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sezione I; sentenza 5 novembre 1984, n. 978; Pres. Anelli, Est. Piscitello; Soc. San Rocco (Avv....

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sezione I; sentenza 5 novembre 1984, n. 978; Pres. Anelli, Est. Piscitello; Soc. San Rocco (Avv. Frascaroli) c. U.s.l. LT-3 (Avv. Catenacci) Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 1 (GENNAIO 1986), pp. 35/36-39/40 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180178 . Accessed: 28/06/2014 08:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.33 on Sat, 28 Jun 2014 08:51:08 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione I; sentenza 5 novembre 1984, n. 978; Pres. Anelli, Est. Piscitello; Soc. San Rocco (Avv. Frascaroli) c. U.s.l. LT-3 (Avv. Catenacci)

sezione I; sentenza 5 novembre 1984, n. 978; Pres. Anelli, Est. Piscitello; Soc. San Rocco (Avv.Frascaroli) c. U.s.l. LT-3 (Avv. Catenacci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 1 (GENNAIO 1986), pp. 35/36-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180178 .

Accessed: 28/06/2014 08:51

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PARTE TERZA

incisi, per i lavoratori occupati in cerca di altra occupazione, i

quali vengono inseriti, ai sensi dell'art. 10 1. n. 264 del 1949, in un elenco a parte).

L'assunzione di personale con il sistema delle liste di disoccu

pazione non è preclusa, in linea di principio, alla p.a. (alla quale, ai sensi dell'art. 16 1. n. 482 del 1968, è riservato il privilegio di

scegliere e assumere direttamente i lavoratori iscritti negli elen

chi) sempre però con riferimento a quelle categorie in ordine alle

quali la personalità del prestatore di lavoro non acquista decisivo rilievo.

Anzi, l'art. 11, penultimo comma, 1. n. 264 del 1949 assoggetta le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici all'obbligo di assumere il personale salariato iscritto nelle liste di collocamento nei casi in cui non sia prescritto il concorso pubblico.

Delineato in brevi termini il sistema di avviamento al lavoro, sia pubblico che privato, va ora detto di un istituto (il colloca mento obbligatorio) che mira a dare attuazione al principio costituzionale ispirato all'esigenza di rendere oggettiva l'ugua

glianza tra i cittadini in presenza di obiettive situazioni di inferiorità fìsiche, sociali ed economiche.

Invero, allo scopo di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l'effettiva partecipazione al lavoro di tutti i cittadini in condizioni di eguaglianza, la 1. n. 482 del 1968 stabilisce che

aziende private ed enti pubblici di non piccole dimensioni

(individuati dal numero dei lavoratori alle proprie dipendenze) abbiano a riservare una determinata aliquota dei posti in organi co a favore di particolari categorie di soggetti, che sono, per condizioni di inferiorità, maggiormente esposti al rischio della

disoccupazione.

Le modalità per il collocamento dei riservatari sono analoghe a

quelle relative al generico avviamento al lavoro, distinguendosene solo per il carattere dell'istituto cui essei accedono.

Il collocamento obbligatorio, infatti, non si limita a prescrivere l'onere di attingere tra le categorie privilegiate le forze lavorative di cui il datore di lavoro abbia in ipotesi bisogno, ma impone l'obbligo di riempire gli appositi spazi delle piante organiche con lavoratori delle categorie beneficiarie.

Da parte delle aziende private tale obbligo viene soddisfatto o attravero l'assunzione numerica di mano d'opera iscritta nelle

speciali liste di collocamento riservate alle predette categorie per i mestieri nei quali è indifferente la personalità del lavoratore (art.

16, 4° comma, 1. n. 482 del 1968) ovvero, nei casi di rapporto fondato nella fiducia ed in quelli che richiedono una specifica preparazione professionale o di mestiere (personale direttivo, di concetto e quello destinato a posti di fiducia connessi alla

vigilanza di luoghi o di beni, nonché operai qualificati e specia lizzati) attraverso le normali assunzioni nominative^

Da parte dello Stato, delle aziende ed enti pubblici, invece, l'obbligo di assumere personale operaio, delle carriere esecutive e

quello ausiliario appartenenti alle categorie riservatarie viene attuato — senza concorso — attraverso un privilegiato sistema di scelta nominativa tra gli iscritti negli elenchi speciali di cui si è detto (sistema che risponde ad esigenze di particolare cautela per le ammissioni ai pubblici impieghi già previste dall'art. 17 1. n. 264 del 1949).

