sezione I; sentenza 2 maggio 2006, n. 3044; Pres. Savo Amodio, Est. Martino; Philip MorrisGmbH e altra (Avv. Di Bella, Vecchi, Lirosi) c. Autorità garante della concorrenza e delmercato (Avv. dello Stato Tortora)Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 419/420-427/428Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202152 .
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PARTE TERZA
cienza, l'economicità ed il buon andamento dell'azione ammi
nistrativa.
A tutto questo occorre aggiungere che ormai — ai fini del
l'attribuzione della giurisdizione — ciò che assume pregnante
rilievo è l'inserimento di un soggetto nell'apparato come sopra descritto che si rifletta sostanzialmente sugli atti adottati o sui
comportamenti tenuti da tale apparato, a prescindere dagli
aspetti formali della legittima preposizione strutturale o formale
alla cura di interessi pubblici al cui perseguimento dovrebbero essere diretti quegli atti e quei comportamenti; che il rapporto di
servizio può ritenersi configurabile non solo quando un sogget to, anche persona giuridica pubblica o privata, venga investito — sia autoritativamente, sia attraverso un modulo convenzio
nale — dello svolgimento di un'attività regolamentata da regole
«proprie» dell'amministrazione interessata, ma anche in tutti i
casi in cui il soggetto in questione partecipa comunque all'atti
vità propria dell'amministrazione e si inserisca con un atto op
pure un comportamento anche non tipizzato, ma che, in ogni ca
so, acquista reale valenza nell'iter deliberativo di questa, anche nelle fasi che precedono, con autonoma rilevanza, l'adozione
dell'atto deliberativo, incidendo concretamente sull'ai, sul
quantum o sul quomodo di questo. E ciò dal momento che nel procedimento amministrativo è
possibile individuare fasi e momenti che, pur non rivestendo ex
se una rilevanza esterna e pur privi perfino di una specifica for
malizzazione, esplicano concreti effetti sulla ponderazione degli interessi venendo così ad incidere sulla definizione dell'assetto
degli interessi stessi contenuti nel provvedimento finale.
Alla luce dei principi sopra evidenziati, l'eccezione di difetto
di giurisdizione è infondata e va respinta. 2. - Nel merito il collegio deve verificare se la condotta dei
predetti convenuti in ordine alle contestazioni in fatto descritte,
integri elementi di responsabilità tali da giustificare l'accogli mento della richiesta di condanna nei confronti dei medesimi
formulata nel proposto libello.
In proposito, osserva il collegio che per l'affermazione della
responsabilità è necessario che l'erario abbia subito un danno, cioè una qualsiasi diminuzione patrimoniale; che l'azione od
omissione dell'amministrazione, del dipendente, dell'agente oppure di chiunque versi in un rapporto di servizio, costituisca
irregolarità secondo la legge ed i regolamenti speciali e risulti,
altresì, commessa nell'esercizio delle funzioni; che tale azione od omissione sia dolosa oppure gravemente colposa, il che
comporta una valutazione oggettiva e soggettiva della condanna
dell'interessato; che tra il fatto ed il danno sussista nesso di cau
salità.
Nella fattispecie gli addebiti mossi sono riconducibili ad ipo tesi di danno, individuato negli atti menzionati del giudizio, at traverso condotte colpose e tipici eventi lesivi degli interessi
patrimoniali erariali al convenuto imputabili. Occorre, pertanto, ai fini che ne occupano, passare ad esami
nare quello che è il nucleo centrale di ogni giudizio di responsa bilità costituito dall'elemento soggettivo, rappresentato dalla
colpa o dolo, da quello oggettivo, costituito dal danno e dal rap porto di causalità che deve collegare i due predetti elementi.
Circa l'elemento soggettivo è ben noto che, secondo la con cezione c.d. «normativa», dominante in dottrina e giurispruden za, la colpa consiste nell'inosservanza dei doveri di prudenza, diligenza o perizia, ovvero di mancato rispetto di leggi, regola menti, ordini o discipline, con conseguente causazione di un evento dannoso il quale, anche se previsto, non è voluto dall'a
gente come effetto della propria condotta antidoverosa.
[N.d.r.: manca testo nell'originale]] è sufficiente quel grado di colpa derivante dalla violazione della diligenza media, in or dine alla responsabilità amministrativa (cfr., da ultimo, d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito, con modificazioni, nella 1. n. 639 del 1996), il legislatore, preso atto della realtà amministra
tiva, ha ritenuto di affievolire il livello della responsabilità in
questione ed ha escluso che esso possa configurarsi anche nel
l'ipotesi di semplice negligenza, trascuratezza o imperizia, ma richiede che la condotta dei soggetti coinvolti sia improntata ad un'avventatezza ed irrazionalità tali da poter far qualificare co me «grave» il livello della violazione dei parametri della dili
genza richiesti dal rapporto di impiego o di servizio in relazione al quale i punti di riferimento sono più propriamente le regole della corretta amministrazione e, in particolare, i principi di ef
ficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
Oggetto della prova della colpa è la dimostrazione delle cir costanze di fatto alle quali deve riferirsi la valutazione che il
Il Foro Italiano — 2006.
giudicante deve effettuare della diligenza osservata dal soggetto in quella causativa di danno.
In relazione a ciò, dai fatti esposti in narrativa e valutando la
condotta dell'odierno convenuto ex ante, e, cioè al momento in
cui essa veniva posta in essere, non ritiene il collegio che a cari
co di essi possa essere addebitato il comportamento rilevante
sotto il profilo della colpa grave anche in considerazione che —
nel caso in esame — non è stata fornita da parte attrice la prova della sussistenza del danno, che deve essere certo sia sotto il
profilo dell'arc che del quantum e che postula un nocumento
patrimoniale effettivamente subito dalla pubblica amministra
zione.
Infatti, nell'atto introduttivo del giudizio appare data preva lenza alla rappresentazione di un'attività volta piuttosto ad
un'anomala quantificazione del danno, anziché a dare piena contezza della sua effettiva esistenza ontologica.
