Sezione I; sentenza 3 settembre 1979, n. 592; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Milani e altri (Avv.Puoti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Vitucci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 6 (GIUGNO 1981), pp. 389/390-391/392Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173218 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Limitando l'esame a ciò che interessa ai fini del decidere, va
rilevato che solo per i generi di largo e generale consumo è detto
che il piano possa stabilire il limite massimo consentito in termini
di superficie globale, eventualmente anche con riferimento a
singole zone. Per gli altri settori merceologici, valgono le norme e
le direttive di carattere di cui al 1° comma dello stesso art. 12, e
cioè il piano può dettare norme e direttive per lo sviluppo e
l'adeguamento della rete distributiva e cioè può... pianificare.
L'interprete non può, però, eludere il problema se questi generici
poteri di pianificazione possano essere più ampi e penetranti di
quelli previsti per i generi di largo e generale consumo. In
proposito ritiene il tribunale di dover rispondere che essi non
possono essere maggiori, in quanto contrasterebbe con il principio della libertà di iniziativa economica (ed alla luce di questo
principip sarebbe contraddittorio) consentire per il commercio di
generi non necessari vincoli superiori a quelli previsti per i generi di largo e generale consumo, i quali ultimi per la loro stessa
natura giustificano più degli altri il sacrificio della libertà impren ditoriale.
Cos/, ad esempio, se è coerente con il sistema preoccuparsi che
non ci sia una eccessiva proliferazione di drogherie o di salume
rie, che esasperando la libera concorrenza pregiudicherebbe il
consumatore, determinando costi eccessivi, uguale preoccupazione non si giustifica in un regime di libertà economica per le
pelletterie o le oreficerie o gli antiquari, generi per i quali il
sistema non può negare la libertà di sbagliare un insediamento
senza negare in radice la libertà stessa di iniziativa economica.
Prima di trarre le conclusioni di questa argomentazione, va
ricordato inoltre che l'art. 32 d. m. 14 gennaio 1972 fa divieto di
fissare nei piani un limite numerico per i nuovi esercizi sia esso
riferibile all'intero territorio comunale o a singole zone o a singoli settori o specializzazioni merceologiche, dove va sottolineato il
divieto del limite numerico per « zone singole ».
Da queste considerazioni sembra inevitabile trarre la conclusio
ne della inammissibilità del criterio di non compatibilità per i
generi di cui alla tabelle XIV.
Se, infatti, il massimo di sacrificio consentito per l'iniziativa
commerciale privata è la fissazione di un limite globale massimo,
ripartibile per zone, che non esclude però il ricambio fisiologico necessario per il mantenimento del quantum ritenuto necessario, non sembra possibile ammettere che in una singola zona viga un
divieto assoluto senza alcuna possibilità di ricambio, disancorato
persino da una valutazione del minimo necessario ammissibile.
È ben vero che in questo modo rimane la libertà di illimitata
espansione nelle zone ritenute compatibili; ciò non esclude però che nella zona in cui si applica la regola della non compatibilità si stabilisce un divieto assoluto di insediamento che, proprio
perché riferito a generi di più rarefatto consumo, non è giustifica to dall'esigenza di penetranti controlli dirigistici.
Coerentemente alla garanzia costituzionale dell'art. 41 Cost., il
legislatore sembra, infatti, essersi preoccupato di garantire il
consumatore dai danni derivanti da una eccessiva polverizzazione
degli esercizi relativi a generi di largo e generale consumo, ma per il resto non sembra avere smentito la tradizionale libertà di
iniziativa commerciale, limitata da correttivi e possibilità di diret
tive del tutto marginali (in questo senso: Cons. Stato, Sez. VI, 13
luglio 1973, n. 317, Foro it., 1973, III, 389). Che ciò comporti una
programmazione monca, parziale, incapace di dirigere non è
dubbio; ma sembra al collegio che cosi l'abbia voluta il legislato
re, alla ricerca di un punto di equilibrio fra libertà di commercio
e tutela dell'interesse del consumatore.
D'altra parte non si può dire che l'accettazione del criterio
della non compatibilità si traduca in una cosi sicura garanzia per il consumatore da ritenersi per ciò stesso necessariamente consen
tito dal legislatore in quanto naturalmente connesso ad un generi co potere di pianificazione. La cristallizzazione dello status quo in
una zona singola può, infatti, significare anche tutela di interessi
settoriali e corporativi, in quanto si concreta, di fatto, in un
limite numerico rapportato alla situazione esistente, che non solo
non può essere superato, ma addirittura può soltanto essere
diminuito, mentre l'art. 32 d. m. cit. vieta di fissare (è da credere; in qualunque modo) un limite numerico per nuovi esercizi anche
se riferito solo a singole zone.
