+ All Categories
Home > Documents > Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl....

Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl....

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: vuongcong
View: 215 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
4
Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl. conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1° febbraio 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 303/304-307/308 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175373 . Accessed: 24/06/2014 22:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.22 on Tue, 24 Jun 2014 22:33:44 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl. conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1° febbraio 1980

Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl.conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1° febbraio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 303/304-307/308Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175373 .

Accessed: 24/06/2014 22:33

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.229.229.22 on Tue, 24 Jun 2014 22:33:44 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl. conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1° febbraio 1980

PARTE SECONDA

missione del gruppo 143 — e come tali tenuti, per l'art. 62 d.p.r. cit., a esprimere, circa l'idoneità dei candidati, un giudizio atti nente da un lato alla valutazione dei titoli scientifici prodotti dai candidati stessi, dall'altro all'attività didattica da questi svol ta secondo le certificazioni all'uopo allegate, omettevano, nei con fronti di determinati candidati — nominativamente indicati nel

capo d'imputazione in numero di otto — di procedere alla effet tiva valutazione di detta attività didattica, tant'è che nei verbali di giudizio (nei quali si dava pur atto che la certificazione riguar dante tale attività didattica era stata regolarmente prodotta dai

singoli interessati) era espressa meramente la valutazione riguar dante i lavori scientifici prodotti, valutazione condensata, fra

l'altro, nelle pure e semplici annotazioni: «rivestono carattere di contributo non originale», oppure: «non specifico», ovvero: « titoli inesistenti », sulla sola base di che, si formulava parere « negativo » circa l'idoneità dei candidati, senza neppure un ac cenno alla detta attività didattica.

È parimenti da precisare che la medesima omissione, a titolo di continuazione nel reato rispetto alla contestazione precedente, era contestata con un secondo capo d'imputazione, in relazione ad altri 19 candidati del medesimo concorso, ugualmente indicati

per nome uno per uno, sempre dando i fatti per avvenuti nei

giorni già detti.

Avverso detta sentenza — pronunziata come accennato ex art.

398 c.p.p. — gli imputati Battisti e Valle, con atti rispettivamente del 9 e del 18 novembre 1982, hanno proposto ricorso per cassa

zione, entrambi concludendo per l'annullamento della sentenza

stessa «con rinvio», benché il Battisti denunciasse violazione

dell'art. 152 c.p.p. per omessa, insufficiente e non logica motiva

zione, nonché violazione dell'art. 185 stesso codice per non es

sere stato posto in condizioni di dichiarare l'eventuale rinunzia

al provvedimento di amnistia, mentre il Valle, oltre che della

violazione dell'art. 152 cit. — nell'assunto che sia i titoli scien

tifici sia l'attività didattica erano stati scrupolosamente valutati

nei confronti singolarmente di tutti i candidati — si duole an

che dell'avvenuta scissione del reato continuato, attraverso l'ap

plicazione dell'amnistia ai soli episodi compresi nei limiti tem

porali dell'atto di clemenza, cosi privando esso ricorrente della

possibilità di svolgere, nel corso del prosieguo dell'istruttoria

riguardo agli episodi successivi, ampie ed esaurienti difese.

Ciò premesso, giudica questa corte che i ricorsi sono entrambi

da respingere perché infondati.

Anzitutto si rileva che per quello che concerne il lamentato

diniego di applicazione dell'art. 152 cit. (2° comma), nella fat

tispecie concreta non può dirsi in verità che emergano — come

esige tale norma — « prove le quali rendono evidente che il

fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, o che

il fatto non è preveduto dalla legge come reato », dal momento

che gli attuali ricorrenti — in spregio, come tutto fa credere, di

quanto prescrive inderogabilmente il già citato art. 62 d.p.r. n.

