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sezione I; sentenza 3 ottobre 1998, n. 2787; Pres. Schinaia, Est. Lucrezio Monticelli; Cassa dirisparmio di Savona (Avv. Nigro) c. Banca d'Italia (Avv. Luciani, Perassi, de Troia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 23/24-25/26Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193084 .
Accessed: 28/06/2014 13:08
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PARTE TERZA
la disciplina del rapporto di lavoro ai sensi della legge quadro sul pubblico impiego, nella parte in cui sostanzialmente:
a) non riconosce una speciale area contrattuale agli avvocati
dipendenti di enti pubblici; b) non colloca questi ultimi nell'area della dirigenza, al con
trario di quanto accade per i medici del servizio sanitario na
zionale;
c) consente, fra gli altri compiti, l'espletamento di attività
di consulenza, in contrasto con i precetti dell'ordinamento fo
rense, cui tali avvocati comunque continuerebbero ad appar tenere.
In diritto, la sezione osserva, sulla scorta dei propri specifici
precedenti e alla stregua della giurisprudenza della Corte costi
tuzionale e della Corte di cassazione, che:
1) «se è vero che i professionisti legali alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni partecipano del duplice status di pub blici dipendenti e di professionisti astretti all'ordinamento pro fessionale di appartenenza, ciò non sta anche a significare che
la disciplina del rapporto di impiego con il professionista sog
giaccia alle regole proprie dell'ordinamento professionale . . .»
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 giugno 1994, n. 483, Foro it., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 303);
2) . gli avvocati e procuratori dell'Inps, al pari dei legali
degli altri enti pubblici, per quanto riguarda i profili del pubbli co impiego, sono assoggettati ai doveri derivanti dal rapporto
impiegatizio, ivi compreso il dovere di osservare l'orario di la
voro» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 1994, n. 346, id., 1994, III, 473);
3) «dal complesso della normativa che disciplina l'iscrizione in albi professionali deriva che esula dalle funzioni degli ordini
professionali il controllo dei pubblici funzionari che prestino, alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, attività di conte nuto corrispondente a quello di una libera professione; pertan to, l'ordine professionale non è legittimato a dolersi né del tito lo di studio, né degli altri requisiti di capacità professionale che le amministrazioni predette richiedano per l'accesso agli impie ghi, né delle mansioni che le stesse assegnino ai diversi dipen denti in ragione della loro preparazione professionale» (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 23 maggio 1997, n. 527, id., 1997, III, 482); 4) «la deroga — consentita dal 4° comma, lett. b), dell'art.
3 d.l. n. 1578 del 1933 — al principio dell'incompatibilità del l'esercizio delle professioni di avvocato e procuratore con im
pieghi retribuiti (deroga concernente chi tali professioni svolga presso un ente pubblico — 2° comma dello stesso articolo —
in relazione alle cause a agli affari propri dell'ente stesso, con
iscrizione, peraltro, nell'elenco annesso all'albo) comporta, da un lato la garanzia che l'attività espletata sia di natura foren se . . ., ma dall'altro, una specifica limitazione delle facoltà pro prie del libero professionista e la sussistenza, rispetto a que st'ultimo, degli obblighi giuridici che scaturiscono dal rapporto di lavoro. Va conseguentemente ritenuta la compatibilità della
professione così esercitata con la qualifica di impiegato rivestita dall'avvocato e dal procuratore . . ., nonché con l'osservanza di un orario di lavoro . . ., con la sottoposizione al potere su
periore di altro avvocato . . ., con l'inserimento in un rapporto strutturato gerarchicamente e con la non applicabilità delle ta riffe professionali» (cfr. Cass., sez. un., 24 aprile 1990, n. 3455, id., 1990, I, 1493; in senso sostanzialmente conforme, in ordine alla non spettanza dei compensi in base a tariffa, agli avvocati
dipendenti di enti pubblici, proprio sulla scorta della legge pro fessionale, che riserva la disciplina del trattamento economico a speciali norme legislative e regolamentari, ed in particolare alla legge quadro sul pubblico impiego, cfr. Cons. Stato, ad.
