Sezione I; sentenza 19 gennaio 1983, n. 47; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Lo Mastro e altri (Avv.Rienzi, D'Inzillo, Vaccari, Canestrelli, Lo Mastro) c. Pres. cons. ministri e altri (Avv. dello StatoMataloni), Soc. S.i.d.a. (Avv. A. M. Sandulli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 439/440-455/456Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176963 .
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PARTE TERZA
Diritto. — Si osserva in primo luogo come la tesi sostenuta
dall'amministrazione regionale del Veneto, secondo cui la 1. sarda
n. 1037 del 5 giugno 1850 (cosi detta « legge Sicardi ») sarebbe
ormai incompatibile con le strutture attuali dello Stato pluralisti co con la conseguenza che l'attività consultiva del Consiglio di
Stato, ivi prevista, sia da ritenersi ormai assorbita nella sfera
delle competenze regionali in materia, non trova alcun fondamen
to nel nostro diritto positivo.
Scopo della legge in parola è infatti quello di evitare il
formarsi in testa a soggetti destinati in via di principio a
un'esistenza perpetua (quali le persone giuridiche) di un'estesa
proprietà immobiliare (c.d. manomorta) la quale verrebbe in
defìnitivamente sottratta, come l'esperienza insegna, al gioco del
libero mercato e allo sfruttamento delle forze imprenditoriali
private. Trattasi dunque di un fine di interesse pubblico e di ordine
economico che appare ancora oggi degno di ogni tutela in quanto volto a sottrarre l'economia dello Stato alle conseguenze oltremo
do dannose di un simile paventato stato di cose.
E si deve aggiungere che questo fine d'interesse pubblico, per il suo carattere generale, non può essere concepito con riferimen
to a determinate situazioni locali.
Ritiene inoltre la sezione che con la delega operata dagli art.
14 e 15 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, dallo Stato alle regioni, dell'esercizio delle funzioni amministrative riguardanti l'acquisto di immobili e l'accettazione di eredità da parte di persone
giuridiche private, non si sia affatto anche operata una modifica
zione nel procedimento amministrativo che per l'esercizio delle
funzioni in parola era in precedenza positivamente stabilito.
Ciò in quanto la delega di funzioni determina solamente una
sostituzione del soggetto competente nell'esercizio della potestà amministrativa (e non anche nella titolarità di essa) che rimango
no, per il resto e salvo diverse disposizioni legislative, disciplinate dalle precedenti norme. L'ente delegato cioè (nel nostro caso la
regione) non va ad esercitare funzioni che siano diventate sue
proprie, ma ad esercitare funzioni dell'ente delegante; a quest'ul timo rimangono, pertanto, i poteri di revoca della delega di
direttiva e di sostituzione nell'esercizio delle funzioni delegate. Sembra dunque evidente come l'ente delegato debba rispettare nel concreto esercizio dei suoi poteri non solo le disposizioni
impartitegli dall'ente delegante ma anche e a maggior ragione le
norme statali che disciplinano il procedimento di emanazione
degli atti delegati, rispetto al quale esso non ha possibilità di
modificazione.
Va inoltre rilevato come l'intervento del Consiglio di Stato nel
procedimento autorizzativo degli acquisti delle persone giuridiche è stato istituito in ragione della specie e del contenuto dell'atto
obiettivamente considerato, prescindendo cioè dalla sua prove nienza. A nulla pertanto rileva che la sua concreta emanazione
sia rimessa a un organo anziohé ad un altro, quando si pensi che
la titolarità del potere è sempre rimasta conservata allo Stato
(con tutti i correlativi poteri) e che il Consiglio di Stato è
istituzionalmente organo di consulenza del governo centrale.
180). E sarebbe davvero singolare che un diverso orientamento dovesse essere seguito per le autorizzazioni rilasciate dalle autorità regionali, cui è dalla Costituzione garantita una sfera di autonomia, la quale sarebbe certamente violata dalla imposizione di un adempimento richiesto dalle leggi in vigore solo in relazione ad atti che debbano essere compiuti da organi statali (Cons. Stato, ad. gen., 24 aprile 1980, n. 30, Foro it., Rep. 1981, voce Consiglio di Stato, nn. 3, 4).
Tanto più che le deleghe disposte con legge dello Stato in favore delle regioni, secondo le previsioni dell'art. 118, 2° comma, Cost., presentano alcuni caratteri peculiari che le rendono difficilmente assi milabili alle deleghe amministrative in senso stretto (sulle quali per tutti, Miele, op. cit., 905 ss.), per cui guadagnando sempre maggiori consensi l'opinione che in tal caso si determini un vero e proprio passaggio di competenze, in virtù del quale la regione acquisterebbe la titolarità delle funzioni delegate pur difettando della correlativa potestà legislativa (Bartole-Vandelli, Le regioni nella giurisprudenza, Bologna, 1980, 37; A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982, I, 214 e 416 ss.; T.A.R. Campania 16 giugno 1976, n. 503, Foro
it., 1977, III, 505, con osservazioni di R. Ferrara, cui si rinvia per ulteriori riferimenti di dottrina).
3. - Tutto quanto si è detto concerne l'autorizzazione ad acquistare immobili e ad accettare donazioni entità o legati, secondo la formula usata dall'art. 17 c.c. che costituisce ormai la disposizione generale in materia. Per la diversa ipotesi (non considerata dal parere in epigrafe), del riconoscimento delle persone giuridiche private da parte delle
regioni, nei casi contemplati dall'art. 14 d.p.r. 616, un obbligo di
previa consultazione del Consiglio di Stato non è addirittura ipotizzabi le non essendo detta formalità imposta dalla legge neppure quando il riconoscimento deve essere effettuato da un'autorità statale (sul punto, per tutti, Landi, op. cit., 1289).
o. Marziale
I
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 19 gennaio 1983, n. 47; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Lo Mastro e altri (Avv. Rienzi, D'Inzillo, Vac
cari, Canestrelli, Lo Mastro) c. Pres. cons, ministri e altri
(Aw. dello Stato Mataloni), Soc. S.i.d.a. (Avv. A. M. Sandulli).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 19 gennaio 1983, n. 47; Pres. Tozzi,
Giustizia amministrativa — Assicurazione obbligatoria per la
responsabilità civile — Determinazione delle tariffe — Associa zioni di utenti — Ricorso — Inammissibilità.
£ inammissibile il ricorso contro i provvedimenti che determina no le tariffe per l'assicurazione obbligatoria per la responsabili tà civile per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a
motore, che sia proposta da associazioni di utenti che risultino
operare a tutela dell'intera categoria, e non a tutela dei loro
iscritti e in base al loro consenso. (1)
(1) La sentenza conferma l'estrema cautela con la quale la giuris prudenza amministrativa ammette la legittimazione di associazioni al ricorso a tutela di interessi collettivi, in particolare escludendo almeno tendenzialmente che possa essere chiesta tutela giurisdizionale ammi nistrativa da parte di una associazione sorta in fatto aggregando alcuni degli interessi, anche omogenei, propri ad una cerchia di soggetti.
Sulla legittimazione a ricorrere contro provvedimenti tariffari di associazioni di soggetti tenuti ai relativi pagamenti, cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 1981, n. 40, Foro it., 1981, IH, 209, con nota di richiami, che, annullando sul punto T.A.R. Lazio, sez. Ili, 4 ot tobre 1980, n. 850, id., 1980, III, 489, con nota di richiami, ha negato l'ammissibilità del ricorso contro le determinazioni del C.i.p. delle tariffe telefoniche, che era stato proposto da alcune associazioni costituite con lo scopo di tutelare gli interessi degli abbonati al servizio. In realtà, però, la linea argomentativa di questo precedente si sviluppa secondo direttrici divergenti: l'articolata motiva zione ha distinto tra abbonati al servizio telefonico e utenti del servizio, ha rilevato la tendenziale coincidenza della categoria degli utenti con tutta la cittadinanza (non trascurando di considerare anche gli stranieri di passaggio), e dunque ha escluso la legittimazione delle associazioni degli abbonati, oltre che per la disomogeneità degli interessi delle varie categorie di abbonati e utenti che esse pretendeva no di rappresentare, soprattutto per la impossibilità di selezionare tali interessi dalla massa degli interessi differenziati (c.d. interessi diffusi), da ritenersi comunque sforniti di tutela.
T.A.R. Lazio, sez. MI, 10 gennaio 1983, n. 21, Trib. amtn. reg., 1983, I, 410, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso contro il piano nazionale delle radiofrequenze, proposto dall'associazione nazionale delle teleradiodiffusioni indipendenti, giacché questa non può essere considerata associazione di categoria per la tutela di interessi collettivi ma associazione di tutela dell'interesse generale alla libera manifesta zione del pensiero; sez. II 16 settembre 1982, n. 876, id., 1982, I, 2731, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro i provvedi menti relativi alla costruzione della centrale nucleare di Montalto di Castro, proposto da un comitato cittadino costituito estemporaneamente, argomentando soprattutto dalla sua presumibile limitata rappresentativi tà della popolazione locale, ossia con un ragionamento sotto questo profilo meno lontano da quello della decisione che ora si riporta.
T.A.R. Emilia-Romagna 13 ottobre 1982, n. 582, Trib. amm. reg., 1982, I, 3472, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una deliberazione regionale in ordine all'applicazione della 1. n. 319/76, proposto dalla federazione regionale coltivatori diretti, sulla base di una serie di considerazioni generali, relative all'impossibilità di rico noscere alle associazioni di categoria la legittimazione a ricorrere a
tutela degli interessi individuali dei loro aderenti, in difetto di uno specifico mandato rappresentativo, che non potrebbe essere individuato nella pura e semplice adesione all'associazione stessa (su questo punto, la pronuncia ora riportata parrebbe più possibilista, perché sembra ammettere che l'associazione di categoria possa agire a tutela degli interessi dei propri iscritti: l'inammissibilità del ricorso delle associa zioni ricorrenti è qui fatta derivare dalla loro pretesa di rappresentare l'intera categoria degli utenti, anche di quelli ad esse non aderenti).
Una certa maggiore apertura alla possibilità che un gruppo organiz zato tuteli gli interessi degli appartenenti ad una collettività è manifestata da T.A.R. Sicilia, sede di Catania, 28 settembre 1981, n. 459, Foro it., Rep. 1982, voce Giustizia amministrativa, n. 370. E soprattutto da T.A.R. Piemonte 1° dicembre 1981, n. 953, ibid., n. 409, che ha ammesso la legittimazione attiva ad impugnare la deliberazione comunale di zonizzazione del territorio ai fini del calcolo dell'equo canone delle locazioni urbane, alle associazioni od altri organismi che abbiano tra i propri fini istituzionali la tutela e la rappresentanza degli interessi delle rispettive categorie dei proprietari e degli affittuari di immobili urbani (sia pure argomentando dal dato per il quale tali associazioni esprimerebbero una propria posizione giuridica qualificata avente carattere di interesse legittimo, non identificabile nella mera risultanza degli interessi degli associati); e in un ordine di idee simile pare essersi posto Cons. Stato, sez. VI, 10 novembre 1981, n. 657, id., 1982, IH, 89, con nota di richiami, che ha dichiarato inammissibile l'intervento adesivo al ricorso contro la determinazione da parte dell'ISTAT delle variazioni dei prezzi al consumo, ai fini dell'aggior namento dell'equo canone, dispiegato dall'Unione piccoli proprietari
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 19 gennaio 1983, n. 46; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; U.i.l. (Avv. D'Inzillo, Canestrelli, Rienzi,
Vaccari) c. Pres. cons, ministri e altri (Avv. dello Stato Maia
loni), Soc. S.i.d.a. (Aw. A. M. Sandulli).