382/80 cit. — hanno espresso e fatto consacrare nei verbali cor

relativi, durante l'espletamento dei compiti loro affidati e come

sopra chiariti, un giudizio riguardante esclusivamente i lavori

scientifici prodotti dai singoli candidati, mentre hanno omesso —

sempre per quel che può credersi, proprio in base ai cennati

verbali, a parte gli altri elementi richiamati nella sentenza —

qualsiasi valutazione riguardante l'attività didattica, valutazione,

questa seconda, che gli stessi odierni ricorrenti, in sede difensiva, hanno significativamente cercato di prospettare come implicita nel giudizio formulato.

In secondo luogo si rileva che in caso di ricorso avverso una

sentenza dichiarativa di estinzione del reato, la Corte di cassa

zione, in sede di legittimità, non può prendere in esame censure

concernenti vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ta

li da determinare, ove le censure risultassero fondate e accolte, l'annullamento del provvedimento medesimo, necessariamente con

rinvio per nuovo giudizio, in quanto che una statuizione siffatta

risulta incompatibile con il principio di applicazione immediata

della causa estintiva del reato, sancito dalla prima parte del

citato art. 152 c.p.p.

Infine si rileva che, quando sussistano le condizioni per di

chiarare il reato estinto per amnistia, il giudice non è, prima di

provvedere alla relativa declaratoria, tenuto a interpellare l'im

putato in ordine all'accettazione o alla rinunzia da parte di lui

al benefìcio, atteso che lo stesso imputato, una volta edotto del

procedimento a suo carico (nel caso in esame risulta che lo stesso

Battisti non esitò ad ammettere di aver ricevuto la notifica di ben due mandati di comparizione, anche se non seguiti, non per sua

volontà, da nessun interrogatorio) è in grado di rappresentare al

giudice la propria volontà di rinunziare all'amnistia, avvalendosi a tal uopo di una qualsiasi delle forme a ciò consentite. Conse

guendone che, ove invece l'imputato ciò non faccia, corre l'ob

bligo per il giudice di provvedere alla immediata declaratoria

della causa estintiva del reato, salvo che, ben s'intende, non ri

corra taluna delle ricordate ipotesi del più volte citato art. 152, 2° comma, c.p.p.

Quanto alla lamentata « scissione » del reato continuato (mo tivo 2° del ricorso Valle) o più esattamente (vedi sentenza im

pugnata) alla separazione dei fatti contestati nel cennato, duplice

capo d'imputazione di essa sentenza impugnata, da altri non

precisati, rispetto ai quali il pretore ha disposto nel dispositivo che gli atti gli fossero poi restituiti « per l'ulteriore corso », è da

dire in primo luogo che è verosimile (in mancanza di migliori

riscontri) che il pretore si sia cosf regolato in relazione a suc

cessive, sopravvenute denunzie concernenti altri candidati, in or

dine alle quali può essere che nemmeno vi fosse ancora stata

una formale incriminazione, ovvero ch'egli abbia effettivamente

voluto scindere i fatti di cui alla sua pronunzia oggi impugnata, fatti commessi in data anteriore al termine fissato dal decreto di

clemenza per l'applicazione dell'amnistia, da quelli invece com messi in data posteriore; secondariamente che — in questa secon da ipotesi — la « scissione » in parola non può che stimarsi fa vorevole agli imputati, essendo essa chiaramente finalizzata a ri conoscere a loro riguardo, relativamente a una parte degli adde biti loro contestati, un beneficio quale l'amnistia, ripetendosi qui che se gli imputati reputavano invece di poter optare per una de finizione della loro posizione nel merito, avrebbero allora do

vuto tempestivamente attivarsi con l'espressa dichiarazione di ri nunzia al detto beneficio; terza cosa che, proprio per questo, e

determinatasi cosi' la situazione anche in grazia della loro omissi

va condotta (la quale, si badi, equivale a virtuale accettazione del

l'amnistia non rinunziata), non hanno oggi essi interesse a pro

porre doglianze in ordine alla « scissione », sia perché a questa, intesa come sopra, non è di ostacolo la ritenuta continuazione

(anch'essa, certo, costituita dalla legge in favore del reo, ma

non incompatibile con un provvedimento di ulteriore favore nei

termini chiariti), e sia perché non ha pregio il rilievo del ricor

rente Valle, secondo cui la protestata amputazione di una por zione del reato continuato « priverebbe il ricorrente della possi bilità di espletare in modo ampio ed esauriente le proprie di

fese ». Rilievo che par piuttosto, a dire il vero, mascherare sotto

specie di inesistente danno patito la reale volontà di sopperire alla mancata rinunzia con la speranza in una pronunzia mi

gliore.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 7 di sembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone

(conci, conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1"

febbraio 1980.

