sezione I; sentenza 17 marzo 1995, n. 462; Pres. Iuso, Est. Branca; Movimento per la difesa deidiritti dei non fumatori, Lega per l'ambiente, Codacons (Avv. Rienzi, Lo Mastro, Selmi) c. Min.sanità e Sindaci di Roma, Torino, Napoli, Genova, BariSource: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 6 (GIUGNO 1996), pp. 357/358-359/360Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190556 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
ispettori l'incarico relativo all'espletamento della suddetta in
chiesta;
c) provvedimenti a firma del ministro o dell'ispettore genera le del ministero di grazia e giustizia con i quali è stata disposta l'individuazione nominativa dei singoli ispettori per lo svolgi mento dell'inchiesta suddetta nonché l'indicazione dei poteri e
delle facoltà loro conferite per lo svolgimento della stessa;
d) nota in data 11 settembre 1995 prot. n. 1294 bis/1240 ris
a firma dell'ispettore generale del ministero di grazia e giustizia con la quale si risponde alla lettera dell'8 settembre 1995 prot. n. 103/95 ris a firma del procuratore della repubblica presso il Tribunale ordinario di Milano;
e) ogni atto (direttiva, regolamento, istruzione) con il quale
venga consentito e/o regolato l'espletamento di inchiesta secon
do le modalità nella specie applicate.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione I; sentenza 17 marzo 1995, n. 462; Pres. Iuso,
Est. Branca; Movimento per la difesa dei diritti dei non fu
matori, Lega per l'ambiente, Codacons (Aw. Rjobnzi, Lo Ma
stro, Selmi) c. Min. sanità e Sindaci di Roma, Torino, Na
poli, Genova, Bari.
Sanità pubblica — Fumo passivo — Divieto di fumare in luoghi adibiti a pubblica riunione — Fattispecie (L. 11 novembre 1975 n. 584, divieto di fumare in determinati locali e su mezzi
di trasporto pubblico, art. 1).
Il divieto di fumare nei locali chiusi adibiti a pubblica riunione, a tutela dal c.d. fumo passivo, è da intendersi circoscritto
ai luoghi ordinariamente aperti al pubblico, ivi compresi quelli in cui gli utenti possono usufruire dei servizi, mentre non va
esteso ai luoghi di lavoro dei dipendenti pubblici, in cui l'ac
cesso al pubblico sia solo occasionale. (1)
(1) Non v'è uniformità di decisione della giurisprudenza amministra
tiva circa l'ambito applicativo del divieto di fumare in luoghi pubblici determinati ed in luoghi chiusi adibiti a pubblica riunione.
La sentenza in epigrafe ritiene, da un lato, che il divieto di fumare
si estende a tutti i luoghi in cui il pubblico sia ammesso per usufruire
dei servizi della pubblica amministrazione; dall'altro, non estende il di vieto ai luoghi di lavoro dei pubblici dipendenti che non siano a contat
to col pubblico. La tesi segue quella di Tar Lazio, sez. II, 28 gennaio 1992, n. 213, Foro it., Rep. 1992, voce Sanità pubblica, n. 463, secon
do cui per «luoghi di pubblica riunione» non può farsi riferimento alla
normativa delle leggi di pubblica sicurezza, perché manca la finalità
di ordine pubblico ma si ha cura solo della tutela della salute sotto
il profilo del fumo passivo. In senso contrario, cfr. Tar Emilia-Romagna, sez. II, 4 maggio 1993,
n. 186, id., Rep. 1993, voce cit., n. 347; sez. Bologna 10 novembre
1992, n. 542, id., Rep. 1994, voce cit., n. 351; 10 novembre 1992, n.
543, inedita, secondo le quali, indipendentemente dal riferimento al con
cetto di «pubblica riunione», occorre ritenere escluso dal divieto tutti
quei luoghi in cui la presenza del pubblico è solo temporanea, salvo
che sia espressamente previsto (come le sale d'attesa delle stazioni). Sul
punto già Cons. Stato, sez. II, 8 giugno 1976, n. 540/76, id., Rep.