plen., 27 aprile 1995, n. 8, id., 1996, III, 603). Conclusivamente, sono meritevoli di conferma le argomenta
zioni sviluppate dal giudice di prime cure, là dove trovano ade
guata corrispondenza nei rilievi svolti dalla Corte costituzionale
(cfr. 28 luglio 1988, n. 928, id., 1989, I, 3269), a proposito degli avvocati e procuratori dell'Inps, secondo cui questi ultimi, al pari dei legali degli altri enti pubblici, sono da considerare nello stesso tempo professionisti ed impiegati, con la conseguenza che, per quanto riguarda i profili del pubblico impiego, sono
assoggettati ai doveri ed alle limitazioni derivanti dal rapporto impiegatizio.
Tali limitazioni costituiscono estrinsecazione della potestà or
ganizzatoria dell'amministrazione pubblica, che trovava la sua fonte legale nella disciplina legislativa allora vigente (v. art. 18 1. n. 93 del 1983), attuata per il tramite del decreto impugnato.
Modificato il sistema normativo primario (v. art. 45, 46 e
Il Foro Itaiiano — 1999.
47 d.leg. n. 29 del 1993; art. 11 d.p.r. n. 593 del 1993), e quello
secondario, afferente alla contrattazione collettiva all'esito del
processo di privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico (v. l'intera sezione seconda del ccnl del personale con qualifica di
rigenziale e relative specifiche tipologie professionali, dipenden te dalle amministrazioni pubbliche, sottoscritto I'll ottobre 1996), la posizione degli avvocati, all'interno dell'organizzazione delle
amministrazioni pubbliche, ha ricevuto una nuova, diversa e
più soddisfacente regolamentazione; ciò dimostra, a contrario, come il decreto impugnato, oggetto del presente giudizio, fosse
perfettamente conforme alle norme di legge all'epoca vigenti ed ai principi generali di diritto enucleati dalla giurisprudenza
sopra menzionata.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione I; sentenza 3 ottobre 1998, n. 2787; Pres. Schi
naia, Est. Lucrezio Monticelli; Cassa di risparmio di Sa
vona (Avv. Nigro) c. Banca d'Italia (Avv. Luciani, Perassi, de Troia).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione I; sentenza 3 ottobre 1998, n. 2787; Pres. Schi
Banca, credito e risparmio — Banca — Modifiche statutarie — Fattispecie (D.leg. 1° settembre 1993 n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, art. 56).
È viziato per sviamento di potere il diniego della Banca d'Italia del nulla-osta a una modifica dello statuto di una banca (nel la specie, eliminazione di una clausola di prelazione) motiva
to in base all'utilizzo che della nuova norma statutaria può essere fatto in concreto, in relazione a situazioni contingenti. (1)
Diritto. — Fondata, ed assorbente rispetto ad ogni altra cen sura dedotta nel ricorso, è la doglianza con la quale la Cassa di risparmio di Savona s.p.a. assume che la Banca d'Italia non
avrebbe potuto negare il suo assenso alla modifica statutaria diretta ad eliminare la prelazione accordata, in caso di cessione di azioni, a casse di risparmio e monti di credito su pegno, nonché a società finanziarie o bancarie da essi controllate, po nendo a base del diniego la considerazione che sussistevano con troversie in corso sugli assetti proprietari, con conseguenti ri flessi negativi sulla «sana e prudente» gestione della banca stessa.
Va al riguardo considerato che l'art. 56, 1° comma, d.leg. 1° settembre 1993 n. 385 prevede che «la Banca d'Italia accerta che le modificazioni degli statuti delle banche non contrastino con una sana e prudente gestione».