Circostanze di reato — Attenuanti — Riparazione del danno — Ravvedimento attivo — Ambito di applicabilità (Cod. pen., art. 62).

Circostanze di reato — Attenuanti — Riparazione del danno — Ravvedimento attivo — Concorso — Limiti — Effetti (Cod. pen., art. 62).

Circostanze di reato — Attenuanti — Ravvedimento attivo —

Applicabilità — Limiti — Fattispecie (Cod. pen., art. 62, 575).

L'attenuante del ravvedimento attivo riguarda il danno penale inteso quale lesione del bene giuridico tutelato dalla norma in

criminatrice, mentre l'attenuante del risarcimento concerne il danno civile, patrimoniale o non patrimoniale, economicamen te risarcibile. (1)

Ad eccezione che nei reati contro il patrimonio, l'attenuante del ravvedimento attivo e quella del risarcimento integrale del dan no possono concorrere tra loro, ma non comportano una du

plice diminuzione di pena. (2) L'attenuante del ravvedimento attivo non è applicabile rispetto

ai reati, quale l'omicidio, che producono un danno penale per sua natura neppure in parte eliminabile dal colpevole (nella specie, non è stata concessa l'attenuante del ravvedimento at tivo all'imputato di omicidio che, esploso un colpo di fucile contro la vittima, aveva informato la polizia sollecitando l'in vio di un'autoambulanza). (3)

(1-3) Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, la circostanza attenuante del ravvedimento attivo, prevista dalla seconda parte del l'art. 62, n. 6, c.p., si riferisce esclusivamente a quelle ulteriori conse

This content downloaded from 91.229.229.22 on Tue, 24 Jun 2014 22:33:44 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl. conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1° febbraio 1980

GIURISPRUDENZA PENALE

Premessa e motivi della decisione. — Con sentenza 24 maggio 1979 della Corte di assise di Foggia, confermata dalla Corte di assise di appello di Bari, in data 1° febbraio 1980, Ciuffreda Giam battista veniva riconosciuto colpevole di uxoricidio e condannato, esclusa l'aggravante contestatagli dei futili motivi e con le atte nuanti generiche ritenute prevalenti sulla restante aggravante del

rapporto di coniugio, alla pena di 18 anni di reclusione e al risarcimento generico dei danni verso i parenti dell'uccisa, co stituitisi parti civili.

Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di me rito l'imputato aveva esploso un colpo di fucile da caccia contro la propria moglie Totaro Anna, come lui ventottenne, sposata dodici anni prima e dalla quale aveva avuto due figli, nel corso di un litigio avvenuto il mattino del 23 aprile 1978 in una mas seria sita in contrada Tavernola di Foggia. Colpita all'addome dalla rosa dei pallini partita tra i due e i quattro metri di distan

za, la donna era spirata due ore più tardi in ospedale mentre il

Ciuffreda, dopo aver subito informato la polizia del suo atto sollecitando l'invio di un'autoambulanza, si era spontaneamente costituito.