Invero, la mancata dimostrazione in ordine a complessive,
precise e concrete situazioni generatrici del danno, preclude al
collegio ogni possibilità di pervenire ad una determinazione
certa dello stesso danno anche in via equitativa. Costituisce indirizzo giurisprudenziale ormai pacifico, infatti,
che una valutazione del danno a norma dell'art. 1226 c.c., ri
chiamato dall'art. 2056 stesso c.c., presuppone che questo sia
certo nella sua ontologica esistenza, di tal che, ove tale certezza
non sussista, il potere discrezionale del giudice non ha modo o
campo di estrinsecarsi e l'assorbente infondatezza della doman
da giudiziale non offre alternative alla sua reiezione.
Conclusivamente, il collegio ritiene che, per i motivi esposti nelle considerazioni in diritto, il convenuto debba essere assolto
perché non è stata fornita — da parte attrice — la prova della
sussistenza del danno patito dall'Inpgi, danno che rappresenta un vero e proprio presupposto nel giudizio di responsabilità amministrativa-contabile di cui conosce la Corte dei conti.
[N.d.r.: manca testo nell'originale!] poteri istruttori ad inte
grare un'omissione della parte, né si può sostituire all'onere
probatorio incombente alla parte stessa.
La suesposta determinazione assorbe ogni altra questione ed
esonera, quindi, il collegio dall'esame delle altre censure solle
vate al riguardo.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione I; sentenza 2 maggio 2006, n. 3044; Pres. Savo Amodio, Est. Martino; Philip Morris GmbH e altra
(Avv. Di Bella, Vecchi, Lirosi) c. Autorità garante della
concorrenza e del mercato (Avv. dello Stato Tortora).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione I; sentenza 2 maggio 2006, n. 3044; Pres.
Concorrenza (disciplina della) — Pubblicità ingannevole ed
occulta — Procedimento innanzi all'Autorità garante della concorrenza e del mercato — Legittimazione passiva —
Fattispecie. Concorrenza (disciplina della) — Pubblicità ingannevole ed
occulta — Prova — Indizi — Sufficienza — «Product pla cement» — Nozione —
Fattispecie.
Parti necessarie nei procedimenti innanzi all'Autorità garante della concorrenza e del mercato di contrasto della pubblicità
ingannevole sono esclusivamente, in qualità di operatori pubblicitari, il committente, o comunque il soggetto nel cui
interesse il messaggio è concepito e diffuso e, nel caso di
pubblicità non trasparente, l'impresa che realizza il prodotto o fornisce il servizio occultamente pubblicizzato, ovvero, per
l'ipotesi di pubblicità c.d. redazionale, l'editore del periodi co su cui la pubblicità è stata pubblicata, allorché le modalità
grafiche di realizzazione e di presentazione del messaggio non rispondano alle prescrizioni in materia di trasparenza e di riconoscibilità della pubblicità a mezzo stampa (nella spe cie, in relazione ad un procedimento relativo ad un servizio
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
fotografico, pubblicato su una rivista di moda, raffigurante, tra l'altro, una modella intenta a fumare, accanto ad un ta
volo su cui è appoggiato, in evidenza, un pacchetto di siga rette di cui è leggibile il marchio, il Tar ha affermato la legit timazione passiva della sola società produttrice di quelle si
garette e dell'editore, e non anche dell'autore del servizio
fotografico). ( 1 ) Ai fini dell'accertamento della pubblicità occulta di tipo reda
zionale, tale essendo quella che si rivolge al pubblico con le
ingannevoli sembianze di un normale servizio giornalistico, non è necessaria la prova storica del rapporto di committenza tra le parti, in quanto lo scopo promozionale può essere ac
certato in via indiziaria, sulla base di elementi presuntivi
gravi, precisi e concordanti, specie se relativi al c.d. product
placement, consistente nella insistita esibizione o citazione della denominazione del marchio o dei prodotti di una impre sa in un contesto comunicazionale informativo o di intratte
nimento, non giustificata rispetto al contesto narrativo, per ché a fini meramente promozionali, pur se tale rappresenta zione prescinde dallo stile elogiativo ed enfatico proprio della
pubblicità (nella specie, il Tar ha confermato il provvedi mento dell 'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che aveva accertato, con l'adozione delle misure conseguen ziali, il carattere di pubblicità ingannevole di un servizio fo
tografico, pubblicato su una rivista di moda, ove era raffigu rata una modella intenta a fumare, anche accanto ad un ta
volo, su cui sono appoggiati, con evidenza, un pacchetto di
sigarette ed altri oggetti di fumo, così realizzandosi un 'atmo
sfera generale accattivante e seducente, tenuto anche conto
che, stante l'assoluto divieto di propaganda pubblicitaria dei
prodotti da fumo, il product placement ne costituisce l'esclu
sivo canale pubblicitario). (2)
(1-2) I. - La sentenza in rassegna ha rigettato il ricorso proposto da un noto produttore di tabacco nei confronti di un provvedimento del l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che aveva accertato il carattere di messaggio pubblicitario ingannevole di un servizio foto
grafico pubblicato su una rivista di moda (l'editore è a sua volta inter
venuto), raffigurante una modella (che sarebbe anche l'autore delle fo to: il servizio si intitola infatti «Autoscatto») raffigurata in interni, in momenti di «vita quotidiana». E sotteso un intento promozionale, in
apparenza dei soli capi di abbigliamento e degli accessori indossati dalla modella.