L'illegittimità del principio della non compatibilità comporta
l'accoglimento del ricorso ed il conseguente annullamento, oltre al
provvedimento impugnato, di tutte le norme del piano commercia
le di Torino che ne fanno applicazione.
Non sembra, giuridicamente, che ciò comporti l'illegittimità del
piano nella sua integrità; l'essenzialità o meno della clausola
annullata sembra più giusto sia valutata, quindi, nella sua auto
nomia, ^all'autorità comunale. (Omissis)
Pej 'questi motivi, ecc.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 3 settembre 1979, n. 592; Pres.
Tozzi, Est. Ferrari; Milani e altri (Avv. Puoti) c. Min. finanze
(Avv. dello Stato Vitucci).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 3 settembre 1979, n. 592; Pres.
Impiegato dello Stato e pubblico — Dirigenti — Maggiorazione dell'orario di lavoro — Compenso per lavoro straordinario —
Spettanza — Esclusione — Questione manifestamente infon
data di costituzionalità (Cost., art. 3, 36, 97; d. pres. 10 gen naio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art.
14; legge 18 marzo 1968 n. 249, delega al governo per il rior
dinamento dell'amministrazione dello Stato, per il decentra
mento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali, art. 16 bis; d. pres. 30 giu
gno 1972 n. 748, disciplina delle funzioni dirigenziali nelle
amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, art. 20).
Ai funzionari dello Stato aventi qualifica dirigenziale non spetta una maggiore retribuzione, a titolo di compenso per lavoro
straordinario, per le dieci ore settimanali con le quali è aumen
tato il loro orario di lavoro, rispetto a quello degli altri
dipendenti statali. (1)
È manifestamente infondata la questione di costituzionalità, in
riferimento agli art. 3, 36 e 97 Cost., dell'art. 20 d. pres. 30
giugno 1972 n. 748, in quanto non prevede che ai funzionari statali aventi qualifica dirigenziale non vengano retribuite, a
titolo di compenso per lavoro straordinario, le dieci ore setti
manali con le quali è aumentato il loro orario di lavoro,
rispetto a quello degli altri dipendenti statali. (2)
Il Tribunale, ecc. — 1. - Con il primo motivo i ricorrenti, tutti
appartenenti al ruolo della dirigenza statale, contestano l'afferma
zione dell'amministrazione intimata secondo cui non esisterebbe
nell'ordinamento vigente alcuna norma che autorizzi il pagamento
(1-2) Su ambedue le massime, v., in senso conforme, T.A.R. Lazio, Sez. I, 11 luglio 1979, n. 531, Trib. amm. reg., 1979, I, 2449.
Nel sistema delineato dall'art. 20 d. pres. 30 giugno 1972 n. 748, fermo restando che a tutti i dirigenti non viene corrisposta retribuzione
per le dieci ore settimanali delle quali è maggiorato il loro normale orario di lavoro, ai dirigenti generali e a quelli di qualifica superiore non sono retribuite neppure le ulteriori ore di lavoro straordinario che dovessero fare per esigenze di servizio: Corte conti, Sez. controllo, 21 febbraio 1980, n. 1043, Cons. Stato, 1980, II, 1062; Cons. Stato, Comm.
speciale, 25 marzo 1976, n. 2/76, ibid., I, 1253. Di questo principio Corte conti, Sez. controllo, 3 ottobre 1973, n. 528, Foro it., Rep. 1974, voce Impiegato dello Stato, n. 614, aveva fatto una applicazione di diritto transitorio, affermando che tali dirigenti non avevano diritto a
percepire la differenza tra il nuovo trattamento economico dell n
dirigenza e la maggiore retribuzione calcolabile in relazione a questa nuova disciplina, in base al numero di ore di straordinario già effettuate nel periodo gennaio 1971 - novembre 1972.
Lo stesso principio vale per i direttori generali degli enti del c. d.
parastato, in base all'art. 20 della legge 20 marzo 1975 n. 70: T.A.R.
Lazio, Sez. Ili, 7 luglio 1980, n. 663, Trib. amm. reg., 1980, I, 2956.
Viceversa, ai dirigenti di qualifica inferiore a quella di dirigente, spetta la retribuzione per il lavoro straordinario da loro prestato in eccedenza rispetto al loro orario normale: T.A.R. Puglia 27 gennaio 1976, n. 13, Foro it., Rep. 1976, voce cit., n. 1368; Corte conti, Sez.
controllo, 16 maggio 1974, n. 564, id., Rep. 1974, voce cit., n. 615.