Interrogato dal magistrato di turno ancor prima che la moglie morisse, Ciuffreda dichiarava di avere sparato in un impeto d'ira, con un fucile non suo che egli aveva prelevato e caricato in una stanza attigua, a conclusione di un litigio insorto per motivi che non ricordava, lite ch'era presto trascesa a vie di fatto, aven do egli ad un certo punto schiaffeggiato per gli insulti ricevuti la

consorte, che a sua volta gli si era avventata contro graffiandolo. In un interrogatorio reso sei mesi dopo al giudice istruttore

precisava che già da diversi anni i rapporti coniugali erano di

frequente tesi a motivo della freddezza della moglie nei suoi

confronti e della facilità con cui essa spendeva o lo induceva a

spendere il poco danaro a disposizione. Il mancato acquisto di una borsetta era stato la causa dell'ul

timo litigio, risoltosi cosi' tragicamente perché la Totaro, dopo

gli schiaffi ricevuti, gli aveva detto, tra vari insulti, che i due

figli non erano suoi.

Nel dibattimento di primo grado sosteneva poi che il colpo

guenze dannose o pericolose del reato che non si concretano in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile ai sensi dell'art. 185 c.p., e perciò non è applicabile ai reati contro il patrimonio per i quali può ricorrere soltanto l'attenuante del risar cimento integrale del danno patrimoniale o non patrimoniale prevista dalla prima parte dell'art. 62, n. 6, c.p. (Cass. 1° ottobre 1980, Renga, Foro it., Rep. 1981, voce Circostanze di reato, n. 64; 16 giugno 1980, Caligale, id., Rep. 1980, voce cit., n. 59; 10 gennaio 1980, Palumbo, ibid., n. 80; 25 marzo 1979, Salamone, ibid., n. 70; 23 novembre

1977, Villantieri, id., Rep. 1978, voce cit., n. 121; 4 ottobre 1977, Magliano, ibid., n. 123; 13 dicembre 1976, Cristalli, id., Rep. 1977, voce cit., n. 82; 28 febbraio 1975, Tolomello, id., Rep. 1976, voce

cit., n. 96; 25 giugno 1975, Piccoli, id., 1976, II, 170, con osservazioni di Cervadoro).

In dottrina hanno, però, criticato l'esclusione dell'applicabilità della seconda ipotesi attenuativa prevista dall'art. 62, n. 6, c.p. ai reati da cui scaturiscono conseguenze suscettibili di risarcimento, Diaz, Ambito di operatività dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 6, c.p. e accerta mento del danno civile da reato, in Giur. merito, 1973, IV, 43 ss.; Mantovani, Diritto penale, Padova, 1979, 360; Pagliaro, Principi di diritto penale, Milano, 1980, 1, 476.

Il principio riassunto nella prima massima si pone nell'ambito della giurisprudenza consolidata, ma ne esplicita l'orientamento precisando che l'attenuante del ravvedimento attivo si riferisce al danno penale o criminale. In tal modo è stato evitato il generico riferimento alle ulteriori conseguenze dannose o pericolose del reato che non si con cretano in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente

risarcibile, ricorrente nelle decisioni sopra menzionate. La seconda massima afferma espressamente, per la prima volta a

quanto consta, la possibilità del concorso, salvo che rispetto ai reati contro il patrimonio, tra l'attenuante del risarcimento integrale del danno e quella del ravvedimento attivo. Tuttavia, la ritenuta esclu sione in tal caso di una duplice diminuzione di pena, sebbene condi

visibile, è stata più affermata che dimostrata. Mentre, è ben nota la

complessa problematica relativa alle circostanze aggravanti od atte

nuanti contenenti fattispecie alternative o cumulative.

La terza massima costituisce lo sviluppo logico delle due precedenti, ma si segnala per la peculiarità della fattispecie concreta, in ordine

alla quale non constano precedenti editi, nonostante la ricorrente fre

quenza del caso di specie (anteriormente in materia la Cassazione

con sent. 30 maggio 1973, Longo, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n.

70, aveva affermato che l'omicidio volontario, pur essendo un delitto

contro la persona, è comunque lesivo del patrimonio altrui, cagionan do costantemente danni economicamente valutabili e danni non pa trimoniali ad altri soggetti. Ne deriva che è inapplicabile al suddetto

reato l'attenuante prevista dalla seconda ipotesi dell'art. 62, n. 6, c.p.; in termini analoghi si è stabilito in tema di omicidio colposo: cfr.