Si tratta dunque di un potere molto ampio, giacché la norma, non ponendo alcun limite al riguardo, affida in effetti alla Ban
(1) Sul punto, non constano precedenti in termini. La sentenza ricava il limite al potere della Banca d'Italia di accertare
la congruenza delle modifiche statutarie con la «sana e prudente gestio ne» della banca — di cui all'art. 56 t.u. bancario — non già da tale ultimo parametro, ma dalla natura dell'atto oggetto di valutazione. Più in particolare, dalla circostanza che funzione dello statuto è quella di dare una stabile organizzazione alla banca, l'autorità giudicante fa di scendere il vincolo a giudicare della modifica statutaria come tale, indi pendentemente dall'utilizzo che di essa possa essere fatto in concreto.
In dottrina, afferma che l'accertamento previsto dall'art. 56 t.u. ban cario può avere ad oggetto qualsiasi modifica statutaria, anche non at tinente all'organizzazione amministrativa e contabile e ai controlli inter ni o all'ambito di operatività della banca (profili, questi, i cui riflessi sulla sana e prudente gestione della stessa appaiono più evidenti), Mai meri, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di Capriglione, Padova, 1994, sub art. 56, 303. Esprime l'avviso che, comunque, più verosimilmente le valutazioni del la Banca d'Italia alla luce del principio della sana e prudente gestione attengano alla sfera degli assetti organizzativi e strutturali delle banche, Trequattrini, Modificazioni statutarie, in AA.VV., La nuova legge bancaria a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, 944.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
ca d'Italia la determinazione delle ipotesi in cui deve ritenersi
sussistente un contrasto con la «sana e prudente gestione».
Deve, tuttavia, ravvisarsi un limite intrinseco al potere deri
vante dalla natura stessa dell'atto oggetto di valutazione.
Infatti, trattandosi di modifica di un atto (lo statuto) che ha
la funzione di dare una stabile organizzazione alla banca e non
di risolvere specifiche situazioni contingenti e particolari, la Banca
d'Italia deve valutare la portata della modifica statutaria in sé
stessa indipendentemente dall'utilizzazione che della nuova nor
ma organizzativa possa essere fatta nella singola fattispecie. Ed invero, per risolvere quest'ultime problematiche la Banca
d'Italia deve avvalersi di altri poteri che le sono conferiti per valutare l'opportunità di specifici interventi delle aziende di cre
dito in determinati settori.
In caso contrario potrebbe verificarsi sviamento di potere, in quanto verrebbe esercitato un potere conferito per assicurare
un'adeguato assetto organizzativo delle banche per conseguire invece altre finalità.
Nella fattispecie, come si è accennato, con il provvedimento
impugnato la Banca d'Italia, dopo aver tra l'altro rilevato che
«permane e si va ampliando il contenzioso giudiziario in merito
alla legittimità dell'operazione di cessione della maggioranza delle
azioni alla Banca Toscana e alle altre questioni connesse con
tale vicenda, tra l'altro oggetto di valutazione e di specifico ap
profondimento anche da parte del ministero del tesoro», ha con
cluso in tal modo: «allo stato non sussistono le condizioni per il rilascio dell'accertamento di cui all'art. 56 d.leg. 385/93 in
ordine alla modifica dell'art. 5 dello statuto della Carisa; l'e
ventuale riesame dell'attuale provvedimento è subordinato al de
terminarsi delle condizioni per la stabilità degli assetti proprie
tari, che costituisce il necessario presupposto per l'impostazione di un programma di risanamento aziendale che dia garanzie di
affidabilità e concretezza».
La modifica statutaria è stata dunque oggetto di valutazione
negativa perché si è ritenuto non opportuno incidere sugli asset
ti proprietari in un momento particolare della banca ricorrente.
Senonché, la Banca d'Italia non ha tenuto conto del fatto
che la norma statutaria in questione non era di per sé in grado di arrecare alcun concreto pregiudizio ad una «seria e prudente
gestione», giacché tale pregiudizio sarebbe semmai potuto deri
vare dalla qualità dei nuovi soci che fossero subentrati in attua
zione della norma stessa.
