sezione I penale; sentenza 6 dicembre 2000; Pres. La Gioia, Est. Giordano, P.M. Frasso (concl.conf.); ric. De Luca. Conferma Pret. Montepulciano 21 settembre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 9 (SETTEMBRE 2001), pp. 469/470-471/472Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196671 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Fatto. — 1. - A conferma della decisione del Tribunale di Vi
gevano, la Corte d'appello di Milano, con la sentenza in epigra fe, ha ritenuto Vito Ferrante responsabile di concussione perché, abusando della qualità di comandante della tenenza della guar dia di finanza, come tale presentatosi presso esercizi commer
ciali, sottolineando con ciò i propri poteri discrezionali in ordine
al controllo fiscale, aveva indotto: Orazio Santocito, venditore
ambulante di fiori, a consegnargli più mazzi di fiori senza paga re il dovuto corrispettivo; Angela Merlo, socia della pasticceria
Manzoni, a consegnargli delle uova pasquali ed una torta senza
pagare il dovuto corrispettivo; Renzo Cresci, contitolare della
pescheria omonima, a consegnargli più sacchetti di pesce ed in
due occasioni a portargli il pesce a casa senza pagare il dovuto
corrispettivo. 2. - Ricorre il Ferrante che, con il primo motivo, lamenta l'er
ronea applicazione dell'art. 317 c.p. Ritiene che i giudici di merito non abbiano fatto buon gover
no dei principi in ordine al collegamento psicologico tra il com
portamento dell'agente, consistente nell'abuso di qualità da
parte del soggetto pubblico, ed il conseguenziale atteggiamento dei soggetti passivi, al fine di ravvisare nella specie la concus
sione c.d. implicita. Non sarebbe stato spiegato, in altri termini, in cosa sia consistita la richiesta relazione motivazionale tra la
condotta dell'agente, che necessariamente sarebbe dovuta con
sistere in un abuso, e quella delle sue presunte vittime.
L'abuso infatti non può ravvisarsi in una semplice violazione
dei doveri di correttezza e perciò si sarebbe dovuto accertare
che il Ferrante, oltre ad essere titolare di poteri in ordine al
controllo fiscale, aveva fatto di questi un uso distorto o, almeno, aveva minacciato di farlo. Insomma non sussisterebbe alcuna
dimostrazione dell'intenzione del Ferrante di qualificarsi ingiu stificatamente quale tenente della guardia di finanza al fine di
indurre le presunte vittime a dare o fare qualcosa. In questo sen
so, non essendo oggettivamente percepibile alcuna minaccia di
un male, mancherebbe anche l'elemento dell'induzione, quale
provocata alterazione del processo formativo della volontà del
soggetto passivo. 3. - Per questi stessi profili la sentenza impugnata sarebbe an
che affetta da vizio di motivazione. Essa si sarebbe limitata a ri
scontrare l'esistenza di una qualità pubblica e a registrare da
zioni senza corrispettivo da parte dei supposti soggetti passivi. Nulla sarebbe stato detto in ordine all'attività intimidatoria tale
da generare uno stato di soggezione psicologica e quindi in or
dine alla strumentalizzazione della carica pubblica. Diritto. — 1. - I motivi di ricorso, benché articolati sotto il
profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, si
concentrano in realtà su un unico vizio: non vi sarebbe nella
sentenza impugnata una puntuale dimostrazione dell'esistenza
di un consapevole abuso, idoneo a porsi come causa delle inde
bite consegne descritte in narrativa.