Cass. 14 ottobre 1974, Sciarofani, id., Rep. 1975, voce cit., n. 73; 12

novembre 1974, Martinetti, ibid., n. 74).

di fucile era partito accidentalmente, mentre egli lo impugnava solo per intimorire la moglie.

Quest'ultima versione non veniva creduta dai giudici di me

rito, i quali, nell'affermare la responsabilità del Ciuffreda per omicidio volontario, escludevano che ricorressero nel caso le invocate attenuanti della provocazione e del ravvedimento ope roso, rilevando: quanto alla prima attenuante, ch'essa non tro vava fondamento né nei precedenti rapporti coniugali, al cui deterioramento aveva quanto meno concorso la condotta infedele e violenta dell'imputato; né nell'ultima frase relativa alla pater nità dei figli, attribuita dal Ciuffreda alla vittima ma in realtà

riconducibile ad una sua invenzione difensiva, posto che nessun cenno egli ne aveva fatto allorché era stato dettagliatamente interrogato la prima volta, né mai d'altronde, pur censurando per altri versi la condotta della moglie, aveva prospettato dubbi sulla sua fedeltà; quanto all'altra attenuante, ch'essa non era ipotizza bile nel reato di omicidio, essendone strutturalmente esclusa l'ap

plicazione ai reati che producono danni economicamente risarci

bili, e che in ogni caso né l'immediata confessione, né la richie

sta di invio di un'autoambulanza, sulle quali iniziative dell'im

putato era basata l'invocata attenuante, avevano in realtà avuto

incidenza alcuna nel determinismo dell'evento mortale, sicché

mancava il requisito dell'efficacia del ravvedimento, richiesto

dall'art. 62, n. 6, c.p.

Avverso la sentenza di appello l'imputato ha proposto ricorso

per cassazione deducendo, con due motivi presentati dalla difesa

e illustrati con successiva memoria:

1) la violazione dell'art. 62, n. 2, c.p. ed il vizio logico di mo

tivazione per non essersi tenuto conto né che il mancato accenno

dell'imputato, nel primo interrogatorio, alla frase provocatrice era riferibile ad un comprensibile ritegno dell'imputato stesso, in un momento in cui era accusato solo di tentato omicidio, né

della pregressa condotta matrimoniale della donna;

2) la violazione dell'art. 62, n. 6, c.p. essendo l'attenuante ivi

prevista applicabile, per la sua natura soggettiva, anche all'omi

cidio, alla sola condizione, accertata nella specie, che il reo si

sia adoperato seriamente, facendo tutto ciò ch'era possibile fare,

per elidere o attenuare le conseguenze del delitto.

Ciò premesso il ricorso va rigettato perché "infondato.

Sul primo motivo è da rilevare che la sentenza impugnata, su

perando l'indagine circa l'idoneità della frase attribuita dall'im

putato alla Totaro ad integrare, nel contesto litigioso in cui sa

rebbe stata ab irato pronunciata dalla donna, un fatto oggettiva mente e causalmente ingiusto, ha ritenuto non veritiera l'attribu

zione e ne ha spiegato le ragioni nel senso riassunto in premessa. Tale motivazione, al pari dell'altra con cui si è ritenuta non pro vata una pregressa condotta provocatoria della vittima, è inec

cepibile sul piano logico e fedele alle risultanze processuali, sic

ché costituisce giudizio di fatto non sindacabile in sede di le

gittimità. Quanto, in particolare, all'omesso esame delle ragioni di ri

servatezza che avrebbero indotto il Ciuffreda a non riferire la

frase nel suo primo interrogatorio, giustamente la sentenza non

ne ha fatto cenno, dato che né negli interrogatori successivi al

primo, né nei motivi di appello dette asserite ragioni erano state

prospettate. Relativamente al secondo motivo va ricordato che l'art. 62,

n. 6, c.p. prevede due distinte ed autonome circostanze attenuanti, entrambe di natura soggettiva, al pari di quella prevista in senso

opposto dall'art. 61, n. 8, dello stesso codice, perché fondate su

una concreta manifestazione di ravvedimento, e quindi di mi

nore pericolosità sociale, data dal colpevole dopo la commissione

di un reato. La prima è costituita dalla integrale riparazione del

danno, la seconda dal fatto di essersi il colpevole adoperato spon taneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguen ze dannose o pericolose del reato.