Una valutazione della qualità dei nuovi soci la Banca d'Italia
avrebbe poi comunque potuto effettuare in applicazione del
l'art. 19 d.leg. 385/93, che prevede la necessità dell'autorizza
zione della predetta banca in caso di cessione di azioni di una
certa consistenza.
Né può ritenersi che la modifica statutaria avrebbe potuto
pregiudicare le ragioni di chi poteva vantare la prelazione previ
sta in precedenza, giacché non si sarebbero potuti in ogni caso
vanificare gli effetti di un diritto di prelazione esercitato prima
della modifica statutaria stessa.
La verità è che la Banca d'Italia avrebbe dovuto approvare la modifica statutaria (conforme peraltro, come ha ben eviden
ziato la ricorrente, alle nuove disposizioni di legge in materia,
che impongono di eliminare ogni vincolo alla libera circolazione
delle azioni delle aziende bancarie), riservando poi ogni valuta
zione sui concreti assetti proprietari nelle sedi competenti.
Il ricorso va, dunque, accolto e deve, conseguentemente an
nullarsi l'impugnato provvedimento di diniego.
Con riferimento al criterio della sana e prudente gestione, rileva che
esso assume una caratterizzazione «assai ampia e sostanzialmente vaga, sì da costituire un limite evanescente alla discrezionalità della Banca
d'Italia», Maimeri, op. loc. cit.; in senso conforme, Nigro, L'autoriz
zazione all'attività bancaria nel t.u. delle leggi in materia bancaria e
creditizia, in AA.VV., La nuova disciplina dell'impresa bancaria, Mila
no, 1996, 79.
Lamanda, Intervento, in AA.VV., Dall'attuazione della seconda di
rettiva Cee in materia bancaria al testo unico, Bari, 1993, 135, sottoli
nea che, essendo il fine dell'intervento di vigilanza individuato nella
tutela della sana e prudente gestione della banca, non è più possibile
ipotizzare la realizzazione di una «politica» degli statuti da parte della
Banca d'Italia, volta a incidere sull'operatività e sugli assetti organizza tivi delle banche.
Sotto altro profilo, afferma che l'accertamento della Banca d'Italia
deve intervenire prima dell'omologazione delle modifiche statutarie, con
la conseguente reclamabilità del provvedimento di omologazione even
tualmente rilasciato in mancanza di tale accertamento, Trib. Napoli 13
novembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce Banca, credito e risparmio, n. 130, e Dir. e giur., 1996, 623, con nota di Lucci.
Il Foro Italiano — 1999.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIE MONTE; sezione II; sentenza 2 aprile 1998, n. 129; Pres.
Montini, Est. Caso; Quirico (Aw, Angeletti) c. Comune
di Torino (Avv. Rizza).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIE MONTE; sezione II; sentenza 2 aprile 1998, n. 129; Pres.
Impiegato degli enti locali — Incarico extraistituzionale — Au
torizzazione — Presupposti (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, t.u.
delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili
dello Stato, art. 12; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, razionaliz
zazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e
revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421, art. 58; 1. 23
dicembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della fi
nanza pubblica, art. 1, commi 56-65).
È illegittimo il diniego di autorizzazione all'espletamento di in
carico esterno di consulente presso azienda sanitaria (avente ad oggetto attività di supporto tecnico per la redazione di
progetto di costruzione dell'ospedale), adottato dal comune
di Torino nei confronti del proprio direttore dei servizi tecnici
ingegnere capo senza una concreta valutazione della compati bilità dell'incarico con i compiti di istituto, sotto il profilo del contenuto dello stesso e dell'esistenza di altri incarichi già
autorizzati. (1)
Diritto. — Impugna il ricorrente il diniego di autorizzazione
ad espletare un incarico di consulenza conferitogli dall'azienda
regionale Usl/12.