2. - Si suggerisce, insomma, che il solo fatto di presentarsi in
divisa e di farsi presentare come comandante della tenenza della
guardia di finanza a commercianti destinati a divenire fornitori
abituali, benché censurabile sotto un aspetto disciplinare, non
può costituire di per sé minaccia tale da alterare l'atteggiamento
psicologico di tali commercianti. E tanto sia in ordine all'ido
neità della condotta (con irrilevanza quindi delle specifiche sen
sibilità dei singoli fornitori), sia in ordine alla consapevolezza
specifico grado d'intensità dell'abuso di qualità e che perciò possa ri sultare sufficiente una contrarietà ai doveri di correttezza che abbia
comunque inciso sulla dazione del soggetto passivo. In dottrina, nel
senso che l'abuso di qualità, consistente in una strumentalizzazione da
parte del pubblico ufficiale della propria qualifica soggettiva, deve es
sere comunque caratterizzato da un quid pluris rispetto alla mera di
chiarazione di possedere la qualifica pubblicistica, cfr., tra gli altri,
Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 1997,1, 207.
E orientamento giurisprudenziale assolutamente dominante ritenere
che, in tema di concussione, il termine «utilità» indica tutto ciò che
rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimo niale o non patrimoniale, consistente tanto in un dare quanto in un fare
e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune:
cfr., tra le tante, Cass. 11 novembre 1998, Plotino, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 18.
Il Foro Italiano — 2001.
del Ferrante di porre in essere un'azione capace di procurargli utilità.
3. - Va tuttavia osservato, quanto al profilo oggettivo, che
l'art. 317 c.p. non richiede una specifica qualità o quantità del
l'abuso. Sicché quando si ammette la contrarietà ai doveri di
correttezza, imposti da norme giuridiche, del comportamento del pubblico ufficiale e non si nega che tale comportamento è
all'origine «storica» delle indebite consegne, perché inteso dai
commercianti, secondo le loro stesse dichiarazioni, quale mi
naccia implicita di avvalersi del potere di disporre verifiche fi
scali, si deve ammettere nel contempo che la decisione in esame
compiutamente dimostra la ricorrenza della condotta idonea e
del nesso causale.
4. - Quanto poi al profilo soggettivo basta riportarsi alle os
servazioni della sentenza di primo grado, richiamate dalla corte
d'appello. In questa pronunzia è dato leggere che proprio l'abi
tualità del contegno del ricorrente è dimostrativa della coscienza
e volontà dello sfruttamento della sottomissione dei privati «laddove, una prima volta omaggiato, il Ferrante era tenuto in
prosieguo a non approfittare della situazione mettendo in chiaro
i termini del rapporto». 5. - Il ricorso va quindi respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 6 di cembre 2000; Pres. La Gioia, Est. Giordano, P.M. Frasso
(conci, conf.); ric. De Luca. Conferma Pret. Montepulciano 21 settembre 1999.
Quiete pubblica e privata (disturbo della) — Molestia o di sturbo alle persone
— Pedinamento — Reato — Fattispe cie (Cod. pen., art. 660).
Anche il pedinamento è riconducibile alla previsione dell'art.
660 c.p. quando si concreta in un'azione pressante, ripetitiva, indiscreta e impertinente, e quindi idonea a interferire sgra devolmente nella sfera della quiete e della libertà delle per sone (nella specie, l'azione molesta consisteva nel seguire in
sistentemente con un'autovettura due giovani, fratello e so
rella, lungo le vie della loro città). (1)
(1) Nel senso che integra il reato in questione non già il mero pedi namento, ma il pedinamento che sia fonte di effettiva molestia, cfr.
Cass. 25 gennaio 1978, Laglia, Foro it., Rep. 1978, voce Quiete pub blica, n. 7; 14 giugno 1978, Urciuoli, id., 1979, II, 194, con nota di ri
chiami. Per la tesi che il reato invece esula nel caso di semplice pedi namento effettuato da un investigatore privato che, con la propria mac
china, insegua insistentemente un soggetto infastidendolo, v. Pret. Va
lentano 9 marzo 1984, id., 1985, II, 155, con nota di richiami.
Quanto alla configurabilità del dolo, per la sufficienza della coscien
za e volontà della condotta molesta e l'irrilevanza degli intenti perse
guiti dall'agente, cfr., in precedenza, Cass. 26 novembre 1998, Faedda, cit. in motivazione, id., Rep. 1999, voce cit., n. 9.