Nell'una e nell'altra ipotesi l'operosa resipiscenza del colpe vole viene dunque presa in considerazione dalla legge in rela

zione ai concreti effetti che essa abbia avuto sul danno causato

dal reato, ma mentre nella prima tale danno è inteso in senso ci

vilistico, come lesione patrimoniale, o non patrimoniale ma eco

nomicamente risarcibile (art. 185, cpv., c.p., 2059 c.c.), nella se

conda esso è invece considerato — unitamente al pericolo di

danno, secondo la nota distinzione tra reati di danno e reati

di pericolo — nel suo significato penalistico, e cioè quale lesione

del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma incrimina

trice, come ad esempio la vita nel reato di omicidio, l'integrità

personale fisica e psichica nel reato di lesioni, il pericolo di

danno per la pubblica incolumità nel reato di incendio.

Sotto questo secondo aspetto il danno è una costante del reato,

in quanto ogni fatto criminoso è lesivo di un interesse penalmente

This content downloaded from 91.229.229.22 on Tue, 24 Jun 2014 22:33:44 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: Sezione I penale; sentenza 7 disembre 1982; Pres. Fasani, Est. Franco, P. M. Monteleone (concl. conf.); ric. Ciuffreda. Conferma Assise app. Bari 1° febbraio 1980

PARTE iSECONDA

protetto che lo caratterizza e che non è mai risarcibile, mentre

il danno patrimoniale o non patrimoniale risarcibile non ne è

che una eventuale conseguenza aggiuntiva, la quale obbliga il

colpevole o chi per esso al' risarcimento.

Le due ipotesi operano dunque in campi diversi e in linea di

principio possono anche concorrere fra loro (si pensi all'autore

di una lesione personale che abbia prima attenuato il danno pe nale curando efficacemente la ferita prodotta, poi riparato quello civile risarcendo l'offeso), ma con il risultato di una sola dimi

nuzione di pena, essendo unica per entrambe la finalità perseguita dalla norma di stimolare quanto più è possibile l'operosa resipi scenza del colpevole.

Dalla diversa sfera di applicazione delle due ipotesi normative

deriva che mentre ai reati contro il patrimonio può applicarsi esclusivamente l'attenuante della integrale riparazione del danno

prevista dalla prima parte dell'art. 62, n. 6, c.p. — e ciò perché in tali reati vi è una sostanziale coincidenza tra danno civile e

danno penale, consistendo l'oggetto specifico della tutela penale

appunto nella inviolabilità del patrimonio — agli altri reati, ove

abbiano cagionato, oltre quello penale, anche un danno economi

camente risarcibile, sono invece applicabili entrambe le atte

nuanti, con l'unico già segnalato effetto di una sola diminuzione

di pena.

Quel che occorre però rilevare, ai fini che qui interessano, è

che l'attenuante della operata elisione o attenuazione delle con

seguenze dannose o pericolose del reato in tanto può trovare

ingresso in quanto il danno penale sia per sua natura almeno

in parte eliminabile dal colpevole. Il pericolo per la pubblica incolumità causato da chi, dopo averlo provocato, si adoperi per

domarlo, cosi come, nel campo dei reati contro la persona, l'au

tore di una lesione può efficacemente adoperarsi affinché le con

seguenze lesive restino circoscritte.

Ciò non è possibile nel reato di omicidio, sia esso doloso, col

poso o preterintenzionale, perché non eliminabile né attenuabile

per sua natura è la lesione del bene della vita oggetto della rela

tiva tutela penale, che non è dato all'uomo restituire una volta

tolto, sicché la attenuante in questione non è mai applicabile a

detto reato.

