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sezione I; sentenza 18 gennaio 2001, n. 297; Pres. Schinaia, Est. Branca; Unione petrolifera(Avv. Maresca, Cataudella, Romano), Soc. Api - Anonima petroli italiana (Avv. Carabba,Albanese, Crisci, Sanino), Soc. Totalfina Italia (Avv. Cavasola, Pappalardo), Soc. Kuwaitpetroleum Italia (Avv. Danusso, A. Pace), Soc. Shell (Avv. D'Alberti, A. e L.F. Pace), Soc. Ergpetroli (Avv. Acquarone, Gallo, A. Marconi, Lambo, Candido ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 143/144-159/160Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196508 .
Accessed: 28/06/2014 15:21
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PARTE TERZA
Nelle more dell'approvazione regionale, entrata in vigore la 1.
reg. 20 gennaio 1998 n. 3, la quale all'art. 4 prevede che, in re
lazione ad opere che beneficiano di finanziamenti comunitari e
ricadono in aree non destinate a pubblici servizi negli strumenti
urbanistici vigenti, l'approvazione di progetto in variante degli strumenti stessi sia sottratta all'autorizzazione regionale, il con
siglio comunale di Veglie, ai sensi e per gli effetti della citata disposizione regionale, ha riapprovato, con delibera 12 novem
bre 1998, n. 74, il menzionato progetto, dichiarandone la pub blica utilità e fissando i termini per l'inizio e la fine dell'espro priazione e dei lavori.
Successivamente, la giunta comunale, con la delibera 30 di
cembre 1998, n. 479, ha disposto l'occupazione di urgenza degli immobili e, a seguito della delibera di giunta provinciale 4 mar
zo 1999, n. 256, la stessa giunta comunale di Veglie, con la de
libera 31 marzo 1999, n. 104, ha prorogato il termine per l'ini
zio dell'espropriazione e dei lavori, fermi restando i termini fi
nali già fissati in precedenza. Dalla descrizione degli atti comunali e provinciali adottati,
emerge che il procedimento amministrativo è stato posto in es
sere in piena conformità della normativa statale e regionale e
senza creare confusione o perplessità. Non si vede, infatti, perché, in mancanza della necessaria ap
provazione regionale, il comune non dovesse fare uso della
nuova normativa regionale, che consentiva di prescindere dal
l'atto regionale, e, poiché l'unico atto ancora mancante era
quello conclusivo, del tutto correttamente l'amministrazione
comunale, con la deliberazione n. 74 del 1998, si è limitata ad
approvare la precedente n. 46 del 1997, non essendo necessario,
contrariamente a quanto sostiene l'appellante, una rinnovazione
integrale della procedura, a partire dall'iniziale approvazione del progetto, con conseguente rinnovazione della procedura
partecipativa di deposito, pubblicazione, osservazioni e opposi zioni degli interessati, per poi pervenire all'atto finale di appro vazione.
Correttamente, pertanto, il giudice di primo grado ha respinto la relativa censura.
Infondate sono, altresì, le doglianze in ordine alle modalità di
copertura della spesa, tenuto conto che si tratta di opera a totale
carico della provincia di Lecce, il cui finanziamento è avvenuto
tramite p.o.p. Altrettanto infondate sono le considerazioni svolte in ordine
ai tempi in cui sono intervenute le deliberazioni del comune e
della provincia di Lecce, le quali, oltre a riguardare aspetti di
versi e di pertinenza rispettiva, sono state adottate in presenza dei presupposti sanciti dalla normativa statale e regionale.
In conclusione l'appello deve essere respinto.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione I; sentenza 18 gennaio 2001, n. 297; Pres.
Schinaia, Est. Branca; Unione petrolifera (Avv. Maresca,
Cataudella, Romano), Soc. Api - Anonima petroli italiana
(Avv. Carabba, Albanese, Crisci, Sanino), Soc. Totalfina
Italia (Avv. Cavasola, Pappalardo), Soc. Kuwait petroleum Italia (Avv. Danusso, A. Pace), Soc. Shell (Avv. D'Alberti, A. e L.F. Pace), Soc. Erg petroli (Avv. Acquarone, Gallo, A. Marconi, Lambo, Candido Di Gioia), Soc. Agip petroli (Avv. Acquarone, Siragusa, De Simone, A. Marconi, De
Sanctis), Soc. Tamoil petroli (Avv. Villata, Degli Esposi
ti), Soc. Esso italiana (Avv. Cerulli Irelli, Zanchini, Osti) c. Autorità garante della concorrenza e del mercato (Avv. dello Stato Braguglia, Sclafani), Codacons (Avv. Rienzi,
Triggiani, Saporito, Amato, Orlando, M. Marconi, Viti,
Masullo, Sanitate), Figisc-Confcommercio.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione I; sentenza 18 gennaio 2001, n. 297; Pres.
Il Foro Italiano — 2001.
Concorrenza (disciplina della) — Distribuzione di carburan ti per autotrazione — Intesa orizzontale — Restrizione
della concorrenza (L. 10 ottobre 1990 n. 287, norme per la
tutela della concorrenza e del mercato, art. 2).
Il coordinamento delle politiche commerciali, perseguito dalle
società petrolifere in seno ad un 'associazione di categoria ed
attuato nei confronti dei rispettivi gestori tramite meccanismi
contrattuali intesi a disincentivarne le autonome politiche di
prezzo mediante l'elargizione di sconti decrescenti all'au
mentare dei volumi commercializzati, rappresenta una pratica concordata in violazione dell'art. 2 l. 287/90. (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe il Tar Lazio ha confermato il provve dimento n. 8353 dell' 8 giugno scorso (in Bollettino, 2000, fase. 22) con il quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), a seguito di un'istruttoria aperta il 7 ottobre 1999, aveva condannato
otto aziende petrolifere al pagamento di una multa complessiva di 473
miliardi. Per quanto concerne il pagamento della multa, il Consiglio di
Stato ha successivamente respinto, con una serie di ordinanze, separate ma uguali (per tutte, v. l'ordinanza 6543/00), le istanze di sospensione dell'Esecuzione della sentenza in rassegna. È solo il caso di precisare che la multa comminata ammontava originariamente a 640 miliardi: la
successiva decurtazione è il frutto dei ricalcoli che l'autorità (v. provv. n. 8459 del 6 luglio 2000, id., 2000, fase. 27) ha dovuto effettuare sui
fatturati di alcune delle imprese coinvolte, le quali non avevano comu
nicato i dati utilizzando il formulario standard, con la conseguenza che
in talune cifre fornite non si distingueva se il valore delle vendite ri
portalo fosse al lordo o al netto dell'Iva e delle accise.
L'accusa a carico delle società petrolifere consiste nell'aver posto in
essere una pratica concordata, in seno alla propria associazione di cate
goria (l'Unione petrolifera), al fine di coordinare i rapporti commerciali
con i gestori per mantenere il controllo sul prezzo di vendita del carbu
rante in vista della sua liberalizzazione e del potere riconosciuto al ge store di fissare il prezzo finale: tale coordinamento si è sviluppato tra
mite gli accordi interprofessionali del 1994, del 1997 e del 1998, per sfociare negli «accordi colore» sottoscritti dalle singole società con le
associazioni dei gestori di ciascuna rete distributiva (c.d. comitati na
zionali di colore) a partire dal giugno 1995. Proprio su questo profilo si
appuntavano le doglianze degli odierni ricorrenti: la giurisprudenza comunitaria ha infatti ritenuto sottratti alla normativa antitrust gli ac
cordi conclusi nell'ambito delle trattative collettive per conseguire obiettivi di politica sociale: Corte giust. 21 settembre 1999, causa C
67/96. Albany International, in Foro it., 1999, IV, 489). Il mercato rilevante è quello relativo alla distribuzione ed alla ven
dita di carburanti per autotrazione sulla rete nazionale, stradale ed auto
stradale: esso si presenta come un mercato oligopolistico fortemente concentrato (la media dell'indice Herfindahl-Hirschman è superiore a
2.700 punti), nonché asimmetrico (a causa della presenza di un duopo lio, costituito da Agip petroli ed Esso, la cui quota congiunta di mercato
rappresenta quasi l'ottanta per cento della quota delle prime quattro imprese), contraddistinto da una crescita moderata dei consumi, dal
l'omogeneità dei prodotti, da una limitata elasticità della domanda
complessiva al prezzo, dalla sostanziale assenza di nuovi entranti a
causa del perdurare (almeno fino al giugno 2000) di consistenti barriere
amministrative, dai forti legami strutturali e commerciali tra le società
petrolifere, le quali si presentano verticalmente integrate nelle varie fasi in cui è organizzata la filiera petrolifera e con una elevata stabilità delle
rispettive quote di mercato. Ai fini della corretta interpretazione del provvedimento dell'Agcm
prima, e del Tar poi, è opportuno ricostruire brevemente la storia del
regime normativo che ha regolato i prezzi dei carburanti per autotrazio ne. Sino al 1991, essi erano fissati dall'intervento amministrativo del comitato interministeriale prezzi (Cip). A seguito della delibera datata 30 luglio 1991 del comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), il prezzo dei carburanti ha conosciuto una prima sta
gione di liberalizzazione sotto forma di prezzo consigliato: si ricono
sceva, cioè, alle imprese la libertà di stabilire il prezzo, ma quest'ulti mo era assoggettato al controllo da parte di un comitato tecnico, che fa ceva capo al ministero dell'industria e che era deputato a verificarne l'effettiva concorrenzialità. Tra la fine del 1993 (v. delibera Cipe 30 settembre 1993, G.U. 8 ottobre 1993, n. 237, con la quale cessano le attribuzioni del Cip in materia petrolifera) e i primi mesi del 1994 (v. delibera Cipe 13 aprile 1994, G.U. 22 aprile 1994, n. 93), questa fase si è chiusa. Infatti, col d.m. 7 maggio 1994 del ministero dell'industria
(G.U. 16 maggio 1994, n. 112) si è approdati alla completa liberalizza
zione, da un lato riconoscendo agli operatori il potere di stabilire libe ramente i prezzi, dall'altro imponendo l'adozione della c.d. «doppia cartellonistica», in base alla quale i gestori indicavano nei propri punti vendita sia i prezzi consigliati dalla società petrolifera, sia gli eventuali
prezzi diversi da essi praticati (tale obbligo è stato eliminato a seguito del d.m. del ministero dell'industria 30 settembre 1999, G.U. 7 ottobre
1999, n. 326, con il quale si è stabilito che il gestore deve esporre nel
proprio punto vendita un unico prezzo per il carburante).