Più in generale, in dottrina, v. Contento, Molestie o disturbo alle
persone, voce de\\'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XX.
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PARTE SECONDA
Con sentenza in data 21 settembre 1999 il Pretore di Monte
pulciano ha dichiarato De Luca Maurizio colpevole di violazio ne continuata dell'art. 660 c.p. per avere dal gennaio al giugno 1997 molestato Fiordi Giancarlo e Fiordi Emanuela, fratello e
sorella, insistentemente seguendoli lungo le vie di quella loca
lità con la propria autovettura e, con le attenuanti generiche, lo
ha condannato a lire seicentomila di ammenda.
Avverso tale pronuncia lo stesso imputato ha proposto ricorso
per cassazione con cui deduce violazione di legge e vizio di
motivazione per avere il pretore ingiustificatamente disatteso la
sua versione difensiva — secondo la quale i suoi incontri con i
Fiordi sarebbero stati casuali, e dovuti al fatto che per il suo la
voro di subagente dell'Ina doveva girare continuamente per in
contrare i clienti, e i predetti se ne sarebbero doluti come di una
persecuzione, benché egli pacificamente non avesse in quelle occasioni proferito al loro indirizzo alcuna frase, perché scossi
da vicissitudini familiari — e per non essere comunque integra ti, neppure alla stregua della ricostruzione accusatoria, gli estremi oggettivi e soggettivi, non essendo stato individuato un
movente, del reato di cui all'art. 660 c.p. Si tratta di censure prive di fondamento, e il ricorso deve
quindi essere rigettato con le conseguenze in ordine alle spese
processuali previste dall'art. 616 c.p.p. Il pretore ha invero confutato con adeguata motivazione, im
mune da vizi sindacabili in questa sede, la linea difensiva del De
Luca rilevando che dalle deposizioni non solo delle persone of
fese ma anche di amiche e compagne di scuola della Fiordi
Emanuela era emerso che gli incontri erano stati frequenti ed
erano avvenuti in circostanze tali da escludere la casualità e so
prattutto che il De Luca aveva sempre e costantemente tenuto un atteggiamento fastidioso e imbarazzante, al punto da genera re inquietudine, per l'ostentato modo con cui fissava i due gio vani.
Correttamente dunque, su questi presupposti di fatto, è stata
ritenuta la sussistenza degli estremi oggettivi del reato conte
stato perché anche comportamenti come il pedinamento è ricon
ducibile alla previsione dell'art. 660 c.p. quando si concretino in
un'azione pressante, ripetitiva, indiscreta e impertinente e quin di idonea a interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e
della libertà delle persone, il che ben può avvenire anche se a
quelle prese di mira non venga come nel caso di specie rivolta la
parola, aspetto che anzi è suscettibile di aumentare il disagio. Quanto al profilo soggettivo, va richiamata la costante giuris
prudenza di questa corte (cfr., tra le ultime, le sentenze di questa sezione 30 aprile 1998, Morgillo, Foro it., Rep. 1998, voce
Quiete pubblica, n. 23, e 26 novembre 1998, Faedda, id., Rep. 1999, voce cit., n. 9) secondo cui, in presenza di una condotta con le caratteristiche oggettive di quella tenuta dal De Luca, certamente rientranti nel concetto di petulanza cui fa riferimento la norma incriminatrice, è sufficiente per l'esistenza del dolo la coscienza e volontà di tale condotta e non hanno alcun rilievo
gli intenti perseguiti dall'agente.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 16
novembre 2000; Pres. Marrone, Est. Marasca, P.M. Faval
li (conci, conf.); ric. Romagnoli. Conferma App. Ancona 20
gennaio 2000.
Violenza privata e violenza per costringere a commettere un
reato — Violenza privata — Reato — Fattispecie (Cod.
pen., art. 610).