In realtà, però, quest'ultima è in più foto raffigurata mentre è intenta a fumare, ed è anche ripreso, al suo fianco, un tavolo con sopra poggiati un pacchetto di sigarette, inquadrato in modo che il nome della marca
sia, pur all'incontrano, leggibile, un accendino ed un posacenere. Da qui allora la qualificazione del servizio in termini di pubblicità
ingannevole, con il conseguente provvedimento inibitorio. II. - Il Tar ha richiamato, accanto alle disposizioni dell'abrogato
d.leg. 74/92, quelle dell'ormai vigente codice del consumo, che ha re
cepito, in termini sostanzialmente ricognitivi, le disposizioni del primo. Cfr., con specifico riferimento alle disposizioni in materia di pubblicità, Bassan-Pratesi, Pubblicità ed altre comunicazioni commerciali, in Al pa-Rossi Carleo (a cura di), Il codice del consumo. Commentario, Na
poli, 2005, 203 ss. III. - Il Tar, sotto il profilo procedurale, ha ribadito che, innanzi al
l'autorità garante, sono parti necessarie il committente, o comunque chi si avvale del messaggio pubblicitario, e chi ha realizzato o fornisce il servizio occultamente pubblicizzato; in caso poi di pubblicità redazio
nale, di cui all'art. 4 d.leg. 74/92 cit., ora art. 23, 1° comma, cod. con
sumo, è passivamente legittimata anche la redazione del periodico (rectius, l'editore) che ha predisposto e realizzato il messaggio stesso
(massima 1). Cfr. Autorità garante della concorrenza 22 dicembre 1998, n. 6740,
Foro it., Rep. 2001, voce Concorrenza (disciplina), n. 474, secondo cui «nel caso di product placement nell'ambito di un cartone animato ap
partenente ad una serie televisiva sono compartecipi dell'illecito oltre a chi realizza il prodotto pubblicizzato, il produttore del programma, ti
tolare del diritto di diffusione, e l'emittente televisiva, licenziataria del
diritto di diffusione»; v. anche Giurì codice autodisciplina pubblicitaria 20 aprile 1993, n. 62, id., Rep. 1994, voce cit., n. 273.
IV. - Quanto ai profili sostanziali probatori, la sentenza in rassegna muove dal rilievo che, ai fini dell'accertamento del carattere pubblicita rio (occulto) di un messaggio, è pressoché impossibile acquisire la pro va del rapporto di committenza «essendo nell'esclusiva disponibilità delle parti». Da qui la già dedotta equiparazione, ai fini della legittima zione passiva, del committente al soggetto nel cui interesse il messag
gio è concepito e diffuso. Soprattutto (massima 2) il Tar riconosce che la prova in oggetto può essere anche solo indiziaria, fondata su presun zioni (ed anzi, sarà tale nella generalità dei casi).
Il Foro Italiano — 2006.
Diritto. — 1. - Il ricorso è infondato.
l.a. - Giova premettere, per una migliore comprensione della
vicenda, la descrizione del messaggio di cui si controverte,
quale risulta dal par. 2 del provvedimento del garante: «La fatti
specie oggetto della richiesta di intervento è inserita in un servi
zio di otto fotografie che si estende su dieci pagine. Nelle foto
grafie è ritratta una modella che indossa, di volta in volta, capi diversi d'abbigliamento. Nella prima pagina compare in alto
l'indicazione del titolo del servizio, 'Autoscatto', quindi segue
Indici rivelatori dell'illegittimità sono quelli rivelatori della pubbli cità c.d. redazionale e del product placement (utilizzabili anche con
temporaneamente: par. 4.b). In termini, per i profili probatori, Giurì codice autodisciplina pubbli
citaria 17 maggio 1993, n. 62, ibid., n. 268, secondo cui «al fine di rav visare un'inserzione pubblicitaria clandestina è tuttavia sufficiente che vi sia un effetto obiettivamente promozionale della citazione del pro dotto, e che questo effetto sia voluto e perseguito come tale dal pro duttore dell'opera televisiva e dall'impresa inserzionista, essendo per contro del tutto irrilevante che l'accordo sia stato o no formalizzato e che sia stato o no pattuito e/o pagato un corrispettivo da parte dell'im
presa che beneficia dell'effetto promozionale». Una fattispecie del tutto simile a quella ora decisa dal Tar è stata
esaminata da Autorità garante della concorrenza 24 aprile 2001, n.
9469, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 411, secondo cui costituisce una fatti
specie di pubblicità ingannevole non trasparente un messaggio all'in terno del quale è collocata artificiosamente l'inquadratura di un deter minato prodotto da fumo, senza che tale immagine fotografica trovi una
giustificazione nel contesto narrativo in cui lo stesso product placement raffigurato si inserisce. E così accentuata «di conseguenza, la natura
promozionale dello stesso servizio fotografico sulla base di elementi
gravi, precisi e concordanti, quali ad esempio, la posizione del prodotto in modo chiaramente visibile, nonché l'assenza di collegamento tra
l'immagine fotografica dello stesso prodotto e le altre raffigurazioni ri
portate nel messaggio» (nel caso di specie, si trattava di una sequenza di immagini fotografiche di una modella che indossava capi di abbi
gliamento firmati in atteggiamenti di stanchezza all'interno di un am biente domestico, mentre era intenta a fumare).
V. - La pubblicità redazionale rientra nella pubblicità occulta; si ri
volge al pubblico con le ingannevoli sembianze di un servizio giornali stico, apparentemente riconducibile ad una scelta disinteressata della redazione: v. Tar Lazio, sez. I, 12 marzo 2004, n. 2427, id.., Rep. 2004, voce cit., n. 300.
Il Tar si occupa soprattutto del product placement (l'inserimento di un prodotto, a fini occultamente promozionali, in un servizio giornali stico o in un'opera cinematografica), richiamando l'elaborazione giu risprudenziale al riguardo. Cfr. Autorità garante della concorrenza 4 ottobre 1995, n. 3305, id., Rep. 1997, voce cit., n. 408; Giurì codice
autodisciplina pubblicitaria 17 maggio 1993, n. 62, cit.; 20 aprile 1993, n. 62, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 271 (che però adotta una lettura
piuttosto restrittiva del product placement). Di particolare interesse — anche per la rilevanza data ai profili pro
batori — è Autorità garante della concorrenza 12 luglio 1993, n. 1291, ibid., n. 314, secondo cui anche in assenza di un formale accordo pub blicitario tra i soggetti interessati, il ripetuto e specifico inserimento dei
marchi e dei segni distintivi di un quotidiano (nella specie, la Repubbli ca) in uno sceneggiato televisivo coprodotto dal suo editore «costitui sce un'operazione di promozione specifica del giornale (c.d. product
placement), ove non sia giustificato da esigenze artistico-narrative e denunci invece finalità pubblicitarie alla luce di elementi valutativi
gravi, precisi e concordanti». VI. - La sentenza in rassegna segnala espressamente la diffusione
della pubblicità occulta e del fenomeno del product placement con rife rimento ai prodotti da fumo, proprio in quanto per questi vige l'asso luto divieto di pubblicità; v. Cass. 14 settembre 2004, n. 18431, id., 2005,1, 1099, con nota di richiami.