Per quanto riguarda, invece, l'assunzione di personale delle

categorie riservatarie delle carriere di concetto (ma il beneficio

riguarda anche il personale della carriera direttiva), quindi per il

personale per il quale il normale avviamento al lavoro non avviene attraverso liste di collocamento, deve essere eseguito il

pubblico concorso, con il correttivo della speciale precedenza accordata ai beneficiari che — pur non riuscendo a collocarsi in

posizione utile nella graduatoria — abbiano egualmente consegui to l'idoneità.

Essi, infatti, vengono inclusi nell'ordine di graduatoria tra i

vincitori, fatta salva l'applicazione dei normali criteri di prece denza stabiliti dall'art. 5 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 in caso che

la nuova collocazione conseguita determini parità di punteggio con altro vincitore.

Sulla base di tale premessa va ora rilevato che la 1. n. 482 del

1982 non fa alcun cenno ad iscrizioni nelle liste di collocamento

per il personale di concetto (come è il caso della ricorrente) da

assumere attraverso pubblici concorsi.

Anzi, l'art. 11, 3° comma, 1. 29 aprile 1949 n. 264 in materia di

avviamento al lavoro dice in modo esplicito che l'obbligo di

assumere i lavoratori iscritti nelle liste di collocamento non

Il Foro Italiano — 1986.

riguarda « i lavoratori di concetto specializzati assunti mediante

concorso pubblico». Il 5° comma della norma citata aggiunge che a detto obbligo le

amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici sono soggetti « limitatamente all'assunzione di personale salariato, per la quale non sia prescritto concorso pubblico ».

Simile obbligo è stato poi ampliato dall'art. 12 1. n. 482 del

1968 al personale operaio, a quello delle carriere esecutive ed al

personale ausiliario beneficiari della riserva dei posti anche nei

casi in cui per essi sia normalmente prescritta l'assunzione

mediante pubblico concorso.

Per le ragioni che si sono dette pare possa escludersi che il

personale destinatario dei benefici della 1. n. 482 del 1968 da

assumere attraverso pubblico concorso (quale è quello di concet

to) debba risultare iscritto nelle liste di collocamento e, pertanto, debba risultare, al momento del concorso, in stato di attuale

disoccupazione. Simile presupposto è dalla legge richiesto per i soli casi di

assunzione attraverso chiamata diretta.

Deve pur escludersi, col richiedersi lo stato di disoccupazione che a questi ultimi — che aspirano ad una stabile occupazione in

eguali condizioni di inferiorità — sia riservato un trattamento

meno favorevole atteso che essi si avvalgono della garanzia di

essere, secondo l'ordine strettamente cronologico della iscrizione nelle liste di collocamento, comunque collocati al lavoro, senza

doversi sottoporre a prove selettive in assoluta parità con altri

concorrenti e con possibilità di essere assunti unicamente se

(quanto meno) sia stata conseguita l'idoneità al concorso.

Se cosi è, proprio la contraria tesi, che fa leva sulla necessità

(non rilevata dalla legge) che, anche ai fini della partecipazione privilegiata a concorsi presso p.a., il candidato (oltre ad avere la

qualifica di appartenenza ad una delle categorie privilegiate) versi in istato di disoccupazione, crea una ingiustificata situazione di

gravosità a carico di persone che l'ordinamento intende, invece, favorire, con netto contrasto con le posizioni di tutti gli altri

concorrenti in ordine ai quali la partecipazione alla procedura concorsuale non presuppone affatto lo stato di non occupazione.