Assicurazione (imprese di) — Responsabilità civile per la circolazione di autoveicoli — Determinazione delle tarif
fe — Commissione consultiva — Nomina — Legittimità —
Fattispecie (D.l. 23 dicembre 1976 n. 857, modifica della
disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità ci
vile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti, art. 11; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. unico).
Assicurazione (imprese di) — Responsabilità civile per la circola zione di autoveicoli — Determinazione di tariffa unica —
Legittimità (D.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. 11; 1. 2ó
febbraio 1977 n. 39, art. unico). Assicurazione (imprese di) — Responsabilità civile per la circola
zione di autoveicoli — Determinazione delle tariffe — Istrutto ria — Legittimità — Fattispecie (D.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. 11; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, art. unico; d.p.r. 24
novembre 1970 n. 973, regolamento di esecuzione della 1. 24 dicembre 1969 n. 990, art. 27; d.p.r. 16 gennaio 1981 n. 45, modificazioni al regolamento sull'assicurazione obbligatoria del la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, approvato con d.p.r. 24 novembre 1970 n.
973, art. 1).
È legittimo il provvedimento con il quale il ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato nomina la commisione consultiva, chiamata ad esprimere un parere su dati obiettivi e utilizzan
do fonti da cui questi devono essere attinti legislativamente prestabiliti, per la determinazione delle tariffe per l'assicurazio
ne obbligatoria per la responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore, scegliendo gli esperti, anche se su designazione dei partiti, secondo il criterio della
competenza tecnica (nella specie, taluno di essi aveva rapporti di lavoro subordinato o professionale con compagnie di assi
curazione), e non quello della rappresentanza degli interessi in
giuoco. (2)
immobiliari, appunto argomentando dalla sua legittimazione alla propo sizione del ricorso in via principale.
In base alla contrapposizione tra legittimazione al ricorso in via principale e legittimazione all'intervento, altri elementi possono trarsi da Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 1980, n. 504, id., 1981, IH, 267, con nota di richiami, che ha ammesso l'intervento ad adiuvandum, nel ricorso contro il decreto ministeriale di divieto di impiego di coloranti ritenuti nocivi nelle tinture per capelli, proposto da un'associazione di categoria che abbia come fine statutario la tutela degli interessi generali del settore '(meno significativo sotto questo profilo, T.A.R. Sicilia, sede di Catania, 10 luglio 1981, n. 380, id., Rep. 1982, voce cit., n. 686).
È evidente che questa problematica, concernente la legittimazione a tutelare gli interessi collettivi di una categoria di soggetti da parte di una associazione più o meno rappresentativa di essi, deve essere tenuta distinta da quella relativa alla tutelabilità degli interessi c.d. diffusi, da parte di strutture (normalmente ma non necessariamente) di tipo associativo e non personificate, aventi per scopo statutario la tutela di tali interesi medesimi, della quale gli episodi più noti hanno visto protagonista «Italia Nostra»: in proposito, v., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 1982, n. 407, id., 1983, III, 136, con nota di richiami, che ha dichiarato ammissibile il ricorso proposto dall'associa zione italiana per il World Wildlife Found, contro il provvedimento che autorizza la caccia nel territorio di un parco nazionale, ma argomentando dalla sua partecipazione alla composizione del comitato tecnico venatorio nazionale (per altri elementi, v., anche T.A.R. Lazio, sez. III, 26 aprile 1982, n. 512, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 382, 687, che contro una concessione mineraria ha ammesso l'intervento, e non il ricorso, di un'associazione privata che persegue statutariamente interessi indifferenziati).
In dottrina, ai numerosissimi scritti in argomento si sono aggiunti da ultimo Santaniello, La tutela degli interessi diffusi dinanzi al giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, III, 1547; Caravita, Interessi diffusi e collettivi, in Dir. e società, 1982, 167; A. Romano, Interesse legittimo e ordinamento amministrati vo, in Atti del convegno celebrativo del centocinquantenario del Consiglio di Stato, 166 ss.
(2) La massima rispecchia la sostanza della controversia sollevata contro la designazione dei componenti della commissione consultiva il cui intervento è previsto nel procedimento di determinazione delle tariffe dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile dei danni provocati dalla circolazione di autoveicoli, da parte di una delle tre confederazioni sindacali (nonché del suo segretario generale in proprio): questa ha affermato l'esigenza che tale commissione rifletta
È legittimo il provvedimento che, dopo il rifiuto dell'approvazio ne delle tariffe per l'assicurazione obbligatoria per la responsa bilità civile per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli
a motore presentate dalle varie imprese, sulla base dell'affer mazione della sostanziale uniformità dei costi, e degli inconve
nienti ai quali darebbe luogo una selezione dei clienti da parte delle imprese stesse, stabilisce per tutte una tariffa unica, e non tariffe differenziate che rispecchino le loro diverse
realtà. (3) È legittimo il calcolo delle tariffe per l'assicurazione obbligatoria
per la responsabilità civile per i danni derivanti dalla circola
zione dei veicoli a motore, e in particolare dei relativi carica
menti, che sia stato operato dalla competente commissione
consultiva sulla base di una analisi crìtica dei dati, anche non
controllati, trasmessi dalle imprese al conto consortile, anche se
molte di esse non abbiano adempiuto all'obbligo di comunicar
li, e di quelli, parimenti non controllati, contenuti nei bilanci
delle imprese stesse, anche se ovviamente interessate ad un
aumento delle tariffe. (4)
III
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 12 gennaio 1983, n. 5; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Scarlatella e altri (Avv. Guarino) c. Min. indu
stria, commercio e artigianato e altri.
Assicurazione (imprese di) — Responsabilità civile per la circola
zione di autoveicoli — Determinazione delle tariffe — Commis
sione consultiva — Assenza di componenti — Legittimità (D.l.
gli interessi in giuoco, negando che la sua composizione possa trovare una legittimazione (diretta) di carattere tecnico e (indiretta) in desi
gnazioni partitiche; e ciò, evidentemente rivendicando quel ruolo delle confederazioni di rappresentanza generale del « sociale », che essi hanno
perseguito in questi anni, come rilevato da una pubblicistica enorme e assai nota, solo in parte di matrice giuridica. La singolarità del
soggetto ricorrente pare trovare un riscontro contrario e simmetrico nel ricorso proposto da un partito contro la designazione da parte di un
consiglio comunale di un rappresentante del comune in un consorzio, dichiarato inammissibile da T.A.R. Lazio, sez. II, 23 febbraio 1983, n.
147, Trib. amm. reg., 1983, I, 811. Per qualche riferimento, v. TA.R. Lazio, sez. I, 13 settembre 1978,
n. 802, Foro it., Rep. 1979, voce Assicurazione (imprese), n. 36, che ha rilevato come le rappresentanze sindacali degli agenti assicurativi possono fornire all'amministrazione utili elementi di conoscenza e di giudizio per la determinazione delle tariffe in questione, anche se non sia prevista la loro partecipazione nel relativo procedimento.
Sulle innovazioni apportate dalla 1. n. 39/77, di conversione del d.l. n. 857/76, al testo originario dell'art. 11 1. n. 990/69, v. il commento di Partesotti, in Nuove leggi civ., 1978, 300.
(3-4, 6-7) Questioni nuove. La questione di costituzionalità della norma che attribuisce al
ministro dell'industria del potere di determinare i caricamenti sui prezzi dell'assicurazione per la responsabilità civile, è stata dichiarata manifestamente infondata da T.A.R. Lazio, sez. I, 13 settembre 1978, nn. 800, 802, 803 (quest'ultima in relazione all'attribuzione di tale potere al ministro, anziché al C.i.p.), Foro it., Rep. 1979, voce Assicurazione (imprese), nn. 33, 36, 37; 14 settembre 1981, n. 700, (in relazione agli art. 23 e 76 Cost.), id., Rep. 1982, voce cit., n. 9.
Le determinazioni ministeriali per il 1978 sono state dichiarate legittime, sotto vari profili, da TA.R. Lazio, sez. I, 13 settembre 1978, n. 801, id., Rep. 1979, voce cit., n. 34, nonché dalla già richiamata sentenza n. 803/78, in particolare {ibid., n. 39), in più specifico riferimento alla massima n. 6, per quel che riguarda la determinazione di limiti minimi e massimi di caricamento per la voce attinente alle spese delle agenzie, senza considerare la loro diversa potenzialità economica, le diverse zone geografiche della loro operatività e la circostanza che solo alcune di loro, e non tutte, operano anche in altri rami assicurativi.
In relazione alla situazione normativa anteriore all'entrata in vigore al d.l. n. 857/76 e alla sua legge di conversione n. 39/77, sulla legittimità del decreto ministeriale di determinazione delle tariffe per il 1974, con decisione di accoglimento parziale, ha statuito Cons. Stato, sez. VI, 25 settembre 1974, n. 260, id., 1975, III, 205, con nota che rileva l'insussistenza di precedenti.
Per riferimenti, v. la giurisprudenza sulla determinazione auto ritativa dei prezzi da parte del competente comitato ministeriale; in particolare, ancora in relazione con la sesta massima, per la tendenziale legittimità di determinazioni uniformi pur nei confronti di aziende strutturalmente e geograficamente differenziate, e comun que operanti con costi divergenti da quelli medi, v. Cons. Stato, sez. VI, 26 febbraio e 2 aprile 1982, nn. 79 e 163, id., 1982, III, 270 e 266, con note di richiami. E, per quel che riguarda, in genere, le esigenze di istruttoria, e di analisi dei dati cosi rilevati, T.A.R. Lazio, sez. Ili, 12 settembre 1977, n. 428, id., 1979, III, 129, nonché 19 marzo 1979, n. 251, e Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 1980, n. 5, id., 1980, III, 269 e 282, con note di richiami.
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PARTE TERZA
23 dicembre 1976 n. 857, art. 11; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, art.
unico). Assicurazione (imprese di) — Responsabilità civile per la circola
zione di autoveicoli — Determinazione delle tariffe — Calcolo dei caricamenti — Legittimità — Fattispecie (D.p.r. 24 no vembre 1970 n. 973, art. 27; d.p.r. 16 gennaio 1981 n. 45, art.
1). Assicurazione (imprese di) — Responsabilità civile per la circola
zione di autoveicoli — Determinazione delle tariffe — Carica menti — Percentuale differenziata — Legittimità.
È legittima la determinazione delle tariffe per l'assicurazione
obbligatoria per la responsabilità civile per i danni derivanti
dalla circolazione dei veicoli a motore, anche se alla seduta, nella quale la competente commissione consultiva ha emesso il
suo parere, non erano presenti tutti i membri. (5) È legittimo il calcolo dei caricamenti da aggiungere ai premi puri
dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile per i
danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore, ai fini della determinazione delle relative tariffe, che sia stato operato secondo una valutazione dei dati e sulla base degli elementi di
giudizio prescritti normativamente, in riferimento ad un model
lo ottimale dei costi di agenzia, e prescindendo dai problemi di
struttura di ciascuna di esse, e dei loro rapporti con le rispettive
imprese. (6) È legittima la determinazione delle tariffe per l'assicurazione
obbligatoria per la responsabilità civile per i danni derivanti
dalla circolazione dei veicoli a motore, in base a calcoli del
caricamento per le spese di agenzia in una percentuale minore
per quelle particolari classi e gruppi di rischi per i quali i
premi sono di importo più elevato. (7)
I
Diritto. — 1. - Il ricorso è stato proposto dall'avv. Lo Mastro e
dal dott. Mannino nella duplice qualità di titolari di polizze
(5) Anche la sentenza n. 5/83 concorda sull'affermazione della sentenza n. 46/83, secondo la quale la commissione consultiva in discussione è composta da esperti, che trovano in questa loro qualità, e non in quella di rappresentanti di interessi, la legittimazione della loro designazione; da questa premessa, comunque, la quinta massima trae una ulteriore e diversa conseguenza di quella considerata dalla seconda massima, in ordine alla quale non si rinvengono precedenti.
