sezione I penale; sentenza 6 dicembre 1994; Pres. Pirozzi, Est. La Cava, P.M. (concl. conf.); ric.Proc. gen. App. Firenze in c. Vernengo. Annulla senza rinvio Trib. sorv. Firenze, ord. 22giugno 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 417/418-421/422Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193380 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
tributari concessa con d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, la prescri zione non si era ancora verificata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la
condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versa
mento della somma di lire 1.000.000 a favore della cassa delle
ammende.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 6 dicem
bre 1994; Pres. Pirozzi, Est. La Cava, P.M. (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Firenze in c. Vernengo. Annulla senza
rinvio Trib. sorv. Firenze, ord. 22 giugno 1994.
Ordinamento penitenziario — Situazioni di emergenza — Gravi
motivi di ordine e sicurezza pubblica — Applicazione delle
ordinarie regole di trattamento — Provvedimento del mini
stro di grazia e giustizia — Inefficacia parziale — Esclusione
(L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenzia rio e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
libertà, art. 41 bis).
Il provvedimento con il quale il ministro di grazia e giustizia esercita la facoltà, attribuitagli dall'art. 41 bis, 2° comma,
l. 26 luglio 1975 n. 354, di sospendere, per gravi motivi di
ordine e sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti per ta
luno dei reati specificati nell'art. 4 bis, 1 ° comma, l. 26 luglio 1975 n. 354, l'applicazione degli istituti e delle ordinarie rego le del trattamento penitenziario è sindacabile dalla magistra tura di sorveglianza in punto di legittimità quanto ai presup
posti che ne consentono l'adozione, ma non nel merito, quanto alle singole modalità di attuazione del particolare regime
imposto. (1)
II
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE; ordinanza
22 giugno 1994; Pres. ed est. Marcar a; Vernengo.
Ordinamento penitenziario — Situazioni di emergenza — Gravi
motivi di ordine e sicurezza pubblica — Applicazione delle
ordinarie regole di trattamento — Provvedimento del mini
stro di grazia e giustizia — Limitazioni imposte — Inefficacia
parziale — Fattispecie (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 41 bis).
Va dichiarata l'inefficacia anche di singole limitazioni all'appli
cazione degli istituti e delle ordinarie regole del trattamento
penitenziario, disposte dal ministro di grazia e giustizia in forza dell'art. 41 bis, 2° comma, l. 26 luglio 1975 n. 354, se non
(1-2) Le decisioni che si riportano — e da ultimo, Cass. 26 gennaio
1995, depositata il 31 marzo 1995, Proc. gen. Firenze in c. Salerno — segnano un nuovo profilo di contrasto tra giudice di legittimità e
(parte della) magistratura di sorveglianza in tema di conseguenze deri
vanti dalla sospensione delle ordinarie regole del trattamento peniten ziario disposta dal ministro di grazia e giustizia ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, 1. 354/75, la cui temporanea efficacia è stata ora prorogata fino al 31 dicembre 1999 dall'art. 1 1. 16 febbraio 1995 n. 36 (Le leggi,
1995, I, 442). In precedenza, la sindacabilità da parte del giudice ordinario del rela
tivo provvedimento ministeriale era stata oggetto di altro contrasto, sa
nato soltanto dall'intervento della Corte costituzionale che, in due di
II Foro Italiano — 1995.
giustificate dal conseguimento delle finalità cui l'imposizione del particolare regime detentivo è volto (nella specie, l'impu
gnato provvedimento, pur ritenuto legittimo quanto alla sus
sistenza dei presupposti che ne consentivano l'adozione, è stato
dichiarato inefficace limitatamente alla previsione dei divieti di corrispondenza telefonica con familiari e conviventi, di col
loqui ordinari con familiari e conviventi eccedenti il numero
di uno al mese per la durata di un'ora, di acquisto di generi alimentari che secondo l'uso comune richiedono cottura e di
fruizione del passeggio all'aria oltre le due ore). (2)
I
Rileva. — In data 22 giugno 1994 il Tribunale di sorveglianza di Firenze rigettava l'istanza di liberazione anticipata avanzata
da Vernenga Giuseppe, nonché il reclamo ex art. 44 ter avanza
to dallo stesso Vernenga contro il provvedimento del ministero
di grazia e giustizia che applicava nei suoi confronti il regime di cui all'art. 41 bis, 2° comma, ord. penitenziario mentre di
chiarava, in relazione a detto provvedimento, la inefficacia del
le limitazioni stabilite nel decreto ministeriale alle lettere A (di vieto di corrispondenza telefonica con familiari e conviventi) D (divieto di colloqui ordinari con familiari e conviventi ecce
denti e non meno di uno al mese per la durata di un'ora) I
(divieto di acquisto di generi alimentari che secondo l'uso co
mune richiedono cottura) M (limite di due ore per fruire del
passeggio all'aria). Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione
il procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze
nonché il condannato Vernengo Giuseppe.