In servizio presso il comune di Torino in qualità di ingegnere
capo, egli era stato prescelto come «esperto» idoneo a fornire
all'amministrazione sanitaria un adeguato ausilio tecnico ed am
ministrativo nella gestione del rapporto da instaurarsi con il rag
gruppamento di professionisti che avrebbe dovuto provvedere alla progettazione del nuovo ospedale di Biella, operando a sup
porto del responsabile del procedimento; ma l'istanza di assen
so allo svolgimento dell'attività extra-istituzionale veniva respinta,
poiché considerata «attività prettamente professionale, e in quan to tale in contrasto con la disciplina normativa e regolamentare
vigente in materia di incompatibilità». Ha dedotto l'ing. Quiri co l'illegittimità dell'atto negativo, sia per essere stata erronea
mente intesa la normativa di settore — che non vieta in assolu
to attività lavorative estranee al rapporto di pubblico impiego,
purché si tratti di attività occasionali o comunque svolte in fa
ti) Con la decisione in epigrafe il Tar Piemonte giudica della legitti mità di un incarico esterno dell'ingegnere capo del comune che appari va con caratteristiche molto vicine alla libera professione richiedendo
una valutazione concreta del suo contenuto e della sua compatibilità con i doveri d'ufficio; l'esercizio di attività professionale, industriale
o artigianale è stato sempre negato al pubblico impiegato, anche a fa
vore della stessa amministrazione di appartenenza, indipendentemente dal concreto atteggiarsi dell'attività stessa e dalla accertata compatibili tà con l'impegno lavorativo istituzionale: Tar Lombardia, sez. Brescia, 7 ottobre 1996, n. 963, Foro it., Rep. 1997, voce Impiegato degli enti
locali, n. 30 (in relazione all'art. 51,9° comma, 1. 142/90), e 10 settem
bre 1996, n. 915, ibid., voce Sanitario, n. 175 (in relazione all'art. 27
d.p.r. 761/79, per dipendente Usi appartenente al ruolo professionale
degli ingegneri); Tar Abruzzo 26 marzo 1992, n. 97, id., Rep. 1992, voce Impiegato degli enti locali, n. 33 (per attività di architetto da parte di dipendente di comunità montana); Cons. Stato, sez. VI, 24 settem
bre 1993, n. 629, id., Rep. 1993, voce Impiegato dello Stato, nn. 529-531, e Tar Puglia, sez. Lecce, 26 agosto 1991, n. 530, id., 1992, III, 558
(per esercizio di attività artigianale); contra, nel senso che l'art. 241
t.u. 383/34 consente l'affidamento di incarico professionale a proprio
dipendente da parte di ente locale, un orientamento minoritario: Corte
conti, sez. giur. reg. Abruzzo, 14 novembre 1996, n. 75, id., Rep. 1997, voce Impiegato degli enti locali, n. 29; Tar Campania, sez. Ili, 18 ago sto 1995, n. 560, id., Rep. 1996, voce Professioni intellettuali, n. 148;
Tar Lazio, sez. I, 2 marzo 1988, n. 305, id., Rep. 1989, voce Impiegato dello Stato, n. 502. Nonostante il divieto, risalente alla disposizione
generale dell'art. 60 t.u. 3/57 e ribadito dall'art. 58 d.leg. 29/93, è
stata ritenuta legittima l'iscrizione ad albo professionale del pubblico
impiegato con rapporto di lavoro part-time da Cass. 23 settembre 1994,
n. 7845, id., 1996, I, 241 (che ha mutato il precedente orientamento
contrario); per ogni riferimento in materia, anche in relazione alla nuo
va disciplina privatizzata ex d.leg. 29/93, v. la nota di richiami a Cass.
7845/94, cit-, nonché, sull'anagrafe degli incarichi dei pubblici dipen
denti, a Corte cost. 23 luglio 1992, n. 356, id., 1993, I, 1379; per riferi
menti, sulla problematica connessa al risarcimento dei danni a carico
di professionista destinatario di incarichi da una pubblica amministra
zione, v. Trib. Montepulciano 28 maggio 1997, in questo fascicolo, I, 378.
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