sezione I penale; sentenza 9 marzo 1995; Pres. Carinci, Est. Gironi, P.M. Siniscalchi (concl.diff.); ric. De Luca. Annulla senza rinvio Trib. Modena, ord. 16 dicembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 427/428-429/430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190114 .
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PARTE SECONDA
tenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti al
l'ufficio italiano dei cambi, ai fini dell'applicazione delle san
zioni amministrative» (così il 3° comma del citato art. 1, con
una disposizione transitoria sostanzialmente identica a quella
dettata in via generale dall'art. 41 1. 689/81).
Evidentemente, con questa norma transitoria il legislatore del
1988 (come quello del 1981) intendeva imporre al giudice del
processo penale pendente l'obbligo di trasmettere gli atti all'au
torità amministrativa competente per il residuo illecito ammini
strativo, salvo che il giudice avesse già accertato l'innocenza
dell'imputato. Senonché, non ha probabilmente tenuto presente che l'art 152 c.p.p. allora vigente (così come l'art. 129 c.p.p.
1988) impone al giudice di dichiarare immediatamente con sen
tenza se un fatto non è (più) preveduto dalla legge come reato.
Ne è nata una formulazione normativa infelice, che ha creato
equivoci anche presso la giurisprudenza di questa corte.
Infatti, in seguito alla legge di depenalizzazione il giudice del
processo penale pendente deve obbligatoriamente prosciogliere
con sentenza, con la conseguenza che, seguendo una interpreta zione meramente letterale della norma, egli non dovrebbe né
potrebbe mai trasmettere gli atti all'ufficio italiano cambi e in
genere all'autorità amministrativa competente. Si impone allora il ricorso all'unica interpretazione logica plau
sibile, ovverosia alla interpretazione secondo cui la trasmissione
degli atti all'autorità competente per l'illecito amministrativo
non deve essere disposta solo quando il giudice penale pervenga a una formula di assoluzione dal reato che sia preclusiva del
giudizio amministrativo secondo i principi che regolano il rap
porto tra le due giurisdizioni. Si deve pertanto ribadire la sta
tuizione contenuta nella sentenza n. 4692 del 1994 (Cass., sez.
Ili, del 23 aprile 1994, ud. 18 gennaio 1994, Fiorentino e altri), secondo cui:
«In tema di depenalizzazione degli illeciti valutari la trasmis
sione degli atti all'ufficio italiano cambi per la valutazione del
l'illecito amministrativo è esclusa, ai sensi dell'art. 1, 3° com
ma, 1. 21 ottobre 1988 n. 455 solo quando il giudice prosciolga
l'imputato nel merito perché il fatto non sussiste, perché l'im
putato non lo ha commesso o perché l'ha commesso nell'adem
pimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa; in ogni altro
caso la trasmissione è obbligatoria: l'espressione "sentenza di
proscioglimento" di cui alla suddetta norma non può intendersi
in senso letterale perché altrimenti il giudice non dovrebbe mai
trasmettere gli atti all'ufficio italiano cambi in quanto, dopo la depenalizzazione dei reati valutari dovrebbe sempre "proscio
gliere" quantomeno perché il fatto non è più preveduto dalla
legge come reato. Deve in realtà ritenersi che il legislatore abbia
voluto, dopo la depenalizzazione, assicurare la trasmissione de
gli atti dal giudice penale all'autorità amministrativa, salvo i
casi irr cui sia stato lo stesso, giudice a pervenire ad un accerta
mento preclusivo della responsabilità amministrativa; e l'effica
cia preclusiva del giudizio penale rispetto a quello amministrati
vo ricorre solo quando l'imputato sia stato prosciolto nel meri
to con le formule di cui sopra». 2. - Avverso tale conclusione il ricorrente argomenta che i
giudici di merito dovevano prosciogliere il Weiss, senza trasmet
tere gli atti all'ufficio italiano cambi, o perché il reato era pre scritto o perché lo stesso imputato doveva essere assolto quanto meno per insufficienza di prove: e ciò sia in base al principio secondo cui, in caso di successione di leggi nel tempo, deve
applicarsi quella più favorevole al reo, sia in base alla gerarchia delle formule di proscioglimento stabilita nell'art. 159 c.p.p. 1930.
2.1. - L'assunto è infondato. La legge più favorevole al reo
che prevale ai sensi del 3° comma dell'art. 2 c.p. deve essere
valutata secondo criteri tipici: e non v'è dubbio che nella suc
cessione tra la legge che penalizzava gli illeciti valutari e quella che in seguito li ha depenalizzati, è quest'ultima quella più fa
vorevole al reo.
2.2. - Quanto alla gerarchia delle formule di cui all'art. 159, è proprio questa a stabilire che in presenza di una causa estinti
va del reato (ad esempio per prescrizione) prevale il prosciogli mento perché il fatto non è preveduto come reato (2° comma). Se invece risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'impu
II Foro Italiano — 1996.
tato non l'ha commesso, per il principio generale del favor rei, deve ritenersi che queste formule prevalgono su quella del fatto
non preveduto come reato: infatti, anche se l'art. 159 sembra
equiparare queste formule, le prime sono indubbiamente più favorevoli al reo, tra l'altro perché, a differenza dell'ultima for
mula, impediscono il giudizio sull'illecito amministrativo. Se
nonché, nel caso di specie i giudici di merito — con motivazio
ne logica e incensurabile in questa sede — hanno ritenuto che
non risultasse evidente che il fatto non sussisteva o che l'impu tato non l'avesse commesso, ma anzi risultasse il contrario.
3. - Da ultimo, il ricorrente sostiene che la corte di merito
doveva revocare l'ordine di trasmissione degli atti all'ufficio ita
liano cambi, perché nel frattempo era maturata la prescrizione del diritto a riscuotere le sanzioni amministrative, essendo esau
rito il periodo quinquennale decorrente dalla data di entrata
in vigore della 1. 455/88 (ai sensi del 3° comma dell'art. 1 1.
455/88 e dell'art. 24 d.p r. 29 settembre 1987 n. 454, poi sosti
tuito dall'art. 24 d.p.r. 31 marzo 1988 n. 148). La tesi è manife
stamente infondata. Non solo perché la prescrizione quinquen nale — a differenza di quanto sostiene il ricorrente — fa espres samente salve le ipotesi di interruzione e di sospensione. Ma
soprattutto e preliminarmente perché la competenza a conosce
re della prescrizione della sanzione amministrativa non appar tiene al giudice penale, ma spetta all'autorità amministrativa, alla quale il giudice deve appunto trasmettere gli atti.
4. - Trattandosi di vecchio rito, al rigetto del ricorso conse
gue per legge la condanna alle spese processuali e alla sanzione
pecuniaria.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 9 marzo
1995; Pres. Carinci, Est. Gironi, P.M. Siniscalchi (conci,
diff.); ric. De Luca. Annulla senza rinvio Trib. Modena, ord.
16 dicembre 1994.
Tentativo — Rapina — Estremi — Esclusione — Fattispecie
(Cod. pen., art. 56, 628).
Non può ravvisarsi il tentativo di rapina, per mancanza degli elementi costitutivi della idoneità e della univocità degli atti, nel caso in cui i malintenzionati vengano sorpresi in luogo non conducente all'individuazione di un preciso obiettivo, in
possesso di strumentario genericamente indicativo della co
mune intenzione o dell'intervenuto accordo per la commissio
ne di un'azione delittuosa, ma compatibile con una indeter
minata pluralità di ipotesi incriminatrici e prima ancora che
la condotta degli agenti si indirizzi oggettivamente verso la
commissione di uno specifico delitto, in pregiudizio di un ben definito o definibile obiettivo e con modalità tali da rendere, di per sé, evidente l'idoneità intrinseca ovvero la potenzialità
rispetto al raggiungimento del risultato ipotizzato. (1)
(1) Analogamente, nel senso che, perché si possa configurare il ten tativo del reato in oggetto, non basta che l'attività dell'agente sia vir tualmente idonea a produrre l'impossessamento della cosa altrui me diante violenza o minaccia, ma è necessario altresì che sussista la prova manifesta della volontà di conseguire l'intento criminoso, e tale volontà non è desumibile dalla mera preparazione dell'agente alla commissione del fatto delittuoso, ma deve risultare dalla non equivocità degli atti
che, riguardati nel contesto in cui sono inseriti, denotino con chiarezza il proposito criminoso, cfr. Cass. 28 settembre 1987, Di Matteo, Foro
it., Rep. 1988, voce Tentativo, n. 5, e, per esteso, Riv. pen. 1988, 1053
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GIURISPRUDENZA PENALE
Motivi della decisione. — Con l'ordinanza di cui in epigrafe il Tribunale di Modena, quale giudice del riesame, confermava
l'ordinanza 21 novembre 1994 del g.i.p. dello stesso tribunale,
applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di
De Luca Vincenzo, indagato per i reati di associazione per de
linquere, tentata rapina aggravata e porto di strumento atto ad
offendere, dopo essere stato sorpreso, armato di coltello, a bor
do di un'auto rubata, in compagnia di persone, una delle quali travisata con parrucca dai capelli lunghi, gravemente indiziate
di appartenenza ad un'organizzazione dedita alla consumazione
di rapine. Avverso l'ordinanza di riesame ha proposto ricorso il De Lu
ca, confutando la sussistenza, a suo carico, di gravi indizi di
colpevolezza in ordine alla sua ipotizzata partecipazione all'as
sociazione criminosa, non desumibile dalla semplice sorpresa in
compagnia di altri soggetti né, dal rinvenimento, in una casso
netto per i rifiuti prossimo all'abitazione dell'indagato, di asse
gni provenienti da una rapina (rinvenimento casualmente avve
nuto poche ore dopo la consumazione del colpo). Quanto, poi, al pure contestato tentativo di rapina, del tutto carente sarebbe
la configurabilità degli estremi di cui all'art. 56 c.p., versando
si, nella specie, in una fase meramente preparatoria di un ipote tico reato ai danni di obiettivo neppure individuato.
Il ricorso è fondato limitatamente al contestato tentativo di
rapina, non potendosi nel caso di specie, quale rappresentato nell'ordinanza impugnata, ravvisare gli elementi costitutivi del
la idoneità ed univocità degli atti, in mancanza di una qualsiasi condotta oggettivamente orientata verso la consumazione di un
delitto determinato e un danno di obiettivo precisamente identi
(per la configurabilità della rapina tentata, di conseguenza, in presenza dell'atto di dirigersi verso i locali di un ben individuato istituto banca
rio impugnando una pistola, v. Cass. 25 marzo 1994, Erimi, cit. in
motivazione, Mass. Cass, pen., 1994, fase. 8, 95). Il predetto criterio, prevalentemente basato sulla individuazione della
direzione non equivoca degli atti — e sulla valutazione di quest'ultima come oggettiva ed ulteriore verifica del perseguimento del fine crimino
so — ha però condotto, talvolta, a pronunce non coincidenti: cfr. Cass. 2 marzo 1987, Matrone, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 14, la quale ha ravvisato il tentativo di rapina nell'approssimarsi dell'agente, a bor
do di un'auto rubata e con armi, ad un casello autostradale, e, contra, Cass. 1° marzo 1986, Ciaravolo, id., Rep. 1987, voce Rapina, n. 15, la quale, con riferimento ad un caso abbastanza simile al precedente, esclude la sussistenza del tentativo punibile qualora, pur potendo essere
l'intenzione criminosa desunta anche da comportamenti esteriori dell'a
gente che non abbiano un incerto significato, essa non sia, tuttavia, conducente all'individuazione di un fatto concretamente delineato (fat
tispecie relativa ad un imputato che si era fermato ad una certa distan za — duecento metri — da un casello autostradale, possibile obiettivo
di rapina, e trovato in possesso di un'arma e di oggetti di travestimento). Si segnala altresì che alcune pronunce, anche recenti, recuperano la
distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi risalente al codice Za
nardelli, sancendo la punibilità dei primi qualora questi appaiano non
equivocamente finalizzati e sufficientemente adeguati alla commissione
dell'illecito; in tal senso, Cass. 11 gennaio 1985, Basile, id., Rep. 1986, voce Tentativo, n. 5, che, sempre in relazione alla tentata rapina, non
esclude che l'atto «preparatorio» possa assurgere a componente del ten
tativo punibile, quante volte, accertatane la non equivocità, non sia
dubbia, nel caso concreto, la sua adeguatezza alla realizzazione dell'il
lecito programmato; così pure Cass. 8 novembre 1985, Papallo, id.,
Rep, 1987, voce cit., n. 5, per la quale gli atti preparatori, oltre quelli esecutivi, possono integrare il tentativo qualora abbiano la capacità, valutabile ex ante, di raggiungere il risultato prefisso.