Quest'ultimo non ha presentato i relativi motivi.
Osserva. — Preliminarmente va dichiarata inammissibile l'im
pugnazione proposta dal Vernengo perché non sono stati indi
cati i motivi a sostegno della stessa. Va, invece, accolto il ricor
so del p.g. La sindacabilità del provvedimento ministeriale è attinente,
in quanto controllo giurisdizionale, alla legittimità delle prescri zioni e cioè alla riconoscibilità di un collegamento tra il detenu
to e la situazione che si intende tutelare con l'atto amministrati
vo ma non al merito delle stesse e cioè in ordine alle singole modalità del regime imposto.
Pertanto, i giudici di sorveglianza una volta ritenuto legitti mo il provvedimento reclamato non potevano modificarlo e ri
tenere ingiustificate alcune specifiche imposizioni in esso previ ste dichiarando cosi inefficaci alcune di esse.
Sul punto, quindi, l'ordinanza impugnata va annullata senza
rinvio.
II
Motivi della decisione. — a) Considerazioni preliminari. - L'in teressato muove reclamo ai sensi dell'art. 14 ter ord. penit. av
Stinte occasioni (sent. 28 luglio 1993, n. 349, Foro it., 1995, I, 488, con nota di richiami di M. Prestipino Giarritta e 23 novembre 1993, n. 410, id., Rep. 1993, voce Ordinamento penitenziario, n. 44), nel
respingere diverse censure di costituzionalità mosse avverso tale facoltà
di sospensione, ha posto il principio, nuovamente ribadito con ord. 22 luglio 1994, n. 332 (Cass. pen., 1994, 2911, e Legislazione pen., 1995, 63) che le modalità secondo cui essa viene in concreto esercitata
non si sottraggono al vaglio di legittimità da parte del competente tri
bunale di sorveglianza (su cui, da ultimo, v. Cass. 4 febbraio 1994,
Ciampà e Trib. sorv. Sassari, ord. 22 ottobre 1993, Foro it., 1995,
II, 236), apparendo i diritti dei quali è titolare la persona detenuta co
munque suscettibili di tutela giurisdizionale. In merito al contenuto del regime penitenziario cui sottoporre i dete
nuti condannati ovvero indagati/imputati per reati di criminalità orga
nizzata, e più specificamente di mafia, la necessità di rimodulare le
disposizioni dell'art. 41 bis 1. 354/75, sostituendo all'attuale generica formulazione una più dettagliata articolazione dei presupposti applica tivi ed una specifica elencazione delle limitazioni consentite, è segnalata da S. F. Vitello, Brevi riflessioni sull'art. 41 bis dell'ordinamento pe nitenziario nel più vasto contesto del sistema penitenziario, in Cass.
pen., 1994, 2861.
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PARTE SECONDA
verso il decreto ministro di grazia e giustizia con cui è stato
sottoposto a regime di massimo rigore ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, ord. penitenziario.
Va anzitutto precisato che il reclamo, sotto il profilo proces
suale, risulta perfettamente ammissibile stante quanto da ulti
mo chiarito sia dalla Corte costituzionale con le sentenze nn.