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Fatto. — Con deliberazione 8 giugno 2000 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (in seguito autorità), a conclu
sione di una istruttoria aperta il 7 ottobre 1999 per possibili violazioni dell'art. 2 1. n. 287 del 1990, ha deciso:
a) che le società aderenti all'Unione petrolifera: Agip petroli
s.p.a., Erg petroli s.p.a., Esso italiana s.r.l., Kuwait petroleum Italia s.p.a., Shell Italia s.p.a., Tamoil petroli s.p.a., Totalfina
Italia s.p.a. hanno posto in essere, in violazione dell'art. 2, 2°
comma, 1. 287/90, una complessa intesa orizzontale, costituita
La sentenza in epigrafe accoglie la ricostruzione fornita dall'Agcm, confermando che la condotta posta in essere dalle aziende petrolifere configura un coordinamento orizzontale teso a conservare il controllo sul prezzo finale, riducendo l'incertezza circa il rispetto, da parte del
gestore, dei prezzi consigliati: lo scopo sarebbe quello di vanificare gli effetti della liberalizzazione dei prezzi dei carburanti attraverso l'elabo razione di un meccanismo per la determinazione del c.d. margine, ossia del ricavo assicurato al gestore (la cui parte essenziale è rappresentata dallo sconto tra il prezzo consigliato di vendita al pubblico e lo sconto sul prezzo di acquisto del carburante dall'impresa), che disincentivi
politiche di prezzo autonome. Attraverso gli accordi interprofessionali e le successive applicazioni in sede di «accordi colore», i gestori sono stati divisi in due gruppi, principalmente sulla base di criteri dimensio nali: per i punti vendita di dimensioni maggiori il prezzo di acquisto dei carburanti viene calcolato come differenza tra il prezzo consigliato dal
l'impresa petrolifera ed uno sconto definito sulla base dei risultati eco nomici del gestore (negoziazione diretta); gli altri punti vendita vengo no divisi in fasce di erogato, a cui corrispondono sconti decrescenti al crescere dei volumi di vendita (negoziazione articolata). In particolare, per quanto concerne la negoziazione diretta, il margine di ricavo del
gestore (c.d. sconto pro-litro) verrebbe calcolato avendo come divisore
gli obiettivi di volume di carburante fissati di anno in anno, con la con
seguenza che un'eventuale politica di riduzione dei prezzi alla pompa (c.d. underpricing), in quanto tale idonea a determinare un aumento delle vendite rispetto al target, si tradurrebbe l'anno successivo nel
l'apposizione di obiettivi di vendita più alti e, pertanto, in una riduzio ne dello sconto pro-litro. Per quanto riguarda, invece, la negoziazione articolata, mentre l'accordo interprofessionale del 1994 prevedeva che il margine del gestore fosse regolato annualmente attraverso un mecca nismo di price cup, ossia influenzato dalla produttività della singola azienda di distribuzione e legato agli eventuali incrementi di efficienza del gestore, gli «accordi colore» del 1995 avrebbero riproposto un si stema di sconti basato sulle fasce di sconti decrescenti all'aumentare dei volumi di prodotto erogato: in tal modo, il ricavo totale del gestore, qualora attui una politica di underpricing, potrà aumentare solo se le
quantità vendute cresceranno in misura così elevata da più che compen sare l'effetto di riduzione dello sconto pro-litro, al netto della riduzione del prezzo di vendita alla pompa. Il medesimo scopo di controllo dei
prezzi risulterebbe, altresì, perseguito attraverso un sistema di monito
raggio ex post sul rispetto, da parte dei gestori, dei prezzi consigliati: un monitoraggio a campione, realizzato tramite campagne promozionali e azioni di sostegno alle riduzioni di prezzo decise dai gestori (c.d. pri ce support) al fine di scongiurare eventuali fenomeni di incremento dei
prezzi finali (c.d. overpricing). Entrambe le metodologie, che si sono sommariamente ricostruite, avrebbero natura oggettivamente disincen tivante nei riguardi di chi volesse adottare un prezzo di vendita minore
di quello consigliato dalle società petrolifere. Questa connotazione og
gettiva consente all'Agcm (nel solco di un orientamento consolidato:
cfr., ex multis, provv. 2 luglio 1993, n. 1266, Foro it., Rep. 1995, voce
Concorrenza (disciplina), n. 191, e Giur. dir. ind., 1993, 856), ed ai
giudici amministrativi (che, nel presupposto dell'alternatività ogget to/effetto — cfr. Tar Lazio, sez. I, 21 luglio 1993, n. 1157, Foro it., 1994, III, 147 —, non esitano ad ammettere la sanzionabilità di intese restrittive prive di effetti, o con effetti limitati, sui mercati, in presenza di un oggetto ontologicamente antiticompetitivo: cfr. sez. I 7 marzo
1997, n. 425, id., Rep. 1997, voce cit., n. 147; in dottrina, v. R. Pardo
lesi, in Diritto antitrust italiano a cura di A. Frignani, R. Pardolesi, A. Patroni Griffi, L.C. Ubertazzi, Bologna, 1993, I, 145; V. Mangini-G.
Olivieri, Diritto antitrust, Torino, 2000, 20), di ritenere integrati gli estremi della violazione dell'art. 2.
L'unico punto in cui la pronuncia del Tar Lazio diverge dalle con
clusioni elaborate dall'Agcm riguarda le responsabilità addebitabili ad
una delle aziende petrolifere, l'Api. Quest'ultima, infatti, secondo il
Tar, se può essere considerata partecipe della concertazione mirata al
mantenimento del controllo sul prezzo finale di vendita dei carburanti, non può, invece, essere ritenuta responsabile per quanto attiene all'ado
zione dei meccanismi per la determinazione dei margini di ricavo del
gestore, non avendo sottoscritto alcun «accordo colore»; manca, dun
que, la prova della sua partecipazione alla fase più concretamente at
tuativa (cfr. Trib. I grado 6 aprile 1995, causa T-141/89, Tréfileurope, in Foro it., Rep. 1996, voce Unione europea, n. 1024, con nota di Bol
ze, in Rev. trim, droit commercial, 1996, 156). [G. Colangelo]
Il Foro Italiano — 2001 — Parte III-5.
da una pratica concordata tra imprese concorrenti che, per il
tramite degli accordi interprofessionali del 29 aprile 1994, del
29 luglio 1997 e del 23 luglio 1998, ha trovato successiva attua
zione negli «accordi colore» sottoscritti dalle società con i pro
pri Cnc a partire dal giugno 1995;
b) che la società Anonima petroli italiana s.p.a. ha parteci
pato fin dal febbraio 1994 all'attività di concertazione orizzon
tale in seno ad Unione petrolifera, pur non risultando agli atti
che essa abbia successivamente sottoscritto «accordi colore»
con i propri Cnc;
c) che alle società Agip petroli, Anonima petroli italiana s.p.a., Erg petroli s.p.a., Esso italiana s.r.l., Kuwait petroleum Italia s.p.a., Shell Italia s.p.a., Tamoil petroli s.p.a., Totalfina Italia s.p.a. per le infrazioni da loro commesse, venga applicata la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di seguito indicata (lire):
Agip petroli s.p.a 216.006.770.000 Anonima petroli italiana s.p.a 21.168.580.000 Erg petroli s.p.a 56.018.195.963 Esso italiana s.r.l 147.019.119.971 Kuwait petroleum Italia s.p.a 77.101.045.000 Shell Italia s.p.a 35.662.587.754 Tamoil petroli s.p.a 42.602.014.896 Totalfina Italia s.p.a 45.379.320.000
d) che l'associazione Unione petrolifera e le società ad essa
aderenti: Agip petroli s.p.a., Anonima petroli italiana s.p.a., Erg
petroli s.p.a., Esso italiana s.r.l., Kuwait petroleum Italia s.p.a., Shell Italia s.p.a., Tamoil petroli s.p.a. e Totalfina Italia s.p.a. cessino dall'attuazione e dalla continuazione delle infrazioni
accertate.
Avverso il provvedimento sono stati proposti i ricorsi in epi
grafe, con i quali sono stati dedotti motivi di impugnazione in
gran parte coincidenti, che, pertanto, verranno qui indicati in
forma unitaria e sintetica, salva la più compiuta esposizione nella parte in diritto.
1. - Solo alcune delle società ricorrenti (Shell e Kuwait)
propongono una censura di violazione dell'art. 1 1. n. 287 del
1990 e dell'art. 54 1. n. 52 del 1996, sostenendo che l'infrazione
contestata rientrava nella previsione dell'art. 81 e/o 82 del trat
tato Ce, e pertanto illegittimamente l'autorità avrebbe applicato la 1. n. 287 del 1990.
2. - Per la generalità delle ricorrenti, l'autorità, innanzi tutto, sarebbe incorsa nella decadenza dal potere di avviare l'istrutto
ria per aver lasciato trascorrere inutilmente il termine di cui al
l'art. 13 1. n. 287, posto che le ricorrenti avevano comunicato gli accordi interprofessionali del 1994 e del 1997.
Risulterebbe anche violato l'art. 13 del regolamento di proce dura di cui al d.p.r. n. 461 del 1991, allora vigente, nonché l'art.
14 1. n. 689 del 1981, per non aver contestato l'infrazione né
«tempestivamente» né «immediatamente», in relazione alla
completa conoscenza delle presunte infrazioni, acquisita con
l'indagine conoscitiva avviata nel 1994.
Si deduce inoltre la violazione dell'art. 28 1. n. 689 del 1981 che dispone la prescrizione quinquennale del diritto di riscuote re le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa.
3. - Con riferimento più specifico al merito della valutazione
di illiceità dei comportamenti aventi ad oggetto la conclusione
di accordi interprofessionali e «colore» per la determinazione
del «margine» da riconoscere ai gestori degli impianti di distri
buzione, le ricorrenti, deducendo la violazione dell'art. 2 1. n.
287 del 1990, osservano: a) la conclusione di tali accordi dove
va considerarsi lecita perché provvista di copertura normativa,
sia in relazione alla sopravvivenza del punto 18 della delibera
Cip 31 luglio 1991, n. 20, sia alle norme del d.leg. n. 32 del 1998; b) le negoziazioni giudicate illecite si sono sempre svolte sotto l'egida della mediazione governativa e per corrispondere a
costanti pressioni del ministero dell'industria, commercio e
agricoltura, per cui le società potevano nutrire un legittimo affi
damento circa la legalità dei loro comportamenti; c) la giuris
prudenza comunitaria (sentenza Albany, in Foro it., 1999, IV,
489) ha ritenuto sottratti alla normativa antitrust gli accordi
conclusi nell'ambito di trattative collettive per conseguire obiettivi di politica sociale.