Di notevole interesse è Cass., sez. un., 6 aprile 2006, n. 7990, pres. Nicastro, est. Preden, British American Tobacco c. Pintauro, inedita,
pronunciata su regolamento di giurisdizione, proposto da un produttore di sigarette che era stato condannato dal giudice di pace a risarcire un
consumatore che era stato indotto ad acquistare sigarette pubblicizzate come lights, con basso contenuto di nicotina. Secondo il produttore ri
corrente l'accertamento dell'eventuale decettività della propria con
dotta competeva alla sola Autorità garante della concorrenza e del mer
cato, le cui decisioni, una volta definitive, avrebbero potuto costituire il
necessario presupposto di qualunque giudizio risarcitorio. Le sezioni unite hanno di contro ribadito che l'autorità garante non è
un organo giurisdizionale, ma un'autorità amministrativa, sicché «non
si configura in radice questione di giurisdizione in relazione al giudizio
promosso, davanti al giudice ordinario, da un consumatore, per conse
guire il risarcimento del danno alla salute dal consumo di un prodotto
(sigarette) facendo valere come elemento costitutivo dell'illecito, l'as
serita ingannevole pubblicizzazione del prodotto, mediante I'indicazio
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PARTE TERZA 424
una prima fotografia e, al di sotto della stessa, una didascalia
che recita 'Ritratti in un interno, fiori e geometrie. Quando una
modella interpreta sé stessa'. Nelle pagine successive seguono le altre fotografie del servizio corredate da brevi didascalie
esplicative delle caratteristiche dei capi d'abbigliamento indos
sati dalla modella, compresa l'indicazione delle case d'abbi
gliamento produttrici dei medesimi abiti. Una prima fotografia, inserita alle pag. 204 e 205, riproduce la modella intenta a fu
mare, con un'inquadratura in primo piano della sigaretta; la me
desima azione è ribadita nell'immagine della successiva pag. 206, dove viene nuovamente inquadrata la sigaretta impugnata dalla ragazza. A pag. 209, infine, è pubblicata una fotografia in
cui compare la modella che, seduta ad un tavolo, disegna su un
foglio di carta: sul medesimo tavolo, sul lato sinistro della foto
grafia, è in evidenza — accanto ad un accendino e ad un posa cenere — un pacchetto di sigarette inquadrato in modo che il
nome della marca Marlboro Lights, se pur all'incontrarlo, sia
leggibile». 2. - Con il primo motivo le ricorrenti sostengono che l'Auto
rità garante della concorrenza e del mercato si sarebbe immoti
vatamente discostata dal parere obbligatorio (ai sensi dell'art. 7,
5° comma, d.leg. 74/92) dell'Autorità per le garanzie nelle co
municazioni. Quest'ultima ha ritenuto non sussistente una fatti
specie di pubblicità occulta in quanto: — il servizio fotografico ha ad oggetto principale i capi di
abbigliamento indossati dalla modella (anche con l'indicazione
del marchio commerciale o della casa produttrice), visti in
un'ambientazione di quotidianità realizzata con cenni essenzia
li; —
nell'immagine di cui si tratta la riproduzione del pacchetto concorre con altri segnali a rendere l'atmosfera di un momento
di vita non felice, mancando un tono enfatico o elogiativo del
prodotto che risulta inserito in un contesto tutto sommato nega tivo (tale fattore è stato ritenuto dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni contrastante con un possibile intento pro mozionale, sia pure surrettizio e subliminale);
— la riproduzione del pacchetto non appare ingiustificata o
artatamente introdotta nel tessuto espositivo del servizio.
2.a. - Il motivo è infondato.
L'applicazione delle norme in materia di contrasto della pub blicità ingannevole spetta esclusivamente all'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Le valutazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunica
ne sulla confezione di una espressione diretta a prospettarlo come meno nocivo». Da qui l'affermazione della giurisdizione ordinaria.
VII. - Più in generale, sulla pubblicità occulta, v. Trib. Milano 14 no vembre 2002, id., Rep. 2003, voce cit., n. 294, e, sulla pubblicità in
gannevole, Trib. Venezia 20 maggio 2005 e Trib. Torino 9 dicembre
2004, id., 2005,1, 3225. Cfr. anche Cass. 28 marzo 2006, n. 7083, pres. Fiduccia, est. Segre
to, Soc. Mia c. Soc. Gambini, id., Mass., relativa al contratto stipulato tra le parti, con il quale la prima cedeva all'altra il marchio «Monica
Vitti», da utilizzare per occhiali, di cui la Gambini era produttrice; la società Mia aveva assunto anche l'impegno di promozione pubblicitaria degli occhiali in questione da parte della nota attrice, la quale avrebbe dato la sua disponibilità a preordinate manifestazioni relative alla pro mozione di detti occhiali. In particolare la Vitti, «in occasione delle sue
apparizioni pubbliche, avrebbe fatto cadere il discorso sugli occhiali che indossava» (l'attrice, circa il marchio a proprio nome, era a sua volta contrattualmente vincolata con la Mia, di cui era peraltro titolare al novantacinque per cento).
I giudici di merito avevano pronunciato la risoluzione di tale con tratto per inadempimento. La Cassazione, nel confermare la sentenza
d'appello, ha ricondotto il fatto del terzo, promesso ex art. 1381 c.c. alla società produttrice degli occhiali, alla «prestazione del c.d. sponsee nel contratto di sponsorizzazione».
La sentenza ha anche escluso la nullità di tale promessa, ex art. 1346 c.c., perché il fatto promesso, l'attività promozionale da parte della
Vitti, costituiva una pubblicità illecita e quindi ingannevole. Ciò in
quanto il contratto in parola è anteriore al d.leg. 74/92 (nonché alla 1.