349 (Foro it., 1995, I, 488) e 410 del 1993 (id., Rep. 1993, voce Ordinamento penitenziario, n. 44), sia dalla Corte di cassazione
che, mutando il precedente insegnamento, con la sentenza 20
dicembre 1993, sez. I, ric. Fidanzati, ha cosi statuito: «In ade
sione ai principi affermati dalle sentenze della Corte costuzio
nale 349/93 e 410/93, deve affermarsi la reclamabilità e la sin
dacabilità dei provvedimenti con i quali l'amministrazione peni
tenziaria, ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, dell'ordinamento
penitenziario, disponga la sospensione, in situazioni di emer
genza, delle normali regole di trattamento nei confronti di de
terminati detenuti. Il reclamo, in applicazione analogica dell'art.
14 ter del suddetto ordinamento, va proposto al competente tri
bunale di sorveglianza». La giurisprudenza della Suprema corte
si è quindi uniformata senza eccezioni a questa decisione.
Detto questo e verificata la regolarità formale dell'odierno
procedimento, deve darsi luogo all'esame nel merito.
A seguito di gravissimi episodi delittuosi verificatisi in più parti del territorio nazionale e delle indagini incessantemente
condotte dalle autorità inquirenti, si è dovuto prendere atto che
molteplici iniziative di agguerrite organizzazioni criminali trae
vano origine, o quanto meno supporto decisionale, dalle indica
zioni di soggetti già ristretti in carcere i quali riuscivano comun
que a far giungere la loro voce all'esterno determinando in va
ria misura gli eventi.
Nell'assoluta necessità di far fronte a tale fenomeno, il le
gislatore ha inteso fornire al ministro di grazia e giustizia uno
strumento di particolare rigore con il quale — di sua iniziativa
o a richiesta del ministro dell'interno — arginare il perpetuarsi di attività illecite da parte di persone detenute mediante la ridu
zione degli spazi di movimento interno, dei contatti con l'ester
no e delle modalità generali di trattamento penitenziario. L'art.
41 bis, 2° comma, ord. penit. — introdotto con d.l. 306/93,
convertito con 1. 356/93 — consente dunque al ministro di indi
viduare situazioni di grave pregiudizio per l'ordine e la sicurez
za pubblica in relazione alle quali sia necessario sospendere ad
alcuni detenuti l'applicazione di alcune regole trattamentali o
istituti giuridici previsti dalla legge penitenziaria. Non vi è dubbio che il tribunale di sorveglianza, nell'esami
nare le doglianze del ricorrente, non può sindacare le scelte mi
nisteriali inerenti le situazioni di grave pericolo per l'ordina
mento: un sindacato di tal genere non può infatti spettare ad
un organo giurisdizionale che deve unicamente porsi il proble ma dei diritti soggettivi di cui i singoli sono portatori e di cui
possono richiedere la tutela in sede processuale. Quel giudizio
(sulle scelte ministeriali inerenti le situazioni di grave pericolo
per l'ordine e la sicurezza pubblica), che concerne una opzione formulata da un organo di alta amministrazione, direttamente
responsabile in sede politica, e a maggior ragione in una situa
zione quale quella in esame ove esso viene investito del potere di disattivare, sia pur eccezionalmente, norme di legge mediante
un semplice atto amministrativo, quel giudizio dunque non può che spettare al parlamento.
Viceversa, una volta preso atto delle ragioni generali che muo
vono il ministro, il tribunale, sollecitato dal reclamo dell'inte
ressato, risulta competente a verificare da un lato se quest'ulti mo effettivamente e con ragione possa essere ricollegato ai fatti
ed alle situazioni addotte dal ministro come causa del suo inter
vento; dall'altro se le limitazioni imposte, singolarmente e/o nel
loro complesso, possano ritenersi giustificate, nel senso che esse
debbono apparire, almeno in parte, funzionali al perseguimento dell'obiettivo finale dell'atto amministrativo.
È in questi termini e con questi limiti che deve quindi proce dersi alla disamina della posizione del ricorrente.
b) La posizione del reclamante. - Vernengo Giuseppe, nato
a Palermo il 5 gennaio 1935, è stato raggiunto da provvedimen to ministeriale ex art. 41 bis, 2° comma, ord. penit. recante
data 2 giugno 1994 (che seguiva ad altra e precedente applica
li Foro Italiano — 1995.
zione) ed in virtù di esso è sottoposto a regime di rigore secon
do le modalità indicate nel medesimo. Il decreto riassume in
termini generali la situazione esterna da cui prende le mosse,
sottolineando in particolare alcuni episodi di inaudita ferocia
che hanno colpito la collettività. Tali episodi, lungi dal costitui
re il motivo specifico del provvedimento, rappresentano unica
mente una esemplificazine che sposta l'attenzione ben oltre essi
verso l'intero quadro dell'ordine e della sicurezza pubblica che,
nel momento storico dato, appare assai precario ed esposto in
permanenza alle scorribande di pericolosissime organizzazioni criminali.
Nella sua genericità, il provvedimento esprime assai bene la
sua ragion d'essere: preso atto della situazione delicatissima e
della condizione di costante all'erta cui le istituzioni ed il con
sorzio sociale sono costretti per prevenire il ripetersi di efferati
delitti, soprattutto da parte di associazioni delinquenziali di stam
po mafioso — nel senso indicato dall'art. 416 bis c.p. —, si
ritiene indispensabile custodire alcuni soggetti già arrestati —
in via definitiva o nel corso di indagini — utilizzando un regime che, per quanto possibile, riduca le opportunità di contatti con
l'esterno: ciò in quanto si ritiene ragionevole e possibile che
i detenuti individuati — e stimati ancora in grado di interagire
operativamente con le organizzazioni di appartenenza — possa no esprimere ulteriormente la loro pontenzialità delinquenziale. Occorre un metro di valutazione per individuare tali soggetti e sembra ragionevole supporre che lo stesso vada individuato:
nel rilievo che il soggetto presenta nell'ambito della organizza zione delinquenziale, nell'attualità dei collegamenti con la stes
sa e del permanere di una sua significativa posizione nell'ambi
to della medesima, nonché negli interessi e nelle proiezioni cri
minali caratteristiche di tale associazione.
Si esamina allora la posizione del reclamante.
Il Vernengo è stato condannato con sentenza 10 dicembre
1990 della Corte assise Palermo per associazione a delinquere di stampo mafioso ed è detenuto per questo. Le note informati
ve di polizia citate nel provvedimento reclamato, nonché quella della d.n.a., indicano la posizione di tutto rispetto raggiunta dal Vernengo nella organizzazione mafiosa, contigua a quella di soggetti (come il fratello Pietro) ancora più, per cosi' dire,
qualificati. La sua affiliazione al sodalizio criminoso non sem
bra possa essere venuta meno successivamente (egli è rientrato
in carcere poco più di due anni fa). Per quanto sopra, questo tribunale di sorveglianza giudica
che vi siano gravi e sufficienti elementi per ritenere che l'inte
ressato, se non sottoposto a un regime di particolare attenzione
mirato a ridurre al minimo i contatti con l'esterno, contempo raneamente controllandoli al meglio, possa contribuire, in modi
non specificabili, ma ragionevolmente presumibili e dunque og
gettivamente temibili, a scelte, atti o operazioni poste in essere
da altri soggetti, attualmente liberi ed in grado di nuocere alla
generalità dei cittadini, in qualità di appartenenti alla organiz zazione di cui si ha fondato motivo di credere che lui stesso
faccia parte.
c) Valutabilità ed esame delle singole disposizioni limitative
sancite dal decreto ministeriale. - Stabilito che nel caso di specie
possono legittimamente riscontrarsi — con riferimento al qua dro di insieme delineato nel provvedimento ministeriale — gli estremi per ricorrere ad una compressione degli spazi di libertà
garantiti dalla legge penitenziaria, è da chiedersi se taluna delle
limitazioni di fatto imposte possa considerarsi non giustificata in ragione della finalità perseguita dal ministro nell'attuazione
del dettato normativo.
La Corte costituzionale nella sentenza 410/93, ha osservato
che il controllo del giudice sull'atto in questione verte spefica mente sul potere dell'amministrazione di adottare misure relati
ve alle modalità di esecuzione della pena laddove esso incida su
posizioni giuridiche dei detenuti «che per la loro stretta inerenza
alla persona umana sono qualificabili come diritti soggettivi co
stituzionalmente garantiti» (n. 3.5 della motivazione in diritto).
Disegnando un parallelo tra la misura della «sorveglianza par ticolare» di cui all'art. 14 bis ord. penit. ed il regime di rigore determinabile ai sensi dell'art. 41 bis, 2° comma, ord. penit., la corte ha quindi sancito che la verifica giurisdizionale sul se
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GIURISPRUDENZA PENALE
condo si articola con le forme processuali indicate dall'art. 14 ter, ord. penit., dal che deve inevitabilmente farsi discendere anche
l'obbligo per il giudice di tenere conto di quanto, ai medesimi
fini, viene stabilito nell'art. 14 quater ord. penit., che delle due
disposizioni che precedono è palese corollario.
In particolare al 1° comma di quest'ultimo si indica chiara
mente come le restrizioni imposte debbano essere dirette al rag
giungimento del fine proprio della sorveglianza particolare; al
3° comma che «le restrizioni di cui ai commi precedenti sono
motivatamente stabilite nel provvedimento». L'analisi interpretativa dell'intero quadro normativo — in es
so comprese le statuizioni della Corte costituzionale — non può non comportare la conclusione che l'onere di univoca finalizza
zione delle limitazioni e quello di motivazione sono imposti con
il chiaro scopo di consentire da un lato l'impostazione del recla
mo da parte del detenuto; dall'altro — ed indefettibilmente —
il corretto ed opportuno controllo da parte del giudice. Ne consegue altresì' che tale controllo può essere sollecitato
e deve esercitarsi non soltanto sul se del provvedimento, ovvero
della riconoscibilità di un collegamento tra il detenuto e la si
tuazione che si intende tutelare con l'atto amministrativo; bensì
anche sulle singole modalità del regime imposto, laddove una
o più di esse potrebbe non essere giustificata in ordine alla fina
lità perseguita. Chiarito sopra, al punto ti), che questo tribunale ritiene legit
tima, nel caso di specie, l'adozione di particolari cautele in rela
zione alla finalità specifica sottesa al provvedimento ministeria
le in esame, si è pure detto come essa consista nel ridurre al
minimo i contatti del detenuto con l'esterno, controllando gli inevitabili e residuali spazi acciocché per gli stessi non transiti
no illecite o comunque pericolose interferenze con attività delin
quenziali e struttura organizzata, materialmente gestite in liber
tà da altri.
In virtù di quanto sin qui esposto e ponendo a confronto
la finalità e l'art. 1 del dispositivo del decreto, ritiene il tribuna
le che non si giustifichino e debbano pertanto essere dichiarate
inefficaci le seguenti imposizioni:
1) Il divieto di corrispondenza telefonica con familiari e con
viventi di cui alla lett. a) del detto articolo: se infatti si conside
ra da un lato che con le persone indicate è ritenuto ammissibile
il colloquio personale, che le telefonate costituiscono a norma
di legge un sostitutivo dei colloqui, e che le stesse sono assistite
da controllo auditivo ed eventuale registrazione, ne consegue che esse presentano un livello di rischio assolutamente inferiore
a quello che può derivare dai colloqui — che sono invece previ sti pur in misura ridotta — e che pertanto il divieto sancito
deve essere considerato palesemente incongruo rispetto alle fi
nalità perseguite.
2) Il divieto di colloqui ordinari con familiari e conviventi
eccedenti il numero di uno al mese per la durata di un'ora,
di cui alla lett. d) del detto articolo: è logico infatti che, laddo
ve venga ritenuto ammissibile il colloquio con le persone di fa
miglia, a nulla vale ridurne quantità e durata rispetto alla nor
male previsione dalla legge penitenziaria. Delle due l'una infat ti: o si ritiene tale tipo di colloquio possibile veicolo di pericoli
sull'esterno, ed allora esso deve essere decisamente e completa mente escluso; ovvero non lo si considera pregiudizievole per l'ordine e ia sicureza pubblica e perciò stesso praticabile.
Il solo fatto di averne consentito la fruizione sia pure ridotta
nella quantità, impone di considerarlo non pregiudizievole e con
seguentemente inspiegabile, alla luce dei fini perseguiti, la sua
limitazione nei tempi rispetto all'ordinario regime di legge.
Semmai potrebbe considerarsi non incongrua la previsione di
un controllo anche auditivo, e non soltanto visivo, del collo
quio stesso.
Ciò infatti non farebbe altro che parificare la condizione del
colloquio a quella delle telefonate — come si è visto ammissibili
—, si da contemperare al tempo stesso tanto le esigenze di vita
del detenuto quanto quelle di sicurezza. Né pare ravvisabile in
questo una violazione dell'art. 15 Cost.: laddove si consideri
infatti la fungibilità tra telefonate e colloqui e la prevista sotto
posizione ad ascolto ed eventuale registrazione delle prime, le
gittimamente e conseguenzialmente potrebbe attivarsi la mede
II Foro Italiano — 1995.
sima forma di controllo con il semplice atto del ministro che
riscontri le eccezionali condizioni di esercizio dell'art. 41 bis,
2°comma, ord. penitenziario.
3) Del tutto privo di ragione appare il divieto di acquisto di generi alimentari che secondo l'uso comune richiedano cottu
ra, di cui alla lett. /) del detto art. 1. Non è chi non veda come
questa prescrizione non trovi alcun aggancio con la finalità per
seguita dal provvedimento ministeriale. È nota la preoccupazio ne circa un uso illecito e pericoloso delle bombolette di gas con
cui vengono alimentati i fornelli da campo per procedere alla
cottura dei cibi acquistati crudi. E d'altra parte questo è proble ma tutto ed esclusivamente interno agli istituti.
L'amministrazione potrà legittimamente disporre una regola mentazione dell'uso del fornello — indicandone orari di conse
gna, ritiro e custodia negli armadietti esterni alla cella da parte del personale operante; parimenti che in via disciplinare specifi ca possa sospendersi dal beneficio il soggetto che ne abbia fatto
uso scorretto. Ma certamente non potrà in via generale e astrat
ta negare una bevanda o un cibo caldo, preparato nei modi
e nei tempi eventualmente meglio visti, inducendo che con ciò
si intende preservare la collettività da nuovi e gravissimi rischi.
4) Infine, va rimarcato come non trovi adeguata spiegazione — nell'ottica del decreto — il limite di due ore per fruire del
passeggio all'aria, di cui alla lett. ni) del detto art. 1. L'art.
10 ord. penit. prescrive le due ore come limite minimo per chi
non svolge attività lavorativa esterna, come nel caso dei detenu
ti della diramazione. Agrippa di Pianosa. La prescrizione certa
mente non ha riflesso alcuno sulla sicurezza esterna; oltretutto
deve considerarsi le concrete condizioni operative della struttu
ra pianosina che consente adeguata separazione dei detenuti al
momento di fruizione dell'aria e nessuno aggravio ulteriore per 11 personale qual che sia il tempo della stessa.
Si ritiene pertanto illegittima la limitazione in questione che
deve essere dichiarata, al pari delle altre sopra esaminate, inef
ficace.
In merito, congrua soluzione parrebbe quanto meno quella
prevista per tutte le sezioni di alta sicurezza attualmente in fun
zione, che con tempera quotidianamente cinque ore di perma nenza all'aria aperta, anche in due soluzioni.
In conclusione, fra quelle indicate all'art. 1 del decreto mini
steriale reclamato, si considerano illegittime e quindi si dichia
rano inefficaci quelle di cui alle lett. a), d), l) ed m).
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 5 ot
tobre 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Battisti, P.M.
(conci, conf.); ric. Demitry. Conferma G.i.p. Trib. Salerno,
ord. 17 giugno 1994.
Concorso di persone nel reato — Associazione di tipo mafioso — Concorso esterno nel reato associativo — Configurabilità — «Aggiustamento» di processi — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 416 bis).
È configuratile il concorso esterno nel reato di associazione ma
fiosa per quei soggetti che, sebbene non facciano parte del
sodalizio criminoso, forniscano — sia pure mediante un solo
intervento — un contributo all'ente delittuoso tale da consen
tire all'associazione di mantenersi in vita, anche limitatamen
te ad un determinato settore, onde poter perseguire i propri
scopi (nella specie, è stato ritenuto configurabile il concorso
esterno rispetto alla condotta di un soggetto che ha svolto
una attività di intermediazione tra un capo camorrista e un
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