4. - Si propongono poi censure di violazione dell'art. 2 1. n.
287 del 1990 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, di
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PARTE TERZA
fetto di presupposti e di istruttoria, contraddittorietà, con riguar do all'individuazione da parte dell'autorità di una intesa anti
concorrenziale nella forma della pratica concordata tra imprese nello stesso mercato che, per il tramite degli accordi interpro fessionali del 1994, del 1997 e del 1998, ha trovato successiva
attuazione negli «accordi colore» sottoscritti dalle società con i
rispettivi comitati nazionali dei gestori (Cnc). Si afferma, in particolare: a) che nessuna prova dell'intesa
potrebbe ricavarsi dalla documentazione raccolta dall'autorità
nel corso delle ispezioni eseguite presso le ricorrenti, per l'ini
doneità oggettiva degli atti, consistenti in appunti informali e
spesso non firmati; b) che, in ogni caso, il coordinamento oriz
zontale aveva uno scopo lecito, essendo finalizzato alla ricerca
di una posizione comune in vista della trattativa con le rappre sentanze dei gestori; c) che l'individuazione di meccanismi per la determinazione del margine da riconoscere ai gestori degli
impianti di distribuzione non aveva lo scopo di conservare il
controllo del prezzo finale del prodotto, ma rispondeva, invece,
all'esigenza di garantire condizioni di redditività uniformi per i
gestori; d) che, comunque, non è stato provato che i sistemi di
attribuzione dei margini, sia nella contrattazione diretta che
nella contrattazione articolata, potessero realmente avere un ef
fetto disincentivante delle scelte di riduzione del prezzo da parte del gestore, essendo mancata una adeguata indagine circa: 1) gli effetti della riduzione dello sconto sul prezzo dell'acquisto del
carburante, anziché sui costi, sui redditi del gestore; 2) i conte
nuti reali della contrattazione di terzo livello, ossia società
gestore, onde verificare che le società hanno posto in atto ac
cordi particolari capaci di correggere gli effetti negativi del conto economico e del «salto di fascia», così accertando che il
meccanismo di determinazione del margine è una semplice indi
cazione di metodo, all'interno del quale il gestore poteva con
servare la propria libertà di fissare il prezzi di vendita del pro dotto.
5. - Il provvedimento sarebbe anche affetto da eccesso di
potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, per aver considerato esenti da responsabilità circa l'illecito conte
stato le organizzazioni dei gestori, ossia le controparti degli ac
cordi sia interprofessionali che di colore, sebbene i sistemi di determinazione del margine siano stati stabiliti con il concorso
della loro attiva partecipazione alla trattativa ed alle pressioni esercitate anche mediante minacce di scioperi.
6. - Un ultimo gruppo si censure si appunta alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie.
Il provvedimento sarebbe illegittimo: a) per non aver indicato
il termine entro il quale le imprese avrebbero dovuto porre ter
mine al comportamento sanzionato; b) per difetto dell'elemento
psicologico richiesto dalla 1. n. 689 del 1981; c) perché l'infra
zione non avrebbe presentato il carattere della gravità richiesto
dall'art. 15 1. n. 287 del 1990; d) per mancata valutazione del
l'attenuante rappresentata dalla disponibilità delle imprese a
modificare le pratiche commerciali in atto; e) per errore nel
computo della sanzione, essendo stato incluso nel fatturato an
che l'importo dell'Iva.
Si sono costituiti in giudizio l'Autorità garante della concor
renza e del mercato, il Codacons, e la Figisc-Confcommercio; ha spiegato intervento ad opponendum l'Adusbef e ad adiuvan
dum la Fegica e l'Anisea.
Alla camera di consiglio del 13 luglio 2000 la sezione, con
ordinanza n. 713/C, preso atto dell'accordo delle parti per un
rinvio al merito delle istanze cautelari, ha riunito i ricorsi ed ha
fissato l'udienza di discussione al 7 novembre 2000. Ha inoltre
disposto alcuni incombenti istruttori, ulteriormente specificati con ordinanza presidenziale del 1° agosto 2000.
Con nota del 14 giugno 2000, l'Autorità garante della concor
renza e del mercato ha inviato alle società ricorrenti la copia corretta dei par. 147, 2, 345 del provvedimento, al fine di elimi nare alcuni materiali riscontrati nel testo notificato.
Avverso tale provvedimento hanno presentato un atto inte
grativo dell'originario ricorso, nonché motivi aggiunti, le ricor renti Shell, Kuwait e Agip petroli.
Nei detti atti si lamenta che l'autorità: a) non abbia fissato
termini per l'adempimento dell'ingiunzione a cessare dai com
portamenti sanzionati; b) non abbia proceduto alla ridetermina
zione della sanzione pecuniaria in relazione alle correzioni ap
portate con la nota impugnata; e) non abbia adottato un apposito nuovo provvedimento.
Il Foro Italiano — 2001.
Tutte le parti, in vista della trattazione orale delle cause, han
no depositato ampie memorie.
Alla pubblica udienza del 7 novembre 2000, al termine di
ampia discussione, le cause venivano trattenute dal collegio per la decisione.
Diritto. — 1. - La riunione dei ricorsi ai fini di un'unica deci
sione, disposta con ordinanza del 13 luglio 2000, va estesa agli atti integrativi successivamente depositati.
2. - Solo alcune delle società ricorrenti (Shell, Kuwait e To
talfina) propongono una censura di violazione dell'art. 1 1. n.
287 del 1990 e dell'art. 54 1. n. 52 del 1996, sostenendo che
l'infrazione contestata rientrava nella previsione dell'art. 81 e/o
82 del trattato Ce, e pertanto illegittimamente l'autorità avrebbe
applicato la 1. n. 287 del 1990. La censura viene ampiamente trattata nella memoria deposi
tata da Shell e Kuwait il 31 ottobre 2000, per sottolineare che:
a) la presunta infrazione alle regole della concorrenza addebi
tata alle ricorrenti è certamente qualificabile come fattispecie di
rilevanza comunitaria, producendo effetti sul commercio tra gli Stati membri; b) la medesima infrazione, pertanto, in forza del
l'art. 1, 1° comma, 1. n. 287 del 1990, ricadeva nell'ambito di
applicazione degli art. 85 e/o 86 del trattato Ce e non della 1. n.
287 cit.; c) risulterebbe fuorviante la tesi, sostenuta dall'autorità
sulla scorta della giurisprudenza della sezione (sent. n. 96 del
1998, id., 1998, III, 74), secondo cui la medesima autorità po trebbe esercitare la sua competenza anche nei confronti delle in
frazioni di rilevanza comunitaria fino a quando la commissione
Ce non abbia iniziato alcuna procedura per la stessa infrazione,
posto che l'assunto delle ricorrenti aveva riguardo alla diversa
questione dell'applicabilità alla fattispecie della normativa del
trattato e non della normativa nazionale.
A quest'ultimo riguardo si ricorda che l'art. 54, 5° comma, 1.
6 febbraio 1996 n. 52, impone all'autorità di applicare gli art. 85 e 86 del trattato, utilizzando i poteri ed agendo secondo le pro cedure di cui alla 1. n. 287 del 1990, sicché la medesima autorità
non potrebbe operare alla stregua della normativa nazionale ove
intenda reprimere infrazioni di rilevanza comunitaria.
In conclusione il provvedimento impugnato sarebbe radical
mente illegittimo in quanto assunto in applicazione dell'art. 2 1.
n. 287 del 1990 e non dell'art. 85 (poi 81) del trattato.
Va preliminarmente accertata l'ammissibilità della censura
alla stregua dell'incidenza effettiva sulla materia del contende
re, e cioè sulla domanda di annullamento del provvedimento
impugnato, e del conseguente interesse alla deduzione del moti
vo in esame.
Al riguardo le ricorrenti si limitano ad accennare incidental
mente, che «applicando gli art. 81 e 82 del trattato Ce, l'Auto
rità garante della concorrenza e del mercato ha la possibilità di
disapplicare le normative nazionali in contrasto con il combi
nato disposto degli art. 10 e 81 del trattato Ce ... in quanto per
segue i fini previsti dall'art. 2 del trattato Ce; al contrario, qua lora applichi la 1. 287/90, l'Autorità garante della concorrenza e
del mercato non può disapplicare le leggi e i provvedimenti amministrativi e, soprattutto, deve perseguire i fini previsti dal
l'art. 41 Cost, (secondo quanto richiamato dall'art. 1, 1° com
ma, 1. 287/90)». L'argomentazione è però priva di qualunque svolgimento in
ordine alle conseguenze concrete che l'applicazione della nor
mativa del trattato Ce avrebbe avuto sulla determinazione im
pugnata, e in particolare, circa le ragioni per le quali le infrazio
ni contestate sarebbero risultate insussistenti se i comportamenti accertati fossero stati esaminati alla luce della normativa comu
nitaria. La censura va quindi dichiarata inammissibile per genericità. Ma è da aggiungere che il motivo risulta anche inammissibile
per difetto di interesse proprio in relazione all'invocato potere di disapplicazione degli atti normativi interni, del quale l'auto rità — come si assume — avrebbe potuto avvalersi intervenen
do in applicazione diretta del trattato.
A sostegno dell'illegittimità del provvedimento, infatti, si af
ferma, con altri motivi di ricorso, che i comportamenti censurati
dall'autorità sarebbero stati assistiti da ineludibile «copertura» normativa, derivante dalla deliberazione Cip n. 20 del 1991, dalla deliberazione Cipe 30 settembre 1993 e dal d.leg. 11 feb
braio 1998 n. 32, e si lamenta, appunto, che l'autorità abbia il
legittimamente violato tale quadro normativo. Ma non si tiene
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
conto che l'applicazione diretta dell'art. 81 del trattato Ce
avrebbe autorizzato l'autorità ad ignorare proprio quelle norme
interne su cui le ricorrenti fondano una parte consistente delle
loro doglianze, con evidente pregiudizio delle loro ragioni. 3.1. - Con altro motivo, ancora di ordine pregiudiziale, si so
stiene che l'autorità sarebbe incorsa nella decadenza dal potere di avviare l'istruttoria per aver lasciato trascorrere inutilmente il
termine di cui all'art. 13 1. n. 287, posto che le ricorrenti aveva
no comunicato gli accordi interprofessionali del 1994 e del
1997. Risulterebbe anche violato l'art. 13 del regolamento di proce
dura di cui al d.p.r. n. 461 del 1991, allora vigente, nonché l'art.
14 1. n. 689 del 1981, per non aver contestato l'infrazione né
«tempestivamente» né «immediatamente», in relazione alla
completa conoscenza delle presunte infrazioni, acquisita con
l'indagine conoscitiva avviata del 1994.