Sul calcolo della retribuzione per lavoro straordinario spettante ai
primi dirigenti e ai dirigenti superiori, nel senso che va preso come base non solo il loro stipendio, ma anche l'indennità di funzione, Corte conti, Sez. controllo, 20 luglio 1978, n. 890, id., 1979, III, 609, con nota di richiami, ai quali adde, per l'incidenza sulla misura dei
compensi per lavoro straordinario dei dirigenti statali dell'art. 1
legge 22 luglio 1978, n. 385, Corte conti, Sez. controllo, 19 aprile 1979, n. 962, Cons. Stato, 1979, II, 1009. In materia, v. ora anche l'art. 134 legge 11 luglio 1980 n. 312.
Il Foro Italiano — 1981 — Parte 111-21.
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PARTE TERZA
a titolo di straordinario, delle dieci ore di lavoro che essi svol
gono (art. 20 d. pres. 30 giugno 1972 n. 748) oltre il normale ora
rio settimanale prestato dagli altri impiegati civili dello Stato.
La censura è infondata. Può convenirsi con i ricorrenti sul
punto che l'art. 14 d. pres. n. 3 del 10 gennaio 1957, nello
stabilire che « l'orario giornaliero di servizio rimane regolato
dalle norme in vigore », pone un principio di carattere generale, e
cioè che l'orario di servizio degli impiegati civili dello Stato è
fissato in 36 ore settimanali (decreto del capo del governo 17
novembre 1939). Ciò peraltro non significa che tale principio
generale non possa essere derogato, per talune categorie di pub
blici dipendenti, da una legge speciale successiva, ove ricorrano
elementi obiettivi idonei a giustificare la suddetta deroga.
Ciò è quanto è accaduto in occasione della istituzione della
dirigenza. Il legislatore ha infatti ritenuto (art. 16 legge 18 marzo
1968 n. 249 e 20 d. pres. 30 giugno 1972 n. 748) che il normale
orario di lavoro prestato dagli impiegati civili dello Stato non
fosse idoneo a garantire, da parte dei dirigenti, il corretto svolgi mento delle nuove e più delicate funzioni che venivano ad essi
attribuite. Pertanto, esclusivamente nei loro confronti, ha provve duto a modificarlo. L'art. 20 d. pres. n. 748/1972, recante il titolo
« Orario di lavoro dei dirigenti », dispone infatti che « l'orario
settimanale di lavoro previsto per la generalità degli impiegati civili dell'amministrazione dello Stato è maggiorato, per i dirigen
ti, di dieci ore settimanali da ripartire in relazione alle esigenze del servizio ».
Di fronte ad una norma di tale chiarezza cade il tentativo dei
ricorrenti di presentare le dieci ore settimanali come una sorta di
lavoro straordinario, al quale essi sarebbero obbligatoriamente
tenuti, ma che dovrebbe essere compensato a parte. È vero,
invece, che l'art. 20 d. pres. cit. ha inteso fissare il « nuovo
orario normale » dei dirigenti, ed ha provveduto a ciò con una
proposizione il cui testo non consente dubbi interpretativi di
sorta.
D'altro canto non è neppure esatto che la suddetta maggiora
zione, ove fosse considerata parte integrante dell'orario « norma
le », non troverebbe alcun corrispettivo nel trattamento economico
complessivo riservato ai dirigenti. Ed infatti il d. pres. n. 748
1972 non si è limitato solo ad accrescere le responsabilità e
l'orario di servizio dei dirigenti, ma ha anche garantito a questi
ultimi, attraverso un congruo aumento delle retribuzioni tabellari
e la corresponsione di una indennità di funzione, un compenso
adeguato al lavoro prestato, sia pure nell'ambito della spesa
globale destinata al funzionamento ' della pubblica amministrazio
ne.
Neppure possono essere seguiti i ricorrenti allorché pretendono di presentare la indennità di funzione come un compenso della
sola, diversa « qualità » del servizio da essi reso. È vero invece che lo svolgimento delle funzioni dirigenziali si traduce per il
pubblico dipendente in un aggravio di lavoro anche dal punto di vista quantitativo e che l'indennità (unitamente alle più- elevate
retribuzioni) serve a compensare anche l'impegno richiesto al
dirigente sotto forma di una maggiore, più prolungata presenza fisica in ufficio.
2. - Le considerazioni innanzi esposte consentono anche di
dichiarare la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale, che i ricorrenti deducono in via subordinata, per contrasto della normativa dettata dall'art. 20, 1° comma, d. pres. n. 748/1972 con gli art. 3, 36 e 97 Cost.
È innanzi tutto da escludere che la suddetta normativa determi
ni una violazione del principio di eguaglianza, nel senso che
attribuirebbe ai dirigenti un trattamento retributivo ingiustamente inferiore a quello garantito ad altri dipendenti civili dello Stato, investiti di minori responsabilità.