1976, voce cit., n. 94, in risposta ad un quesito formulato dal ministero
della sanità, ha affermato che il legislatore non ha inteso svolgere un'a
zione preventiva in tutti i suoi aspetti e generalizzare il divieto del fu
mo, ma ha voluto realizzare soltanto un intervento parziale, imponen do il divieto in ambienti ben individuati. Lo stesso concetto di luoghi di pubblica riunione è da intendersi alla stregua di un collegamento non occasionale ma di un incontro finalizzato ad uno scopo comune;
parimenti, va escluso il divieto nei luoghi dove la sosta del pubblico
Il Foro Italiano — 1996.
Diritto. — I due ricorsi presentano evidenti elementi di con
nessione soggettiva ed oggettiva. Può pertanto disporsene la riu
nione ai fini di un'unica decisione. Il primo ricorso tende, infatti, all'annullamento della nota
con la quale il ministero della sanità ha opposto un diniego all'istanza avanzata dagli stessi ricorrenti di imporre il divieto
di fumare nei locali destinati a sede di lavoro all'interno dello
stesso ministero. Il secondo domanda l'accertamento dell'obbli
go di provvedere in ordine al divieto di fumare negli ambienti
chiusi, di proprietà della pubblica amministrazione e negli altri
locali pubblici o aperti al pubblico, nei quali i cittadini debbono recarsi in funzione dell'utenza di servizi resi dall'amministrazione.
Entrambi i gravami dunque pongono il problema dell'inter
pretazione dell'art. 1 1. 11 novembre 1975 n. 584 che espressa mente regola la materia, imponendo il divieto di fumo in locali
determinati, con specifica considerazione dei soggetti che, in
quanto non fumatori, subiscono gli effetti nocivi dell'altrui frui
zione di tabacco.
La norma è stata esaminata approfonditamente da questo tri
bunale con la sentenza della sez. II 28 gennaio 1992, n. 213
(Foro it., Rep. 1992, voce Sanità pubblica, n. 464), invocata
anche dai ricorrenti a sostegno delle proprie tesi, la quale è per venuta a conclusioni dalle quali il collegio non ha motivo di
discostarsi.
È stato correttamente osservato in tale occasione che l'art.
32 Cost., per il suo carattere programmatico quanto al concreto
svolgimento della attività di prevenzione delle malattie e degli
infortuni, non può essere assunto a parametro immediato del
giudizio di legittimità degli atti e comportamenti dell'ammini
strazione, dovendosi aver riguardo alle scelte effettuate dal legis
latore, nel caso in esame con riguardo agli effetti patogeni del
fumo, per impedire il danno che può derivarne al bene primario della salute.
Emerge dalla considerazione complessiva della disposizione che espressamente commina i divieti in questione (art. 1 1. n.
584 del 1975) che gli stessi sono disposti rispetto a locali tutti
caratterizzati — oltre che dall'essere chiusi, ossia privi di colle
gamento continuo con l'atmosfera esterna — dalla possibilità di accesso indifferenziato da parte di qualsiasi membro della
collettività, e dalla necessità della permanenza negli stessi per l'utilizzazione del servizio ivi reso, per un periodo di tempo de
terminato, che può essere anche breve, nelle ipotesi relative ai
mezzi di trasporto pubblici, sale di attese ed altro, ovvero di
più ampia durata, ove si tratti di sale destinate a spettacoli cine
tende a prolungarsi. Una ulteriore specificazione del concetto è assente dalla legge perché, come si evince dai lavori preparatori, si trattava di concetti tradizionali, già presenti nel nostro ordinamento.
Il tentativo di estendere il divieto con la dichiarazione di incostituzio nalità della 1. 584/75 non ha avuto esito: cfr. Corte cost. 7 maggio 1991, n. 202, id., 1991, I, 2312 (con note di R. Pardolesi, Dalla parte di Zeno: fumo passivo (negli occhi?) e responsabilità civile e di G. Pon
zanelli, I danni da fumo passivo: l'opinione del «.non fumatore») sulla
questione posta da Conc. Roma 28 settembre 1990, ibid., 686, con nota di R. Pardolesi.
In dottrina, v. anche D. Nazzaro, Il fumo tra costume e diritto, in Giur. it., 1991, IV, 551; A. Busatto, Il fumo e le regole di responsa bilità civile, in Resp. civ., 1991, 717; F. Bartolini, Fumo (disciplina amministrativa), voce del Digesto pubbl., 1991, VII, 40; G. M. Poten
za, Inquinamento da fumo di tabacco: esistenza o non di adempimenti obbligatori per le amministrazioni comunali e provinciali in materia di tutela della salute pubblica negli ambienti di lavoro, in Nuova rass., 1992, 2566.
Sulla direttiva del presidente del consiglio 14 dicembre 1995, in Le
leggi, 1996, I, 209, v. F. Fonderico, Il divieto di fumare nei locali
pubblici: direttiva del presidente del consiglio dei ministri 14 dicembre
1995, in Giornale dir. amm., 1996, 270.
La vicenda del fumo nei luoghi di lavoro interessa anche il settore
privato: in proposito, cfr. Trib. Torino, ord. 9 febbraio 1996 e Pret.
Torino 7 marzo 1995, che saranno riportate in un prossimo fascicolo. Tar Lazio, sez. II, 23 settembre 1981, n. 855, Trib. amm. reg., 1981,
I, 3013, ha precisato che il divieto di fumo non esclude che in tali
luoghi sia consentita la vendita di prodotti del tabacco. Sull'applicazio ne della 1. 584/75, è stato dichiarato illegittimo l'art. 1 d.p.r. 29 luglio 1982 n. 571, perché non spetta allo Stato indicare gli uffici ai quali va presentato il rapporto previsto dall'art. 17 1. 24 novembre 1981 n.
589: cfr. Corte cost. 15 novembre 1988, n. 1034, Foro it., 1989, I, 1707.
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PARTE TERZA
matografici e teatrali, di sale da ballo, di compartimenti ferro
viari, ecc.
In particolare, la lett. b) dell'art. 1 1. 584/75 con la locuzione
«locali chiusi adibiti a pubblica riunione» consente di ricom
prendere nel divieto ogni ambiente chiuso nel quale si realizzi
una permanenza di pubblico. Sarebbe infatti errato assumere
a criterio interpretativo della locuzione «pubblica riunione» il
concetto desumibile dalle leggi di pubblica sicurezza (art. 18
t.u. n. 773 del 1931 e 19 r.d. n. 635 del 1940), perché la norma
tiva da applicare non è indirizzata a finalità di ordine pubblico, ma persegue scopi di tutela della salute derivanti dal fumo c.d.
passivo, che debbono essere realizzati con pari efficacia e deter
minazione ogni qual volta ricorrano le condizioni per il produr si degli effetti nocivi presi in considerazione dal legislatore.
Limitare l'operatività della previsione normativa in esame, che,
10 si ribadisce, è finalizzata alla tutela della salute dal danno
del fumo passivo, alle sole ipotesi in cui la presenza di «pubbli co» in un luogo chiuso si ricolleghi ad una preventiva convoca
zione per il perseguimento di uno scopo comune, determinereb
be una interna illogicità della previsione, che per ciò stesso la
porrebbe in contrasto con gli art. 3 e 32 Cost.
Va dunque disattesa una interpretazione restrittiva dell'art.