Si deduce inoltre la violazione dell'art. 28 1. n. 689 del 1981
che dispone la prescrizione quinquennale del diritto di riscuote
re le somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria. 3.2. - Le censure non sono fondate.
Con riguardo alla pretesa violazione dell'art. 13 1. 287/90 va
richiamato l'orientamento espresso dalla sezione con la sent. 2
luglio 1999, n. 1485, con la quale è stato messo in evidenza che
il detto art. 13, in combinato disposto con l'art. 2 del regola mento sulle procedure istruttorie di cui al d.p.r. 10 settembre
1991 n. 461, configura un vero e proprio procedimento destinato
ad offrire alle imprese, mediante la decadenza posta a carico
dell'autorità che non avvia l'istruttoria nel termine prescritto, il
dato obiettivo e certo della liceità dell'intesa comunicata sotto il
profilo delle regole della libera concorrenza. Si è anche osser
vato, in tale occasione, come, a norma del citato art. 2 del rego
lamento, sia l'autorità sia le imprese interessate siano gravate da
specifici oneri di diligenza, in omaggio al principio di leale co
operazione, l'una per evitare la decadenza dal potere di avviare
l'istruttoria, le altre per conseguire il beneficio della certezza
sulla liceità dell'intesa.
L'autorità, infatti, è tenuta ad attivarsi per informare le im
prese della incompletezza o della non veridicità delle comunica
zioni dalle stesse fornite, oppure per valutare sollecitamente la
rilevanza delle modificazioni apportate alla comunicazione ori
ginaria ai fini della decorrenza di un nuovo termine decaden
ziale (art. 2, 4° comma, d.p.r. n. 461 del 1991, cit.).
Agli obblighi posti a carico dell'autorità non può non corri
spondere per le imprese interessate l'onere di rendere esplicito l'intento di avvalersi della facoltà di cui all'art. 13 in questione avviando il relativo procedimento, che si traduce nella necessità
di una comunicazione spontanea dell'intesa, diretta in modo non
equivoco a provocarne la valutazione di conformità alle norme
sulla libera concorrenza.
L'anzidetta connotazione dell'istituto ex art. 13 in termini di
procedimento ad istanza di parte risulta coerente, del resto, con
l'esigenza di differenziare sul piano sistematico la comunica
zione qualificata, ora in esame, dall'attività di generica infor
mazione compiuta «da chiunque vi abbia interesse», ai sensi
dell'art. 12, 1° comma, 1. 287/90, che consente l'avvio dell'i
struttoria senza previsione di alcun termine decadenziale.
È pacifico che nella specie i detti principi non sono stati os
servati. La bozza di accordo interprofessionale del 29 aprile 1994 fu trasmessa in base ad una richiesta di informazioni avan
zata dall'autorità all'Unione petrolifera nel quadro dell'indagine conoscitiva avviata sul settore della distribuzione dei carburanti
per autotrazione. L'accordo interprofessionale del 1997 fu in
viato «per opportuna conoscenza» senza alcuna richiesta di va
lutazione ai fini dell'art. 13 1. n. 287.
In entrambi i casi si versa, quindi, nell'ipotesi di acquisizione di elementi portati a conoscenza da chiunque vi abbia interesse,
che, a norma dell'art. 12 1. 287/90, come accennato, consente
all'autorità di procedere ad istruttoria nell'esercizio degli ordi
nari poteri repressivi, non soggetto ad alcun termine decaden
ziale. Può dunque concludersi, sul punto, che la tesi della pretesa
decadenza risulta destituita di fondamento.
Tanto premesso, è da aggiungere che la comunicazione degli accordi interprofessionali, anche se ritualmente effettuata ai
sensi dell'art. 13 1. 287/90, non avrebbe fatto decorrere alcun
termine decadenziale rilevante nella specie, posto che, come
Il Foro Italiano — 2001.
emerge dalla deliberazione di avvio dell'istruttoria del 7 ottobre
1999, e come sarà meglio chiarito più oltre, l'infrazione che
l'autorità intendeva accertare si riferiva, non già alla stipula de
gli accordi interprofessionali, bensì all'«intesa orizzontale tra
imprese concorrenti, finalizzata ad eliminare l'incertezza sul ri
spetto dei livelli di 'prezzo consigliato' da parte di tutte le so
cietà petrolifere». 3.3. - Due diversi motivi, come accennato, afferiscono alla
pretesa violazione della 1. 24 novembre 1981 n. 689, applicabile in materia di sanzioni pecuniarie per violazioni di norme sulla
concorrenza in virtù del rinvio operato dall'art. 31 1. n. 287 del
1990. Si deduce in primo luogo la violazione dell'art. 28, a norma
del quale la prescrizione dell'illecito si compie nel termine di
cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione, os
servandosi che se il comportamento sanzionato è stato compiuto nel febbraio 1994 (n. 315 del provvedimento) esso si è pre scritto nel febbraio 1999. Esclusa la possibilità di configurare l'illecito in questione secondo i principi del reato continuato,
che neppure l'autorità avrebbe tentato, si rileva che si è pro
spettata una infrazione di struttura incerta, frutto di carenza di
istruttoria e perplessità di motivazione.
La tesi va disattesa.
Il provvedimento chiarisce al n. 315 che le condotte sanzio
nate sono consistite in una complessa intesa anticoncorrenziale,
protrattasi dal febbraio 1994 sino all'apertura dell'istruttoria
(ottobre 1999). Si è dunque trattato di un illecito di natura permanente, per il
quale il termine quinquennale di prescrizione, invocato dalle ri
correnti, è cominciato a decorrere dal giorno della cessazione
della condotta (art. 158 c.p.). L'altra censura fa leva sull'art. 14 1. 689/81, lamentando la
mancata osservanza del termine di novanta giorni per la notifi
cazione dell'infrazione.
Si assume che l'autorità era a conoscenza di tutti gli elementi
poi confluiti nella contestazione dell'infrazione fin dal 1995,
per cui risulterebbe largamente superato quel ragionevole lasso
di tempo che, anche secondo la giurisprudenza della Corte di
cassazione, è concesso all'amministrazione per procedere alla
valutazione dell'illecito.
La censura va disattesa, in relazione alla circostanza che il
comportamento illecito era ancora in atto al momento dell'avvio
dell'istruttoria, e quindi non erano ancora disponibili, a tale da
ta, tutti gli elementi di valutazione indispensabili, quale ad es. la
durata, per definire l'entità dell'infrazione ai fini della quantifi cazione della sanzione.
Il procedimento di accertamento disciplinato dalla 1. 287/90
per le violazioni del diritto della concorrenza, d'altra parte, co
me già affermato dalla sezione (sent. 763/00), costituisce nor
mativa speciale, e perciò derogatoria rispetto alla normativa ge
nerale, richiamata in quanto applicabile (art. 31). 4. - Con riferimento più specifico al merito della valutazione
d'illiceità dei comportamenti aventi ad oggetto la conclusione di
accordi interprofessionali e «colore» per la determinazione del
«margine» da riconoscere ai gestori degli impianti di distribu zione, le ricorrenti, deducendo la violazione dell'art. 2 1. n. 287
del 1990, osservano: a) la conclusione di tali accordi doveva
considerarsi lecita perché provvista di copertura normativa, sia
in relazione alla sopravvivenza del punto 18 della delibera Cip 31 luglio 1991, n. 20, sia alle norme del d.leg. n. 32 del 1998; b) le negoziazioni giudicate illecite si sono sempre svolte sotto
l'egida della mediazione governativa e per corrispondere a co
stanti pressioni del ministero dell'industria, commercio e agri
coltura, sicché le società potevano nutrire un legittimo affida
mento circa la legalità dei loro comportamenti; c) la giurispru denza comunitaria (sentenza Albany, cit.) ha ritenuto sottratti
alla normativa antitrust gli accordi conclusi nell'ambito di trat
tative collettive per conseguire obiettivi di politica sociale.
Con riguardo al detto gruppo di motivi va condivisa la posi zione espressa dalla difesa dell'amministrazione secondo cui si
tratta di censure che incidono su un aspetto irrilevante del prov
vedimento, posto che gli accordi interprofessionali, in quanto
tali, non contengono autonomi profili restrittivi della concorren
za e non formano, di per sé, oggetto di sanzione.
Il provvedimento (par. 316) chiarisce che «A fronte di accor
di interprofessionali che si limitavano ad ipotizzare, per la ne
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PARTE TERZA
goziazione diretta, una serie di relazioni tra grandezze contabili
e, per la negoziazione articolata, il ricorso al metodo del price
cup, le modalità attuative contenute negli 'accordi colore' sono
state congegnate in modo da disincentivare i gestori dal disco
starsi dal prezzo consigliato stabilito dalle società petrolifere». Gli accordi interprofessionali, quindi, sono coinvolti nella
fattispecie anticoncorrenziale accertata, non per il loro conte
nuto, ma per aver rappresentato il «tramite» per realizzare, co
me sarà chiarito più avanti, la pratica concordata, consistente
nel coordinamento orizzontale tra imprese concorrenti che ha
trovato successiva attuazione negli «accordi colore» sottoscritti
dalle singole società petrolifere con le organizzazioni dei gestori dei rispettivi impianti.
La semplice lettura degli accordi interprofessionali, risulta
decisiva per concludere che negli stessi non vi è traccia dell'in
frazione contestata, afferente, come subito si vedrà, al coordi
namento delle politiche commerciali ed alla adozione di un
identico meccanismo contrattuale per determinare l'entità dei
margini da riconoscere ai gestori con modalità disincentivanti
verso qualsiasi scostamento dal prezzo consigliato. Solo in base
agli «accordi colore» ed alla ulteriore documentazione acquisita,
infatti, è stato possibile ricostruire i connotati effettivi dell'in
frazione contestata
5.1. - Le censure di violazione dell'art. 2 1. n. 287 del 1990 e
di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di presup
posti e di istruttoria, contraddittorietà, vengono dunque ripropo ste con riguardo all'individuazione da parte dell'autorità di una
intesa anticoncorrenziale nella forma della pratica concordata
tra imprese nello stesso mercato che, per il tramite degli accordi
interprofessionali del 1994, del 1997 e del 1998, ha trovato suc
cessiva attuazione negli «accordi colore» sottoscritti dalle so
cietà con i rispettivi comitati nazionali dei gestori (Cnc). Si afferma, in particolare: a) che nessuna prova dell'intesa
potrebbe ricavarsi dalla documentazione raccolta dall'autorità
nel corso delle ispezioni eseguite presso le ricorrenti, per l'ini
doneità oggettiva degli atti, consistenti in appunti informali e
spesso non firmati; b) che, in ogni caso, il coordinamento oriz
zontale aveva uno scopo lecito, essendo finalizzato alla ricerca
gì una posizione comune in vista della trattativa con le rappre sentanze dei gestori; c) che l'individuazione di meccanismi per la determinazione del margine da riconoscere ai gestori degli
impianti di distribuzione non aveva lo scopo di conservare il
controllo del prezzo finale del prodotto, ma rispondeva, invece,
all'esigenza di garantire condizioni di redditività uniformi per i
gestori; d) che, comunque, non è stato provato che i sistemi di
attribuzione dei margini, sia nella contrattazione diretta che
nella contrattazione articolata, potessero realmente avere un ef
fetto disincentivante delle scelte di riduzione del prezzo da parte del gestore, essendo mancata un'adeguata indagine circa: 1) gli effetti della riduzione dello sconto sul prezzo dell'acquisto del
carburante, anziché sui costi, sui redditi del gestore; 2) i conte
nuti reali della contrattazione di terzo livello, ossia società
gestore, onde verificare che le società hanno posto in atto ac
cordi particolari capaci di correggere gli effetti negativi del
conto economico e del «salto di fascia», così accertando che il
meccanismo di determinazione del margine è una semplice indi
cazione di metodo, all'interno del quale il gestore poteva con
servare la propria libertà di fissare il prezzo di vendita del pro dotto.
5.2. - Per l'esame delle dette doglianze è necessario pre mettere un rapido richiamo all'evoluzione del quadro normativo
in materia di prezzi dei carburanti per autotrazione, avvenuta
proprio tra il 1991 e il 1994, anno quest'ultimo preso in consi
derazione dall'autorità quale momento iniziale delle condotte
sanzionate.
Come correttamente riferisce anche il provvedimento impu
gnato, con deliberazione del 30 luglio 1991 del comitato inter
ministeriale per la programmazione economica (Cipe), i prezzi in questione, fino ad allora fissati in via amministrativa con de
liberazione del comitato interministeriale prezzi (Cip), furono
assoggettati al regime dei prezzi c.d. sorvegliati. Il provvedi mento realizzava una prima forma di liberalizzazione attribuen
do alle imprese il potere di stabilire il prezzo di vendita dei pro dotti petroliferi, salvo il controllo di un comitato tecnico secon
do la disciplina dettata dal Cip con deliberazione 31 luglio 1991, n. 20.
Il Foro Italiano — 2001.
Cìià con tale deliberazione, al punto 15, si sanciva il principio del rispetto della libera concorrenza tra le imprese produttrici, stabilendosi che il comitato tecnico trasmettesse all'Autorità ga rante della concorrenza e del mercato gli elementi in suo pos
sesso, ai sensi dell'art. 12, 1° comma, 1. 287/90, ove «l'evolu
zione degli scambi, l'andamento dei prezzi, la struttura dei listi
ni o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia
impedita, ristretta o falsata».
Il regime dei prezzi «sorvegliati» è cessato con la delibera
zione Cipe 30 settembre 1993, con la quale si è stabilito che «i
prezzi di tutti i prodotti petroliferi sono ... determinati libera
mente dagli operatori», salvo l'obbligo delle imprese di deposi tare presso il ministero dell'industria i rispettivi listini prezzi,
peraltro fino al 30 aprile 1994. Il regime effettivo della disposta liberalizzazione viene poi a
chiarirsi a seguito dell'adozione di successivi provvedimenti. Si tratta, in particolare, della deliberazione Cipe 13 aprile
1994 e del connesso decreto del ministro dell'industria 7 mag
gio 1994, dalla stessa previsto. Con la prima si impose che
«ferma restando la libertà di determinazione dei prezzi dei pro dotti petroliferi da parte dei soggetti interessati al ciclo produt tivo e distributivo, gli operatori che forniscono carburanti per autotrazione ai punti vendita della rete di distribuzione contras
segnati dal proprio marchio, indicheranno ai gestori degli stessi
punti vendita i prezzi da loro consigliati per la vendita al pub blico dei diversi prodotti». Con il secondo si stabilì che: — che i prezzi consigliati «dovranno essere esposti in ogni punto ven
dita ... in modo visibile dalla carreggiata stradale» (art. 3, 1°
comma); — che «nel caso in cui i prezzi effettivamente praticati differiscano, anche per le specifiche caratteristiche del servizio, da quelli consigliati esposti ai sensi del 1° comma, dovranno es
sere altresì esposti nel medesimo contesto e con identico rilievo
i prezzi effettivamente praticati e/o gli scostamenti fra prezzo
consigliato ed effettivamente praticato» (art. 3, 2° comma). Dalle disposizioni che precedono emerge dunque: a) che si è
riconosciuto al gestore il diritto di fissare il prezzo di vendita al
pubblico del carburante da lui acquistato dall'impresa produttri ce; b) che tale libertà di prezzo risultava controllabile, sia pure a
dichiarati fini di trasparenza, attraverso la pubblicizzazione del
prezzo consigliato dalle imprese. Il riferito quadro normativo rimane immutato fino al 30 set
tembre 1999, allorché, con decreto del ministro dell'industria,
l'obbligo della doppia cartellonistica è stato abolito, imponen dosi al gestore di pubblicizzare solo il prezzo effettivamente
praticato. Se: dunque la determinazione del prezzo di vendita al pubbli
co dei carburanti per autotrazione è formalmente attribuita al
gestore del singolo impianto, nell'esercizio della propria libertà
imprenditoriale, la scelta del prezzo da praticare risulta però in
fluenzata in concreto dall'entità del «margine» che viene rico
nosciuto al gestore in sede di stipula di appositi accordi tra le
associazioni di categoria dei gestori e le aziende petrolifere e le
loro associazioni, come prescritto dalla delibera Cip n. 20 del
1991, punto 18.
Premesso che, fin dal primo accordo interprofessionale con
cluso in epoca successiva alla liberazione (verbale di intesa 29
aprile 1994), si seguirono due diverse metodologie di determi
nazione del margine, l'una riferita alla negoziazione diretta, ri
servata agli impianti con elevata erogazione (oltre 2.800
Kl/anno), l'altra per la negoziazione articolata, riguardante tutti
gli altri impianti, per «margine», in prima approssimazione, de
ve intendersi, in entrambe le negoziazioni, il ricavo assicurato al
gestore, del quale la parte essenziale è rappresentata dallo
sconto tra il prezzo consigliato di vendita al pubblico e lo sconto
sul prezzo di acquisto del carburante dall'impresa. 5.3. - E agevole osservare che l'ampio ventaglio delle do
glianze riferite sub 5.1 tende, con la deduzione del vizio di ec
cesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, alla contesta
zione del ragionamento svolto nel provvedimento impugnato: le
imprese produttrici hanno posto in essere un'intesa nella forma
della pratica concordata, consistente nel coordinamento oriz
zontale delle loro politiche commerciali, al fine di non perdere il
controllo sul prezzo vendita del prodotto, che si è realizzata in
una regolamentazione fortemente omogenea dei rapporti con i
rispettivi gestori, contrassegnata da sistemi di determinazione
del margine capaci di impedire la pratica di prezzi di vendita al
pubblico diversi da quelli consigliati dalle imprese.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
L'astratta valenza anticoncorrenziale di comportamenti del
genere indicato non richiede particolare dimostrazione nel qua dro dei principi del diritto comunitario e nazionale comune
mente riconosciuti, che presidiano lo svolgimento di una libera
competizione imprenditoriale nell'interesse del consumatore.
Ne consegue che non potrà pervenirsi all'accoglimento delle ri
ferite contestazioni se nel provvedimento impugnato sia data
una ragionevole dimostrazione dei fatti affermati, dovendo il
giudice amministrativo limitarsi, nel sindacato sull'eccesso di
potere, all'accertamento di palesi vizi di logicità e di coerenza
della motivazione, astenendosi dal decretare la preferenza o il
rifiuto per una diversa ricostruzione del fenomeno oggetto di
esame. In tal caso, infatti, il giudice finirebbe per sostituire le
proprie valutazioni di merito a quelle rimesse alla esclusiva
competenza dell'autorità amministrativa.
5.4. - In conformità ai suddetti principi ritiene il collegio che
le doglianze in esame non siano fondate.
Secondo quanto emerge dal quadro normativo di riferimento,
sopra richiamato, quanto meno a partire dalla deliberazione
Cipe del 30 settembre 1993, nel mercato dei prodotti petroliferi, in particolare in quello dei carburanti per autotrazione, le so
cietà petrolifere avrebbero dovuto seguire le regole della libera
concorrenza, che implicano la determinazione di politiche commerciali frutto di autonome scelte imprenditoriali, al fine di
conseguire la preferenza dei consumatori e la conseguente af
fermazione sul mercato.
L'autorità ha invece sostenuto, sulla base di precise evidenze
documentali, che le imprese produttrici si sono adoperate per
impedire il libero giuoco della concorrenza nel settore, coordi
nando le loro politiche commerciali in seno all'Unione petroli fera.
La valenza probatoria della documentazione addotta non ri
sulta scalfita dalle censure in esame.
Innanzi tutto, i documenti dell'Unione petrolifera del 17 feb
braio 1994 e del 2 marzo 1994 (par. 69 e 70 del provvedimen
to), nel loro riferimento ad una «condizione preliminare» per avviare la trattativa con i gestori, consistente nella pubblicizza zione del prezzo consigliato, onde impedire che il prezzo di
vendita sia «stabilito dagli stessi gestori», denunciano che il co
ordinamento si realizzò e che ebbe un preciso fine anticoncor
renziale.
Va chiarito, al riguardo, come sia da ammettere che, in vista
della conclusione degli accordi interprofessionali previsti dalla
delibera Cip 20/91, le imprese si consultassero ai fini della ela
borazione di una piattaforma comune da sostenere nella trattati
va. Ma poiché l'accordo doveva consistere nella determinazione
di margini da riconoscere ai gestori, le esigenze della trattativa
non offrivano alcuna copertura ad un coordinamento che si
spingesse fino a concertare esplicitamente la conservazione alle
imprese del controllo sul prezzo al pubblico e la sottrazione ai
gestori della determinazione del prezzo. Tanto ciò è vero che l'accordo del 1994 recepisce bensì il
principio della pubblicizzazione del prezzo consigliato, ma ac
campando esigenze di trasparenza, e ben guardandosi dall' e
sternare le finalità effettive della misura.
L'accordo raggiunto dalle imprese petrolifere sulla conserva
zione del controllo sul prezzo al pubblico risulta lesivo della li
bera concorrenza sotto due diversi profili. In via diretta, perché, sebbene la determinazione del prezzo sia riconosciuta al gestore dalle fonti normative e ufficialmente dallo stesso accordo del
1994, l'accordo stesso tende ad espropriare al medesimo le li
bertà di scelta sul prezzo da praticare, ossia lo strumento princi
pale della competizione concorrenziale. In via indiretta perché
presuppone anche l'accordo tra le imprese sul prezzo da «consi
gliare», accordo che costituisce il presupposto logico di ogni strumento di controllo del prezzo alla pompa.
L'autorità ha infatti accertato, a quest'ultimo proposito, con
dati non contestati (par. 61 e 62, tabelle 2 e 3) che i prezzi con
sigliati dalle otto imprese, osservati per circa sei anni, hanno
presentato un elevatissimo coefficiente di omogeneità, anche
superiore al coefficiente rilevabile nel periodo in cui i prezzi in
questione erano soggetti a sorveglianza. Ma i documenti appena considerati non esauriscono le fonti
di prova della concertazione volta a definire una politica com
merciale unitaria da parte delle società ricorrenti.
Viene infatti in considerazione il documento Esso EF4 (par.
Il Foro Italiano — 2001.
290) che riflette l'atteggiamento concordato nella riunione del
25 gennaio 1995 in ordine all'applicazione dell'accordo del
1994 nella contrattazione articolata.
Va premesso che l'accordo suddetto, con riguardo alla con
trattazione da condurre con le rappresentanze dei gestori di im
pianti di non grandi dimensioni (negoziazione articolata), aveva
indicato un metodo di fissazione del margine, in pratica dello
sconto sul prezzo consigliato, c.d. di price cup, ossia influenzato
dalla produttività di ogni azienda di distribuzione. In una cor
retta logica concorrenziale, secondo la previsione contrattuale lo
sconto avrebbe dovuto essere maggiore se più elevato fosse
stato il volume delle vendite. Anche per tale ragione l'accordo
interprofessionale è stato ritenuto, in sé e per sé, esente da cen
sure sul piano del rispetto della libera concorrenza.
Il documento suddetto dà conto del fatto che le società ricor
renti si sono rese conto che, applicando alla lettera l'accordo, si
sarebbero determinate «diversità anche apprezzabili di tratta
mento da azienda ad azienda», come esito naturale di una dina
mica concorrenziale. Esse hanno quindi concordato «la possibi lità di individuare, almeno per questo primo anno, meccanismi
di temperamento della formula».
Gli «accordi colore» del 1995, infatti, riproporranno un si
stema di sconti nella negoziazione articolata basato sulle fasce
di prodotto erogato, che, come si vedrà, prevedeva sconti decre
scenti in caso di incremento del carburante venduto.
Al di là delle obiezioni sollevate dalle ricorrenti circa la por tata anticoncorrenziale della metodologia suddetta, su cui si tor
nerà fra breve, il documento prova ancora una volta il costante
coordinamento realizzato dalle imprese produttrici in merito alle
loro politiche commerciali, coordinamento protrattosi fino al
1999 come il provvedimento dimostra nei par. 291-297, che qui non occorre richiamare in dettaglio.
5.5. - Come emerge chiaramente dal provvedimento (par.
316), l'illecito accertato dall'autorità è consistito in una fatti
specie complessa di intesa manifestatasi come pratica concor
data nella realizzazione degli accordi colore di contenuto uni
forme e anticoncorrenziale. «A fronte di accordi interprofessio nali che si limitavano ad ipotizzare, per la negoziazione diretta, una serie di relazioni tra grandezze contabili e, per la negozia zione articolata, il ricorso al metodo del price cup, le modalità
attuative contenute negli accordi colore sono state congegnate in
modo da disincentivare i gestori dal discostarsi dal prezzo con
sigliato stabilito dalle società petrolifere». Con riguardo ai contenuti degli «accordi colore», le ricorrenti,
come si è visto, negano la loro valenza anticoncorrenziale, ne
gano di averli applicati alla lettera nei rapporti concreti con i ge
stori, affermano di aver apportato dei correttivi idonei a stimola
re l'incremento dei volumi erogati. Osserva il collegio che la contestazione delle ricorrenti non
smentisce quanto emerso dal contenuto degli «accordi colore»
(par. 96-112), ossia che è stato adottato, sia per la contrattazione
diretta che per la contrattazione articolata, un meccanismo di
determinazione del margine facente leva sulla misura dello
sconto rispetto al prezzo consigliato del carburante, e che tale
sconto si riduceva in caso di incremento del volume del pro dotto venduto. E poiché, secondo un principio di economia ele
mentare, l'incremento delle vendite è determinato, allorché il
prodotto non presenti rilevanti differenze qualitative o di impie
go, in misura pressoché esclusiva dalla riduzione del prezzo,
l'operatore è portato a non ridurre il prezzo per evitare che la
conseguente lievitazione delle vendite lo costringa a sostenere
un più alto costo del carburante che deve acquistare dal produt tore.
Tale sistema di attribuzione del margine denuncia il preciso fine di controllare la determinazione del prezzo di vendita ri
scontrando puntualmente gli intenti anticoncorrenziali concer
tati tra le società produttrici, secondo quanto visto più sopra, e
soprattutto si colloca in una prospettiva diametralmente opposta alla comune logica di mercato, nella quale all'aumento delle
quantità acquistate corrisponde una riduzione del prezzo unita
rio.
Risulta quindi immune dalla censura di eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria la determinazione
con la quale l'autorità ha individuato nella condotta in esame
una pratica concordata ostativa della libera concorrenza.
Le obiezioni delle ricorrenti, secondo le quali si sarebbe reso
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PARTE TERZA
necessario un accertamento in concreto dell'effetto disincenti
vante dei meccanismi in questione, oppure dell'effetto neutra
lizzante derivante da misure compensative messe in atto dalle
singole imprese, non corroborano la fondatezza delle censure.
Va ribadito al riguardo, in primo luogo, l'orientamento della
sezione (sent. n. 873 del 1999, id., Rep. 1999, voce Concorren
za (disciplina), nn. 139, 142, 144; n. 1541 del 2000), confortato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui ai fini
della sussistenza di una intesa vietata dalla 1. n. 287 del 1990
non è necessario accertare il verificarsi di concreti effetti re
strittivi o ostativi della concorrenza in quel determinato merca
to, essendo sufficiente che la pratica concordata si sia tradotta in
una condotta anche solo potenzialmente idonea ad impedire la
concorrenza.
Vanno inoltre richiamate le risultanze documentali relative
agli sforzi dei gestori per modificare il sistema di determinazio
ne del margine influenzato negativamente dagli incrementi delle
vendite (par. 97-101), quale prova indiretta dell'effettivo pro dursi di effetti restrittivi rispetto ad autonome scelte imprendito riali.
Risulta condivisibile, d'altra parte, il rilievo (par. 313) secon
do cui i comportamenti, cui si appellano le ricorrenti, indicativi
di un loro allontanamento da una rigida applicazione delle me
todologie di calcolo dei margini, lungi dall'escluderne la portata restrittiva della concorrenza, suonano come conferma che, in as
senza di ulteriori interventi della società petrolifera, attraverso
strumenti extracontrattuali od applicazioni difformi della sud
detta metodologia, la medesima è idonea a dissuadere da auto
nome politiche di prezzo volte ad incrementare i volumi erogati. Se, dunque, in base alla documentazione illustrata nel prece
dente paragrafo, è stato possibile individuare il coordinamento
degli intenti a finalità anticoncorrenziali, le specifiche condotte
concretatesi negli «accordi colore» rappresentano il momento
attuativo dell'intesa, assumendo il ruolo di componente essen
ziale dell'infrazione accertata.
6. - Il provvedimento sarebbe anche affetto da eccesso di
potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, per aver considerato esenti da responsabilità circa l'illecito conte
stato le organizzazioni dei gestori, ossia le controparti degli ac
cordi sia interprofessionali che di «colore», sebbene i sistemi di
determinazione del margine siano stati stabiliti con il concorso
della loro attiva partecipazione alla trattativa e delle pressioni esercitate anche mediante minacce di scioperi.
La censura è infondata.
Il provvedimento impugnato ha accertato che è stata posta in
essere una violazione dell'art. 2 1. n. 287 del 1990 consistente in
una «fattispecie complessa» di pratica concordata anticoncor
renziale, strutturata sul concorso integrato di due fattori: a) la
concertazione finalizzata a mantenere il controllo del prezzo di
vendita del carburante; b) gli «accordi colore» nella parte relati
va alla determinazione del margine secondo meccanismi disin centivanti autonome politiche di prezzo da parte dei gestori.
Il provvedimento stesso, in merito alla responsabilità delle
associazioni dei gestori nella consumazione dell'illecito, ha af
fermato, che «considerata la natura e l'oggetto dell'intesa, è da
escludere che le associazioni dei gestori vi abbiano avuto un
ruolo attivo nel caratterizzarne i profili anticoncorrenziali» (par. 317).
Tale motivazione, invero assai succinta, intende esprimere un
concetto chiaramente desumibile dall'argomentazione comples siva del provvedimento, e cioè che la comprovata preoccupa zione nutrita dalle società petrolifere di ridurre l'incertezza cir
ca il livello del prezzo finale del prodotto, ossia una delle com
ponenti essenziali dell'infrazione accertata, risultava del tutto
estranea alla categoria dei gestori. Si è già fatto cenno ai tentativi dei gestori di modificare i
metodi di determinazione del margine in modo da acquisire una
maggior libertà nella fissazione del prezzo di vendita (par. 97
ss.). Può aggiungersi come sia emerso dalla documentazione ac
quisita, e precisamente dal resoconto ufficiale della riunione te
nutasi presso l'Unione petrolifera il 25 gennaio 1995 (par. 110), che l'iniziativa di «individuare, almeno per questo primo anno, meccanismi di temperamento della formula» price cup, in modo
da non differenziare il livello dei margini tra gestore e gestore, che poi si è tradotta negli «accordi colore», sia stata assunta
Il Foro Italiano — 2001.
dalle società petrolifere, nell'auspicio che «l'orientamento fosse
condiviso anche dalle associazioni dei gestori». In tale contesto, la sottoscrizione da parte dei vari comitati
nazionali colore dei sanzionati accordi aziendali, in difetto del
necessario collegamento strumentale con la finalità anticoncor
renziale di controllo del prezzo, oggetto della concertazione
dalle società petrolifere, pur integrando un comportamento di
cooperazione al venire in essere di meccanismi oggettivamente illeciti per il diritto della concorrenza, ha indotto l'autorità ad
escludere la responsabilità delle associazioni dei gestori. Ritiene il collegio che tale valutazione non sia affetta da ec
cesso di potere per disparità di trattamento e manifesta ingiusti zia, poiché risulta coerente con la struttura dell'illecito accerta
to, configurato dall'autorità come fattispecie complessa costi
tuita dall'integrazione dei due distinti e concorrenti fattori, en
trambi essenziali alla realizzazione della fattispecie sanzionata.
7. - Per ragioni non dissimili, ma inverse, merita accogli mento il ricorso proposto dalla società Api, che il provvedi mento ha considerato partecipe della pratica concordata sebbene
non abbia sottoscritto alcun accordo aziendale in ordine alla
determinazione del margine. Per tale circostanza l'autorità ha
riconosciuto alla ricorrente soltanto una attenuazione di respon sabilità, manifestatasi nell'irrogazione di una sanzione pecunia ria di minore entità.
Si è già messo in evidenza come l'intesa censurata dal prov vedimento impugnato si componesse di diversi comportamenti illeciti: la concertazione sul controllo del prezzo finale e l'ado
zione di sistemi di calcolo del margine ostativi della libera con
correnza tra le aziende della distribuzione.
Va disattesa la doglianza con la quale Api vorrebbe negare la
propria partecipazione al primo comportamento, in base ad una
ricostruzione della fattispecie polarizzata sugli «accordi colore»
dalla stessa non sottoscritti.
Si è già detto che l'illecito coordinamento sul controllo del
prez2;o finale ha assunto autonoma rilevanza anticoncorrenziale
nella fattispecie, secondo quanto emerso dalla documentazione
raccolta circa la volontà delle imprese di strumentalizzare l'i
stituto del prezzo consigliato e la pubblicizzazione dello stesso
(par. 69 e 70). Il collegio, quindi, non ha motivo di discostarsi, al riguardo,
dall'orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria
(Trib. I grado 6 aprile 1995, causa T-141/89, Tréfileurope, id., Rep. 1996, voce Unione europea, n. 1054), secondo cui «qualo ra un'impresa partecipi, pur senza svolgervi un ruolo attivo, a
riunioni tra imprese aventi ad oggetto la fissazione dei prezzi dei loro prodotti e non prenda pubblicamente le distanze dal lo
ro oggetto, inducendo così gli altri partecipanti a ritenere che
essa approvi il risultato delle riunioni e che intenda attenervisi,
può considerarsi dimostrata la sua partecipazione all'intesa».
Mentre è pacifica, quindi, la partecipazione di Api alla con
certasene mirata al mantenimento del controllo del prezzo di
vendita dei carburanti, il provvedimento, pur dando ripetuta mente atto della circostanza che la stessa società non aveva
sottoscritto alcun «accordo colore», non ha fornito alcuna prova che, ciò nonostante, poteva essere ritenuta responsabile anche
dell'adozione da parte delle altre compagnie dei noti meccani
smi disincentivanti di determinazione dei margini dalla stessa
non applicati. L'autorità infatti non ha dimostrato che la concertazione sul
controllo del prezzo finale mediante pubblicizzazione del prezzo
consigliato si estendesse anche all'adozione dei suddetti sistemi
di determinazione del margine in sede di «accordi colore», e,
quindi che Api, pur dissociandosi dall'applicazione di tali me todologie, fosse a conoscenza che le stesse rientravano nella
strategia concertata.
Il provvedimento, al contrario, consente di ritenere che la
pratica concordata relativa ai metodi di determinazione del mar
gine sia stata accertata, non in base alla documentazione ine
rente i contenuti delle riunioni in seno all'Unione petrolifera in
vista della conclusione dell'accordo interprofessionale del 1994, bensì a seguito della valutazione dei contenuti degli «accordi
colore».
Al par. 82 si afferma «il calcolo dello sconto unitario (lire li
tro) è possibile solo a seguito della definizione dei singoli 'ac cordi colore' di durata biennale».
Al par. 226 si osserva che gli «elementi di possibile distor
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
sione della concorrenza derivanti dalla concreta applicazione
degli accordi interprofessionali» non erano «niente affatto de
sumibili dalla semplice valutazione degli stessi accordi del 29
aprile 1994 e del 29 luglio 1997, con particolare riguardo alla
metodologia di calcolo dei margini riconosciuti ai gestori e al
l'ingerenza delle società petrolifere nelle scelte di prezzo dei
gestori stessi». E si aggiunge (par. 228) «l'osservazione nel
tempo della convergente determinazione da parte delle società
petrolifere, attraverso gli 'accordi colore', dell'entità economica
dei parametri oggettivi utilizzati... e l'adozione di identici meccanismi contrattuali, disincentivanti i gestori a deviare dal
prezzo consigliato ..., hanno indotto l'autorità a ritenere possi bile l'esistenza di un'intesa orizzontale volta ad eliminare ogni
apprezzabile differenziazione tra le società petrolifere nella
contrattazione con i propri gestori». Può dunque concludersi che la pratica concordata relativa ai
sistemi di determinazione del margine è stata desunta dal com
portamento concreto delle società che hanno sottoscritto «ac
cordi colore», e pertanto nella stessa condotta infrattiva non
poteva essere coinvolta Api, che tali accordi non ha sottoscritto
e che, a quanto risulta, non ha seguito analoghe metodologie. Ritiene il collegio che, in relazione a tale circostanza, non
potesse pervenirsi ad una valutazione di semplice attenuazione
della responsabilità di Api, bensì, in considerazione della natura
complessa della fattispecie accertata, caratterizzata dall'inscin
dibile collegamento tra la concertazione sul controllo dei prezzi con l'adozione degli strumenti idonei a realizzarla, la responsa bilità di Api dovesse essere esclusa.
Costituisce, infatti, principio più volte ribadito dalla giuris prudenza comunitaria (Trib. I grado 14 maggio 1998, causa T
304/94, Europa Carton AG, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1025) che «affinché la commissione possa imputare a ciascuna delle
imprese interessate da una decisione di applicazione delle regole della concorrenza la responsabilità, per un periodo determinato, di una intesa globale comprensiva di diversi comportamenti an
ticoncorrenziali, essa deve dimostrare che ognuna di esse ha, vuoi acconsentito all'adozione di un piano globale che incorpo rava gli elementi costitutivi dell'intesa, vuoi partecipato diret
tamente, durante quel periodo, a tutti i detti elementi». La detta
giurisprudenza ammette che «un'impresa può altresì essere rite
nuta responsabile di una intesa globale anche qualora venga di
mostrata la sua partecipazione soltanto ad uno o più degli ele
menti costitutivi dell'intesa», ma a tal fine occorre che «le fosse
noto, o dovesse necessariamente esserle noto, il fatto che la
collusione a cui partecipava rientrava in un piano globale e che
questo piano globale riguardava il complesso degli elementi co
stituivi dell'intesa».
Tali principi non risultano nella specie osservati, in relazione
all'estraneità di Api alle censurate metodologie di determina
zione dei margini da riconoscere ai gestori della distribuzione.
8.1. - Un ultimo gruppo si censure si appunta alla irrogazio ne delle sanzioni pecuniarie.
Il provvedimento sarebbe illegittimo: a) per non aver indicato
il termine entro il quale le imprese avrebbero dovuto cessare
dall'attuazione del comportamento sanzionato; b) per difetto
dell'elemento psicologico richiesto dalla 1. n. 689 del 1981; c)
perché l'infrazione non avrebbe presentato il carattere della
gravità richiesto dall'art. 15 1. n. 287 del 1990; d) per mancata
valutazione dell'attenuante rappresentata dalla disponibilità delle imprese a modificare le pratiche commerciali in atto; e)
per errore nel computo della sanzione, essendo stato incluso nel
fatturato anche l'importo dell'Iva.
Ancora con riguardo alla sanzione pecuniaria, con gli atti in
tegrativi depositati da Shell, Kuwait e Agip è stato dedotto che
l'autorità: a) non abbia fissato termini per l'adempimento del
l'ingiunzione a cessare dai comportamenti sanzionati; b) non
abbia proceduto alla rideterminazione della sanzione pecuniaria in relazione alle correzioni apportate con la nota impugnata; c)
non abbia adottato un apposito nuovo provvedimento recante le
proposizioni relative alle correzioni.
A proposito di tutte le censure, va segnalato in primo luogo che l'autorità, con provvedimento del 6 luglio 2000, ne ha retti
ficato l'ammontare delle sanzioni depurando taluni fatturati
delle accise e dell'Iva. In precedenza aveva provveduto, con
nota del 15 giugno 2000, a rettificare gli importi del cash flow indicati in maniera errata.
Il Foro Italiano — 2001.
Ciò premesso, con riguardo alla censura concernente la man
cata indicazione di un termine entro il quale ottemperare alla
diffida di cessazione delle infrazioni contestate, in violazione
dell'art. 15 1. 287/90, osserva il collegio che la norma deve esse
re applicata secondo criteri di congruità e ragionevolezza. Se va confermato, infatti, che l'accertamento di una infrazio
ne non può che comportare l'obbligo di porvi termine imme
diatamente ove la diffida non indichi una data precisa per l'ot
temperanza (v. Tar Lazio, sez. I, 7 marzo 1997, n. 425, id., Rep. 1997, voce Concorrenza (disciplina), n. 147), è però da ammet
tere che l'assenza del termine rifletta la consapevolezza del
l'autorità che la modifica della situazione in atto, per la com
plessità delle procedure necessarie e per coinvolgimento inevi
tabile di soggetti terzi, richieda un lasso di tempo imprecisato che sconsiglia l'imposizione di un termine rigido di osservanza.
In relazione alla fattispecie in esame, dunque, la mancata in
dicazione del termine non costituisce vizio del provvedimento, anche in considerazione del permanente potere dell'autorità di
assumere le iniziative più opportune per contrastare l'eventuale
inerzia delle parti interessate.
8.2. - Con altra censura si lamenta che non sia stata svolta
alcuna indagine sull'elemento psicologico quale elemento de
terminante della responsabilità ai sensi dell'art. 3 1. n. 689 del
1981. La doglianza non ha pregio. Va premesso il richiamo alla giurisprudenza del Tribunale di
primo grado secondo cui «affinché un'infrazione alle regole comunitarie di concorrenza possa considerarsi commessa inten
zionalmente non è necessario che l'impresa si sia resa conto di
contravvenire al divieto di cui all'art. 85, 1° comma, del tratta
to; è sufficiente che essa non potesse ignorare che il comporta mento incriminato aveva ad oggetto o per effetto la restrizione
della concorrenza nel mercato comune» (sent. 14 maggio 1998, causa T-348/94, Enso Espanola SA, id., Rep. 1999, voce Unione
europea, n. 1097). Nell'ambito della vicenda in esame sono emerse prove do
cumentali della consapevolezza nutrita dalle società ricorrenti
della rilevanza anticoncorrenziale delle loro concertazioni (doc.
Agip petroli AN16 e AN22 - par. 155 e 158). 8.3. - Con altre censure, variamente articolate, si contesta
l'entità della sanzione applicata, denunciando che l'autorità: a) non avrebbe adeguatamente motivato la gravità dell'infrazione, con particolare riguardo al danno sofferto dai consumatori; b) non avrebbe tenuto conto delle reali condizioni economiche
delle imprese, specie a seguito della rettifica degli importi del
cashflow, c) non avrebbe valutato i comportamenti delle società
volti ad eliminare o attenuare le conseguenze della violazione;
d) non avrebbe tenuto conto del diverso grado di responsabilità delle diverse società in relazione alla loro dimensione ed al con
seguente diverso impatto delle loro condotte sull'interesse tute
lato dalla normativa antitrust.
Tali motivi vanno disattesi.
Con riguardo alla gravità dell'infrazione, è opportuno pre mettere che la valutazione censurata risulta conforme ai criteri
adottati dalla commissione della Ce con la comunicazione 14
gennaio 1998, dal titolo «orientamenti per il calcolo delle am
mende inflitte in applicazione dell'art. 15, par. 2 del regola mento n. 17 e dell'art. 65, par. 5, del trattato Ceca».
Ai fini dell'apprezzamento circa la gravità delle infrazioni, il
documento le classifica in tre categorie: poco gravi, gravi e
molto gravi. A proposito di queste ultime si dispone: «trattasi
essenzialmente di restrizioni orizzontali, quali cartelli di prez zi... o di altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento
del mercato ..
Può dunque osservarsi come, anche alla stregua dell'orienta
mento seguito in sede comunitaria, il coordinamento di politiche commerciali che — come quello qui in esame — sia mirato ad
incidere sul prezzo del prodotto, realizzandone l'omogeneità e il.
controllo, debba essere qualificata di elevata gravità. Tale circostanza, di per sé, avrebbe ben potuto giustificare
l'irrogazione di una sanzione che, nell'ambito delle misure
ammesse dall'art. 15 1. 287/90, fosse stata fissata anche oltre il 5
per cento del fatturato.
La percentuale applicata con il provvedimento (3,5 per cento)
induce a ritenere che l'autorità abbia tenuto conto di fattori di
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PARTE TERZA 160
attenuazione della responsabilità (par. 344), in base ai quali, pe raltro, le ricorrenti vorrebbero sostenere la radicale illegittimità
dell'applicazione dell'ammenda.
La gravità dell'infrazione, invece, risulta adeguatamente mo
tivata con la natura dei comportamenti accertati in relazione alla
loro finalità ed al loro effetto di sostanziale eliminazione del
l'incertezza, tipica della competizione in libero mercato, circa le
politiche commerciali delle imprese concorrenti, con conse
guente stabilizzazione delle quote acquisite. Fattori obiettivi di aggravamento dell'infrazione sono stati
rinvenuti, in conformità a principi costantemente riconosciuti
dalla giurisprudenza, oltre che nella strumentalizzazione dei
contatti istituzionali in sede di Unione petrolifera, nella struttura
oligopolistica del mercato e nella chiusura dell'accesso ad esso
di nuove imprese, quale derivava dal regime della concessione, risalente al 1970 (d.l. 26 ottobre n. 745) ed in parte conservato
anche dopo l'entrata in vigore del d.leg. n. 32 del 1998, che ha
sostituito la concessione con l'autorizzazione.
Al riguardo non è condivisibile la tesi di alcune ricorrenti, se
condo cui l'«ingessamento» del mercato petrolifero sarebbe da
imputare integralmente proprio all'eccesso di regolamentazione che lo contraddistingueva. Ne è la prova l'obiettivo del con
trollo del prezzo finale, perseguito dalle imprese mediante il co
ordinamento delle politiche commerciali, secondo quanto è
emerso dall'indagine condotta dall'autorità. Il menzionato re
gime normativo, in altri termini, non è stato ritenuto dalle so
cietà sufficientemente protettivo dello status quo ante liberaliz
zazione, tanto da indurle ad assumere i comportamenti censura
ti; ma si è rivelato un fattore coadiuvante dell'efficacia dell'in
tesa anticoncorrenziale.
In merito al preteso di difetto di concreti effetti ostativi della
concorrenza può ribadirsene, preliminarmente, l'irrilevanza ai fini della configurazione dell'infrazione, alla stregua della giu
risprudenza comunitaria e nazionale. Tale avviso è ancorato ad
un preciso dettato normativo, nel trattato Ce (art. 81) e nella 1.
287/90 (art. 2), laddove si dispone il divieto delle intese che ab
biano per effetto o per oggetto la restrizione della concorrenza.
Ciò premesso, è tuttavia da disattendere la tesi che l'intesa non abbia prodotto effetti ostativi della concorrenza.
Assume rilievo in proposito l'insieme delle acquisizioni do
cumentate dall'autorità in merito alla costanza delle quote di
mercato nel decennio 1990/1999, e la puntuale convergenza dei
prezzi di vendita.
Alcune ricorrenti pretendono di utilizzare tale continuità
quantitativa per desumerne la prova che l'intesa, attuata solo dal
1994, non avrebbe determinato alcun mutamento rispetto al pre cedente andamento. Ma l'autorità ha correttamente messo in ri
lievo che a partire dal 1993 era intervenuta la liberalizzazione
del mercato petrolifero e che, ciò nonostante, grazie alle «con tromisure» adottate dalle imprese, l'assetto del mercato non ha subito modificazioni, sia nella distribuzione delle quote, sia nel l'andamento uniforme dei prezzi. «In un contesto normativo che conferiva finalmente alle società petrolifere la libertà di diffe renziare le proprie strategie di prezzo si è dunque constatato che esse hanno preferito coordinarsi per contrastare l'incertezza sui
rispettivi comportamenti, che il nuovo assetto regolamentativo avrebbe comportato» (par. 328). In altri termini, il mutamento del contesto normativo rende non probante l'argomento dell'as senza di mutamenti nel mercato rispetto al periodo anteriore
(Tar Lazio, sez. I, 31 maggio 2000, n. 4505). 8.4. - Una diversa contestazione investe il criterio di calcolo
della riduzione del c.d. benessere dei consumatori, che l'autorità ha valutato, ai fini della misura dell'ammenda, in circa 1.300 miliardi (al netto delle imposte) ragguagliando il prezzo medio dei carburanti nei paesi dell'Unione europea rispetto al prezzo medio italiano. Secondo alcune ricorrenti l'autorità avrebbe
eseguito una operazione troppo semplicistica non tenendo conto di molteplici fattori variabili che influenzerebbero una valuta zione analitica più accurata.
Va rilevato preliminarmente che la censura non viene corro borata dalla contrapposizione ai dati dell'autorità degli esiti dif formi di altre analisi condotte con le metodologie giudicate più attendibili.
Ciò premesso, è da aggiungere che non ricevono smentita le considerazioni dell'autorità circa la sussistenza nei paesi assunti a raffronto di un aperto giuoco concorrenziale nel mercato pe
II Foro Italiano — 2001.
trolifero, come dimostra l'indice di differenziazione tra i prezzi, che raggiunge percentuali elevatissime mentre in Italia è presso ché inesistente (par. 65). Né va taciuto come l'autorità non ab
bia mancato di verificare la praticabilità del confronto effettua
to, accertando «le comuni tecnologie nei processi di raffinazio
ne, l'omogeneità dei prodotti venduti... e le analoghe tecniche
di distribuzione» (nota 25 al par. 65). Se ne deve dedurre che il computo è stato effettuato secondo
criteri ponderati, nell'esercizio di una competenza tecnicamente
avvertita e professionalmente responsabile, sicché deve essere
ritenuto attendibile fino a prova contraria.
La censura va quindi respinta. 8.5. - In merito alla irrogazione di una sanzione in percen
tuale unica per tutte le ricorrenti, ignorando la differenza tra le
dimensioni economiche delle stesse, alcune ricorrenti denuncia
no la violazione dell'art. 11 1. n. 689 del 1981, perché non se ne
è dedotto un diverso grado di responsabilità. La censura in sostanza assume che la partecipazione ad
un'intesa vietata da parte di un'impresa di ridotte dimensioni
dia luogo ad un evento antigiuridico di gravità minore rispetto a
quello causato dallo stesso comportamento tenuto da una società
di grandi dimensioni. La tesi non può essere condivisa perché il comportamento che
ha formato oggetto della collusione ha avuto carattere unitario
ed ha avuto il fine di pregiudicare l'identico bene pubblico della
libera concorrenza. All'interno della condotta sanzionata pote vano assumere rilevanza, ai fini della graduazione delle respon sabilità, solo diversità di condotta, che nella specie non si sono
verificate, né con riguardo alla concertazione sul controllo del
prezzo né circa la sottoscrizione degli «accordi colore», salvo il
caso Api. La circostanza di ordine quantitativo, per cui l'impresa di ri
dotte dimensioni, in virtù del possesso di una più esigua quota di mercato, ha inciso in misura inferiore sul benessere dei con
sumatori, risulta adeguatamente valorizzata dall'applicazione di
una sanzione pecuniaria, non già di misura fissa, ma calcolata in
percentuale al fatturato, venendosi in tal modo a tenere conto
degli effetti più limitati dell'infrazione. Si è anche lamentato che la rettifica dell'errore materiale, ef
fettuata con nota del 15 giugno 2000, in cui è incorsa l'autorità indicando al par. 345 gli importi del cash flow, con riguardo al
quadriennio 1995-1998, anziché, come dichiarato, al triennio
1996-1998, non abbia indotto ad una riduzione della sanzione, assumendosi che in tal modo non si è tenuto conto delle effetti
ve condizioni economiche delle imprese. La doglianza è frutto di un equivoco, perché le sanzioni ven
nero effettivamente calcolate, fin dall'inizio, sul cash flow del
detto triennio, sicché nella determinazione della sanzione l'au
torità ebbe realmente presente il periodo dichiarato. Risulta,
perciò, del tutto giustificato che non si siano modificate, per quel motivo, le sanzioni applicate.
Per la stessa ragione, è priva di pregio la pretesa all'adozione di nuovo provvedimento per disporre la rettifica, posto che l'er rore non aveva prodotto alcun effetto e la sua correzione non
implicava alcuna nuova determinazione di merito.
9. - In conclusione, va accolto il ricorso della Anonima pe troli italiana s.p.a., e respinti i ricorsi delle altre società ricor renti.
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