3. - D'altra parte, pure a prescindere dalla tesi che si è sopra esposta, ove pure dovesse ritenersi essenziale al conseguimento del beneficio previsto dalla 1. n. 482 del 1968 lo stato di attuale

disoccupazione, e la conseguente iscrizione negli appositi elenchi di cui all'art. 19, appare condividibile l'orientamento, ormai

consolidato, della giurisprudenza amministrativa (tra le tante, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 novembre 1979, n. 793, 3 luglio 1981, n. 368 e 8 ottobre 1982, n. 474, Foro it., Rep. 1980, voce

Impiegato dello Stato, n. 269; id., Rep. 1981, voce Istru zione pubblica, n. 238; id., Rep. 1983, voce Concorso a

pubblico impiego, nn. 12, 13) di non considerare venuto meno il

requisito della disoccupazione quando la mancata iscrizione negli elenchi dei disoccupati sia dovuta all'assunzione di un lavoro meramente temporaneo ed assolutamente precario (quale è, senza ombra di dubbio, quello svolto dalla ricorrente) per sopperire ad elementari esigenze di vita in attesa di una stabile e consona sistemazione lavorativa.

4. - I ricorsi devono, dunque, essere accolti, risultando pure fondata la doglianza prospettata in subordine non avendo nel caso di specie alcun rilievo il pregresso stato di precaria occupa zione della ricorrente. (Omissis)

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione 1; sentenza 5 novembre 1984, n. 978; Pres.

Anelli, Est. Piscitello; Soc. San Rocco (Avv. Frascaroli) c.

U.s.l. LT-3 (Avv. Catenacci).

Giurisdizione civile — Indebito arricchimento — Amministrazio

ne pubblica — Diniego di riconoscimento dell'utilità — Ricorso — Giurisdizione amministrativa — Fattispecie (Cod. civ., art.

2041). Sanità pubblica — Laboratorio radiologico convenzionato —

Prestazioni non comprese nella convenzione — Diniego di

riconoscimento dell'utilità — Illegittimità — Fattispecie (Cod. civ., art. 2041).

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso

col quale un laboratorio di radiologia medica convenzionato

con una unità sanitaria locale, impugna il provvedimento con

cui questa dispone il recupero delle somme corrisposte per

prestazioni non rientranti nella convenzione, in quanto valga come diniego di riconoscimento dell'utilità che l'unità sanitaria

locale stessa ha comunque ritratto da tali prestazioni, come tale

preclusivo dell'esperibilità dell'azione di indebito arricchimen

to. (1) È illegittimo, per incompetenza e per difetto di motivazione, il

provvedimento col quale il presidente di una unità sanitaria

locale (e non il comitato di gestione) dispone il recupero a carico

di un laboratorio di radiologia medica convenzionato delle som

me corrisposte per prestazioni non rientranti nella convenzione, se non sia stata valutata la possibilità che tali prestazioni,

comunque erogabili dal servizio sanitario nazionale, siano co

munque riuscite di utilità per gli utenti. (2)

(1) La decisione pone un problema apparentemente nuovo nella più ampia questione della ripartizione di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo: la sussistenza di giurisdizione del giudice amministrativo in materia di actio de in rem verso promossa contro la

p.a. Pur ammettendosi che la posizione giuridica soggettiva del privato fatta valere contro la p.a. abbia, nella maggioranza dei casi, consisten za di diritto soggettivo, richiamando per ciò stesso la relativa compe tenza del giudice ordinario, non si esclude, almeno in linea di

principio, che la pretesa del privato al riconoscimento dell'utilità delle sue prestazioni tratta dalla p.a. possa corrispondere ad un potere discrezionale della stessa p.a., che risulti determinante proprio al fine del riconoscimento o meno dell'utilità della prestazione: in tal modo l'ammissibilità dell'azione di arricchimento senza causa nei confronti della p.a., fondata sul presupposto del riconoscimento, esplicito o

implicito, da parte della stessa p.a., dell'effettiva utilità delle altrui

prestazioni (v. le recenti pronunce di giudici di merito: App. Bari 20

aprile 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Arricchimento senza causa, n. 3; App. Milano 16 luglio 1982, ibid., n. 2; App. Milano 7 aprile 1982, ibid., n. 4), pare investire una questione di giurisdizione, conformando il potere cognitivo del giudice in ordine alla natura della situazione