1 1. n. 584 del 1975, perché la disposizione elenca una serie
di ambienti tutti unificati dalle comuni caratteristiche indicate
in precedenza, che li rendono «pubblici», non perché siano di
proprietà pubblica, ben potendo anche essere di proprietà pri
vata, ma in relazione alla fruibilità degli stessi da parte di mem
bri indifferenziati della collettività per il servizio pubblico che
vi si rende o per l'attività che vi si può svolgere. In linea di coerenza con tale interpretazione, giustificata dal
l'esigenza di ordine costituzionale di preferire la lettura della
legge che si armonizzi con i principi sovraordinati, la ricordata
sentenza del Tar Lazio ha escluso, e non poteva non escludere,
che la legge in questione abbia stabilito un divieto di fumare
tabacco nei locali non aperti al pubblico, come quelli riservati
ad attività di lavoro del personale dipendente, nei quali non
è normalmente prevista, seppure non vietata, l'affluenza di per sone estranee all'amministrazione considerata.
La conclusione suddetta non intende negare che all'interno
degli uffici possa realizzarsi una situazione di pericolo per la
salute, prodotta dal c.d. fumo passivo, identica a quella che
la 1. n. 584 ha preso in considerazione con riguardo agli am
bienti indicati nell'art. 1. È lo stato attuale della normativa in
materia che non consente di giudicare come illegittima la con
dotta dell'amministrazione che non applica divieti di fumare in
locali diversi da quelli indicati dalla legge. Alla stregua delle considerazioni sopra esposte, il primo ri
corso, proposto avverso il diniego esplicito di vietare il fumo
negli uffici, non può essere accolto.
Per le stesse ragioni è invece fondato il secondo ricorso, che
investe il silenzio rifiuto, circa l'adozione del divieto di fumare
nei locali di pertinenza delle amministrazioni intimate, destinati
ad essere frequentati dalle persone che debbono fruire dei servi
zi ivi espletati. È da aggiungere, in sintonia con un orientamento giurispru
denziale del Consiglio di Stato, particolarmente attento alla ef
fettività della tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione (sez. IV 6 marzo 1990, n. 167, id., Rep. 1990, voce Atto amministrativo, n. 68; e 23 gennaio 1989, n. 21, id.,
Rep. 1989, voce cit., n. 64; sez. V 19 luglio 1989, n. 434, id., Rep. 1990. voce Giustizia amministrativa, n. 257; 15 marzo 1991, n. 250, id., Rep. 1991, voce Atto amministrativo, n. 114; 7
maggio 1994, n. 418, id., Rep. 1994, voce Giustizia amministra
tiva, n. 216; sez. VI 23 gennaio 1990, n. 126, id., Rep. 1990, voce cit., n. 261), che il giudizio di legittimità sul silenzio rifiu to tende a stabilire la fondatezza della pretesa, perché non sa
rebbe utile, se questa è infondata, imporre all'amministrazione
l'obbligo di una pronuncia espressa. Ne consegue che nelle ipotesi in cui, come nella specie, il prov
vedimento richiesto ha per presupposto l'interpretazione della
norma, che prevede l'intervento in questione, nel senso stabilito
dalla sentenza, l'accoglimento del ricorso si risolve nella dichia
razione dell'obbligo di provvedere, non in astratto, bensì nel
modo che sia satisfattivo dell'interesse fatto valere.
11 Foro Italiano — 1996.
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezioni unite; de
cisione 12 aprile 1996, n. 1641; Pres. Quartulli, Est. Pezza
na; Intendenza di finanza di Roma c. Nicastro.
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE;
Redditi (imposte sui) — Irpef — Onorari arbitrali — Natura — Redditi di lavoro autonomo.
Redditi (imposte sui) — Irpef — Onorari arbitrali — Tassazio
ne separata — Inapplicabilità. Redditi (imposte sui) — Irpef — Onorari arbitrali — Determi
nazione dell'imponibile — Deduzione forfetaria — Misura.
Agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, gli ono rari arbitrali, da chiunque percepiti, costituiscono reddito di
lavoro autonomo. (1) Non è applicabile agli onorari arbitrali il regime di tassazione
separata previsto per i redditi di lavoro dipendente. (2) La deduzione forfetaria da applicare, agli effetti dell'imposta
sul reddito delle persone fisiche, agli onorari arbitrali è quella del dieci per cento (ora cinque per cento) prevista per la par
tecipazione a collegi o commissioni, quando non si tratti di
attività professionale soggetta all'Iva. (3)
Fatto. — Il dott. Gaetano Nicastro impugnava il silenzio
rifiuto dell'intendenza di finanza di Roma, formatosi sull'istan
za di rimborso dell'Irpef relativa al 1985, in ordine al compenso di lire 33.000.000 percepito quale componente di un collegio
arbitrale, nominato nella qualità di magistrato della Corte d'ap
pello di Roma.
In punto di fatto precisava che:
a) il collegio arbitrale si era costituito nel novembre del 1982;
ti) il lodo era stato pronunciato il 7 aprile 1984;
c) il compenso era stato pagato il 15 maggio 1985.
Sul piano giuridico, il ricorrente deduceva che il compenso,
riguardante prestazioni rese anteriormente al 1985, doveva esse
re assoggettato a tassazione separata, ai sensi dell'art. 12, lett.
d), d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597.
Il compenso, per errore, era stato denunciato nella dichiara
zione resa con mod. 740, con conseguente più oneroso assog
gettamento all'Irpef. La Commissione tributaria di primo grado di Roma accoglie
va il ricorso, disponendo il rimborso dell'Irpef relativa al 1985,
pagata, con versamento diretto, il 25 maggio 1986, per lire
6.222.100. La decisione dichiarava spettante, per la stessa annualità, la
somma di lire 3.349.000, disponendo il rimborso.
(1-3) Sul trattamento fiscale dei compensi arbitrali era di recente in tervenuta la Suprema corte che, con sentenza 23 marzo 1993, n. 3450, Foro it., 1993, I, 1839, aveva escluso l'applicabilità del regime di tassa zione separata di cui all'art. 12 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 ai com
pensi de quibus corrisposti in ritardo (ma in tale decisione gli stessi
compensi venivano in rilievo alla stregua di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, anziché, come nella decisione in epigrafe, alla
stregua di redditi di lavoro autonomo; la natura di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente dei compensi arbitrali percepiti da magi strati e dipendenti di pubbliche amministrazioni era stata sostenuta, sulla scorta della nota pres. Cons. Stato 25 gennaio 1982, n. 59, inedita, da min. fin., ris. 9 marzo 1982, n. 8/256, Fisco, 1982, 2528, ove co
munque si escludeva la possibilità di un loro assoggettamento a tassa zione separata).
La natura di reddito di lavoro autonomo «rilevante nell'ambito del reddito derivante dall'esercizio di arti o professioni o nell'ambito dei redditi diversi, quale ipotesi di reddito derivante da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente» è affermata da G. Tinelli, Ar bitrato (diritto tributario), voce dell'Enciclopedia giurìdica Treccani, Ro
ma, 1994, II, 4, che pertanto riconduce il compenso arbitrale nell'ambi to dei redditi disciplinati dagli art. 49 ss. d.p.r. 22 dicembre 1986 n.
917, ovvero nella categoria residuale di cui all'art. 81, lett. I), stesso
d.p.r. (nei medesimi termini, A. Baldassarre, La fiscalità nell'arbitra
to, in Fisco, 1995, 10576). V. anche, sul fenomeno arbitrale e sui controlli finalizzati all'osser
vanza della disciplina fiscale, l'Indagine sui compensi arbitrali, disposta dal Secit (gruppo VIII, direttore S. Tutino), ibid., 6772 ss.
Cfr. poi, fuori della prospettiva tributaria, A. Campagnola, Il com
penso degli arbitri nella più recente giurisprudenza: qualificazione giuri dica e quantificazione, in Riv. arbitrato, 1993, 553.
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