Il problema della disparità di trattamento si pone allorché i termini del raffronto sono omogenei e non quando si pretende di
stabilire un confronto fra il trattamento economico previsto per il
grado iniziale della dirigenza e quello complessivo fissato per i
gradi apicali delle altre categorie, direttiva e di concetto. È del tutto logico e legittimo, con riferimento non solo all'art. 3 Cost., ma anche a quanto dispone l'art. 36, che il pubblico dipendente al termine della sua carriera percepisca più di quanto viene
corrisposto a chi ha dinanzi a sé una nuova, intera e più prestigiosa carriera da percorrere.
Non sussiste neppure violazione del principio costituzionale
(art. 36) secondo cui la retribuzione deve essere adeguata alla
quantità e qualità del lavoro prestato, dal momento che il
trattamento economico complessivo, corrisposto al dirigente nel
l'arco della sua carriera, tiene conto dell'impegno crescente che
può essergli richiesto.
Infine non sussiste violazione dell'art. 97 Cost. Ed invero il
nuovo orario di lavoro, imposto ai dirigenti in concomitanza
con l'attribuzione di più elevate funzioni e con la corresponsione di un congruo trattamento economico complessivo, mira proprio a
garantire il « buon andamento dell'amministrazione » cui fa rife
rimento la norma costituzionale.
3. - Per le ragioni innanzi esposte il ricorso deve essere
rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione II; sentenza 27 giugno 1979, <n. 527; Pres. Bar
tolotta, Est. Miceli; Serafini (Avv. Giovannino Pallottino) c. Comune di Guidonia (Aw. Davoli, Picqzza).
Edilizia e urbanistica — Concessione di costruzione — Diniego anteriore all'entrata in vigore della legge regionale sui pro grammi pluriennali di attuazione — Legittimità (Legge 28 gen naio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 13).
Edilizia e urbanistica — Concessione di costruzione — Area non ancora urbanizzata — Difetto di adozione del programma plu riennale di attuazione — Diniego — Legittimità (Legge 28 gen naio 1977 n. 10, art. 13).
È legittimo il diniego della concessione di costruzione perché l'area non è compresa in un programma pluriennale di attua
zione, anche se esso sia stato disposto anteriormente all'entra ta in vigore della legge regionale che deve disciplinare il con tenuto e il procedimento di formazione dei programmi plurien nali stessi. {1)
È legittimo il diniego della concessione di costruzione su un'area non ancora urbanizzata, disposto prima dell'adozione del pro gramma pluriennale di attuazione (nella motivazione, è preci sato che la concessione di costruzione per aree non comprese nel programma pluriennale di attuazione, già urbanizzato, o
per le quali esista l'impegno del concessionario ad urbanizzar
le, è ammissibile solo dopo l'adozione di tale programma, e
fino alla sua approvazione, dopo la quale la concessione di costruzione è ammissibile solo per le aree incluse nel program ma stesso). (2)
Il Tribunale, ecc. — È da dichiarare inammissibile il ricorso
(n. 876 del 1978), alla luce del principio giurisprudenziale af fermato dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con de cisione n. 10 del 1978 (Foro it., 1978, III, 352), che, risolvendo un contrasto di opinioni circa la procedura da porsi in atto per la formazione del silenzio-rifiuto dell'amministrazione, ha ritenuto
applicabile le norme di cui all'art. 25 t. u. n. 3 del 1957 con le modalità relative, nel caso non osservate.
(1-2) T.A.R. Toscana 28 settembre 1978, n. 528, Foro it., 1979, III, 675, con nota di richiami, ha affermato la illegittimità del provve dimento col quale il sindaco sospende ogni determinazione sulla do manda di concessione di costruzione, a causa della mancata adozione del programma pluriennale di attuazione, ma per ragioni attinenti alla fattispecie, in cui esisteva già un piano di lottizzazione approvato, con il quale l'istante si era impegnato a dotare l'area delle opere di urbanizzazione.
Tale sentenza, inoltre, ha precisato che i programmi pluriennali di attuazione possono regolare solo l'aspetto cronologico dell'attuazione degli strumenti urbanistici generali, senza poterne modificare le prescrizioni.
T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 23 novembre 1979, n. 376, Trib. amm. reg., 1980, I, 176, ha rilevato l'incidenza che ha l'inclusione o meno nel piano pluriennale di attuazione di un'area, sulla possi bilità di costruire su di essa da parte del suo proprietario; conse guentemente, ha affermato che debba essere motivato il rigetto della osservazione con la quale tale proprietario chiede che la sua area sia inclusa nel programma pluriennale di attuazione, con soluzione esplicitamente divergente da quella accolta dalla giurisprudenza con solidata nei confronti delle osservazioni che i privati formulano nel l'àmbito del procedimento di formazione degli strumenti urbanistici.
Sui problemi di diritto transitorio sorti per effetto della previsione legislativa del nuovo istituto dei programmi pluriennali di attuazione, T.A.R. Lazio, Sez. II, 27 giugno 1979, n. 527, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia e urbanistica, n. 244.
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