giuridica soggettiva dedotta in giudizio: il potere decisorio del giudice amministrativo sarà invece limitato all'annullamento del provvedimento amministrativo di diniego di riconoscimento dell'utilità delle prestazioni o delle opere, mentre il potere deoisorio del giudice ordinario giungerà a sindacare la scelta da parte dell'amministrazione dei criteri di

quantificazione dell'arricchimento, pur senza determinarne il preciso ammontare: v. Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 1983, n. 120, id., 1983, III, 197, con nota di richiami, commentata da D. Iaria, Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di azione di arricchimento nei

confronti della pubblica amministrazione, in Riv. amm., 1983, 535. Tuttavia non solo il giudice amministrativo tende a rivendicare una

propria giurisdizione in materia di azione di arricchimento senza causa contro la p.a., ma anche lo stesso giudice ordinario, cui tradizional mente appartiene la giurisdizione per tale tipo di azione, rivendica l'esistenza del potere di valutare l'entità dell'utilità ritratta dalla p.a.: v. Cass. 19 luglio 1982, n. 4198, Foro it., 1983, I, 734, con nota di C. M. Barone, tenendo anche conto della svalutazione monetaria intercorsa tra il momento dell'arricchimento e quello della liquidazione dell'indennizzo: v. Cass. 26 aprile 1983, n. 2844, id., 1984, I, 1950, con nota di richiami.

Circa la concreta fattispecie dedotta in giudizio, la motivazione pone cura, oltre al profilo del riparto generale di giurisdizione col giudice ordinario, a quello particolare circa le controversie relative ai rapporti patrimoniali tra sanitari convenzionati e U.s.l.: v. sul punto T.A.R.

Lazio, sede iLatina, 19 marzo 1984, n. 130, id., 1965, III, 277, con os servazioni di A. Romano.

In dottrina v. Lombardi, L'amministrazione pubblica e il divieto di arricchimento senza causa, in Studi in onore di Cammeo, 1935, II, 107; Sambataro, Il riconoscimento dell'utilità nell'azione di arricchimento contro la p.a.: evocazione di un mito, in Foro amm., 1964, II, 122.

(2) In termini non risultano precedenti specifici: circa il riparto di

competenza tra vari organi delle U.s.l. e tra U.s.1. e regioni, v. il

gruppo di decisioni T.A.R. Umbria 29 ottobre 1984, n. 486, T.A.R.

Campania 10 ottobre 1984, n. 434, T.A.R. Piemonte 13 settembre

1984, n. 245, Foro it., 1985, III, 443, con nota di richiami; v. anche T.A.R. Abruzzo 27 maggio 1982, n. 155, id., 1983, III, 231, con nota di richiami, riferita ad una fattispecie particolare.

Circa l'organizzazione delle competenze nell'ambito delle U.s.l., cfr.

L'organizzazione dipartimentale dei servizi dell'unità sanitaria locale -

Atti del convegno nazionale, Bologna 18-19 novembre 1983, Milano, 1984; L'ufficio di direzione dell'unità sanitaria locale - Atti del

convegno, Roma 18-20 febbraio 1981, Roma 1983.

Il Foro Italiano — 1986.

Diritto. — Come esposto in narrativa, la ricorrente s.r.l. San

Rocco — titolare di un laboratorio di radiologia medica per accertamento diagnostico e terapia fisica sito nel comune di

Cisterna di Latina e convenzionata, per tale branca specialistica, in base all'accordo nazionale del 22 febbraio 1980 — impugna il

provvedimento con il quale la U.s.1. LT/3 (e, per essa, il suo

presidente), dopo aver fatto presente che a seguito di revisione

delle impegnative pervenute relative al periodo 1° settembre

1980-30 aprile 1983 era stato accertato il pagamento anche di

prestazioni rientranti nella branca di fisiokinesiterapia, per la

quale non risultava stipulata con la ricorrente alcuna convenzio

ne, disponeva il recupero della somma erogata a tale titolo

(ammontante a lire 200.020.099) e la sospensione di ogni paga mento alla società, almeno fino alla determinazione dell'importo da recuperare relativo al periodo 1° marzo-31 agosto 1980.

