevenire il ripetersi di efferati

delitti, soprattutto da parte di associazioni delinquenziali di stam

po mafioso — nel senso indicato dall'art. 416 bis c.p. —, si

ritiene indispensabile custodire alcuni soggetti già arrestati —

in via definitiva o nel corso di indagini — utilizzando un regime che, per quanto possibile, riduca le opportunità di contatti con

l'esterno: ciò in quanto si ritiene ragionevole e possibile che

i detenuti individuati — e stimati ancora in grado di interagire

operativamente con le organizzazioni di appartenenza — possa no esprimere ulteriormente la loro pontenzialità delinquenziale. Occorre un metro di valutazione per individuare tali soggetti e sembra ragionevole supporre che lo stesso vada individuato:

nel rilievo che il soggetto presenta nell'ambito della organizza zione delinquenziale, nell'attualità dei collegamenti con la stes

sa e del permanere di una sua significativa posizione nell'ambi

to della medesima, nonché negli interessi e nelle proiezioni cri

minali caratteristiche di tale associazione.

Si esamina allora la posizione del reclamante.

Il Vernengo è stato condannato con sentenza 10 dicembre

1990 della Corte assise Palermo per associazione a delinquere di stampo mafioso ed è detenuto per questo. Le note informati

ve di polizia citate nel provvedimento reclamato, nonché quella della d.n.a., indicano la posizione di tutto rispetto raggiunta dal Vernengo nella organizzazione mafiosa, contigua a quella di soggetti (come il fratello Pietro) ancora più, per cosi' dire,

qualificati. La sua affiliazione al sodalizio criminoso non sem

bra possa essere venuta meno successivamente (egli è rientrato

in carcere poco più di due anni fa). Per quanto sopra, questo tribunale di sorveglianza giudica

che vi siano gravi e sufficienti elementi per ritenere che l'inte

ressato, se non sottoposto a un regime di particolare attenzione

mirato a ridurre al minimo i contatti con l'esterno, contempo raneamente controllandoli al meglio, possa contribuire, in modi

non specificabili, ma ragionevolmente presumibili e dunque og

gettivamente temibili, a scelte, atti o operazioni poste in essere

da altri soggetti, attualmente liberi ed in grado di nuocere alla

generalità dei cittadini, in qualità di appartenenti alla organiz zazione di cui si ha fondato motivo di credere che lui stesso

faccia parte.

c) Valutabilità ed esame delle singole disposizioni limitative

sancite dal decreto ministeriale. - Stabilito che nel caso di specie

possono legittimamente riscontrarsi — con riferimento al qua dro di insieme delineato nel provvedimento ministeriale — gli estremi per ricorrere ad una compressione degli spazi di libertà

garantiti dalla legge penitenziaria, è da chiedersi se taluna delle

limitazioni di fatto imposte possa considerarsi non giustificata in ragione della finalità perseguita dal ministro nell'attuazione

del dettato normativo.

La Corte costituzionale nella sentenza 410/93, ha osservato

che il controllo del giudice sull'atto in questione verte spefica mente sul potere dell'amministrazione di adottare misure relati

ve alle modalità di esecuzione della pena laddove esso incida su

posizioni giuridiche dei detenuti «che per la loro stretta inerenza

alla persona umana sono qualificabili come diritti soggettivi co

stituzionalmente garantiti» (n. 3.5 della motivazione in diritto).

Disegnando un parallelo tra la misura della «sorveglianza par ticolare» di cui all'art. 14 bis ord. penit. ed il regime di rigore determinabile ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, ord. penit., la corte ha quindi sancito che la verifica giurisdizionale sul se

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GIURISPRUDENZA PENALE

condo si articola con le forme processuali indicate dall'art. 14 ter, ord. penit., dal che deve inevitabilmente farsi discendere anche

l'obbligo per il giudice di tenere conto di quanto, ai medesimi

fini, viene stabilito nell'art. 14 quater ord. penit., che delle due

disposizioni che precedono è palese corollario.