223/90), mentre la direttiva 450/84 (poi attuata proprio dal d.leg. 74/92) non aveva efficacia diretta nell'ordinamento degli Stati membri. All'e
poca della stipula del contratto, quindi, la pubblicità occulta non era ancora contra legem.
Vili. - Per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, v. Uber tazzi (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza, Pa
dova, 2005, 1929 ss.; Casaburi, La tutela civilistica del consumatore avverso la pubblicità ingannevole, in Giur. merito, 2006, 621.
Il Foro Italiano — 2006.
zioni non rivestono carattere vincolante ed è anzi previsto che, in caso di decorso del termine in assenza dell'espressione del
parere, l'autorità possa adottare ugualmente il provvedimento di
sua competenza (art. 13, 3° comma, d.p.r. 626/97, che all'epoca
regolava la fattispecie). Tale giudizio inoltre, poiché attiene direttamente a competen
ze attribuite al garante della concorrenza, non ha valenza con
clusiva e non richiede, quindi, una puntuale confutazione di
ogni singolo argomento o passaggio logico contenuto nel parere. Nella fattispecie, l'Autorità garante della concorrenza e del
mercato ha operato un'autonoma e compiuta valutazione degli stessi profili già esaminati dall'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, dal cui parere si è discostata con motivazioni la
cui adeguatezza sarà verificata unitamente ai motivi di ricorso
relativi a tale valutazione.
3. - Con il secondo motivo, particolarmente sviluppato nelle
memorie conclusive di Philip Morris (nonché nell'intervento di
Condé Nast), si censura il fatto che l'autorità non abbia coin
volto nel procedimento, in qualità di autore del servizio fotogra fico, la modella Christina Kruse.
Quest'ultima, sottolineano, è titolare del diritto morale d'au
tore sul servizio fotografico e, pertanto, Condé Nast non aveva
alcun potere di alterare o modificare la fotografia o il servizio
senza violare il suddetto diritto d'autore. Inoltre né Philip Mor
ris né Condé Nast possono impedire che la fotografia o il servi
zio vengano pubblicati sulle riviste di altre case editrici.
3.a. - Osserva il collegio che parti «necessarie» nei procedi menti di contrasto della pubblicità ingannevole, in qualità di
operatori pubblicitari, sono esclusivamente il committente (ov vero il soggetto nel cui interesse il messaggio è concepito e dif
fuso) ovvero, nel caso di pubblicità non trasparente, l'impresa che produce il prodotto o fornisce il servizio occultamente pub blicizzato. Inoltre, segnatamente per quanto riguarda i procedi menti per violazione dell'art. 4, 1° comma, d.leg. 74/92, l'auto
rità suole configurare, del tutto ragionevolmente, una corre
sponsabilità non tanto dell'ideatore della pubblicità (occulta)
quanto della redazione del quotidiano o del periodico nella pre
disposizione e realizzazione delle modalità grafiche di presenta zione del messaggio, la quale si affianca a quella del commit
tente del messaggio stesso.
Così, anche nella fattispecie, la società Condé Nast, editrice
della rivista in cui è stato pubblicato il messaggio, è stata
espressamente individuata dall'autorità quale «coautore» del
messaggio pubblicitario in quanto «le modalità grafiche del
messaggio non rispondono alle prescrizioni» in materia di tra
sparenza e riconoscibilità della pubblicità a mezzo stampa (par. 6, ultimo cpv., del provvedimento impugnato).
Va peraltro soggiunto che né le ricorrenti né l'interveniente
hanno potuto dimostrare che l'omissione della comunicazione
di avvio del procedimento alla Kruse si sia tradotta in un difetto
di istruttoria a loro danno sicché il motivo, a ben vedere, tende
non già a denunciare un'effettiva carenza procedimentale
quanto ad avallare l'inesistenza di un rapporto di committenza
tra Condé e Philip Morris.
Infine, relativamente al possibile ulteriore utilizzo del servi
zio fotografico da parte della stessa Kruse, in quanto non rag
giunta dall'ordine inibitorio, è facile rilevare che tale circostan
za non esclude affatto, ricorrendone i presupposti, né un ulterio
re intervento dell'autorità, né la possibilità per le ricorrenti di
provare in tale sede l'estraneità all'abuso così realizzato.
4. - Con i restanti motivi di ricorso viene censurata la motiva
zione del provvedimento, evidenziando quanto segue: — i servizi di moda di riviste femminili hanno non solo natu
ra informativa, ma anche promozionale; in virtù di ciò, se del
servizio è riconoscibile l'intento promozionale, il messaggio che esso veicola non è ingannevole per definizione, non rile
vando la tipologia di prodotto in concreto pubblicizzata; —
qualora, viceversa, il servizio non si configuri come fatti
specie riconoscibile di pubblicità, in assenza di un rapporto di
committenza — come nel caso di specie — occorre verificare la
sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti che inducano
comunque a qualificare la natura di un messaggio come promo zionale. A tal fine, si osserva che il pacchetto di sigarette è usato
per riprodurre un momento di quotidianità nella vita della mo
della, con l'intento di connotarne il personaggio, quindi qualifi cabile come un prodotto diffuso con marchio universalmente no
to presente in un contesto narrativo che ne giustifica l'utilizzo.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
In particolare: — non vengono utilizzate parole o immagini che incoraggino
il pubblico a consumare il prodotto; — il prodotto non è utilizzato da un personaggio così signifi
cativo da stimolare effetti emulativi; — il pacchetto di sigarette non è che uno dei tanti oggetti pre
senti sulla scrivania della modella intenta a disegnare; — l'inserimento nella foto del pacchetto appare frutto di una
libera scelta dell'artista, strumentale alla creazione di un conte
sto animato e naturale, tipico della quotidianità e ad esprimere 10 stato d'animo della modella.
Infine, viene censurata la «commistione» di indici presuntivi
operata dall'autorità, la quale avrebbe illegittimamente adope rato gli indici rivelatori della pubblicità tradizionale allo scopo di accertare la sussistenza di un'ipotesi di product placement.
4.a. - Occorre premettere che il d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74,
prevedendo che la pubblicità deve essere palese (art. 1, cpv.,
oggi trasfuso nell'art. 19, 2° comma, d.leg. 206/05), impone con
ciò il requisito della «trasparenza» della comunicazione pubbli citaria, in forza del quale la stessa deve «essere chiaramente ri
conoscibile come tale; in particolare, la pubblicità a mezzo di
stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunica
zione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione»
(art. 4, oggi trasfuso nell'art. 23, 1° comma, d.leg. 206/05, cit.). La pubblicità occulta è vietata, in ogni possibile forma, in
quanto particolarmente insidiosa. Essa, infatti, «elude le naturali
difese rappresentate dalle risorse critiche alle quali il pubblico è
solito ricorrere dinanzi ad una pressione pubblicitaria scoperta; è più autorevole ed affidabile, per il fatto che il messaggio ha
l'apparenza di un'informazione neutrale e disinteressata; è, in
fine, particolarmente efficace, in quanto si presta a carpire l'at
tenzione anche di coloro che usano distoglierla dai messaggi
pubblicitari palesi. La pubblicità occulta, dunque, nella multi
formità delle sue espressioni, disorienta il pubblico dei consu
matori, aggirandone i naturali meccanismi di difesa e reazione,
oltre, naturalmente, ad alterare l'ideale situazione di parità delle
imprese nel confronto concorrenziale» (così Tar Lazio, sez. I,
21 ottobre 2003, n. 8919). Nell'ambito del divieto di pubblicità occulta ricadono, in
particolare, le ipotesi di pubblicità tradizionalmente denominata
«redazionale», la quale si rivolge al pubblico con le ingannevoli sembianze di un normale servizio giornalistico, apparentemente riconducibile ad una disinteressata scelta della redazione, non
ché il c.d. product placement, tipico dei film, consistente nell'e
sibizione o nella citazione della denominazione, del marchio o
dei prodotti di un'impresa in un contesto comunicazionale in
formativo o d'intrattenimento, a fini promozionali (così Tar La
zio, sez. I, 11 marzo 2005, n. 1811). La giurisprudenza di questo tribunale ha più volte affermato
che in materia di pubblicità occulta è possibile pervenire alla
individuazione dello scopo promozionale sulla base di elementi
presuntivi gravi, precisi e concordanti, anche in mancanza della
prova storica del rapporto di committenza, che solo eccezional
mente può essere acquisita, essendo nell'esclusiva disponibilità delle parti. Di conseguenza non può essere inibito all'autorità —
allorquando manchi la prova diretta del rapporto di commit
tenza, come avviene nel caso in esame — di raggiungere tale
prova facendo ricorso, in modo rigoroso e prudente, ad elementi
presuntivi. Ovviamente, quello che il giudice adito può svolgere in mate
ria è un sindacato soltanto indiretto, inteso essenzialmente a ve
rificare la coerenza e la ragionevolezza dell'/ter logico percorso dall'autorità, la congruità dell'istruttoria compiuta, la suffi
ciente univocità degli elementi indiziari disponibili e la suffi cienza della motivazione addotta.
Nel caso di specie, l'atto impugnato si fonda su elementi pre suntivi che hanno i prescritti caratteri di gravità, precisione e
concordanza, cosicché la valutazione compiuta dall'autorità ap
pare immune da vizi.
A.b. - In primo luogo, alcuna illegittimità può ravvisarsi nel
contemporaneo utilizzo da parte dell'autorità sia degli indici ri
velatori della pubblicità c.d. redazionale sia di quelli relativi al
product placement. Si tratta infatti di figure che non hanno una precisa definizio
ne normativa ma che rappresentano il frutto dell'elaborazione
giurisprudenziale applicata alle tecniche pubblicitarie. Nella fattispecie, a ben vedere, non vi è poi stata alcuna
11 Foro Italiano — 2006.
«commistione» di elementi d'interpretazione ma solo l'applica zione ragionata e progressiva degli indici sintomatici funzionali
a ciascuna delle tecniche sopra descritte.
In particolare, la conoscenza delle tecniche del product pla cement ha consentito all'autorità di evidenziare la finalità pro mozionale dello sviluppo narrativo del servizio fotografico,
concepito non già come mera riproduzione statica di oggetti materiali, bensì (come affermato dalla stessa Condé Nast nelle
memorie presentate nel procedimento innanzi all'autorità) come
una «libera interpretazione artistica del tema concordato» con
l'autore, mediante la raffigurazione artistica di alcuni aspetti della vita quotidiana e degli stati d'animo della modella.
Quanto agli indici rivelatori della c.d. pubblicità redazionale,
l'autorità se ne è avvalsa al fine di verificare la sussistenza di
una pubblicità non trasparente, in quanto non distinguibile, per le modalità grafiche, dalle altre forme di comunicazione al pub blico presenti nei prodotti editoriali.
4.c. - Del tutto priva di pregio è poi l'affermazione di Philip Morris secondo la quale il garante non avrebbe attentamente
considerato che i servizi di moda sono caratterizzati da una
strutturale commistione tra elementi informativi e promozionali e che pertanto il messaggio veicolato non è ingannevole per de
finizione. Infatti, premesso che la commistione di elementi in
formativi e promozionali è di per sé idonea a disorientare il con
sumatore (così ad esempio Tar Lazio, sez. I, 8919/03, cit.) la
«riconoscibilità» dell'intento promozionale del servizio di moda
poteva semmai riguardare, nella fattispecie, i capi di abbiglia mento e gli accessori indossati dalla modella, ma non già i pro dotti da fumo inquadrati, per i quali, tra l'altro, esiste uno speci fico divieto di propaganda pubblicitaria.
Al riguardo è stato osservato che tale divieto, e la conse
guente propensione degli operatori ad aggirarlo mediante forme
indirette di propaganda, costituisce di per sé un possibile ele
mento probatorio del carattere pubblicitario dei messaggi inse
riti in pellicole cinematografiche poiché in tali casi il product
placement diventa il canale pubblicitario esclusivo (Cons. Stato,
sez. VI, 11 aprile 2003, n. 1929, Foro it., Rep. 2003, voce Sa
nità pubblica, n. 1012). Infine, non è chiaro al collegio, nel caso di specie, come l'as
serita riconoscibilità dell'intento promozionale di un prodotto la
cui propaganda è espressamente vietata in tutte le forme, dirette
e indirette, possa conciliarsi con la recisa negazione dell'esi
stenza di un rapporto di committenza tra Condé e Philip Morris.