Né può obiettarsi, con particolare riguardo alla natura sogget tiva della circostanza, che quando l'azione riparatrice è diretta,

come nella specie, a impedire il verificarsi dell'evento del reato,

essa sia ugualmente idonea, anche se priva di risultato, ad inte

grare l'attenuante perché rivolta a prevenire proprio il danno

penale.

L'obiezione trova risposta nella struttura della circostanza, an

che senza tener conto della evidente mancanza, nel reato di omi

cidio, del requisito richiesto dall'art. 62, n. 6, c.p. della efficacia

dell'opera prestata, dato che tale requisito assume rilevanza e

va valutato in concreto solo ove sia concettualmente configurabile. La norma ora citata riconnette infatti l'attivo ravvedimento

del colpevole alle conseguenze dannose o pericolose non già della sua condotta criminosa, bensì « del reato » che ne è seguito, ossia alle conseguenze dell'evento proprio del reato stesso. Il col

pevole, d'altra parte, deve adoperarsi per « elidere o attenuare »

dette conseguenze, deve cioè svolgere attività che sono di ripara zione di una lesione già avvenuta, non di prevenzione delle me

desima.

Soltanto l'operosa resipiscenza prestata dal colpevole dopo la

consumazione del reato — o, in ipotesi, nel tempo intercorrente

tra l'azione criminosa e l'evento, quando questo si verifichi ugual mente ma possa essere rimosso o attenuato :— viene dunque

presa in considerazione dall'art. 62, n. 6, c.p.

Se è anteriore all'evento, in tal caso o raggiunge lo scopo di

impedirlo, e trova allora applicazione la corrispondente ipotesi

prevista per il tentativo dall'art. 56, ult. comma, c.p., secondo

la riserva che è stata inserita nell'art. 62, n. 6, proprio perché

quest'ultima norma si applica solo ai reati consumati, oppure non lo raggiunge né riesce a modificarne gli effetti, ed allora l'in

fruttuosa resipiscenza non ha altra rilevanza penale oltre quella di una eventuale valutazione positiva circa la capacità a delin

quere del colpevole, ai sensi dell'art. 133 c.p.

Sono pertanto erronei gli argomenti addotti dalla sentenza im

pugnata e dalla difesa del ricorrente per escludere o affermare

la compatibilità dell'attenuante con il reato di omicidio.

Né l'una né l'altra considerano che per « conseguenze dannose

o pericolose del reato » ai sensi dell'art. 62, n. 6, c.p. debbono

intendersi esclusivamente quelle concernenti il danno penale cau

sato dal reato stesso e cioè solo quelle strettamente inerenti alla

lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata.

La difesa sottolinea in particolare la natura soggettiva dell'at tenuante — certamente sussistente, ma che non basta a delimitar ne la sfera di applicabilità — e compendia le suddette conse

guenze negli effetti extrapatrimoniali che il verificarsi di un reato

crea, come la sofferenza, il timore, l'allarme sociale, il pericolo di un errore giudiziario.

Si tratta però di conseguenze che o sono risarcibili economica mente a norma dei citati art. 185 c.p. e 2059 c.c., perché integra no un danno morale, oppure riguardano l'oggetto specifico di altre ipotesi criminose come il pericolo di errore giudiziario nel

delitto di calunnia, che è difatti compatibile con l'attenuante, ma che sono irrilevanti, ai fini che interessano, nell'omicidio, reato nel quale il danno penale è per sua natura irreversibile.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III penale; sentenza 13

gennaio 1982; Pres. De Martino, Est. Postiglione, P. M. Ce cere (conci, conf.); ric. Sabelli. Conferma Trib. Ascoli Piceno 9 maggio 1979.

Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento —

Impresa agricola di allevamento di bestiame — Carattere di insediamento civile — Definizione — Criteri — Fattispecie (Cod. civ., art. 2135; 1. 10 maggio 1976 n. 319, norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, art. 3, 21; d.l. 10 agosto 1976 n. 544, proroga dei termini di cui agli art. 15, 17 e 18 1. 10 maggio 1976 n. 319, art. 1 quater; 1. 8 ottobre 1976 n.

690, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 10 ago sto 1976 n. 544, art. unico; 1. 24 dicembre 1979 n. 650, inte

grazioni e modifiche delle 1. 16 aprile 1973 n. 171 e 10 maggio 1976 n. 319, art. 17).

I limiti quantitativi introdotti dalla delibera 8 maggio 1980 del comitato interministeriale per la tutela delle acque dall'inqui namento, al fine di definire l'impresa agricola di allevamento di bestiame da considerarsi insediamento civile, costituiscono

per l'interprete parametri aggiuntivi e non esclusivi rispetto ai tradizionali criteri di collegamento dell'attività di allevamen to con la coltivazione del fondo (nella specie, è stata confer mata la sentenza di merito che aveva ritenuto insediamento

produttivo un allevamento di suini in considerazione della sua consistenza e della limitata estensione del terreno interessato). (1)

(1) La sentenza si segnala perché affronta uno dei problemi interpre tativi più complessi della legge sull'inquinamento delle acque, per la risoluzione del quale erano intervenute, in rapida successione, leggi, direttive ministeriali, eccezioni di illegittimità costituzionale e diver genti interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali che certo non con tribuivano al mantenimento di quel principio di determinatezza della legge inteso come « caratteristica essenziale del diritto che, quale insieme di proposizioni normative destinate a regolare l'attività dei con sociati, non può operare se non in quanto conoscibile nei suoi enun ciati e nei suoi significati » (cosi, di recente, (Palazzo, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979, 1).

Il problema sorge con l'emanazione della 1. 10 maggio 1976 n. 319, che introduceva una distinzione tra insediamenti produttivi e civili, ri levante sotto il profilo penalistico, amministrativo e finanziario (v. art. 12, 13, 14 e 15 1. n. 319/76), senza però fornire alcuna definizione del l'uno e l'altro tipo di insediamento. I primi interpreti ritennero cosi di dovere utilizzare, come parametro discretivo, la nozione di im presa posta dall'art. 2082 c.c., prescindendo dall'attività (agricola, commerciale o industriale) e dalle dimensioni di essa (per tutti. P. Giampietro, Il soggetto attivo dei reati di inquinamento nella legge « Merli », in Giur. it., 1977, IV, 76; del resto, questa distinzione tro vava conforto in quell'orientamento giurisprudenziale, secondo cui la nozione di stabilimento industriale deve essere estesa a tutte le imprese dotate di un'efficace organizzazione e di un'efficiente attrez zatura, la cui attività sia strumentalmente diretta alla produzione di beni o servizi, ivi comprese quindi le imprese agricole aventi ad og getto l'allevamento del bestiame: cosi, per tutte, Cass. 30 marzo 1973, Serra, Foro it., Rep. 1974, voce Pesca, n. 26). A distanza di pochi mesi intervenne però il d.l. 10 agosto 1976 n. 544 (convertito con modificazioni nella 1. 8 ottobre 1976 n. 690) che, all'art. 1 quater, definiva la nozione di insediamento civile e produttivo stabilendo, tra l'altro, che « le imprese agricole di cui all'art. 2135 c.c. sono consi derate insediamenti civili » {in riferimento all'art. 1 quater e alla restrizione da esso operata della nozione di insediamento produttivo, v. F. e P. Giampietro, Commento alla legge sull'inquinamento delle acque e del suolo, Milano, 1981, 208; Mucciarelli, Insediamenti produttivi ed insediamenti civili nella normativa sull'inquinamento idrico, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 1634; Amendola, La nuova legge sull'inquinamento delle acque, Milano, 1977, 62). La conseguen za di questa (incauta) qualificazione — che sottraeva tutte le im

This content downloaded from 91.229.229.22 on Tue, 24 Jun 2014 22:33:44 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended