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sezione I; sentenza 21 marzo 1997, n. 480; Pres. Schinaia, Est. Romano; Muollo e Pennisi (Avv. F. Di...

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sezione I; sentenza 21 marzo 1997, n. 480; Pres. Schinaia, Est. Romano; Muollo e Pennisi (Avv. F. Di Maio, Sorrentino) c. Consob Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 309/310-317/318 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192071 . Accessed: 25/06/2014 07:32 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 07:32:54 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I; sentenza 21 marzo 1997, n. 480; Pres. Schinaia, Est. Romano; Muollo e Pennisi (Avv.F. Di Maio, Sorrentino) c. ConsobSource: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 309/310-317/318Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192071 .

Accessed: 25/06/2014 07:32

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione I; sentenza 21 marzo 1997, n. 480; Pres. Schi

naia, Est. Romano; Muollo e Pennisi (Aw. F. Di Maio, Sor

rentino) c. Consob.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione I; sentenza 21 marzo 1997, n. 480; Pres. Sem

Società — Revisori contabili - Dovere di controllo e vigilanza

(Cod. civ., art. 1710; d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136, attuazione

della delega di cui all'art. 2, lett. a, 1. 7 giugno 1974 n. 216, concernente la disciplina del conto dei profitti e delle perdite delle società finanziarie, fiduciarie, delle associazioni ed aziende di credito, art. 1).

I revisori contabili non possono limitarsi al controllo formale dei dati contenuti nelle scritture contabili, ma devono esami

nare e valutare tutta l'attività denunciando immediatamente

al collegio sindacale eventuali irregolarità riscontrate ed evi

denziandole poi nella relazione di certificazione con compiu tezza e puntualità. (1)

(1) La giurisprudenza amministrativa prende, per la prima volta, po sizione sull'esatta definizione dei compiti del revisore contabile e del

grado di diligenza al quale questi è tenuto, dopo che, già in più di una occasione, si erano pronunciati in proposito i giudici ordinari (cfr. Trib. Milano 18 giugno 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Società, n.

614; Trib. Torino 18 settembre 1993, id., Rep. 1994, voce cit-, n. 784; 21 marzo 1994, ibid., n. 789; App. Torino 30 maggio 1995, Danno e resp., 1996, 367).

Fin dall'emanazione del d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136, attuativo della

delega di cui all'art. 2 1. 216/74, le società di revisione sono state viste come le naturali alleate dei piccoli risparmiatori che avessero investito il loro denaro in borsa, o lo abbiano affidato alle società fiduciarie, senza poter — per mancanza di tempo, cognizioni specifiche in materia contabile o altro — sobbarcarsi all'onere di un serio ed approfondito controllo del bilancio e della contabilità aziendale. Notava, infatti, Ce

ra, La revisione contabile tra lacune legislative e prassi, in Riv. dir.

comm., 1990,1, 89, che «l'ordinamento delle società con azioni quotate in borsa e del mercato dei valori mobiliari poggia sul principio generale della trasparenza e dell'informazione del pubblico risparmiatore. La tra

sparenza e l'informazione sono assicurate essenzialmente dai prospetti e dai conti che indicano dati e valori relativi alla situazione delle società che fanno appello al pubblico risparmio. È tuttavia indubbio, (. . .) che la cosiddetta 'cultura del prospetto' trascura l'incapacità del rispar miatore medio di comprendere appieno e verificare i dati che quel do cumento e tutti gli altri destinati alla pubblicazione contengono. Nondi meno i dati contabili costituiscono il nucleo sostanziale dell'informazio ne al mercato e non è facile evitare una certa complessità delle relative

esposizioni; donde l'obiettivo della loro più ampia chiarezza, fedeltà e completezza e la necessità a tal fine di assicurare un loro rigoroso e indipendente controllo in senso tecnico».

Le società di revisione, definite — con espressione coniata in sede di dibattiti parlamentari da Bruno Visentini — «l'occhio della Consob» nelle società sottoposte alla sua vigilanza, si sostituivano, quindi, al

piccolo azionista ed al collegio sindacale nell'esame del bilancio e delle altre scritture contabili, nella prospettiva di una maggiore efficienza del controllo. Si metteva, così, in luce come questa riforma — che da una

parte introduceva il controllo delle società di revisione contabile e, dal

l'altra, riduceva il potere del piccolo azionista di impugnare il bilancio una volta che esso fosse stato certificato dai revisori — tendesse, nelle intenzioni del legislatore, ad evitare che l'operatività e l'immagine delle

grandi società potessero essere messe in pericolo da miriadi di azioni

legali promosse da piccoli azionisti, considerati minus habentes non «in via di principio, costituzionalmente inabile ad impugnare coerentemen te i documenti redatti dal consiglio di amministrazione», ma «sotto un

profilo patrimoniale: ha troppo poco, ha investito troppo poco, per essere legittimato a dubitare della correttezza del sistema di cui altri, avendo (singolarmente o insieme) di più e avendo investito di più, sono

legittimati a dubitare» (Libonati, Gli effetti della certificazione del bi

lancio, in Riv. società, 1975, 849, 864 ss.), ma allo stesso tempo non

gli negava, ma al limite potenziava, la tutela, affidandola ad una socie tà di revisione, più competente, distaccata e, quindi, efficiente (cfr., oltre a Libonati, cit., 864 ss., Corapi, Certificazione dei bilanci ad

opera delle società di revisione e controllo della Consob sulle società

quotate in borsa, in Giur. comm., 1979, I, 11, 17). Altro scopo della riforma era, poi, quello di aumentare l'efficienza

dei controlli, che, affidati in precedenza al collegio sindacale, avevano lasciato non poco a desiderare. Alcuni autori speravano, anzi, che que sta riforma potesse determinare una maggiore efficienza dello stesso

collegio sindacale, che, esonerato dal gravoso onere dei controlli conta

bili, avrebbe potuto dedicarsi con più cura ai suoi altri compiti (in pro posito, cfr. Libonati, cit., 849 ss., e, dello stesso a., La revisione vo lontaria: effetti, in Giur. comm., 1979, I, 624; Colombo, La discipilina italiana della revisione, in Riv. dott. commercialisti, 1977, 1). Una arti colata critica della riforma è, invece, condotta da Mango, Prime consi

derazioni in tema di revisione e certificazione dei bilanci, in Giur. comm.,

Il Foro Italiano — 1997.

Diritto. — 1. - Il provvedimento impugnato giunge ad inti

mare «ex art. 11,2° comma, lett. a), d.p.r. n. 136 del 31 marzo

1975» alla Italaudit s.p.a. di non avvalersi per ventiquattro me

si dell'opera professionale dei ricorrenti, nell'attività di revisio

ne e certificazione di bilanci, perché «. . . le gravi irregolarità riscontrate nelle funzioni di revisione e certificazione svolte dal

dr. Claudio Muollo e dal dr. Mauro Pennisi hanno contribuito

a determinare, con riguardo ai fatti sopra evidenziati, una non

corretta e fuorviarne rappresentazione della situazione economico

patrimoniale ed operativa nel bilancio della Margest relativo al

l'esercizio 1992». I «... fatti ...» cui fa riferimento detta conclusiva parte

della motivazione dell'anzidetto provvedimento sono quelli rias

suntivamente riportati nelle premesse dello stesso provvedimen to ed emersi, in particolare:

— dall'esame della relazione di certificazione della Margest fiduciaria s.p.a.,

1976, I, 32 (contra, Corapi, cit., 12 ss.), mentre Fortunato, Società di revisione e collegio sindacale, in Giur. comm., 1994, I, 829, critica la scelta di introdurre un organo terzo di controllo, senza, dall'altra, eliminare il collegio sindacale, vedendo in ciò un segno del «dualismo strisciante e carico di ambiguità che pervade ormai da circa un venten nio la disciplina italiana della revisione contabile e dei controlli societa ri» (p. 830). L'analisi di un possibile rapporto 'costruttivo' tra sindaci e revisori contabili è invece condotta da Valensise, Il revisore risponde per mancata informazione al collegio sindacale, in Danno e resp., 1996, 36.

Chiarita la funzione delle società di revisione, ci si è posti il problema dell'esatta definizione dei loro compiti e del grado di diligenza cui esse sono tenute nell'espletamento dei loro incarichi. Si è così rilevato che, in primo luogo, il controllo dei revisori non può limitarsi ad una sem

plice verifica della corrispondenza tra quanto scritto in bilancio e i dati contenuti nel libro-giornale e nelle altre scritture contabili, ma deve com

prendere anche un esame della regolare tenuta di queste ultime, me diante un sistema di controllo a campione, e, quando necessario, di controlli incrociati con altri soggetti che possano essere in possesso di informazioni riguardanti le operazioni compiute dalla società controlla ta. In caso contrario, infatti, la vigilanza dei revisori contabili avrebbe «il significato, puramente formale, di assicurare che tutto quanto è con tenuto nelle scritture è compreso nel bilancio e non anche quello più importante che i fatti di gestione sono stati tutti rilevati nelle scritture e sono, quindi, confluiti a formare il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite» (Salafia, Il controllo della contabilità nelle società quo tate in borsa, in Società, 1986, 5; cfr., anche, Colombo, cit., 14 ss.; in giurisprudenza, Trib. Torino 18 settembre 1993, cit.).

Tale controllo va, poi, effettuato criticamente, dal momento che, co me sottolinea Cera, cit., 100, «una seria e compiuta revisione contabile dei bilanci in quanto tale non può escludere apprezzamenti su singole poste al di là della loro mera corrispondenza alle scritture contabili: come si può verificare la congruità di un fondo rischi? Come si può stabilire il criterio per gli accantonamenti per le imposte? (. . .) Questo è il delicato problema della funzione e dei limiti della revisione contabi le. Se si pensa che il contenuto della revisione sia il riscontro dell'esatta contabilizzazione dei fatti di gestione (. . .), si deve anche ritenere che l'esame delle società di revisione debba arrestarsi di fronte a quelle po ste che presuppongono una sua pur limitata attività valutativa; se inve ce si afferma, più opportunamente e correttamente a mio avviso, che alle società di revisione spetti 'un controllo completo di legalità sul bi lancio' (. . .), non potrà non ammettersi anche un giudizio valutativo delle stesse su quelle poste che appunto non derivano da mere rilevazio ni contabili». In caso contrario si correrebbe, tra l'altro, il rischio, a suo tempo denunciato da Mango, cit., 46 ss., che le leggi sulla valuta zione del bilancio oggi in vigore in Italia, volte ad impedire solo una

ipervalutazione dell'attivo da parte degli amministratori, consentano per il resto a questi ultimi piena libertà d'azione, costringendo i revisori contabili a ridursi a meri lettori del bilancio, costretti ad avallare qual siasi scelta di questi ultimi.

Ciò non toglie, peraltro, che quello dei revisori contabili sia un mero controllo di legittimità, che non può estendersi, come quello del colle

gio sindacale, al merito degli atti (così, Castellano, I controlli esterni, in Trattato delle società per azioni a cura di Colombo e Portale, Tori

no, 1988, V, 307, se non si vuole aderire alla diversa prospettazione della teoria ad opera di Caratozzolo, La concorrenza dei controlli di sindaci e revisori, in I poteri di controllo del collegio sindacale, in

Società, 1989, 367, 368 ss., che parla di un 'controllo sugli atti' con

trapposto ad un 'controllo sulle persone'), come, tra l'altro, dimostrato dal fatto che qualora i revisori si imbattano in gravi irregolarità nella

gestione dell'impresa, non possano agire direttamente, ma debbano li mitarsi a denunciare la cosa al collegio sindacale, perché possa intra

prendere le azioni che (esso) riterrà più opportune. Quanto alla diligenza cui è tenuta la società di revisione nell'espleta

mento del suo incarico, buona parte della dottrina (cfr. Bonelli, Re

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PARTE TERZA

— dall'ispezione disposta il 27 agosto 1993, con provvedi mento n. 7107, a carico della Margest, dopo aver preso atto

che neppure le dichiarazioni rilasciate dal dr. Pennisi nel corso

di apposita audizione del luglio 1993 consentivano di ben com

prendere la reale portata della relazione di certificazione e dei

riferimenti in essa operati a liquidità negative createsi per ope razioni effettuate dalla società con soggetti definibili come con

troparti correlate; — dalle controdeduzioni contenute nella nota 28 ottobre 1994

della Italaudit s.p.a. 2. -1 ricorrenti contestano la legittimità della «sanzione» so

stanzialmente loro irrogata affermando:

a) che erroneamente sarebbe stato assunto a fatto centrale

del provvedimento un dovere di controllo e vigilanza che non

sponsabilità delle società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei bilanci, in Riv. società, 1979, 968, 988 ss.; Castella

no, cit., 374 ss.; Caldarone e Tucci, La responsabilità nell'esercizio dell'attività di revisione e certificazione del bilancio: prime pronunce della giurisprudenza e tendenze evolutive, in Giur. comm., 1995, I, 294; Allegri, Appunti sulla responsabilità civile dei sindaci e dei revisori

dopo la pubblicazione del registro dei revisori contabili, in Riv. società, 1995, 1036, 1046) la identifica, sulla scorta del dettato normativo, sem

plicemente con quella del mandatario, vale a dire quella del buon padre di famiglia. D'altro canto, la scelta del legislatore è stata anche criticata da chi ha ritenuto che imporre il parametro della «diligenza de! buon

padre di famiglia, cioè una diligenza normale ed ordinaria, in tema di società per azioni quotate è un non senso» (Kustermann, Le società di revisione, in Riv. not., 1976, 451, 461 ss.), che può essere temperato solo con il configurare l'albo dei revisori tenuto dalla Consob come un albo professionale e l'applicare, conseguentemente, ai revisori stessi anche la disciplina dell'art. 1176, 2° comma, c.c., mentre altri aggiun gevano che «il grado di diligenza esigibile è poi rafforzato dal fatto che la società di revisione è per definizione legislativa munita dell'ido neità tecnica e dell'organizzazione necessaria per procedere con effica cia al controllo contabile di società di grandi dimensioni» (Bussoletti, Società di revisione, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XL1, 1080, 1090 ss.). In giurisprudenza, intanto, si è sostenuta l'appli cabilità dell'art. 2236 c.c., ricordando, peraltro, che «il metro della dili

genza cui commisurare la legittimità dell'operato della società di revi sione (. . .) non può non considerare la natura dell'attività da svolgere, la qualificazione professionale e l'adeguata e sofisticata struttura di cui le società in questione debbono essere dotate, con la conseguenza che il disposto dell'art. 2236 c.c. (. . .) va interpretato con riferimento alla necessaria organizzazione d'impresa nel cui ambito e con il cui suppor to deve svolgersi l'attività (. . .) ed al normale oggetto di essa» (Trib. Milano 18 giugno 1992, cit.). Su questa base, è stato considerato non

negligente il comportamento di una società di revisione che, essendosi limitata a verificare la corretta impostazione ed il regolare funziona mento dei programmi automatici utilizzati nella contabilità della società

controllata, senza badare a controllare anche l'esattezza delle somme, era rimasta vittima di un 'programma-pirata', inserito nei computer del

l'azienda, che, pur non modificando le singole poste, cambiava tutti i risultati finali. All'art. 2236 c.c. si rifà anche Salafia, cit., 7 ss., il quale comunque ritiene «difficile immaginare la possibilità d'applica zione» della norma in questione all'attività di controllo di regolare te nuta della contabilità, dove «non sembrano immaginabili problemi tec nici di speciale difficoltà», mentre la ritiene ben più applicabile all'atti vità di controllo e certificazione del bilancio, «trattandosi di attività il cui espletamento, com'è noto, sovente comporta la soluzione di pro blemi tecnici di speciale difficoltà».

Si è discusso se, per sfuggire all'accusa di negligenza, al revisore con tabile basti dimostrare di essersi puntualmente attenuto ai principi per la revisione del bilancio elaborati dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti. A fronte di sentenze (Trib. Milano 18 giugno 1992, cit.) che hanno ravvisato nel loro rispetto il canone cui rapportare la diligen za dell'operato del revisore, si è assistito in dottrina a forti opposizioni, sostenendosi che ciò che conta non è il formale rispetto di una serie di regole codificate da un'associazione di categoria, ma il raggiungi mento della finalità di piena informazione atei pubblico alla base della normativa sulla revisione obbligatoria. Così Bonelli, cit., 992 ss., ritie ne che «sia gli usi e procedure di revisione delle associazioni professio nali interessate, codificati o non in un corpo di regole, sia i principi e criteri di revisione che la Consob potrà raccomandare (. . .), costitui scono un utile punto di riferimeto, nel senso che se una società di revi sione non li osserva non potrà sostenere di aver diligentemente adem

piuto ai suoi obblighi, ma non possono certo costituire, qualora siano osservati, una prova conclusiva dell'esercizio della dovuta diligenza nel

l'adempimento degli obblighi imposti dalla legge. L'osservanza delle pro cedure e dei criteri di revisione (. . .) costituirà cor.iuuque un indizio che la società di revisione ha usato la diligenza del b ion padre di fami

glia nell'adempimento del suo incarico». La prova della semplice osser vanza delle normali procedure non esimerà, in altre parole, il giudice

Il Foro Italiano — 1997.

competerebbe ai revisori ma, bensì, agli organi di controllo isti

tuzionali (Consob e Banca d'Italia) ed interni alla società revi

sionata (collegio sindacale);

b) che sarebbe stato prescritto soltanto successivamente all'e

spletamento della contestata revisione — cioè dal 1° marzo 1994

con comunicazione Consob n. 94001751 — il dovere di verifica

re la pianificazione finanziaria e gestionale del soggetto revisio

nato, onde poter segnalare le eventuali situazioni di serio dub

bio circa la continuità aziendale del revisionato;

c) che la misura sanzionatoria (massima) applicata sarebbe

ingiusta perché «. . .le presunte irregolarità non erano in grado di arrecare danno ad alcuno . . .», e perché non vi sarebbe sta

to «. . . alcun interesse connivente del revisore con il revisiona

to . . .»; che la stessa misura sarebbe, inoltre, immotivata, te

«dal valutare se ciò sia sufficiente per affermare che la società di revi sione abbia adempiuto con la 'diligenza del buon padre di famiglia' gli obblighi imposti dalla legge». Dal canto suo, Colombo, cit., 21, ribatte, ancor più incisivamente, che «la generale accettazione di certi

principi contabili potrebbe venire giudicata dal legislatore come sinto mo (. . .) di adeguatezza alle finalità informative giuridicamente impo ste alla contabilità, e potrebbe indurre il legislatore a modificare la nor mativa: ma tale eventuale modifica dovrà essere il frutto di una scelta

degli organi costituzionalmente preposti al compito di legiferare, e non

può venir lasciata (. . .) ad una corporazione di esperti, attraverso una sorta di delega in bianco». Per analoghe considerazioni, vedi ache Cal darone e Tucci, cit., 301 ss.; Bussoletti, cit., 1091. Analoghe consi

derazioni, d'altronde, erano già state fatte anche negli Stati uniti, dove nel leading case, Herzfeld v. Laventhol, Kreskstein, Horwath & Hor wath (citato da Caldarone e Tucci, cit., 303 ss.), la corte federale ha stabilito che «le parti hanno a lungo discusso di principi contabili

generalmente accettati e di quale sia il modo più corretto, per un conta

bile, di relazionare le operazioni di trasferimento della proprietà immo biliare. La corte ritiene che tutto ciò sia fuori luogo. Il punto, nella

presente controversia, non è tanto se la relazione di Laventhol soddisfi oscuri principi contabili, comprensibili solo all'iniziato, ma se dia un

quadro corretto del reale stato finanziario della Firestone (. . .) all'oc chio inesperto di un qualunque investitore» (ma per ulteriori richiami a decisioni giurisprudenziali americane, cfr. Bonelli, cit., 999 ss.).

L'introduzione, nell'aprile 1992, di una raccolta di principi contabili effettuata dalla Consob (sulla quale cfr. Marasco, Delibera Consob sui principi contabili e di revisione: come si è originata e dove porta, in Riv. dott. commercialisti, 1982, 383) ha certamente sminuito di mol to l'importanza dei principi contabili elaborati dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti, ma non ha fatto perdere attualità al proble ma di fondo, che può porsi ora in termini di rispetto di principi raccolti dalla Consob (il problema è già trattato da Romagnoli, Un caso di

responsabilità della società di revisione nei confronti degli investitori

per negligente certificazione, in Giur. comm., 1994, II, 284, 291 ss., secondo il quale «si dovrà (. . .) concludere unicamente nel senso che la raccomandazione da parte della Consob di particolari principi di re visione costituisca un limite alla libertà di apprezzamento da parte del revisore dei metodi da seguire nell'espletamento dei suoi compiti e quindi l'uso dei mezzi suggeriti faccia presumere che egli abbia adeguatamente svolto il suo incarico. In caso contrario, egli invece dovrà dimostrare che le procedure adottate soddisfarono meglio o in egual modo gli inte ressi posti a fondamento dell'istituto previsto dal d.p.r. 136/75»).

Un punto fermo della materia è, di converso, che l'obbligazione as sunta dalla società di revisione non è una doglianza di risultato, ma una obbligazione di mezzi, come è reso palese dal richiamo legislativo alla diligenza del mandatario. Essa non garantisce la verità delle pro prie attestazioni e non incorre in responsabilità per il solo fatto della successiva scoperta della loro non corrispondenza al vero. L'obbligazio ne assunta ha per oggetto una attività di diligente revisione contabile, con il grado di perizia e di oculatezza connesso all'alta professionalità richiesta: la società di revisione non risponde della mancata scoperta di frodi, sottrazioni e altre dolose irregolarità degli organi o dei dipen denti della società sottoposta a revisione, se la mancata scoperta non è dovuta ad un negligente o imperito controllo della contabilità» (Gal gano, Le società per azioni, in Trattato Galgano, Padova, 1984, 396; cfr., però, anche Bussoletti, cit., 1091).

Altrettanto pacifiche, in dottrina e giurisprudenza, le conseguenze di un'errata certificazione per dolo o colpa grave. Trib. Torino 21 marzo 1994, cit., mette in luce come vi sia, in questi casi, innanzitutto un

inadempimento jontrattuale, con conseguente perdita del diritto al com penso per il lavoro svolto. Trib. Milano 18 giugno 1992, cit., ha, inol tre, riconosciuto la responsabilità extracontrattuale della società di revi sione che abbia cagionato un danno ?. terzi in conseguenza di una negli gente certificazione, «compresi fra questi i soci direttamente lesi». Trib. Torino 18 settembre 1993, cit., infine, riprende le osservazioni di Trib. Milano 18 giugno 1992, e riconosce un nesso di causalità tra l'opera di negligente certificazione da parte della società di revisione e la perdi ta subita dai clienti di una società fiduciaria che, confidando nella serie

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

nuto conto che, in carenza di criteri di gradualità applicativa direttamente fissati dalla norma, occorreva che la Consob indi

casse le ragioni specifiche per le quali dovessero ritenersi sussi

stenti gli unici due elementi di valutazione possibili e cioè l'og

gettiva esistenza di fatti e comportamenti da ritenersi gravi irre

golarità da sanzionare nella misura massima e la intenzionalità

del comportamento tenuto dai ricorrenti in sede di revisione.

3. - Le suesposte tesi non sono condivisibili per le seguenti motivazioni.

3.1. - Giova, innanzitutto chiarire che il provvedimento im

pugnato è fondato esclusivamente sui fatti e comportamenti ri

feribili all'attività di revisione svolta dai ricorrenti, per conto

della Italaudit s.p.a., nei confronti della Margest fiduciaria s.p.a., come è dato evincere dal chiaro contenuto dello stesso provve dimento.

Ciò al fine di sgomberare il campo dal rilievo, emergente dal

le difese di parte ricorrente, che nell'economia del provvedi mento anzidetto abbia avuto un ruolo diretto e decisivo anche

l'attività di revisione svolta nei confronti della Confida servizi

finanziari Sim s.p.a. Ed invero, un'attenta lettura del provvedimento impugnato

mostra come all'unicità del contesto documentale non corrisponde una unicità funzionale dell'economia del provvedimento «di tal

ché entrambe le verifiche assumano il carattere di presupposti di fatto e di diritto della diffida intimata alla Italaudit s.p.a.» in quanto rimangono oggettivamente separati i due casi e le

conclusioni cui perviene l'autorità.

La premessa comune con la quale iniziano le «conclusioni»

dell'atto impugnato ha, infatti, soltanto la funzione del tutto

evidente di inquadrare i profili negativi comuni ad entrambe

le revisioni operate dai ricorrenti («. . . attività di revisione ina

tà della sua revisione (che era stata invece maldestramente condotta), sulla sua relazione, ove non apparivano le molte scorrettezze compiute dalla fiduciaria stessa, e nella certificazione da essa (ingiustamente) rila

sciata, avevano continuato ad affidare alla fiduciaria i loro risparmi. In dottrina, cfr. invece, tra gli altri, Caldarone e Tucci, cit.; Allegri,

cit.; Salafla, cit.; Romagnoli, cit.; Carbone, Dalla lesione del credito

alla lesione della responsabilità contrattuale, in Corriere giur., 1994,

495; Di Maio, Quali responsabilità per i revisori contabili?, in Società,

1994, 87; Santaroni, In tema di negligenza del revisore, in Giur. it,

1994, I, 2, 657; Montalenti, Responsabilità extracontrattuale della so

cietà di revisione per negligente certificazione, id., 1993, I, 2, 1; Giaca

lone, La responsabilità civile nell'attività di revisione contabile, in Fal

limento, 1994, 211. In questo filone giurisprudenziale può inserirsi a pieno titolo la sen

tenza in epigrafe, che conferma la sanzione amministrativa irrogata dalla

Consob a due revisori, per non aver tempestivamente comunicato al

collegio sindacale le gravi irregolarità riscontrate nell'attività di una Sim

sottoposta al loro controllo contabile (sul punto, cfr., in particolare, in giurisprudenza, Trib. Torino 18 settembre 1993, cit. e App. Torino

30 maggio 1995, cit.; in dottrina, il problema è specificamente trattato

da Valensise, cit.) e per aver sorvolato, nella loro relazione di certifica

zione, su numerosi episodi di mala gestio da essi riscontrati, concluden

do nel senso che «la misura massima applicata trova (. . .) giustificazio

ne, nel caso in esame, nel fatto che il comportamento tenuto dai ricor

renti ha sostanzialmente vanificato il sistema di controllo predisposto dal legislatore in materia di rapporti fiduciari gestiti da società di inter

mediazione e nella constatazione che tale comportamento, a prescindere dalle dimensioni quantitative del fenomeno cui esso inerisce, costituisce

la più grave delle irregolarità che possa commettere un revisore abilita

to al controllo delle società fiduciarie».

Un trend giurisprudenziale, questo, con il quale «i giudici, consci

del fatto che la possibilità di manifestare in assemblea il proprio dissen

so rispetto ai metodi di gestione del patrimonio sociale è resa vana per i piccoli investitori proprio dall'esiguità della quota di capitale possedu

ta, e che l'unico strumento di tutela per questi ultimi è rappresentato dalla possibilità di disinvestire tempestivamente i propri capitali, hanno

cercato di ampliare i margini del dovere di informazione che incombe

su coloro che sono chiamati a verificare la correttezza e la veridicità

del bilancio sociale, nella convinzione che proprio tale bilancio rappre senta il principale strumento di disclosure a vantaggio di chi non ha

la forza contrattuale né la capacità di ingerirsi attivamente nella gestio ne della società. In tal modo l'accresciuta responsabilità del revisore

diventa lo strumento per tutelare non solo i terzi che sono indotti all'in

vestimento dall'esame di un bilancio certificato, ma anche quei terzi

che, lungi dall'essere privilegiati dalla loro posizione di azionisti, vedo

no il loro patrimonio esposto ad un rischio ancor più rilevante proprio in considerazione del fatto che l'investimento già effettuato non garan tisce loro adeguati margini di intervento nella gestione dei capitali inve

stiti» (Caldarone e Tucci, cit., 320). [G. Sacchi Lodispoto]

Il Foro Italiano — 1997.

deguata e carente . . .»), tant'è che, successivamente, vengono nettamente distinte le motivazioni per le quali nel caso della

Confida Sim, pur in presenza delle riscontrate carenze, non si

ritiene di adottare alcuna misura sanzionatoria, mentre per la

Margest si perviene ad irrogare la sanzione contestata, come

dimostra, in particolare, il terzultimo capoverso dell'atto im

pugnato. In sintesi, può escludersi che i fatti e gli atti relativi alla Con

fida Sim costituiscano presupposti del contestato provvedimen to e che gli stessi, quindi, possano avere una qualche rilevanza

diretta nel presente giudizio, atteso che ad essi può, semmai,

riconoscersi soltanto la valenza di elementi dai quali sia l'auto

rità sia il giudice, aliunde, possono trarre conferma, in genera

le, che le carenze e le irregolarità evidenziatesi nel caso Margest non sono un fatto isolato ma rappresentano soltanto l'episodio

più grave. 3.2. - La prima delle sostanziali questioni proposte dai ricor

renti — richiamata al capo 2, sub a), che precede — deve essere

risolta negativamente poiché, a ben vedere, nella specie, costi

tuisce un falso problema chiedersi se le norme vigenti affidino

o meno poteri di vigilanza e di controllo alle società di revisione

ovvero se detti poteri competano soltanto alla Consob ed alla

Banca d'Italia, per un verso, ed al collegio sindacale, per altro

verso.

Ritiene, infatti, la sezione che, a prescindere dalla qualifica zione che all'attività delle società di revisione si voglia o si pos sa dare, certamente incombe sulle società predette — e, quindi, sui revisori — ex art. 1 d.p.r. 136/75 e della comunicazione

Consob n. 2422 del 31 marzo 1993, l'obbligo di: — evidenziare nella relazione di certificazione, con compiu

tezza e puntualità, le eventuali irregolarità riscontrate nei docu

menti contabili e nell'attività operativa del soggetto controllato,

qualunque ne sia la natura e maggiormente se esse assumano

il carattere della gravità; — denunziare immediatamente (cioè senza attendere la con

clusione dei lavori di revisione) al collegio sindacale, mediante

apposita comunicazione formale, le irregolarità riscontrate.

Ciò perché va garantito, in ogni caso, con tutta la tempestivi tà richiesta dalla peculiare importanza e delicatezza del settore

(fiduciario), l'affidamento che i terzi ripongono non soltanto

nella serietà e solidità della società di intermediazione ma an

che, ed ancor di più, nelle capacità professionali della società

di revisione di assicurare la trasparenza, la completezza di in

formazione e l'affidabilità piena ed incondizionata dei dati cer

tificati. È per tali ragioni, infatti, che la norma del citato art. 1 con

ferisce alla società di revisione il «. . . diritto di ottenere dagli amministratori delle società documenti e notizie utili alla revi

sione . . .» ed il potere di «. . . procedere ad accertamenti, ispe zioni e controlli . . .», nonché impone alla stessa che il collegio sindacale venga informato «. . . dei fatti che (la stessa società

di revisione) ritiene censurabili . . .».

In breve, non può condividersi l'assunto che finalità della

revisione sarebbe soltanto quella di esprimere un giudizio sul

bilancio nel suo complesso, senza ulteriori incombenze dei revi

sori, poiché in tal modo ne risulterebbe vulnerato lo scopo pri mo ed essenziale per il quale le su citate norme sono state detta

te, e cioè che l'azione dei revisori risulti sempre idonea ed effi

cace e, comunque, tale da escludere la copertura, in qualsiasi

maniera, di situazioni irregolari. Non si pone, dunque, in questa sede, in termini di essenziali

tà, un problema di consapevolezza o meno del revisore circa

il comportamento tenuto e le conseguenze da esso discendenti,

poiché rileva il fatto oggettivamente emerso in conseguenza del

le concreta modalità utilizzate per eseguire la revisione.

Orbene, nel caso in esame, non pare revocabile in dubbio — sulla scorta della documentazione fornita dalla resistente com

missione e dei precisi e concreti dati contenuti nel provvedimen to impugnato — che costituisca grave irregolarità aver segnala

to al collegio sindacale, soltanto quattro giorni prima dell'ema

nazione della relazione di certificazione (intervenuta dopo circa

sei mesi dall'inizio dell'attività dei revisori), le violazioni della

legge e dei regolamenti sulle Sim commesse dalla società revi

sionata (Margest Sim) quali, in particolare: — aver impegnato alcuni clienti oltre i valori affidati in ge

stione, utilizzando la liquidità di altri clienti; — aver effettuato alcune operazioni di acquisto titoli prima

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PARTE TERZA

che venisse sottoscritto il relativo contratto di gestione da parte del fiduciante;

— aver fornito ai clienti, con i prospetti riassuntivi trimestra

li, informazioni contenenti numerosi errori e, comunque, in ma

niera non conforme allo schema indicato dalla Consob.

Né alcun rilievo può avere la circostanza che i ricorrenti han

no discusso delle vicende ritenute anomale essenzialmente con

gli amministratori della fiduciaria, durante lo svolgimento del

l'attività di revisione, poiché, come ben ha puntualizzato la com

missione, detto comportamento mostra quanto meno l'inade

guatezza dell'attività svolta dai ricorrenti ed in ogni caso non

è utile ad alleviare la posizione dei ricorrenti stessi, tenuto con

to che i rilievi da essi mossi concernevano la correttezza dei

comportamenti tenuti proprio dagli amministratori anzidetti.

Né, altresì, può ritenersi censurabile che la Consob abbia con

siderato ancor più grave irregolarità il fatto che nella relazione

di certificazione i ricorrenti abbiano omesso di formulare qual

sivoglia considerazione sui contratti di mutuo stipulati dalla Mar

gest nel corso del 1992, a favore di alcuni clienti identificabili

come parti correlate.

Infatti, tali operazioni, in quanto estranee all'attività consen

tita alla società revisionata — per il combinato disposto delle

norme di cui ai commi 1° e 4° dell'art. 17 1. 1/91 — non pote

vano, da un lato, non balzare in evidenza per la loro oggettiva

irregolarità, dovendosi razionalmente escludere che i ricorrenti

non sapessero che oggetto dell'attività della Margest Sim potes se essere esclusivamente la gestione di patrimoni in nome pro

prio e per conto di terzi; dall'altro, non potevano le stesse ope razioni non essere denunziate immediatamente al collegio sinda

cale e poi fatte oggetto di apposita e puntuale segnalazione nella

relazione di certificazione.

Allo stato degli atti di causa, trovano, dunque, riscontro le

affermazioni fatte dalla Consob nelle «conclusioni» del provve dimento impugnato:

— che «. . .la società di revisione ha omesso di fornire, nel

la relazione di certificazione, una corretta rappresentazione dei

fatti accertati nel corso del lavoro . . .», non riportando, in par

ticolare, nel documento anzidetto «. . .le numerose irregolarità connesse all'attività operativa della fiduciaria . . .»;

— che la stessa società, nel commentare il fenomeno attinen

te alla «liquidità negativa», ha taciuto circa la frequenza e la

dimensione di tale fenomeno; — che ha omesso ogni indicazione circa l'utilizzo, a favore

di soggetti identificabili come parti correlate, di fondi apparte nenti a clienti terzi;

— che ha omesso di presentare tempestiva e formale denun

zia al collegio sindacale, dopo aver riscontrato l'esistenza di gravi

irregolarità e pur essendovi tenuta ex art. 1, 2° comma, d.p.r. 136/75 ed alla stregua di quanto stabilito dalla Consob con pro

prio atto n. 2422 del 31 marzo 1993; — che ha omesso ogni indicazione nella relazione di certifi

cazione circa l'illegittima attività di finanziamento svolta dalla

fiduciaria — peraltro gratuitamente — a favore di clienti identi

ficabili come parti correlate, pur essendo chiaramente ricavabile

dai documenti di lavoro l'esistenza e la rilevante incidenza nel

l'ambito del bilancio della Margest di tale illegittima attività.

Consegue a tutte le suesposte motivazioni l'infondatezza delle

censure al riguardo svolte con il primo motivo ed anche con

parte del secondo e del terzo motivo.

3.3. - Parimenti infondata è anche la seconda delle questioni

proposte «resa palese dalle doglianze sollevate con la parte re

stante sia del secondo che del terzo motivo di ricorso e richia

mata al capo 2 che precede, sub b)» poiché rientra, ognora, nei doveri discendenti dalla legge e dalle norme Consob per le

società di revisione verificare la pianificazione fianziaria e ge stionale degli intermediari finanziari e segnalare — le quante volte si renda necessario od anche soltanto opportuno, nell'in

teresse dei fiducianti — tutte quelle situazioni che pongano in

serio dubbio la continuità aziendale del soggetto revisionato.

Il corretto assolvimento del compito di legge impone, invero, la evidenziazione delle relative situazioni poiché, come già det

to, l'attività di revisione non può in alcun modo intendersi limi

tata al mero controllo formale dei dati contabili, ma deve ne

cessariamente comprendere la sostanziale valutazione di tutti i

comportamenti, le situazioni e gli atti comunque ricollegabili non solo al formale dato di bilancio ma all'attività concreta

mente posta in essere dalla società revisionata.

Soltanto in tal modo, in breve, la certificazione conclusiva

II Foro Italiano — 1997.

mente emessa dai revisori assume i concreti connotati di garan zia conferitigli dalla legge.

Infatti, deve convenirsi con la intimata commissione che, in

corretta esecuzione dai canoni previsti dalle norme tecniche ge nerali di svolgimento della revisione contabile, tutti gli elementi

utili acquisiti nel corso dell'intera attività di revisione, devono

necessariamente trovare un'adeguata rappresentazione nei for

mali documenti di lavoro redatti a tal proposito e che la pianifi cazione di lavoro richiesta ai revisori deve avere connotati di

flessibilità, così da consentire di poter adeguare di volta in vol

ta, a seconda delle necessità, il lavoro nel suo svolgimento. Non essendosi i ricorrenti attenuti a tanto, non possono rite

nersi irrilevanti nell'economia complessiva del provvedimento

impugnato le considerazioni ed i rilievi svolti nel punto 2) del

provvedimento stesso.

3.4. - Non diversa valutazione di infondatezza è possibile espri

mere, infine, con riguardo alla terza ed ultima delle questioni

proposte dai ricorrenti e richiamata nel capo 2 che precede, sub

c), per le seguenti ragioni. L'avvocatura generale dello Stato afferma nella propria me

moria del 3 maggio 1995 che «... nel giugno 1993 i revisori

eran venuti a conoscenza, in sostanza, degli stessi fatti censura

bili che un anno dopo avrebbe accertato l'ispezione della Con

sob e che ciononostate rilasciarono egualmente una relazione

di certificazione positiva, senza fare in essa alcuna menzione

dei fatti stessi, salvo la reticente e fuorviarne frase . . . (omis

sis) . . . non esprimiamo alcun giudizio di merito circa le opera zioni condotte dalla società per conto dei fiducianti, in relazio

ne alla situazione patrimoniale di due di essi, definibili anche

come controparti correlate, è stata rilevata una posizione di li

quidità negativa . . . ecc. . . .»; afferma, altresì, che «. . . essi

omisero di denunziare i fatti in questione al collegio sindacale, ai sensi dell'art. 1, 2° comma, d.p.r. 136/75, benché li valutas

sero come fatti censurabili e gravi . . .».

Orbene, la documentazione agli atti fornisce prova sufficien

te della fondatezza di tale avviso ed in pari tempo della non

irrazionalità della misura massima applicata nella specie che,

dunque, trova la sua motivazione essenziale nei fatti.

Ritiene, invero, la sezione che ciò che rileva è il comporta mento effettivamente tenuto dai ricorrenti nell'eseguire la revi

sione del bilancio e dell'attività operativa della Margest s.p.a., che va inteso e valutato, dunque, oggettivamente.

Nessun rilievo, a tal riguardo, può avere la circostanza, af

fermata in pubblica udienza dal difensore dei ricorrenti, che, in ogni caso, non vi sarebbe stato danno per alcuno, avendo

provveduto i ricorrenti a ristorare ogni posizione risultata pre

giudicata, atteso che permane pur sempre il vulnus arrecato alla

più intima essenza del rapporto fiduciario, per la oggettiva tute

la del quale ha ragion d'essere la previsione legale di apposita società di revisione che verifichi la correttezza dell'operato degli intermediari.

Né possono ritenersi conferenti e, comunque, utili, ai fini che

qui rilevano, riferimenti ad altre situazioni nelle quali la Con

sob ha applicato sempre la massima misura legale, poiché non

è la dimensione quantitativa dell'irregolarità che rileva ma bensì

il livello qualitativo del comportamento tenuto dal revisore, che, nella specie, può ritenersi ragionevolmente ed adeguamente ap

prezzato dalla citata autorità.

Non pare revocabile in dubbio, infatti, che i ricorrenti fosse

ro pienamente consapevoli sia dell'oggettiva sussistenza di irre

golarità sia della peculiare gravità delle stesse, tenuto conto del

le consultazioni tenute con gli amministratori della fiduciaria

e, seppur tardivamente, con il collegio sindacale; che gli stessi

ricorrenti siano venuti meno al dovere di puntuale e formale

ricostruzione dei fatti economici e gestionali idonei a ripercuo tersi sulla situazione della società oggetto di revisione, con la

conseguenza che, di fatto, essi hanno impedito ai destinatari

della documentazione contabile della Margest fiduciaria s.p.a. — e tra i primi, ai clienti di questa — di poter disporre di elementi necessari a consentire una valutazione conforme a realtà

della situazione della predetta fiduciaria.

La misura massima applicata trova, dunque, giustificazione, nel caso in esame, nel fatto che il comportamento tenuto dai

ricorrenti ha sostanzialmente vanificato il sistema di controllo

predisposto dal legislatore in materia di rapporti fiduciari gestiti da società di intermediazione nella constatazione che tale com

portamento, a prescindere dalle dimensioni quantitative del fe

nomeno cui esso inerisce, costituisce la più grave delle irregola

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

rità che possa commettere un revisore abilitato al controllo del

le società fiduciarie. In conclusione, non può non ribadirsi quanto la sezione ha

già avuto modo di affermare in sede cautelare e cioè che la

ragione giustificatrice dell'entità della sanzione irrogata può ri

tenersi, allo stato degli atti, razionalmente rapportata alla parti colare gravità dei fatti e comportamenti emergenti dalla docu

mentazione di causa, tenuto conto che detta documentazione

dà sufficiente contezza dell'incompletezza e, quindi, della non

veridicità dei dati esposti nella relazione di certificazione e con sente di ritenere fondato, perché motivato nei fatti, l'avviso

espresso dall'autorità che i ricorrenti sono venuti meno ai pro

pri doveri discendenti dalle norme recate dal d.p.r. 136/75 e

dalla comunicazione Consob n. 2422 del 31 marzo 1993.

Consegue la reiezione anche del quarto ed ultimo motivo di

gravame.

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONA LI; provvedimento 28 maggio 1997; Pres. Rodotà; Banca na

zionale del lavoro.

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONA LI; provvedimento 28 maggio 1997; Pres. Rodotà; Banca na

Persona fisica e diritti delia personalità — Trattamento di dati

personali — Attività bancaria — Informativa e richiesta di

consenso dell'interessato (L. 31 dicembre 1996 n. 675, tutela

delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati

personali, art. 10, 11).

Si deve ritenere non conforme a quanto disposto dall'art. 10

l. 675/96, sulla protezione dei dati personali, una documenta

zione informativa, inviata da una banca alla propria cliente

la, che:

a) non distingua il caso in cui i dati personali siano raccolti

presso l'interessato da quello in cui la raccolta sia operata

presso terzi;

b) indichi in modo generico finalità e modalità del trattamento;

c) nel prospettare la possibilità che i dati siano elaborati da

terzi per conto della banca, non chiarisca il ruolo di tali

soggetti;

d) indichi in modo generico i soggetti ai quali i dati possono essere comunicati;

e) prospetti, come possibile ed indistinta conseguenza del rifiuto di fornire i dati personali richiesti, la mancata esecuzione di

un'operazione, la mancata prosecuzione del rapporto già in

atto o la mancata instaurazione di un nuovo rapporto. (1) Si deve ritenere non conforme a quanto disposto dall'art. 11

I. 675/96, sulla protezione dei dati personali, una richiesta

di consenso al trattamento di dati personali, inviata da una

banca alla propria clientela, che individui categorie di sogget ti nei cui confronti il cliente è chiamato a prestare il suddetto

consenso attraverso un'indicazione indiretta e mediante un'e

lencazione meramente esemplificativa. (2)

(1-2) Prima, e sofferta, applicazione della 1. 675/96 (in Le leggi, 1997, I, 548) ad opera dell'ultima nata fra le autorità amministrative indipen denti, il Garante per la protezione dei dati personali (così ribattezzato dal d.leg. 9 maggio 1997 n. 123, ibid., 1680, emanato il giorno dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina come prima applicazione della

delega contenuta nella 1. 676/96). Non senza segnare qualche vistoso scollamento rispetto alla direttiva

95/46/Cee del 24 ottobre 1995 (per i cui tratti salienti v., rispettivamen te, M. Paganelli, in Diritto privato europeo a cura di Lipari, Padova, 1997, I, 148 ss., e R. Delfino, in Corso di sistemi giuridici comparati a cura di Alpa, Torino, 1996, 428 ss.), la 1. n. 675 — di cui si comin ciano a raccogliere i primi, impressionistici commenti: v., fra gli altri, M. Clarich e G. Comandé, in Danno e resp., 1997, 137, 140, e S.

Sica, ibid., 282; ma da 'base installata' funge G. Buttarelli, Banche

dati e tutela della riservatezza, Milano, 1997, cui promette di aggiun

gersi, a tempi brevi, una nutrita raffica di commentari, contributi e lavori collettivi — mirava non solo a schiudere all'Italia le porte del l'accordo di Schengen, ma anche a colmare uno «iato», riportando il

nostro sistema, sin qui «inadeguato e obsoleto» (sono parole di G. Al

pa, Istituzioni di diritto privato, 2a ed., Torino, 1997, 315) in linea

Il Foro Italiano — 1997.

Viste le segalazioni trasmesse dall'Adusbef, dal Movimento

di difesa del cittadino il 13 maggio 1997 e dal Codacons il 19 maggio 1997 ed esaminata la documentazione ivi allegata;

esamiate le deduzioni svolte dall'Adusbef, dal Movimento di

difesa del cittadino, dalla Banca nazionale del lavoro e dall'Abi

nella seduta del 20 maggio 1997 di questa autorità, e le ulteriori

deduzioni comunicate per iscritto dalla Banca nazionale del la

voro e dall'Abi il 26 maggio 1997; rilevato che la documetazione trasmessa alla clientela del pre

detto istituto di credito non è conforme alle disposizioni della 1. 31 dicembre 1996 n. 675, in quanto:

1. - Informativa all'interessato, a) L'informativa scritta non

rende anzitutto chiara la distinzione tra il caso in cui i dati

siano stati raccolti presso l'interessato (art. 10, 1° comma, 1.

n. 675) e l'ipotesi in cui i dati stessi siano raccolti presso terzi (art. 10, 3° comma).

Per quanto riguarda le informazioni fornite direttamente dal

l'interessato, non è necessaria un'informazione data caso per caso in occasione di ciascuna operazione bancaria. È tuttavia

insufficiente un'informativa fornita una tantum e valida senza

termine per qualsiasi operazione effettuata dal cliente che rien

tri nell'esecuzione del rapporto contrattuale al quale si riferisce

l'informativa iniziale. Tuttavia, una specifica ed ulteriore infor

mativa deve essere fornita, di regola, nell'instaurazione di nuo vi rapporti, quando cambino le finalità o le modalità del tratta

mento o altri elementi previsti dall'art. 10. Un'informativa al

l'interessato è altresì necessaria per quanto riguarda i dati raccolti

presso terzi (art. 10, 3° comma).

Qualora s'intenda predisporre un unico modello cartaceo per le due informative previste dall'art. 10, si potrebbero quindi articolare sullo stesso modello distinte caselle da barrare a se

conda delle situazioni; b) le finalità del trattamento (art. 10, 1° comma, lett. a) sono

indicate con una formula tautologica («. . . per finalità istitu zionali, quindi strettamente connesse e strumentali all'attività

della nostra banca») e con un elenco per di più meramente esem

plificativo delle finalità stesse, nel quale compaiono anche for

mule generiche (come: «... per esigenze di tipo operativo e

gestionale» o «per informativa commerciale nell'interesse della

clientela e indagini di mercato»). Risulta generica anche la prospettazione delle modalità del

trattamento (art. 10, 1° comma, lett. a, la quale, pur non pre

supponendo un'elencazione di tutte le operazioni di trattamento

effettuate, richiede tuttavia indicazioni più specifiche relative,

con una deriva transnazionale ormai assolutamente consolidatasi, anzi stratificatasi negli ultimi cinque lustri (per un quadro d'insieme, fra i molti disponibili, cfr. Data Transmission Privacy, [Campbell e Fisher

ed.], Dordrecht e a., 1994, nonché il dossier dal titolo La protezione dei dati personali nei sistemi informatizzati: paesi dell'Unione europea, a cura del servizio studi del senato, febbraio 1996; d'obbligo, in ogni caso, l'ulteriore rinvio all'affresco tracciato, come ultima tappa di un

percorso intellettuale iniziatosi nei primi anni '70, da S. Rodotà, Tec

nologie e diritti, Bari, 1995). Come sovente avviene, l'entusiasmo degli ultimi arrivati rischia di

trasformarsi in sacro furore. Di là dalle molte (e, talora, pretestuose) polemiche mass-mediatiche, il provvedimento su riportato — relativo all'informativa scritta inoltrata dalla Bnl ai suoi clienti in vista dell'im minente entrata in vigore della legge, e quindi prima che il d.leg. n. 123 schiudesse la via alla possibilità di comunicazioni anche soltanto

orali, v. art. 1, che riforma l'art. 10, 1° comma, 1. n. 675 — scrive la prima pagina vera di una vicenda ancora lontana dal raggiungere un apprezzabile livello di chiarezza. Ne è riprova il fatto che l'informa

tiva, la richiesta di consenso e la lettera di accompagnamento, severa mente censurati dal Garante, rispondevano, nella sostanza, alle linee

guida elaborate dall'Abi (riportate per esteso in Guida normativa II Sole 24-Ore del 22 maggio 1997, n. 88, 18 ss.) nel tentativo di divisare un impatto morbido del mondo bancario con la nuova dimensione della

privacy informatica (definizione che però, a detta di G. Buttarelli, Le nuove leggi sul trattamento dei dati personali, in Gazzetta giuridica, 1997, fase. 3, 5, discende dall'«erroneo convincimento che la legge di

sciplini la gestione delle banche dati», laddove «la scelta della Comuni tà europea di assoggettare anche la stampa alle 'nuove carte della priva cy' ha reso indispensabile congegnare le nuove disposizioni in modo da renderle applicabili anche a chi raccoglie e diffonde determinate in formazioni in tempo reale ma non ne conserva una traccia integrale nei propri archivi [come può accadere, talvolta, per il giornalista]»; senonché, proprio sul senso di questa pretesa scelta comunitaria si anni dano ie maggiori perplessità e riserve, che ci ripromettiamo di discutere in dettaglio alla prima occasione utile). [R. Pardolesi]

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