4.d. - Neppure persuade l'ulteriore affermazione di Philip
Morris secondo cui l'autorità non avrebbe attentamente conside
rato che le immagini sono prive di qualsiasi tono di enfasi o
elogiativo del prodotto e che l'inserimento del pacchetto di si
garette, frutto di una libera scelta dell'artista, è strumentale alla
creazione di un contesto «animato e naturale tipico della quoti dianità» e ad esprimere lo stato d'animo della modella.
Il product placement infatti prescinde dalla presentazione del
prodotto in termini elogiativi, riuscendo a veicolarlo, ugual
mente, allo spettatore «tramite la sua collocazione in precisi contesti sociali e psicologici che contribuiscono al riconosci
mento del brand e delle qualità ad esso attribuite. Il ricorso a
questa forma di comunicazione commerciale è indipendente dalla chiara ed esplicita presentazione del prodotto e, soprattut to, prescinde dall'adozione dello stile elogiativo ed enfatico ti
pico della pubblicità, che costituisce invece il principale ele
mento distintivo tra informazione giornalistica e messaggi pro mozionali c.d. redazionali» (così Tar Lazio, sez. I, 1811/05,
cit.). Il giudice amministrativo ha individuato due classi di criteri
rilevanti ai fini dell'apprezzamento della natura promozionale del messaggio, vale a dire «l'esibizione casuale o meno, ripetuta o meno, del marchio del prodotto; la strumentalità o meno del
l'esibizione rispetto all'opera artistica-intellettuale» (Cons.
Stato, sez. VI, 11 aprile 2003, n. 1929, cit.). Il criterio dirimente appare incentrato sulle modalità di raffi
gurazione del prodotto e, in particolare, sulla «innaturalità»
della sua esibizione da valutarsi in relazione all'insistenza sul
marchio del prodotto, alla reiterazione delle citazioni o alla ge stualità esasperata, forzata o comunque artificiosa dei personag
gi. Con riguardo, invece, alla strumentalità della rappresenta zione rispetto al contesto, la giurisprudenza suole valutare la
necessità ovvero l'utilità dell'esibizione del prodotto rispetto alle esigenze narrative. L'indagine, da effettuarsi caso per caso,
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427 PARTE TERZA 428
è volta ad accertare se la citazione del marchio risulti del tutto
estranea rispetto al contesto narrativo e assolutamente non giu stificata da alcuna esigenza di caratterizzazione dei personaggi o
della situazione ambientale. In particolare, qualora la citazione
o la raffigurazione di un marchio commerciale in un contesto in
formativo o di intrattenimento non possa essere plausibilmente
giustificata da esigenze artistiche o narrative, l'autorità può le
gittimamente presumere che il messaggio persegua uno scopo
promozionale (Tar Lazio, sez. I, 3 marzo 2004, n. 1997; 14 lu
glio 2004, n. 6906 e n. 6908). Nella fattispecie, il garante ha osservato che, sebbene il servi
zio denunciato, incentrato sui capi di abbigliamento indossati
dalla modella, riproduca «un contesto di vita reale per il tramite
dell'ambientazione utilizzata (un interno domestico) e della resa
degli stati d'animo che caratterizzano il quotidiano di una mo
della che 'interpreta sé stessa'», l'inserimento dell'immagine del pacchetto di sigarette «in un primo piano della fotografia della modella ritratta in una posa in cui la stessa vuol rendere
uno stato d'animo di stanchezza o stress, come testimoniato
dallo sguardo assente e dal disegnare svogliato», non esclude la
natura promozionale della fattispecie, «atteso che la comunica
zione dello stato d'animo in questione poteva effettuarsi per il
tramite del semplice gesto del fumare, espediente peraltro già utilizzato in altre due foto del servizio. Nel caso di specie, per tanto, l'inserimento dell'immagine del citato pacchetto di siga rette appare artificiosa e non trova una giustificazione nel tes
suto narrativo del servizio in cui si inserisce. Infatti, non sembra
esservi una necessità artistica che giustifichi l'introduzione del
pacchetto in posizione chiaramente visibile, anzi la sua presenza
porta all'attenzione del lettore la marca delle sigarette come la
conclusione del percorso logico iniziato in precedenza, laddove
la modella, in altre due immagini, già era raffigurata in tutta
evidenza mentre era intenta a fumare. Siffatta conclusione è suf
fragata, fra l'altro, dalla scarna ambientazione del set fotografi co in cui tuttavia, fra i pochi elementi essenziali ritratti, figura il
completo da fumo disposto visibilmente sul tavolo».
Il «contesto di vita reale», al quale si sono richiamate le ricor
renti per escludere l'artificiosità dell'inserimento del pacchetto di sigarette (tra l'altro, in posizione ben visibile), è dunque pur
sempre un set fotografico, nella cui realizzazione deve ritenersi
che l'ambientazione, e gli oggetti che la caratterizzano, siano
stati accuratamente scelti allo scopo di creare un'atmosfera ac
cattivante e seducente.
A tale riguardo è perciò irrilevante che la protagonista-autrice del servizio, non sia particolarmente nota (come nel caso del
c.d. testimonial), in quanto si tratta pur sempre di una modella, e
cioè di personaggio che, nell'immaginario collettivo, risulta
particolarmente attraente e desiderabile.
A voler invece seguire le ricorrenti, là dove rimarcano che
l'intento promozionale delle sigarette Marlboro Lights è sicu
ramente escluso dalla mancanza di toni elogiativi o enfatici e
comunque dal contesto negativo, di stress e stanchezza, che
l'atteggiamento e le espressioni della modella intendono sugge rire, dovrebbe pervenirsi all'inverosimile conclusione che l'in
tero servizio fotografico abbia uno scopo «sociale» ed «educati vo» e che intende mettere in guardia il lettore dal perseguire uno
stile di vita così noioso come quello della modella Kruse.
Ritenuta la natura pubblicitaria del servizio in esame, ai sensi dell'art. 2, lett. a), d.leg. 74/92, l'autorità ha poi correttamente
proceduto alla valutazione della sua riconoscibilità.
Nel caso di specie, la mancata utilizzazione di modalità grafi che diverse da quelle con cui sono stampati gli altri articoli
ospitati nella rivista, comporta che il messaggio non sia ricono
scibile come pubblicità potendo, per questo motivo, indurre in
errore le persone alle quali è rivolto e pregiudicarne il compor tamento economico. Al riguardo, come già chiarito, il camuffa
mento del messaggio all'interno di un servizio di moda, del tutto analogo a quelli normalmente presenti nelle riviste femmi
nili, conferisce alla comunicazione pubblicitaria una forza di
penetrazione e suggestione ben maggiore di quella esplicita, le
gittimando pertanto l'intervento inibitorio dell'autorità. In definitiva, per tutto quanto argomentato, il ricorso deve es
sere respinto.
Il Foro Italiano — 2006.
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSO NALI; provvedimento 2 febbraio 2006; Pres. Pizzetti, Rei.
Paissan.
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSO NALI; provvedimento 2 febbraio 2006; Pres. Pizzetti, Rei.
Persona fisica e diritti della personalità — Dati sensibili —
Lavoratore dipendente — Uso indebito del computer —
Siti visitati — Monitoraggio — Illegittimità (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavo
ratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luo
ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 4; d.leg. 30 giu
gno 2003 n. 196, codice in materia di protezione dei dati per
sonali, art. 7,11, 26).
Ancorché al lavoratore dipendente possa essere contestato l'u
so indebito del computer, è illegittimo il monitoraggio del
contenuto dei siti visitati, idoneo a rilevare dati sensibili. (1)
(1) I. - Con il provvedimento in epigrafe il Garante per la protezione dei dati personali ha vietato ad una società l'uso dei dati relativi alla
navigazione in Internet di un lavoratore che, pur non essendo autoriz
zato, si era connesso alla rete da un computer aziendale. La società ha
posto in essere pregnanti accertamenti, volti a dimostrare il comporta mento illecito nell'ambito del rapporto di lavoro, in assenza di previa informativa ed in violazione dell'art. 11 d.leg. 196/03, nella parte in cui
prevede che i dati personali devono essere «trattati in modo lecito e se condo correttezza» e in conformità ai principi di pertinenza e non ecce denza «rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati».
Il monitoraggio della navigazione in Internet, anche attraverso la ve rifica dei files temporanei e dei cookies, ha comportato il trattamento di dati sensibili, idonei a rivelare convinzioni religiose ed opinioni atti nenti la vita sessuale, senza il previo rispetto delle garanzie apprestate dall'art. 26 d.leg. 196/03 e dal punto 3 dell'autorizzazione generale del
garante relativa al trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro (il
provvedimento fa riferimento all'autorizzazione 1/04, attualmente rim
piazzata dalla 1/05). II. - Nel caso di specie il garante ha escluso l'applicabilità dell'art.
26, 4° comma, lett. c), ai sensi del quale le informazioni di natura sen sibile possono essere trattate senza il previo consenso quando il tratta mento è indispensabile «per far valere o difendere un diritto» in sede
giudiziaria e sempre che, trattandosi di dati «idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale», il diritto da tutelare sia di rango pari a quello dell'interessato «ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile» (nello stesso senso, cfr. punto 3, lett. d, della citata autorizzazione generale e il provvedi mento generale in materia di dati sanitari e diritti di «pari rango» del 9
luglio 2003). L'uso indebito del computer si sarebbe potuto rilevare senza indaga
re sul contenuto dei siti visitati e controllando esclusivamente i tempi di
collegamento. Sulla possibilità di verificare a posteriori gli accessi ad Internet del lavoratore, cfr. Corte conti, sez. giur. reg. Piemonte, 13 no vembre 2003, n. 1856, Foro it., 2005, III, 27.
III. - Il d.leg. 30 giugno 2003 n. 196 non affronta espressamente la
problematica oggetto del provvedimento in epigrafe, limitandosi, ex art.
114, a rinviare alla disciplina dell'art. 4 1. 300/70 in materia di con trollo a distanza dei lavoratori.
Internet, l'e-mail e i nuovi strumenti tecnologici costituiscono «le altre apparecchiature» che l'art. 4, 1° comma, affianca agli impianti au diovisivi vietandone l'uso per finalità di controllo a distanza dell'atti vità dei lavoratori.
Il garante, con il provvedimento generale del 29 aprile 2004 sulla vi
deosorveglianza, ha ribadito il divieto di controllo a distanza dell'atti vità lavorativa «anche in caso di erogazione di servizi per via telemati ca mediante c.d. web contact center», nonché la necessità di osservare «le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è
impiegata per esigenze organizzative e dei processi produttivi, ovvero è richiesta per la sicurezza del lavoro».
IV. - Le uniche forme di controllo a distanza ammesse, nel rispetto della procedura individuata dall'art. 4, 2° comma, 1. 300/70, sono
quelle necessarie per la soddisfazione di esigenze organizzative, pro duttive o di sicurezza del lavoro.
Il controllo dei dipendenti, inoltre, costituisce attività di trattamento dei dati personali che comporta l'obbligo, per il datore di lavoro titolare del trattamento, di rispettare i principi previsti dal d.leg. 196/03, di rilasciare — ex art. 13 — l'informativa ai dipendenti, nonché di ri cevere dagli stessi, quale condizione di liceità all'utilizzo dei dati per sonali, il consenso al trattamento ex art. 23.
V. - Il divieto di controllo a distanza, dell'attività dei lavoratori, po sto dall'art. 4 1. 300/70, non si estende ai controlli difensivi diretti ad accertare le condotte illecite del lavoratore che integrino una lesione del
patrimonio aziendale, della sicurezza o una violazione contrattuale. Sulla legittimità dei controlli difensivi tecnologici, v. Cass. 3 aprile
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