In genere, sul problema della determinazione del numero le
gale per la validità delle sedute degli organi amministrativi a struttura
collegiale, la giurisprudenza è orientata nel senso che, in linea di
principio, tali organi non costituiscono collegi perfetti, e cioè che essi
possono deliberare anche se non tutti loro componenti siano presenti (purché regolarmente convocati): T.A.R. Abruzzo 7 dicembre 1979, n. 499 (in relazione ad un comitato provinciale prezzi), Foro it., Rep. 1980, voce Atto amministrativo, n. 32; T.AjR. Emilia-Romagna 29
gennaio 1976, n. 24 (in relazione alla commissione per i ricorsi in materia di conferimento di incarichi e supplenze nelle scuole e degli istituti di istruzione secondaria, che pure è un organo decisorio), id., Rep. 1976, voce cit., n. 55; T.A.R. Abruzzo 9 aprile 1975, n. 36 (in relazione al consiglio di amministrazione dell'ente autonomo parco d'Abruzzo), id., Rep. 1975, voce cit., n. 36; Cons. Stato, sez. IV, 23 febbraio 1971, n. 155 (in relazione alla commissione centrale di
vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, art. 16), id., Rep. 1971, voce cit., n. 16; 22 ottobre 1969, n. 589 (in relazione al consiglio di amministrazione dell'ENPAS), id., Rep. 1969, voce Deliberazioni am
ministrative, n. 4; 3 maggio 1967, n. 168 (in relazione al comitato centrale per l'albo nazionale dei costruttori), id., 1967, III, 486, con nota di richiami. Per implicito, nello stesso senso v., anche, C. conti, sez. contr., 5 giugno 1974, n. 572, id., Rep. 1975, voce Atto
amministrativo, n. 35. Inoltre, per specifiche qualificazioni come collegi imperfetti della commissione per l'assegnazione delle terre incolte, v. T.A.R. Puglia, sede di Lecce, 29 settembre 1982, n. 346, Trib. amm.
reg., 1982, I, 3225; e dei consigli di amministrazione presso i ministeri, Cons. Stato, sez. Vii, 6 maggio 1977, n. 401, Foro it., Rep. 1977, voce
cit., n. 39. La giurisprudenza, come eccezione al principio suddetto, pone
esplicitamente le commissioni giudicatrici dei concorsi: T.A.R. Campa nia 16 novembre 1977, n. 886, id., Rep. 1978, voce cit., n. 29 (alle
quali sono stati assimilati i consigli di facoltà quando deliberano
sull'assegnazione di incarichi di insegnamento universitario, da T.A.R.
Sicilia, sede di Catania, 27 ottobre 1979, n. 489, id., 1981, III, 103, con nota di richiami); e gli organi collegiali decidenti richiami in
forma contenziosa: Cons. Stato, sez. IV, 23 ottobre 1970, n. 706, id., Rep. 1970, voce cit., n. 25.
In più diretto riferimento con la linea argomentativa della motiva
zione della sentenza ora riportata, Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 1977, n. 178, id., Rep. 1977, voce cit., n. 35, ha individuato come ipotesi
derogatoria al principio secondo il quale i collegi amministrativi non
sono perfetti, i collegi che abbiano ima precisa funzione rappresentati va degli interessi di vari enti o categorie e siano composti in modo da consentire la valutazione e la compensazione di interessi perseguiti con la speciale composizione dell'organo.
assicurative per la R.C.A. (di cui hanno fornito gli estremi) e di
legali rappresentanti, rispettivamente, del «coordinamento dei co mitati per la difesa degli utenti » e della « associazione a difesa
degli utenti delle assicurazioni per la responsabilità civile ». Il secondo titolo di legittimazione è stato contestato dall'ammi
nistrazione resistente, la quale ha conseguentemente eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto proposto nel presupposto della sua esistenza.
L'eccezione è fondata nei termini che in seguito saranno
chiariti, non essendo pertinente al caso di specie il richiamo, effettuato dai ricorrenti nel corso della discussione orale, alla necessità di garantire la tutela giurisdizionale anche ai cosiddetti interessi diffusi.
Il fenomeno, al quale convenzionalmente ci si riferisce con tale
locuzione, riguarda infatti le utilità che pertengono identicamente e indivisibilmente ad una pluralità di soggetti, nessuno dei quali pertanto ne ha la totale disponibilità. Esse, in quanto indifferen
ziate, possono trovare ingresso nel processo amministrativo, che è
predisposto a protezione dell'interesse legittimo (cioè dell'interesse riconosciuto come proprio di un determinato soggetto, sia esso un
singolo o una collettività qualificata), a condizione che siano
personalizzate, cioè rappresentate e gestite da un organismo che, avendole fatte emergere dall'indistinto giuridico, le propone come
proprie. Nel caso di specie non si può parlare di interesse diffusi o
indifferenziati giacché i provvedimenti impugnati incidono su
posizioni giuridiche immediatamente e direttamente tutelate dal
l'ordinamento come proprie dei rispettivi titolari (i possessori di
polizze per l'assicurazione R.C.A.) e, di conseguenza, legittimano ciascuno di questi ultimi a rappresentare al giudice amministrati
vo la lesione del proprio, particolare, qualificato interesse.
Questo non significa che i titolari di interessi similari e
immediatamente protetti non possono affidarne la gestione e la
tutela ad un organismo che li rappresenti unitariamente ma il
fenomeno, che in questo caso si evidenzia, non è quello dell'inte
resse diffuso o indifferenziato o indistinto, ma semmai quello
dell'autonomia collettiva, cioè della rinuncia da parte del singolo
alla gestione personale del proprio particolare e qualificato inte
resse e del suo affidamento ad un ente perché lo gestisca, di
fronte ai terzi, unitamente agli altri interessi similari.
Senonché questo affidamento va dimostrato. In altri termini,
mentre nel campo dell'interesse diffuso potrebbe, al limite, consi
derarsi sufficiente l'autoqualificazione di ente esponenziale del
suddetto interesse da parte dell'organismo che si è preoccupato di
farlo emergere dall'indistinto giuridico e che ne ha assunto la
rappresentanza, nel campo degli interessi individuali già protetti dall'ordinamento (in quanto riconosciuti come propri dei rispettivi
titolari) l'assunzione della loro gestione e rappresentanza da parte
dell'organismo non può prescindere dalla dimostrazione, sia pure
indiretta, e indiziaria, del consenso a tale operazione da parte dei
titolari stessi, di quel consenso cioè che sia pure sotto forme
diverse (l'iscrizione, il voto, ecc.) viene richiesto per qualsiasi
organismo di base (partiti, sindacati, ecc.).
In un ordinamento, che assume libertà e certezza come suoi
dati caratterizzanti, non è infatti ammissibile l'espropriazione di
un interesse personale da parte di un terzo (anche se altissime
sono le sue motivazioni) al di fuori del consenso dell'avente
diritto, la cui inerzia nei confronti dell'atto svantaggioso che lo
ha colpito deve essere interpretata (in mancanza di prove contra
rie) come libera valutazione del modo di gestire il proprio interesse.
Né tanto meno è ammissibile che questo terzo chieda al
giudice di ufficializzare un riconoscimento, che non dimostri di
aver già ottenuto dalla base.
Nel caso di specie il ricorso proposte? dal « coordinamento » e
dalla « associazione » sarebbe certamente ammissibile se questi
organismi, qualificandosi come espressione di autonomia colletti
va, avessero dichiarato di agire nell'interesse dei propri iscritti,
ciascuno portatore di una posizione qualificata e direttamente
protetta. In questo caso il loro ricorso svolgerebbe, sostanzialmen
te, le veci del ricorso collettivo. Diventa invece inammissibile in
quanto, al di fuori di qualsiasi mandato, essi si propongono come
rappresentanti di tutti gli utenti, sostituendo la loro valutazione
alla libera scelta di venti milioni di titolari dell'interesse legitti mo. (Omissis)
II
Diritto. — 1. - Deve essere dichiarata la inammissibilità del
ricorso proposto dal signor Giorgio Benvenuto « in proprio », non
avendo quest'ultimo né dichiarato né comunque provato di essere
titolare di polizza assicurativa per la R.C.A.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
2. - Deve inoltre essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso
incidentale proposto dalle controinteressate S.i.a.d.a. s.p.a. e Al
leanza Securitas Esperia s.p.a. Nel processo amministrativo il ricorso incidentale può essere
proposto da colui che, avendo ricevuto un vantaggio dal provve dimento impugnato, possegga un interesse qualificato alla conser
vazione di tale vantaggio (e, quindi, del provvedimento che glielo ha procurato) e tende, attraverso l'inserimento nel giudizio di un
thema decidendum accessorio, ma non autonomo, rispetto a quello
proprio del ricorso principale, a paralizzare le possibilità di
accoglimento di quest'ultimo, prospettando una ragione ostativa
alla positiva definizione delle censure con esse svolte. È quindi necessario, per l'ammissibilità del ricorso incidentale, che dall'ac
coglimento di quello principale il controinteressato veda compro messa la propria posizione sostanziale, quale risulta dall'atto
impugnato. Nella specie invece le ricorrenti incidentali non mirano —
paralizzando con propri motivi di ricorso le pretese dei ricorrenti — a conservare il vantaggio che gli atti impugnati hanno loro
procurato, ma a conseguire ulteriori vantaggi prospettando una
lesione della propria sfera giuridica, che esse avrebbero dovuto
far valere in via principale, attraverso un autonomo ricorso
proposto entro i termini di decadenza.
3. - Sostiene la ricorrente U.i.l. (primo motivo, prima parte) che,
poiché il parere della commissione di cui all'art. 11 1. 26 feb
braio 1977 n. 39 sostituisce quello della commissione centrale
prezzi, e l'attività che essa svolge è analoga a quella di compe tenza di quest'ultima, il ministro nel procedere alla nomina dei
cinque esperti avrebbe dovuto assicurare la presenza in seno
all'organo collegiale di rappresentanti di lavoratori e degli utenti
assicurati. Invece il ministro non solo ha proceduto alle nomine
senza tener conto degli interessi di questi ultimi, ma non si è
neppure dato carico di trovare esperti neutrali, cioè non interes
sati al risultato del lavoro affidato alla commissione, dal momento
che molti degli esperti hanno rapporti di lavoro subordinato o a
carattere professionale con compagnie di assicurazione.
La censura è infondata.
L'intento perseguito dall'art. 11 legge cit., nell'istituire la com
missione e nel prescriverne la composizione, non è stato quello di
creare un organismo nel quale possano preventivamente trovare
composizione ed assetto i contrastanti interessi economici, che
sottostanno ad un provvedimento tariffario, bensì quello, molto
più limitato, di porre a disposizione del ministro un organo tecnico dal quale questi possa attingere i dati obiettivi necessari
per formulare al C.i.p. la nuova proposta tariffaria.
Il carattere tecnico-consultivo dell'organo collegiale e l'assun
zione da parte del ministro della responsabilità della proposta rendono pertanto non pertinente il richiamo alla composizione della commissione centrale prezzi, che è un organo investito di
diverse e più penetranti funzioni.
Deve peraltro aggiungersi che gli art. 4 d.l. lgt. 23 aprile 1946
n. 363 e 5 d.l.c.p.s. 15 settembre 1947 n. 896, nel dettare la
composizione della suddetta commissione, tengono nettamente di
stinti gli esperti dai rappresentanti degli interessi pubblici e
privati, a riprova della profonda differenza che esiste fra la
posizione di colui che interviene come portatore di superiori ■conoscenze ed esperienze in una determinata materia e quella di chi è presente al dichiarato scopo di vigilare affinché la disciplina, che si vuole dare alla materia, non trascuri l'interesse che egli rappresenta.
Di conseguenza deve considerarsi legittimo il comportamento del ministro che, chiamato dall'art. 11 1. cit. alla nomina di
cinque « esperti », adotta come criterio di scelta quello della
competenza tecnica, anziché quello della rappresentanza degli interessi in gioco.
4. - Non può neppure essere seguita la ricorrente allorché, nei confronti di tre dei cinque esperti, ravvisa un'incompatibilità
giuridica a far parte dell'organo collegiale per il fatto di essere
legati da rapporti di lavoro subordinato o autonomo con non
bene precisate compagnie di assicurazione, il che farebbe presu mere (« presunzione di diritto ») una loro parzialità nel fornire al
ministro i dati necessari per formulare la proposta. Ed invero, i criteri con i quali deve essere valutata la composi
zione di un collegio, investito di meri compiti istruttori e di
consulenza, non possone avere lo stesso grado di rigidità di quelli ai quali si è soliti fare riferimento allorché si tratta di un organo deliberante, che si muove nell'ambito di vasti spazi di discreziona
lità e che con le sue determinazioni è in grado di incidere direttamente ed autonomamente sulla sfera giuridica dei destina tari.
La commissione di cui all'art. 11 1. cit. è chiamata, in definiti
va, ad esprimere il parere tecnico, che il ministro è libero di
Il Foro Italiano — 1983 — Parie HI-32.
recepire o no nel momento in cui predispone la proposta tariffa
ria per il C.i.p. Inoltre il contenuto di questo parere non è
completamente abbandonato alla libera valutazione dell'organo
collegiale, dal momento che la legge indica specificamente sia i
dati obiettivi sui quali esso si deve fondare sia le fonti dalle
quali questi dati devono essere attinti. Di conseguenza, a prescin dere dal reciproco controllo che nell'ambito di un organo di
estrazione composita ciascun membro è in grado di esercitare
sugli altri, il solo pericolo che si può verificare non è quello, meramente teorico prospettato dai ricorrenti, di una parzialità da
parte di qualche esperto nella rilevazione dei dati obiettivi, bensì
quello concreto che qualcuno dei dati indicati dalla legge sia
omesso o alterato. Ma in questo caso non è la posizione
dell'esperto che viene in rilievo, bensì il suo comportamento, censurabile sotto il profilo sia amministrativo che penale.
Ed è sintomatico, a questo riguardo, il fatto che i ricorrenti,
pur avendo avuto a loro disposizione tutta l'enorme documenta
zione elaborata dalla commissione, non siano stati in grado di
formulare una sola censura atta a denunciare il comportamento
parziale e comunque scorretto di qualcuno degli esperti.
5. - Non è in grado di condurre a diverse conclusioni l'affer
mazione delle controinteressate, non provata ma subito ripresa dalla ricorrente a sostegno della propria doglianza, secondo cui i
tre esperti di cui innanzi si è detto sarebbero stati nominati dal
ministro su designazione dei partiti politici, ai quali gli stessi
sarebbero iscritti.
Innanzitutto, dal momento che il rilievo tende sempre a
sottolineare una presunta parzialità dei suddetti esperti, valgono anche a questo riguardo le considerazioni già svolte.
Vale peraltro anche la pena di aggiungere, per fugare il tono
vagamente scandalistico con il quale si è inteso descrivere e
commentare la vicenda, che nel nostro sistema costituzionale i
partiti politici rappresentano il massimo canale di comunicazione
fra governanti e governati, che la funzione che essi svolgono è
anche quella di controllare l'attività degli organismi di governo, ohe le finalità che perseguono sono tendenzialmente identiche a
quelle proprie dello Stato in cui operano, che gli interessi che
curano sono quelli dell'intera collettività, anche se di fatto può
divergere, da partito a partito, l'interpretazione di questi interessi
e, soprattutto, il giudizio in ordine ai mezzi più idonei a
realizzarli.
L'intervento dei partiti politici non può essere quindi valutato alla stregua di quello dell'abusivo che si intromette in una
vicenda ad esso estranea, per trarne vantaggi non consentiti,
trattandosi di quegli organismi di base fondamentali attraverso i
quali l'intera collettività esercita il controllo sull'attività di
governo, controllo in definitiva auspicato dagli stessi ricorrenti.
Ciò premesso, e sempre nell'ipotesi che quanto denunciato sia
veramente accaduto, non si vede quale illegittimità avrebbe com
piuto il ministro. Il problema non è infatti quello di stabilire, se
il ministro « ha fatto bene » o « ha fatto male » ad interpellare i
partiti, ma solo quello di verificare quali norme ha violato, quali
principi ha trascurato e, soprattutto, quali interessi di parte i tre
esperti hanno concretamente dimostrato di aver curato e protetto, in contrasto con la loro funzione e i loro doveri.
6. - Per le ragioni sopra esposte deve essere dichiarata la
manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dedotta in via subordinata nei confronti dell'art. 11 1. 26 febbraio
1977 n. 39 (primo motivo, seconda parte). Non sussiste infatti
contrasto con l'art. 3 Cost, dal momento che la norma in
questione, nel dettare la composizione della commissione in
questione, non ha inteso privilegiare alcun interesse di parte, ma
solo garantire al ministro la collaborazione di un organo tecnico.
Non sussiste neppure contrasto con l'art. 97 Cost, dal momento
che la massima garanzia che la nonna poteva offrire agli utenti
dell'assicurazione per la R.C.A. è data proprio dal criterio di
professionalità imposto per la scelta dei componenti l'organo
collegiale.
7. - La definizione del secondo motivo di ricorso impone un
preliminare chiarimento su due punti. Il primo riguarda l'affermazione di principio, che la ricorrente
ha premesso allo svolgimento della propria doglianza, secondo la
quale « i principi che ispirano la legge sono chiaramente di
natura liberista e mirano ad agevolare la normale concorrenza
fra le imprese ».
11 secondo concerne, più specificamente, la congruenza della
suddetta affermazione rispetto all'obiettivo coltivato dai ricorrenti, che è poi quello di ottenere che gli utenti possano liberamente
scegliere fra prezzi differenziati in ragione della diversa potenzia lità economica e capacità organizzativa delle imprese operanti sul
mercato.
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PARTE TERZA
Per quanto riguarda il primo punto ritiene il collegio di poter affermare che se esiste una legge che ripudia alla radice i
principi classici dell'economia liberista e che di tutto si preoccupa, fuorché di garantire alle imprese la possibilità di operare in un
regime di libera concorrenza, questa è proprio la 1. n. 990/69. È noto infatti che un regime di libera concorrenza postula
quanto meno la concorrenza di due condizioni minime, e cioè: a) la piena libertà per gli operatori di contrattare con chi ognuno ritiene più conveniente nel proprio interesse; b) la piena libertà
di fissare il prezzo che si ritiene di chiedere o si è disposti a
pagare, in cambio di un bene o di un servizio.
Nel sistema della legge succitata non solo l'impresa è obbligata a stipulare con qualsiasi cliente, ma gli spazi di discrezionalità ad
essa riconosciuti nel determinare l'entità del « proprio prezzo »
sono praticamente inesistenti, dal momento che i dati significativi a questo riguardo sono rigidamente individuati dalla legge e la
verifica sugli stessi è totalmente affidata al potere pubblico, al
quale compete pure fissare il compenso per l'alea d'impresa.
In questo sistema, dominato dal potere pubblico e chiaramente
influenzato dal rilievo preminente che si è inteso dare all'interesse
generale, il richiamo a principi liberisti e a regimi di libera
concorrenzialità sembra quanto meno fuori luogo.
La verità è che la 1. n. 990 del 1969 riflette, a questo riguardo, il dibattito di idee che si ebbe alla vigilia della istituzione della
assicurazione obbligatoria per la R.C.A e che riguardò l'opportu nità di affidare la sua gestione ad una struttura pubblica ovvero di conservarla alla mano privata, sia pure con gli aggiustamenti resi necessari dai caratteri peculiari dell'assicurazione, per alcuni
profili molto vicini a quelli propri delle assicurazioni sociali. La
scelta legislativa alla fine si orientò per la seconda soluzione, ma è indubbio che la legge, nelle sue strutture portanti, conserva chiari i segni di un originario disegno innovatore, che all'epoca non si ritenne realizzabile ma che si manifestano nella presenza massiccia del potere pubblico che, seppure indotto a servirsi di
strutture operative private, rivendica a sé il governo (e non solo il controllo) dell'assicurazione.
In questa prospettiva il richiamo all'obbligo imposto a ciascuna
impresa di presentare una propria tariffa per l'approvazione assu me un valore molto marginale; in sostanza il potere pubblico vuole conoscere gli strumenti con i quali ciascuna impresa si propone di operare sul mercato, ma nello stesso tempo riserva a sé il
giudizio tecnico finale sulla congruità di tali strumenti e la
possibilità di sostituirli autoritativamente con altri, ove la valuta zione in ordine ai primi sia negativa.
8. - Il secondo punto, sul quale pure merita brevemente
soffermarsi, riguarda la utilità del richiamo effettuato dalla ricor rente ad un presunto regime di libera concorrenzialità, codificato dalla legge, in vista del risultato concreto ad essi auspicato (la possibilità per l'utente di scegliere fra prezzi differenziati).
È, infatti, principio base in materia economica che il sistema di libera concorrenza porta, nel breve periodo, ad un prezzo unico
per tutti e all'equilibrio del mercato. Ed invero, se chi deve
comprare ha piena libertà di scelta fra i numerosi venditori della stessa merce o servizio, nessuno di questi potrà mantenere il
prezzo ad un livello più alto dei propri concorrenti, perché non troverebbe compratori o utenti disposti a fornirsi da lui. Nello stesso tempo, però, se colui che deve vendere è libero di scegliere fra molti compratori, non si piegherà alla richiesta di chi vuole
comprare da lui ad un prezzo più basso di quello che sono
disposti a pagare gli altri clienti. In questo modo il prezzo di un bene o di un servizio non solo tenderà ad essere unico in tutto il
mercato, ma si attesterà su quel livello medio che rappresenta il
punto di convergenza di tutte le domande e di tutte le offerte simultaneamente offerte (cosiddetto prezzo di equilibrio). Il risul
tato, che in questo modo si viene ad ottenere, non solo è
l'opposto di quello al quale la ricorrente tende, ma è proprio quello che essa imputa all'amministrazione di aver illegittimamen te realizzato, trascurando le diverse peculiarità delle singole imprese operanti sul mercato assicurativo.
9. - Ciò premesso va anche chiarito che l'ambito della censura da definire non si estende alla valutazione del comportamento tenuto dalle imprese, sostituendo al regime legale delle tariffe differenziate un « cartello di fatto », realizzato attraverso la pre sentazione di una pluralità di tariffe di identico contenuto e,
quindi, sostanzialmente concordate fra di loro. Ed infatti la stessa ricorrente pur avendo dedicato ampio spazio a stigmatizzare tale
comportamento, si è premurata di avvertire che « non è questo il
problema », dal momento che le tariffe in questione non sono state approvate, ma sostituite d'autorità da un'unica tariffa
predisposta dall'amministrazione, che costituisce l'oggetto della
impugnazione.
Di conseguenza il thema decidendum è quello fissato con
estrema chiarezza dalla ricorrente, e cioè se l'amministrazione —
« di fronte ad un comportamento scorretto o contabilmente non
accettabile dalle imprese » — possa imporre a queste ultime
un'unica tariffa valida per tutte (com'è accaduto nella specie) ovvero debba sostituire ciascuna delle tariffe non approvate con
una tariffa autoritativa, che rifletta la diversa realtà delle singole
imprese assicuratrici.
La precisa individuazione dell'ambito della censura rende per tanto superflui, agli effetti della sua definizione, gli ampi richiami
effettuati da tutte le parti in causa alle facoltà riconosciute e ai
limiti imposti alle imprese, dovendosi unicamente considerare i
poteri di cui dispone l'amministrazione nel momento in cui
decide di imboccare la strada della determinazione tariffaria
autoritativa.
Ritiene il collegio che il richiamo effettuato dall'art. 11 1. cit.
ad « altre tariffe », in sostituzione di quelle proposte dalle impre se e non approvate, non comporta vincoli per l'amministrazione, ma lascia alle sue valutazioni di ordine tecnico la scelta della
soluzione più adeguata all'interesse generale, che si identifica
senza riserve nell'interesse dei venti milioni di utenti, ai quali l'assicurazione è imposta.
L'errore da evitarsi è quello di interpretare la 1. del 1969
secondo un'ottica mercantilistica, come se la principale preoccu
pazione del legislatore — nell'istituire l'assicurazione obbligatoria
per la R.C.A — sia stata quella di creare un nuovo mercato per le imprese private, che queste possono liberamente gestire secon
do i propri calcoli di convenienza, riservandosi al potere pubblico il solo compito di verificare che il compenso preteso da ciascun
operatore economico sia adeguato alla qualità del servizio che è
in grado di rendere.
Questa logica va completamente ribaltata. È il potere pubblico, al quale spetta il governo dell'assicuarzione obbligatoria, che deve
fissare — su un piano generale e nell'interesse della generalità
degli utenti — le condizioni alle quali le imprese devono soggia cere se vogliono operare o continuare ad operare nel settore della
R.C.A.
Pertanto, fra le due soluzioni tecnicamente possibili (una tariffa
unica e più tariffe differenziate) sarà di volta in volta legittima
quella che, nella valutazione dell'amministrazione, garantisca a
tutti gli utenti l'efficienza e la funzionalità del servizio, ne
determini il prezzo con esclusivo riferimento a costi documentati
ed ammissibili, in modo da evitare qualsiasi tentativo di specula zione (e questi possono verificarsi, come l'esperienza degli ultimi
anni ha insegnato, anche attraverso temerarie operazioni di ribas
so dei prezzi), distribuisca infine nella maniera più equa ed
uniforme possibile il costo globale del servizio tra l'intera massa
degli utenti, senza creare fra questi privilegi in conseguenza di
più favorevoli situazioni ambientali.
In questo modo il problema diventa di specie, cioè di verifica della congruenza delle ragioni per le quali l'amministrazione ha
deciso di optare per una soluzione anziché per un'altra, nonché
di valutazione dell'istruttoria compiuta dalla stessa al fine di
stabilire il prezzo che può essere chiesto all'utente.
Per quanto attiene al primo profilo, le ragioni della scelta per la tariffa unica sono state chiarite dall'amministrazione e sono
esenti da vizi logici, gli unici che il giudice della legittimità è in
grado di sindacare.
Ha osservato in proposito la commissione che, data la sostan
ziale uniformità dei costi, ai quali vanno incontro le diverse
compagnie operanti sul mercato, tariffe differenziate per quanto attiene al « premio puro » potrebbero essere giustificate solo da
una politica aziendale volta a selezionare i clienti, la quale però
crea, nel breve periodo, i presupposti perché la selezione non si
possa più fare e lo strumento tariffario non risulti più adeguato a
fronteggiare i diversi costi di un servizio preteso da clienti non
più selezionati.
Il « sofisma elegante », sul quale ironizza la ricorrente, è in
realtà una legge economica precisa. La commissione non ha detto
che, nell'attuale sistema, è consentito alle imprese operare una
selezione personale, ma che tariffe differenziate sarebbero possi bili solo ove esse avessero il potere di realizzarle.
Ha peraltro aggiunto che, ove talune imprese potessero selezio nare la clientela e praticare, di conseguenza, tariffe più basse,
queste ultime avrebbero l'effetto immediato di richiamare una
clientela più vasta ed eterogenea, che le suddette imprese non
avrebbero i mezzi giuridici per respingere. Di conseguenza, le
tariffe da esse predisposte per fronteggiare i rischi selezionati non
sarebbero in grado di coprire i nuovi e diversi rischi non
calcolati, e ciò toglierebbe agli utenti la sicurezza dell'intervento
riparatore, che è il bene che la p.a. deve tutelare.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
10. - Il secondo profilo da considerare riguarda l'istruttoria
compiuta dall'amministrazione che secondo la ricorrente, sarebbe
carente e non obiettiva avendo utilizzato i dati parziali e non
verificati del conto consortile, nonché quelli (anch'essi non con
trollati) contenuti nei bilanci delle compagnie di assicurazioni, ovviamente interessate ad un aumento delle tariffe (terzo motivo).
Anche questa censura è infondata.
In primo luogo la ricorrente non indica a quali altre fonti
l'amministrazione avrebbe dovuto attingere per sostituire o com
pletare i dati che in effetti essa ha utilizzato.
In secondo luogo ella stabilisce un illogico nesso di interdipen denza tra l'obbligo che incombe sulle imprese di trasmettere al
conto consortile le informazioni relative alla gestione R.C.A. e
l'obbligo che incombe sull'amministrazione di predisporre una
tariffa sulla base dei dati disponibili. L'inosservanza del primo
obbligo può determinare interventi sanzionatori a carico delle
imprese inadempienti (cosi come in effetti è avvenuto), ma non è
in grado di incidere sull'autonomo obbligo per l'amministrazione
di predisporre la nuova tariffa sulla base delle informazioni, se
pure incomplete, di cui dispone, ove queste siano in grado di
fornire un'immagine sufficientemente rappresentativa dell'anda
mento della gestione. Nella sua relazione la commissione ha indicato sia il metodo di
rilevazione seguito sia gli elementi di cui ha potuto disporre. Ha
dichiarato di aver utilizzato « quasi esclusivamente i dati del
conto consortile » perché solo quest'ultimo, con la richezza di
informazioni raccolte e « controllate », era in grado di fornire il
supporto statistico necessario per la costruzione della nuova
tariffa. « Solo i dati forniti dal conto ... si presentano con l'artico
lazione necessaria ad individuare i livelli di costi di tutte le
singole combinazioni tariffarie; ... sono stati sottoposti a controlli
di compatibilità, che permettono di escludere l'utilizzazione dei
dati fortemente distorti; consentono di ricostruire, per le genera zioni di sinistri antecedenti a quelli del 1979, il costo dei puri indennizzi, operazione questa necessaria da quando la legge ha
trasferito il finanziamento delle spese di liquidazione dal premio
puro ai caricamenti ».
Nello stesso tempo la commissione ha dato atto che il conto non era in grado di fornire tutte le informazioni ricevute dalle
imprese, giacché « al 31 dicembre 1980 le comunicazioni in corso di regolazione erano il 20 % del totale » e, conseguentemente, si è posta il problema « della rappresentatività dei dati utilizzati », risolvendolo in senso positivo, attesa « l'altissima dimensione del
campione » comunque a disposizione. Ha quindi provveduto a
raffrontare i dati del conto con quelli desumibili dai bilanci delle
imprese ed ha spiegato le ragioni dei lievissimi spostamenti talvolta rilevabili, garantendo la sostanziale « corrispondenza dei
dati... ricavati dalle due fonti ».
A questa metodologia di indagine, sindacabile nella sede giuris dizionale solo sotto il profilo dell'illogicità manifesta e del
travisamento dei fatti, la ricorrente in effetti non oppone che
meri sospetti ed interrogativi che vorrebbero essere inquietanti, senza però indicare con chiarezza al giudice quale è il metodo o il procedimento ohe l'amministrazione avrebbe dovuto seguire per non incorrere nelle illegittimità denunciate.
11. - Gli stessi generici sospetti, poco utili al giudice ammini strativo che, non disponendo di poteri inquisitori, deve necessa riamente procedere sulla base delle censure dedotte e delle prove offerte, vengono avanzati a proposito della misura dei caricamenti
(quarto motivo). Si afferma, in sostanza, che « non è istruttoria » e, quanto
meno, non è « seria » istruttoria quella compiuta dalla commis sione giacché nessuno ha messo « in discussione » l'attendibilità delle dichiarazioni contabili delle assicurazioni, perché « si ignora se i membri della commissione dipendenti dalle compagnie di assicurazione abbiano partecipato alla redazione dei bilanci », perché infine « non risulta che il ministro o il conto consorti le ... abbia effettuato verifiche ed ispezioni, su quante compagnie e con quali risultati » e « indagini quanto meno a campione per saggiare il grado di affidabilità dei bilanci », in mancanza delle
quali « la controparte non può (ai fini che qui interessano)
allegare una presunzione di innocenza ».
Si può osservare, in senso contrario, che le fonti dalle quali la
commissione ha attinto i dati necessari per qualificare la misura dei caricamenti sono quelle indicate dall'art. 27, 2° comma, d.p.r. 24 novembre 1970 n. 973, nel testo sostituito dall'art. 1 d.p.r. 16
gennaio 1981 n. 45 che fa appunto riferimento ai bilanci « ve
rificati » delle imprese. La procedura seguita dall'amministrazione è pertanto corretta, perché conforme alla norma, né si possono individuare motivi di illegittimità nel suo operato per il solo fatto che essa non ha dubitato dell'attendibilità dei bilanci « verifica ti ».
Per quanto poi attiene al controllo sui bilanci delle imprese, esso
è compito istituzionale dell'autorità di vigilanza che non deve
essere svolto necessariamente alla vigilia dell'approvazione della
tariffa, ponendosi cosi come condizione della sua legittimità. Il
fatto che, ad avviso dei ricorrenti, il controllo in questione non
sia stato svolto dal ministero e dal conto consortile contestual
mente alla determinazione della misura dei caricamenti, non
significa che esso non sia stato svolto neppure in precedenza. In definitiva l'amministrazione ha attinto le informazioni neces
sarie dalle fonti previste dalla normativa in materia. Ciò è
sufficiente agli effetti della regolarità della procedura amministra
tiva. Se poi la ricorrente ritiene ohe queste fonti erano state in
precedenza manipolate, il giudice al quale deve rivolgersi è quello
penale. 12. - Il quinto motivo di ricorso è anch'esso infondato.
Le ragioni per le quali la commissione ha fatto riferimento ai
dati al 31 dicembre 1980 sono intuitive e non richiedevano di
essere esplicitate: si tratta evidentemente dell'ultimo esercizio
concluso e con bilanci approvati, in grado di offrire all'organo
collegiale (che ha cominciato ad operare nel novembre 1981) dati
sicuri e definitivi riflettenti l'intera gestione, laddove il successivo
esercizio (il 1981) non avrebbe potuto fornire che elementi parziali e poco rappresentativi agli effetti della predisposizione di uno
strumento tariffario destinato ad operare nel futuro.
Le imprese escluse dal raggruppamento statistico 1980 erano
quelle che, contravvenendo a precise disposizioni di legge, non
avevano provveduto a trasmettere al controllo consortile le in
formazioni dovute ovvero quelle che avevano fornito informazio
ni poco coerenti e in modo tale da impedire la elaborazione
elettronica; è contraddittorio a questo proposito l'atteggiamento dei ricorrenti che da un lato contestano la scarsa attendibilità dei
dati sulla quale l'amministrazione ha operato e poi imputano a
quest'ultima di non aver considerato le informazioni che essa
stessa dichiara essere poco attendibili.
Le ragioni per le quali il gruppo statistico 1980, originariamen te formato da 85 compagnie, si è successivamente ristretto ad un
raggruppamento minore, sono state chiarite dalla commissione
nella sua relazione: dovendo procedere all'indagine sulla frequen za di eliminazione dei sinistri e sui relativi costi essa ha
giustamente preteso « una regolarità ed una completezza di infor
mazioni su tutte le generazioni di sinistri nati in regime di
obbligatorietà (cioè, praticamente, dal 1972) ». Non tutte le com
pagnie operanti sul mercato avevano provveduto a trasmettere al
conto consortile, sin da quella data, le informazioni necessarie;
necessariamente la commissione ha fatto riferimento alle 45
compagnie che avevano adempiuto sin dall'inizio all'obbligo di
trasmissione, non disponendo di altri fonti complete dalle quali
attingere. Resta comunque il fatto ohe alla persistente denuncia
circa la incompletezza dei dati utilizzati, la ricorrente non fa
seguire l'indicazione precisa delle fonti sostitutive di quelle man
canti. In ogni caso un « campione » va valutato in termini di
rappresentatività e non di qualità. Il tasso di inflazione, ipotizzato dall'amministrazione nella mi
sura del 16 % per l'anno 1982 e duramente contestato dai
ricorrenti nell'atto introduttivo del giudizio come esorbitante
rispetto a qualsiasi ragionevole previsione, si è rivelato più che
realistico. Il riferimento ad un patrimonio societario « tipo », al fine di
calcolare il rendimento finanziario delle riserve tecniche, è conse
guente non solo alla legittima determinazione dell'amministrazione
di imporre una tariffa unica, valida per tutte le imprese, ma
anche alla riscontrata e documentata varietà di risultati offerti da
queste ultime ovvero anche dalla stessa impresa nel corso di più esercizi. In questa situazione appare legittimo il riferimento ad
«un patrimonio ideale della compagnia di assicurazione», da
assumere come base per il computo del rendimento finanziario.
È legittimo addebitare le spese generali in percentuale propor zionale al totale degli incassi realizzati nei diversi rami di
assicurazione quando si tratti di spese comuni, che in quanto tali
non possono essere direttamente attribuite ai singoli rami.
13. - Deve, infine, essere dichiarata l'inammissibilità del sesto
motivo di ricorso: la differenziazione della tariffa per zone
territoriali risponde infatti a valutazioni di merito, che il giudice della legittimità non è competente a sindacare.
14. - Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere
rigettato. (Omissis)
III
Diritto. — 1. - Con il nono motivo, che per ragione di ordine
logico deve essere esaminato con precedenza sugli altri, perchè investe direttamente la composizione e la regolarità dei lavori
svolti dalla commissione consultiva istituita dall'art. 11, 5° com
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PARTE TERZA
ma, 1. 26 febbraio 1977 n. 39, i ricorrenti deducono quattro
distinte censure, la terza delle quali è stata ripresa e ampiamente
sviluppata nella memoria difensiva. Imputano innanzitutto al
ministro di aver nominato, in qualità di esperti, soggetti privi di
specifiche conoscenze di tutti i settori dell'assicurazione R.C.A. e,
in particolare, di quello aziendale.
La censura, anche se formulata in forma dubitativa, è infondata.
In primo luogo la documentazione versata in atti dimostra con
evidenza l'apporto di esperienza offerto dai cinque esperti per la
soluzione dei problemi esaminati e risolti dall'organo collegiale in
ordine a tutti i settori dell'assicurazione R.C.A In secondo luogo
non è consentito attribuire all'organo pubblico, e alle persone che
lo compongono, una insufficiente conoscenza di certi problemi solo perchè la soluzione data a questi ultimi non è gradita a chi
aveva interesse ad una soluzione diversa.
2. - La seconda censura, relativa alla regolarità delle convoca
zioni dell'organo collegiale, anch'essa formulata in forma dubita
tiva e non più ripresa nella memoria difensiva, è infondata
perché non sorretta da alcun elemento di prova. La quarta
censura (difetto di motivazione), dedotta conclusivamente nei
confronti di tutta l'attività svolta dall'organo collegiale, è già stata
sviluppata, con specifici mezzi di gravame, contro le singole
determinazioni adottate dalla commissione e sarà quindi esaminata
a suo tempo.
3. - Sostengono ancora i ricorrenti (nono motivo, terza censura)
che un collegio di natura composita, « che si esprime attraverso
le rappresentanze di categorie portatrici di esperienze e di inte
ressi diversi » (quale sarebbe la commissione ministeriale), non
può funzionare che con la presenza di tutti i suoi componenti. Di
conseguenza deve considerarsi illegittimo il parere espresso giac ché alla seduta del 9 dicembre 1981 era assente uno dei cinque
esperti. La censura è infondata.
Va innanzitutto precisato che i cinque esperti previsti dalla legge non fanno parte dell'organo collegiale in quanto rappresentanti di
interessi particolari e configgenti fra di loro, ma in quanto
soggetti dotati di particolari conoscenze ed esperienze in ordine ai
problemi sui quali la commissione è chiamata ad esprimere il
proprio parere. Di conseguenza la loro posizione, rispetto alla
pluralità di interessi divergenti che sottostanno ad un provvedi mento tariffario di enorme rilievo economico, quale è quello
relativo al settore dell'assicurazione R.C.A., deve essere la più
neutra possibile.
Questa circostanza, e cioè il fatto che gli esperti intervengano
solo come portatori di superiori conoscenze ed esperienze, non è
però sufficiente a fare della commissione ministeriale un collegio
perfetto. Il criterio elaborato dalla giurisprudenza per distinguere tra collegio perfetto e collegio imperfetto è noto.
Perfetto è l'organo collegiale del quale fanno parte soggetti dotati di specifiche conoscenze e che è chiamato ad adottare de
terminazioni attraverso il raffronto di opinioni diverse. Per la
validità delle sue deliberazioni è necessario il plenum, doven
dosi fare appello alle competenze specifiche di ciascun suo com
ponente. È invece imperfetto l'organo collegiale i cui componenti rap
presentano interessi confliggenti ed eterogenei, che nella delibera
zione devono trovare composizione ed assetto. Ne consegue che, una volta raggiunto il quorum strutturale, l'organo può legittima mente operare anche se non sono presenti tutti i soggetti indivi
duati astrattamente dalla legge come portatori di interessi perti
nenti all'oggetto del deliberare, dovendosi interpretare l'assenza di
taluno di essi (naturalmente in mancanza di puntuali ragioni
contrarie) come espressione di una sostanziale indifferenza rispet
to all'oggetto della delibera se non, addirittura, come modo di
gestione dell'interesse.
Ritiene pertanto il collegio che questo criterio di distinzione,
indubbiamente perspicuo, meriti un'ulteriore puntualizzazione, nel
senso che a configurare l'organo collegiale perfetto non è
sufficiente che i suoi componenti intervengano come portatori di
superiori conoscenze ed esperienze, ma è anche necessario che si
tratti di conoscenze ed esperienze settoriali, tali cioè da rendere
la presenza di ciascun membro insurrogabile.
Di conseguenza la commissione ministeriale di cui all'art. 11, 6°
comma, 1. n. 39 del 1977 sarebbe collegio perfetto solo se la legge
avesse provveduto a richiedere per ciascuno dei cinque esperti la
conoscenza di un particolare, specifico settore dell'assicurazione
R.C.A. Dal momento che invece essa si limita a richiedere per
tutti conoscenza ed esperienza dell'intero ramo assicurativo, il
plenum non è più necessario, giacché l'assenza di uno dei cinque
esperti non priva il collegio di un apporto insostituibile.
Può anche aggiungersi che la mancata previsione legislativa di
membri supplenti è elemento indiziario rivelatore del carattere
imperfetto dell'organo collegiale del quale si discute.
4. - Sostengono i ricorrenti (primo motivo) che, essendosi il
regolamento limitato alla mera individuazione dei caricamenti, senza specificare le modalità e i criteri per la loro valutazione, cosi come espressamente richiesto dall'art. 11 1. 26 febbraio 1977
n. 39, a tale compito avrebbe dovuto provvedere l'amministrazio
ne, alla quale era quindi inibito determinare il compenso spettan te per l'attività aziendale senza aver preventivamente provveduto a stabilire i criteri di valutazione delle relative spese.
La censura è infondata.
Il regolamento, al quale i ricorrenti fanno espresso riferimento
come fonte disciplinante la sola « determinazione » dei caricamen
ti (il d.p.r. 25 novembre 1970 n. 973), è stato di recente
modificato dal d.p.r. 16 gennaio 1981 n. 45, il quale detta a
riguardo due precise norme. Con la prima (art. 22) indica quali caricamenti devono essere considerati (spese generali; spese di
gestione, sia aziendali che di direzione; spese inerenti al servizio
di liquidazione dei sinistri; margine industriale compensativo dell'alea d'impresa); con la seconda (art. 27, 2° comma) specifica le modalità con le quali deve avvenire la loro valutazione,
svolgendo cosi — in via generale — quella predeterminazione di
criteri direttivi che i ricorrenti imputano all'amministrazione di
avere omesso nel caso di specie. Ne consegue che sull'amministrazione incombeva solo l'obbligo
di procedere alla valutazione dei costi sostenuti dalle agenzie secondo le modalità prefissate dalla norma regolamentare.
5. - Il secondo motivo è infondato innanzitutto in punto di
fatto.
L'art. 27, 2° comma, del succitato d.p.r. n. 45 del 1981
stabilisce che la valutazione dei caricamenti deve essere effettuata sulla base delle risultanze delle rilevazioni statistiche annuali dei rischi (desunti dalla gestione del conto consortile), dei dati desunti dalle verifiche dei bilanci delle imprese, delle risultanze
degli accertamenti ispettivi svolti dall'organo di vigilanza e di
ogni altro elemento utile alla conoscenza dell'andamento dell'assi
curazione.
Non solo il provvedimento impugnato reca nel suo preambolo l'affermazione che tale indagine è stata effettuata (e gli stessi
ricorrenti sono costretti indirettamente ad ammetterlo, allorché
con altro motivo denunciano la fonte « di parte » dalla quale l'amministrazione avrebbe attinto ì dati necessari per quantificare la percentuale spettante agli agenti), ma la riprova è offerta dai
verbali della commissione ministeriale (seduta del 14 gennaio 1982), nei quali si fa espresso riferimento alla documentazione
prodotta dal conto consortile e dalla direzione generale delle
assicurazioni, nonché agli elementi di valutazione offerti dallo
stesso sindacato ricorrente. I rappresentanti di quest'ultimo sono
stati infatti ascoltati dalla commissione nella seduta del 7 gennaio 1982 e, in quella occasione, hanno esposto « i problemi della
categoria », proposto soluzione per « giungere ad una equa riparti zione del caricamento globale che il legislatore ha fissato nel
ramo R.C.A », richiamato una precedente relazione già presentata in dicembre, illustrato e documentato i costi che l'attività agenzia le comporta.
Dal suo canto la commissione ha espressamente dichiarato che,
nel determinare il « quadro complessivo dei caricamenti da appli
care ai premi », ha tenuto conto anche dei fatti forniti dai
rappresentanti sindacali degli agenti. Di conseguenza l'affermazio
ne dei ricorrenti, secondo cui la percentuale agenziale sarebbe
stata fissata senza alcuna preventiva indagine sui relativi costi,
appare contraddetta dalla documentazione in atti.
In effetti il problema sollevato dai ricorrenti ne sottointende
un altro, che rappresenta il vero nodo della questione e che si
attiene alla individuazione dei limiti di ammissibilità dei costi
(reali e presunti), che gli agenti affermano di sostenere nella loro
attività.
Il richiamo legislativo agli oneri relativi all'esercizio dell'assicu
razione R.C.A. (art. 11 1. 26 febbraio 1977 n. 39), come metro
per la qualificazione del caricamento (con l'aggiunta del margine
compensativo dell'alea di impresa), non costituisce infatti un
segmento normativo che possa essere interpretato prescindendo
dalle caratteristiche del sistema nel quale esso si inquadra, un
sistema nel quale l'interesse pubblico assume un ruolo del tutto
preminente rispetto alle attese e alle pretese del privato operato re.
Si vuol dire, in altri termini, che il riferimento normativo ai
costi sostenuti dalle agenzie non rende queste ultime arbitre di
definire le spese che esse ritengono di dover affrontare né riduce
l'intervento di pubblico potere ad una verifica notarile delle
stesse, prima che il relativo onere economico venga scaricato
sulla massa degli utenti (gli « assicurati obbligatori »), ma, al
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
contrario, impone all'amministrazione di considerare solo quelle
spese che nella efficienza ed economicità del servizio trovino
totale ed inevitabile giustificazione. Ciò comporta alcune conseguenze: à) la prima è che i proble
mi strutturali, attinenti alla organizzazione e riorganizzazione delle
agenzie ed alla precisa definizione dei loro rapporti con le
compagnie di assicurazione, non possono trovare soluzione nello
strumento tariffario, che ha la solo funzione di misurare il costo
che la collettività degli utenti è tenuta a sopportare in cambio di
un servizio efficiente ed economico; ti) la seconda è ohe l'ammi
nistrazione, quando stabilisce i limiti di ammissibilità delle spese
agenziali, deve necessariamente andare alla ricerca di un modello
ottimale di riferimento, che non può essere costituito che da
quelle imprese che sono in grado di offrire un servizio eccellente
ad un costo il più ridotto possibile. In effetti, quando la
commissione (seduta del 7 gennaio 1982) — dopo aver rilevato la
diversità' di provvigioni corrisposte alle agenzie delle diverse
compagnie di assicurazione — ha osservato che « sono le imprese che presentano una gestione irregolare ad evidenziare i rapporti
provvigionali assai più elevati », sostanzialmente ha inteso dire
che rifiuta di assumere come metro di misurazione del caricamento
ipotesi diverse da quelle ottimali, che i dati in suo possesso erano
in grado di offrire.
Né essa ha negato che i costi di agenzia abbiano subito una
lievitazione, soprattutto per effetto degli aumenti retributivi cor
risposti ai dipendenti, ma ha osservato che in un sistema, che
determina la provvigione spettante all'agente in percentuale sui
premi incassati, esistono per lo meno due nuovi elementi in
grado di compensare la maggiore spesa, portando « sicuri benifìci
per il comparto agenziale », e cioè i prossimi aumenti delle tariffe
e dei massimali minimi di legge. Vale anche la pena di aggiunge re (dal momento che i ricorrenti, per giustificare la richiesta di
un maggiore compenso per i loro servigi, tendono comprensibil mente a rimarcare con enfasi La « diuturna, continua, efficace
attività degli agenti », « effettivi produttori del servizio », nonché « reali costruttori del servizio ohe viene venduto »), ohe il lavoro
svolto e i costi sopportati dall'agente (e dalla compagnia di
assicurazione) nel campo della R.C.A. sono ben diversi da quelli connessi all'esercizio di altri rami di assicurazione.
L'istituzione della assicurazione obbligatoria per la R.C.A. ha
infatti eliminato il più grave e costoso impegno di qualsiasi
operatore economico privato, e cioè di dover rendere appetibile il
proprio prodotto ad una massa indefinita di potenziali acquirenti. La legge, creando il mercato, definendone i confini, standardiz
zando il prodotto, uniformandone il prezzo, ha avuto l'effetto di
capovolgere i rapporti tradizionali fra agente e cliente, nel senso
che non è più il primo che, come per il passato e come ancora
oggi per i settori di assicurazione volontaria, deve andare alla
ricerca del secondo e convincerlo a sottoscrivere la polizza, ma è
il cliente che va alla ricerca dell'agente, essendogli di norma
economicamente indifferente stipulare con una compagnia o con
un'altra.
Si aggiunge che il rinnovo automatico delle polizze alla loro
scadenza (salvo disdetta) riduce anche la necessità di contratti
continui fra agente e cliente, che infatti normalmente si esauri
scono al momento del pagamento del premio, con intuitiva
riduzione dei costi di gestione.
Si tratta di fatti obiettivi, che fanno parte del notorio perché rientrano nell'esperienza personale di qualsiasi possessore di auto
vetture, e che l'amministrazione ha il dovere di tener presente nel
momento in cui, stabilendo la percentuale del caricamento agen ziale, definisce in sostanza il prezzo che l'assicurato obbligatorio deve pagare.
Né questi fatti obiettivi possono essere contraddetti dall'affer
mazione dei ricorrenti, secondo cui gli agenti impiegherebbero, nel solo settore della R.C.A., oltre 70.000 addetti. Si tratta innanzi
tutto di una cifra non provata, ohe più ragionevolmente deve
ritenersi comprensiva di tutti i dipendenti impiegati nei vari rami
di assicurazione gestiti dalle agenzie, ma che comunque non può assumere da sola un significato molto rilevante in termini di
efficienza e di economicità di gestione (gli unici rilevanti in un
sistema di assicurazione obbligatoria), ove solo si consideri che
essa sarebbe superiore al totale complessivo dei dipendenti dei
grandi enti di previdenza (I.n.p.s., I.n.a.i.l., ecc.), chiamati a svolge re compiti ben più vari e complessi al servizio di una popolazio ne assicurata notevolmente superiore a quella rappresentata da
possessori di autoveicoli.
6. - I motivi terzo e quarto (che possono essere esaminati
congiuntamente perché esprimono, in sostanza, una identica do
glianza) sono anch'essi infondati perché si fondano su presuppo sto errato, e cioè la possibilità per l'amministrazione di scegliere liberamente la fonte dalla quale attingere i dati necessari per
quantificare i costi agenziali, laddove l'art. 27, 2° comma, d.p.r. 24 novembre 1970 n. 973, nel testo sostituito dall'art, unico d.p.r. n. 45 del 1981 — stabilendo che la valutazione dei caricamenti
deve avvenire sulla base dei dati desunti dai bilanci verificati
delle imprese e dal costo consortile — impone all'amministrazione
comportamenti vincolati, quanto meno nel senso che essa non
può ignorare questi elementi. L'utilizzo dei dati, che i ricorrenti
definiscono « di parte » (e cioè quelli offerti dai bilanci delle
imprese), non è quindi frutto di una libera scelta attribuibile
all'amministrazione e censurabile sotto il profilo della illogicità, ma di una precisa norma regolamentare, non impugnata.
È comunque inesatta, in punto di fatto, l'affermazione dei
ricorrenti secondo cui questi dati avrebbero costituito il « fonda
mento unico » delle valutazioni compiute dall'amministrazione: si
è già detto, definendo il secondo motivo, che la commissione
nell'esprimere il suo parere ha tenuto anche conto degli elementi
offerti dal sindacato ricorrente.
7. - Il quinto motivo è infondato in tutti i vari profili nei quali esso si articola giacché sia nel provvedimento ministeriale im
pugnato che negli atti della procedura risulta chiarito per quali vie la percentuale di incidenza è stata fissata nella misura del
13 %.
I dati di bilancio concernenti un gruppo di 57 compagnie (ottenuto escludendo dal gruppo statistico 1980 le rappresentanze estere, le imprese con organizzazione atipica e quelle con meno
di due miliardi di lire di premi) rilevavano infatti una incidenza
delle provvigioni e delle spese dì acquisizione sui premi incassati
pari al 14,47 % (percentuale indicata dai ricorrenti). La commis
sione ha peraltro ritenuto (seduta del 9 dicembre 1981) di dover
svolgere un supplemento di istruttoria « al fine di ottenere ulte
riori elementi informativi » ed ha allargato il campo di indagine a 105 imprese. I dati in questo modo acquisiti hanno evidenziato
(seduta del 7 gennaio 1982) una percentuale media delle prov vigioni pari al 13,18 % dei premi incassati per la R.C.A.
Le ragioni per le quali questa percentuale di incidenza è stata
definitivamente fissata nella misura del 13 % sono infine chiarite nel preambolo del provvedimento impugnato, laddove si chiarisce
che detta misura coincide con quella corrisposta dalle imprese che, più delle altre, hanno « ulteriormente proseguito nell'azione di contenimento delle spese ».
Per le ragioni esposte sub 5) deve dunque concludersi ohe correttamente l'amministrazione ha provveduto al taglio dello
0,18 %, avendo assunto come parametro di riferimento le imprese capaci di garantire nel settore dell'assicurazione obbligatoria, al
tempo stesso, economicità di costi ed efficienza di gestione. 8. - Proseguendo sempre nell'intento di invalidare i dati sulla
cui base l'amministrazione ha fissato il compenso spettante agli agenti, i ricorrenti imputano alla stessa amministrazione di aver violato l'art. 22 del regolamento, che impone di tener conto del
prevedibile andamento degli oneri nel periodo di tempo in cui la tariffa sarà applicata. Nella loro prospettazione il decreto ministe riale sarebbe illegittimo perché fondato su dati istruttori pregressi (bilanci e dati del conto consortile riferiti al 31 dicembre 1980)
rispetto al periodo nel quale è chiamato ad esplicare i suoi effetti
(1° febbraio 1982 - 31 gennaio 1983) (sesto motivo).
La censura è infondata. La norma in questione, riferendosi al « prevedibile andamento » delle spese e degli oneri, non contrad dice affatto al principio fondamentale per il quale le valutazioni in materia assicurativa vanno effettuate sulla base dei dati
definitivi desunti dagli esercizi precedenti, con le correzioni e gli accorgimenti resi possibili dalla previsione di quello che sarà l'andamento del fenomeno dell'esercizio preso in considerazione,
per effetto di fatti nuovi intervenuti nel frattempo. Nella specie sono stati considerati i dati relativi al 1980 perché erano gli ultimi, in ordine di tempo, a presentarsi con i caratteri della
completezza, globalità e definitività. Indubbiamente l'amministra zione sarebbe incorsa in errore se, invece di utilizzare questi dati come punto di partenza per l'analisi dei costi prevedibili per l'esercizio in considerazione, li avesse assunti come unico metro
per misurare il compenso agenziale relativo al periodo febbraio 1982 - gennaio 1983. Ma non è questa la situazione che ricorre nel caso di specie, dal momento che la commissione ministeriale ha espressamente dichiarato di aver tenuto conto della lievitazio ne dei costi intervenuta nel frattempo, conseguente soprattutto ai
maggiori oneri per il personale dipendente, ma ha anohe indicato la presenza di elementi nuovi capaci di neutralizzarla (v., in
proposito, quanto già chiarito sub 5).
9. - Come ha esattamente messo in evidenza la difesa dell'am ministrazione resistente, il settimo motivo si fonda su un equivo co. L'equivoco è quello di ritenere che il provvedimento impu gnato abbia inteso riferirsi alle imprese di piccole dimensioni, laddove è chiaro che il riferimento concerne i premi di piccolo
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PARTE TERZA
importo, cioè cosa del tutto diversa. Allo stesso modo e chiara la
ratio che è alla base della determinazione impugnata. Il decreto ministeriale ha infatti inteso consentire a quelle
imprese, che tuttora corrispondono alle loro agenzie provvigioni in misura superiore al 13 %, di continuare ad applicarle in via
transitoria e nel limite massimo del 13,50 %, fin quando non si
sarà provveduto ad elevare i massimali minimi. In altri termini,
poiché il compenso degli agenti è fissato in percentuale sui premi
incassati, l'amministrazione si è preoccupata di rendere remunera
tivo anche il lavoro di quegli agenti che sono costretti ad operare sui premi di importo ridotto, perché ridotto è il massimale
minimo prescelto dall'utente e che, presumibilmente proprio per
questa ragione, percepiscono dalle rispettive compagnie provvi
gioni più elevate.
Ne consegue che mancano le condizioni per generalizzare
questo trattamento di favore, cioè per estenderlo anche a quelle
agenzie che, nei loro rapporti con le compagnie, hanno invece
ritenuto remunerativa una provvigione pari o inferiore al 13 %.
10. - Con l'ottavo motivo vengono dedotte due distinte censu
re: con la prima si contesta all'amministrazione il potere di
fissare per le assicurazioni relative ai veicoli del settore tariffa
rio III, del settore tariffario IV per trasporto di cose oltre 40
quintali di peso complessivo a pieno carico e per le polizze a
libro matricola una percentuale più ridotta (I'll % in luogo del
13 %); con la seconda si contesta la mancata applicazione ai
rapporti in essere, relativi alle suddette assicurazioni, quanto meno della percentuale dell'I 1,50%.
Ambedue le censure sono infondate.
Per quanto attiene alla prima va osservato che in un sistema,
che quantifica il compenso agenziale in percentuale sull'importo dei premi incassati, è legittima la riduzione della percentuale fissata in generale, relativamente a quelle particolari classi e
gruppi di rischio che si caratterizzano per premi di importo più elevato. L'osservazione dei ricorrenti, secondo cui i costi degli
agenti sarebbero fissi, nel senso che devono essere sopportati
indipendentemente dall'applicazione dell'uno o dell'altro regime
tariffario, conferma la legittimità della determinazione impugnata dal momento che i costi fissi, allorché si convertono in percentua li sui premi incassati danno vita a percentuali diverse a seconda
dell'importo di questi ultimi. Per quanto attiene, invece, alla
seconda censura è sufficiente ricordare che non sussiste in questo caso la ragione che ha indotto l'amministrazione a conservare, sia
pure in via transitoria e fino all'elevazione dei massimali minimi, le vecchie percentuali di caricamento: l'elevatezza del premio attuale già rende remunerativo il compenso agenziale.
11. - Da ultimo deve essere dichiarata la manifesta infondatez
za della questione di legittimità costituzionale dedotta nei con
fronti dell'art. 12 1. 24 dicembre 1969 n. 990, per asserito
contrasto con gli art. 3 e 41 Cost.
Il collegio ritiene di dover confermare in proposito la propria
giurisprudenza (T.A.R. Lazio, sez. I, 13 settembre 1978, n. 803,
Foro it., Rep. 1979, voce Assicurazione (imprese), n. 37), e cioè che la provvigione agenziale rappresenta uno solo dei
numerosi elementi ohe il C.i.p. deve considerare in sede di
formazione della tariffa; di conseguenza la sua concreta determi
nazione, avvenendo sulla base di elementi certi e di obiettiva
rilevazione, ben può essere affidata all'organo monocratico (il
ministro), tanto più che quest'ultimo procede sulla base delle
indicazioni offerte dall'apposita commissione di esperti. Pertanto
deve ritenersi inesatta anche l'ulteriore conclusione dei ricorrenti, secondo cui il sistema vigente non garantirebbe agli agenti di
assicurazione la possibilità di ottenere un compenso adeguato alle
spese sopportate e al servizio reso alla collettività, ma rimettereb
be ogni determinazione in materia alla libera valutazione del
ministro. È agevole, infatti, osservare da un lato che quest'ultimo
opera sulla base dei dati obiettivi forniti dagli esperti e, dall'al
tro, ohe gli agenti, anche se non possono intervenire ufficialmente
nel corso del procedimento, hanno sempre la possibilità di
collaborare con gli esperti, offrendo a questi ultimi elementi di
conoscenza in vista delle determinazioni di loro competenza. 12. - Per le ragioni sopra indicate il ricorso deve essere
rigettato. (Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOM
BARDIA; sentenza 9 dicembre 1982, n. 1171; Pres. Tumbiolo,
Est. Onorato; Angeletti e altri <Avv. Denti, Viviani) c. Re
gione Lombardia (Avv. Senes, Zoboli); interv. Federazione ita
liana caccia (Aw. Forlani, Bonatti).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOM
BARDIA; sentenza 9 dicembre 1982, n. 1171; Pres. Tumbiolo,
Giustizia amministrativa — Intervento — Notifica tardiva —
Inammissibilità (L. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei
tribunali amministrativi regionali, art. 23). Giustizia amministrativa — Ricorso giurisdizionale — Persona
giuridica privata — Difetto di deliberazione dell'organo compe tente — Inammissibilità.
Regione — Referendum abrogativo di legge regionale — Di
chiarazione di inammissibilità da parte del consiglio regio nale — Ricorso — Giurisdizione amministrativa.
È inammissibile l'intervento nel giudizio amministrativo che sia
stato notificato alle parti costituite quando mancavano meno di
dieci giorni all'udienza di discussione. (1) È inammissibile il ricorso giurisdizionale che sia stato proposto
dal presidente di persona giuridica privata, senza la previa deli
berazione della giunta esecutiva. (2)
(1) Sostanzialmente nello stesso senso T.A.R. Lazio, sez. II, 14
luglio 1976, n. 495, che afferma l'inammissibilità dell'intervento deposi tato meno di venti giorni prima della data fissata per la discussione del ricorso, Foro it., 1976, III, 679, con nota di richiami, che dà conto di una ancor più permissiva pronuncia di T.A.R. Marche 20 maggio 1975, n. 59, id., Rep. 1975, voce Giustizia amministrativa, n. 1860, di un precedente del T.A.R. Abruzzo 6 marzo 1975, n. 22, ibid., n. 1861, che, viceversa, ha ritenuto che il termine di venti giorni previsto dall'art. 22 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, a partire dal termine per il deposito del ricorso principale, abbia carattere perentorio anche per la proposizione dell'intervento.
Nella giurisprudenza successiva, TA.R. Molise 22 maggio 1979, n.
55, id., Rep. 1980, voce cit., n. 840, contraddicendo la sentenza del T.A.R. Abruzzo da ultimo richiamata, afferma che il termine suddetto ha carattere perentorio solo per la proposizione del ricorso incidentale, e non anche per la proposizione dell'intervento.
IPer altri riferimenti, v. T.AjR. Lazio, sez. Ili, 22 ottobre 1979, n. 678, id., 1981, (III, 299, con nota di richiami, che ha deciso un caso nel quale l'intervento (ad adiuvandum) era addirittura contestuale al ricorso principale.
Inoltre, Cons. Stato, sez. V, 29 giugno 1979, n. 472, id., Rep. 1979, voce cit., n. 822, ha confermato la validità anche dopo l'entrata in vigore della 1. n. 1034/71, considerata non innovativa sul punto, dell'art. 38 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, regolamento per la procedura davanti al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, secondo il quale la domanda di intervento deve essere depositata entro due giorni dalla sua notificazione '(per la giurisprudenza che si è formata su questa norma, ritenendo perentorio il termine da essa previsto, v. i richiami nella citata nota in Foro it., 1976, MI, 679).
<2) Sostanzialmente nello stesso senso, T.A.R. Puglia 27 agosto 1975, n. 112, Foro it., Rep. 1975, voce Giustizia amministrativa, n. 948, che ha affermato la necessità del conferimento di apposito mandato da parte degli organi deliberanti di una associazione non riconosciuta, al rappresentante di questa, a meno che lo statuto non gli attribuisca anche poteri di deliberazione al riguardo.
iPer altri riferimenti, Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 1973, n. 546, id., Rep. 1973, voce cit., n. 333, che ha affermato che, nel caso in cui l'atto notarile relativo alla procura rilasciata all'avvocato per proporre ricorso, risulta che il mandante è amministratore unico e legale rappresentante della società ricorrente, deve ritenersi, in mancanza di prova contraria, che il mandante stesso abbia il potere di stare in giudizio, senza necessità di autorizzazione da parte di altro organo.
Sempre riguardo alle società, T.A.R. Veneto 11 maggio 1979, n. 152, id., Rep. 1979, voce cit., n. 523, ha ammesso che ogni amministratore di una società di persone possa proporre ricorso, giacché si tratta di un atto di ordinaria amministrazione; e Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 1977, n. 15, id., Rep. 1977, voce cit., n. 620, ha ammesso che il ricorso possa essere proposto da qualsiasi socio di una società in nome collettivo, in quanto, ai sensi dell'art. 2297 c.c., si presume che ciascun socio che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale anche in giudizio. Conclusione analoga per il socio accomandatario in una società in accomandita semplice, in base all'art. 2318 c.c. è stata tratta da Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 1971, n. 881, id., Rep. 1971, voce cit., n. 170; purché, però, abbia provato, o almeno affermato, la sua qualità di amministratore della società stessa; sez. IV 30 dicembre 1966, n. 1099, id., Rep. 1966, voce cit., n. 280.
Per quel che riguarda, appunto, la prova della legittimazione di chi ha proposto ricorso, qualche elemento può essere tratto, almeno sotto il profilo della dimostrazione del potere di rappresentanza, da T.A.R. Lazio, sez. III, 10 dicembre 1980, n. 1155, id., 1982, III, 77, con nota di richiami, che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto da una associazione la quale non abbia depositato in giudizio lo statuto e gli altri atti dai quali possano desumersi, oltre che i suoi scopi, anche la legittimazione di chi ha agito in suo nome; da Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 1979, n. 661, id., Rep. 1980, voce cit., n. 497, che ha affermato che ai fini dell'ammissibilità del ricorso proposto da funzio nari di un ente pubblico, l'investitura ad essi, da parte del presidente, della rappresentanza dell'ente stesso deve essere provata da questo, senza che il giudice abbia l'obbligo di acquisire la documentazione in proposito; da Cons. Stato, ad. plen., 1° luglio 1975, n. 7, id., 1976, III, 152, con nota di richiami, che ha dichiarato ammissibile il ricorso
proposto a nome di un'associazione sindacale da parte del rappresen tante di questa, che pur non abbia documentato né la sua legittima
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