Integra il reato di violenza privata, e non di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni, il comportamento di un datore di lavo
ro che chieda ad alcuni dipendenti, pena il licenziamento, di
chiarazioni a lui favorevoli da utilizzare nel caso di visita di
ispettori del lavoro. (1)
Con sentenza emessa il 25 novembre 1995 il Pretore di Mace
rata aveva condannato Romagnoli Adalberto, per il reato di
violenza privata, alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclu
sione, oltre al pagamento delle spese processuali, per avere
chiesto ad alcune dipendenti, pena il licenziamento, dichiara
zioni a lui favorevoli da utilizzare nel caso di visita di ispettori del lavoro.
Con sentenza del 20 gennaio 2000 la Corte d'appello di An
cona escludeva uno degli episodi contestati e confermava nel re
sto la sentenza impugnata, rideterminando la pena.
Proponeva ricorso per cassazione il Romagnoli e deduceva:
1) violazione ed errata applicazione degli art. 544, 546 e 125
c.p.p., per mancanza di motivazione in ordine alla responsabilità
dell'imputato;
2) violazione dell'art. 192 c.p.p. perché non è possibile rite
nere i fatti provati sulla sola base delle dichiarazioni delle parti lese.
Il ricorrente chiedeva l'annullamento della sentenza impu
gnata. In sede di udienza il difensore eccepiva la prescrizione di uno
degli episodi contestati e sosteneva che nei fatti era configura bile un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, estinto per re
missione della querela. I motivi posti a sostegno del ricorso non sono fondati.
L'eccezione di prescrizione concernente l'episodio relativo
alla dipendente Liliana Cosentino non è fondata.
Questo episodio, infatti, è legato con il vincolo della conti
nuazione agli altri analoghi episodi verificatisi in momenti suc
cessivi e certamente non prescritti. L'art. 158 c.p. stabilisce che per il delitto continuato la pre
scrizione decorre dalla cessazione della continuazione.
Poiché da tale momento non è trascorso il periodo di sette an
ni e sei mesi necessario per la prescrizione del delitto di cui al l'art. 610 c.p., non si produce l'effetto estintivo nemmeno per
l'episodio relativo alla Cosentino.
Non sussiste alcun presupposto per ritenere il delitto di cui all'art. 392 c.p. invocato dal difensore, tenuto conto della rico struzione dei fatti operata dai giudici di merito.
Per ritenere tale reato è necessario che l'agente, pur vantando
(1) In senso conforme, circa la distinguibilità tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni e violenza privata in funzione della previa esisten za o meno di un diritto azionabile dinanzi al giudice, cfr., in preceden za, Cass. 20 gennaio 1998, Ottaviano, Foro it., Rep. 1998, voce Violen za privata, n. 2; 28 maggio 1984, Guerrieri, id., Rep. 1985, voce cit., n. 3. Per la tesi che integra violenza privata (e non già esercizio arbitrario) il fatto di chi. al fine ultimo di esercitare un diritto, usi violenza o mi naccia su persone estranee con l'intento di realizzare un mezzo di pres sione indiretto verso il vero antagonista, cfr. Cass. 6 ottobre 1994, Scattaretica, id., 1996, II, 171, con nota di richiami.
Con riferimento alla coartazione esercitata sempre in ambiente lavo rativo, un'altra ipotesi di violenza privata è stata ravvisata nel compor tamento di datori di lavoro che, con continue minacce, vessazioni e of fese, abbiano costretto una lavoratrice dipendente a dimettersi dopo che era rimasta incinta, al fine di evitare gli oneri economici conseguenti alla maternità: cfr. Trib. Camerino 4 giugno 1993, Riv. it. dir. lav., 1994, II, 494, e massimata in Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 2.
In dottrina, più in generale, cfr. Mezzetti, Violenza privata, voce del
Digesto pen., Torino 1999, XV, 264 ss.
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