In particolare al 1° comma di quest'ultimo si indica chiara

mente come le restrizioni imposte debbano essere dirette al rag

giungimento del fine proprio della sorveglianza particolare; al

3° comma che «le restrizioni di cui ai commi precedenti sono

motivatamente stabilite nel provvedimento». L'analisi interpretativa dell'intero quadro normativo — in es

so comprese le statuizioni della Corte costituzionale — non può non comportare la conclusione che l'onere di univoca finalizza

zione delle limitazioni e quello di motivazione sono imposti con

il chiaro scopo di consentire da un lato l'impostazione del recla

mo da parte del detenuto; dall'altro — ed indefettibilmente —

il corretto ed opportuno controllo da parte del giudice. Ne consegue altresì' che tale controllo può essere sollecitato

e deve esercitarsi non soltanto sul se del provvedimento, ovvero

della riconoscibilità di un collegamento tra il detenuto e la si

tuazione che si intende tutelare con l'atto amministrativo; bensì

anche sulle singole modalità del regime imposto, laddove una

o più di esse potrebbe non essere giustificata in ordine alla fina

lità perseguita. Chiarito sopra, al punto ti), che questo tribunale ritiene legit

tima, nel caso di specie, l'adozione di particolari cautele in rela

zione alla finalità specifica sottesa al provvedimento ministeria

le in esame, si è pure detto come essa consista nel ridurre al

minimo i contatti del detenuto con l'esterno, controllando gli inevitabili e residuali spazi acciocché per gli stessi non transiti

no illecite o comunque pericolose interferenze con attività delin

quenziali e struttura organizzata, materialmente gestite in liber

tà da altri.

In virtù di quanto sin qui esposto e ponendo a confronto

la finalità e l'art. 1 del dispositivo del decreto, ritiene il tribuna

le che non si giustifichino e debbano pertanto essere dichiarate

inefficaci le seguenti imposizioni:

1) Il divieto di corrispondenza telefonica con familiari e con

viventi di cui alla lett. a) del detto articolo: se infatti si conside

ra da un lato che con le persone indicate è ritenuto ammissibile

il colloquio personale, che le telefonate costituiscono a norma

di legge un sostitutivo dei colloqui, e che le stesse sono assistite

da controllo auditivo ed eventuale registrazione, ne consegue che esse presentano un livello di rischio assolutamente inferiore

a quello che può derivare dai colloqui — che sono invece previ sti pur in misura ridotta — e che pertanto il divieto sancito

deve essere considerato palesemente incongruo rispetto alle fi

nalità perseguite.

2) Il divieto di colloqui ordinari con familiari e conviventi

eccedenti il numero di uno al mese per la durata di un'ora,

di cui alla lett. d) del detto articolo: è logico infatti che, laddo

ve venga ritenuto ammissibile il colloquio con le persone di fa

miglia, a nulla vale ridurne quantità e durata rispetto alla nor

male previsione dalla legge penitenziaria. Delle due l'una infat ti: o si ritiene tale tipo di colloquio possibile veicolo di pericoli

sull'esterno, ed allora esso deve essere decisamente e completa mente escluso; ovvero non lo si considera pregiudizievole per l'ordine e ia sicureza pubblica e perciò stesso praticabile.

Il solo fatto di averne consentito la fruizione sia pure ridotta

nella quantità, impone di considerarlo non pregiudizievole e con

seguentemente inspiegabile, alla luce dei fini perseguiti, la sua

limitazione nei tempi rispetto all'ordinario regime di legge.

Semmai potrebbe considerarsi non incongrua la previsione di

un controllo anche auditivo, e non soltanto visivo, del collo

quio stesso.

Ciò infatti non farebbe altro che parificare la condizione del

colloquio a quella delle telefonate — come si è visto ammissibili

—, si da contemperare al tempo stesso tanto le esigenze di vita

del detenuto quanto quelle di sicurezza. Né pare ravvisabile in

questo una violazione dell'art. 15 Cost.: laddove si consideri

infatti la fungibilità tra telefonate e colloqui e la prevista sotto

posizione ad ascolto ed eventuale registrazione delle prime, le

gittimamente e conseguenzialmente potrebbe attivarsi la mede

II Foro Italiano — 1995.

sima forma di controllo con il semplice atto del ministro che

riscontri le eccezionali condizioni di esercizio dell'art. 41 bis,

2°comma, ord. penitenziario.

3) Del tutto privo di ragione appare il divieto di acquisto di generi alimentari che secondo l'uso comune richiedano cottu

ra, di cui alla lett. /) del detto art. 1. Non è chi non veda come

questa prescrizione non trovi alcun aggancio con la finalità per

seguita dal provvedimento ministeriale. È nota la preoccupazio ne circa un uso illecito e pericoloso delle bombolette di gas con

cui vengono alimentati i fornelli da campo per procedere alla

cottura dei cibi acquistati crudi. E d'altra parte questo è proble ma tutto ed esclusivamente interno agli istituti.

L'amministrazione potrà legittimamente disporre una regola mentazione dell'uso del fornello — indicandone orari di conse

gna, ritiro e custodia negli armadietti esterni alla cella da parte del personale operante; parimenti che in via disciplinare specifi ca possa sospendersi dal beneficio il soggetto che ne abbia fatto

uso scorretto. Ma certamente non potrà in via generale e astrat

ta negare una bevanda o un cibo caldo, preparato nei modi

e nei tempi eventualmente meglio visti, inducendo che con ciò

si intende preservare la collettività da nuovi e gravissimi rischi.

4) Infine, va rimarcato come non trovi adeguata spiegazione — nell'ottica del decreto — il limite di due ore per fruire del

passeggio all'aria, di cui alla lett. ni) del detto art. 1. L'art.

10 ord. penit. prescrive le due ore come limite minimo per chi

non svolge attività lavorativa esterna, come nel caso dei detenu

ti della diramazione. Agrippa di Pianosa. La prescrizione certa

mente non ha riflesso alcuno sulla sicurezza esterna; oltretutto

deve considerarsi le concrete condizioni operative della struttu

ra pianosina che consente adeguata separazione dei detenuti al

momento di fruizione dell'aria e nessuno aggravio ulteriore per 11 personale qual che sia il tempo della stessa.

Si ritiene pertanto illegittima la limitazione in questione che

deve essere dichiarata, al pari delle altre sopra esaminate, inef

ficace.

In merito, congrua soluzione parrebbe quanto meno quella

prevista per tutte le sezioni di alta sicurezza attualmente in fun

zione, che con tempera quotidianamente cinque ore di perma nenza all'aria aperta, anche in due soluzioni.

In conclusione, fra quelle indicate all'art. 1 del decreto mini

steriale reclamato, si considerano illegittime e quindi si dichia

rano inefficaci quelle di cui alle lett. a), d), l) ed m).

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 5 ot

tobre 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Battisti, P.M.

(conci, conf.); ric. Demitry. Conferma G.i.p. Trib. Salerno,

ord. 17 giugno 1994.

Concorso di persone nel reato — Associazione di tipo mafioso — Concorso esterno nel reato associativo — Configurabilità — «Aggiustamento» di processi — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 416 bis).

È configuratile il concorso esterno nel reato di associazione ma

fiosa per quei soggetti che, sebbene non facciano parte del

sodalizio criminoso, forniscano — sia pure mediante un solo

intervento — un contributo all'ente delittuoso tale da consen

tire all'associazione di mantenersi in vita, anche limitatamen

te ad un determinato settore, onde poter perseguire i propri

scopi (nella specie, è stato ritenuto configurabile il concorso

esterno rispetto alla condotta di un soggetto che ha svolto

una attività di intermediazione tra un capo camorrista e un

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