Le predette massime si conformano all'orientamento di certa dottrina
che, ridimensionando la portata innovativa del vigente art. 56 c.p., qua lifica i termini «preparazione», «esecuzione», «idoneità » ed «univoci
tà» come formule definitorie sostanzialmente simili tra loro: così Pe
trocelli, Il delitto tentato, Padova, 1966, 75; altra dottrina evidenzia,
invece, la necessità di definire i due requisiti della idoneità e della uni
vocità non già sul piano delle dispute ingenerate dalla interpretazione letterale dell'art. 56 c.p., bensì alla luce del criterio sostanziale che fon
da la punibilità sulla effettiva esposizione a pericolo del bene protetto: così Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 1995, 412.
Per un ampio quadro dell'attuale stato della dottrina in merito alla
idoneità ed univocità degli atti come estremi di punibilità del tentativo, v. Giacona, L'idoneità degli atti di tentativo come probabilità? Spunti
problematici per un'indagine, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, 1333.
Il Foro Italiano — 1996.
ficato od identificabile e in difetto del dispiegarsi di un'attività palesemente finalizzata e di per sè funzionale alla realizzazione
dell'evento tipico del reato di rapina, consistente nell'imposses samento della cosa mobile altrui mediante violenza alla persona o minaccia.
Se può, invero, ritenersi costitutivo della fattispecie di tentata
rapina l'atto di dirigersi verso i locali di un ben individuato istituto bancario impugnando una pistola (v. Cass., sez. II, 25
marzo 1994, Evinni), non altrettanto può, invece, dirsi, nel ca
so in cui, come quello in esame, i malintenzionati vengano sor
presi in luogo non conducente all'individuazione di un preciso
obiettivo, in possesso di strumentario genericamente indicativo
della comune intenzione o dell'intervenuto accordo per la com
missione di un'azione delittuosa ma compatibile con una plura lità di ipotesi incriminatrici e prima ancora che la condotta de
gli agenti si indirizzi oggettivamente verso la commissione di
uno specifico delitto, in pregiudizio di un ben definito o defini bile obiettivo e con modalità tali da renderne, di per sé, eviden
te l'idoneità intrinseca ovvero la potenzialità rispetto al raggiun
gimento del risultato ipotizzato. Il ricorso va, invece, rigettato relativamente al contestato rea
to di partecipazione ad associazione per delinquere, risultando
l'ordinanza impugnata congruamente e coerentemente motivata
alla verificata presenza in Modena del De Luca, un atteggia mento comunque propedeutico alla perpetrazione di un qualche rilevante episodio delittuoso (con dotazione di armi e a bordo
di auto rubata) e in compagnia di persone ritenute appartenenti ad una banda specializzata nella consumazione di rapine, l'as
sociazione alla quale dell'odierno ricorrente è stata desunta, ol
tre che dallo specifico fatto sopra riferito, da argomenti logici
(rapporti fiduciari con gli altri componenti della spedizione, coop tazione nel gruppo in procinto di operare in Modena) nonché
dal pregresso, avvenuto rinvenimento, in un cassonetto per i
rifiuti prossimo all'abitazione dell'inquisito, di assegni prove nienti da una rapina riconducibile alla banda.
TRIBUNALE DI PALERMO; ordinanza 29 maggio 1996; Pres.
ed est. Ingargiola; Andreotti.
TRIBUNALE DI PALERMO;
Dibattimento penale — Esame delle persone che collaborano
con la giustizia — Collegamento audiovisivo con postazione remota — Esame a distanza — Questione manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; norme att., coord,
e trans, c.p.p., art. 147 bis).
È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 bis nor
me att., coord, e trans, c.p.p., nella parte in cui prevede che
l'esame dei c.d. collaboratori di giustizia, ammessi a programmi o misure di protezione, possa svolgersi a distanza, in collega mento audiovisivo con postazione remota, ove siano disponi bili strumenti tecnici idonei. (1)
(1) Non constano precedenti editi in termini. Sull'art. 147 bis norme
att., coord, e trans, c.p.p., cfr., anche con riferimento ai lavori prepa
ratori, Bresciani, Commento all'art. 7 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, in
Legislazione pen., 1992, 94 ss., nonché l'ampia trattazione di Melchion
da, in Commento al codice di procedura penale coordinato da Chiava
rio, secondo aggiornamento, Torino, 1993, 307 ss., e, di recente, in
senso critico, Tranchina, La «teletestimonianza» e i diritti della dife sa, in Giornale di Sicilia del 31 maggio 1996, 29; per una rassegna di esperienze applicative, cfr. Teleconfronto (a cura di Pisani), in Indi
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