Deve, preliminarmente, affermarsi la sussistenza della giurisdi zione del T.A.R. in ordine alla controversia dedotta in giudizio e la persistenza dell'interesse della ricorrente ad ottenere la pro nuncia di annullamento dell'impugnato provvedimento di recupe ro, anche a seguito delle sopravvenute deliberazioni della U.s.1. che hanno fissato diverse modalità di recupero della somma indebitamente erogata (concedendo, fra l'altro, una rateizzazione che la società interessata ha espressamente accettato, con salvezza di ogni pretesa e azione derivante dal ricorso in esame) rispetto a

quelle previste dal provvedimento originario. Sotto questo aspetto, innanzi tutto, è agevole osservare che i

termini della controversia sono rimasti sostanzialmente immutati, in quanto la ricorrente contesta soltanto la legittimità dell'integra le recupero della somma già erogata (concretandosi tale determi nazione in un diniego di riconoscimento dell'utilità tratta dalle

prestazioni della ricorrente, come tale preclusivo dell'azione civi listica di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c.), e non aveva, pertanto, alcuna ragione di dolersi dei successivi provvedimenti che rendevano meno onerosa l'azione di recupero e sono stati, quindi, accettati, senza che ciò comportasse la rinuncia, da parte dell'interessata, a coltivare l'impugnativa proposta.

Quanto alla sussistenza della giurisdizione amministrativa nel caso in esame, è ben noto che le controversie relative a rapporti patrimoniali derivanti da rimborsi dovuti da enti mutualistici (ed ora dalle U.s.1.) a case di cura private per prestazioni effettuate agli assistiti sulla base di regolare convenzione attengono a posizioni di diritto soggettivo e vanno quindi proposte al giudice ordinario (cfr., in tal senso, T.A.R. Lombardia 4 dicembre 1981, n. 1533), ma — come si è già avuto modo di osservare nell'indi viduazione dell'oggetto del presente giudizio — la ricorrente si muove in una fase del rapporto patrimoniale con la p.a. caratte rizzata da profili di discrezionalità che risultano determinanti ai fini del riconoscimeno o meno dell'utilità della prestazione (effet tuata sine titulo dalla controparte), che costituisce il presupposto per l'esercizio dell'azione di arricchimento.

Poiché nei confronti della p.a. l'azione generale di arricchimen to è comunemente ammessa dalla giurisprudenza soltanto a con dizione che l'amministrazione abbia espressamente o anche taci tamente (giovandosi, cioè, dell'opera del privato) riconosciuto la utilità conseguita per le prestazioni ottenute al di fuori di un valido vincolo giuridico (v. Cass. 17 febbraio 1976, n. 523, Foro it., Rep. 1976, voce Arricchimento senza causa, n. 4) è evidente che la ricorrente — azionando una posizione di interesse legitti mo — tende a rimuovere un provvedimento amministrativo che (in quanto totalmente negativo del riconoscimento dell'utilità del

l'opera prestata) costituirebbe un fondamentale ostacolo alla futu ra cognizione, da parte del giudice ordinario, del quantum dell'arricchimento.

L'esattezza dell'impostazione del ricorso, nei termini sopra esposti, si ricava, peraltro, chiaramente, a contrario dal principio recentemente affermato dal Consiglio di Stato in una diversa

fattispecie in cui, non essendo contestato il dato di fatto dell'av venuto riconoscimento dell'utilità dell'opera da parte dei compe tenti organi amministrativi, è stata affermata la sussistenza della

giurisdizione dell'a.g.o. rispetto ad una istanza configurantesi come azione di indebito arricchimento (sez. VI 2 marzo 1983, n. 120, id., 1983, III, 197): « Nell'ipotesi di azione di indebito arricchimento nei confronti della p.a. — ha, infatti, affermato il

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PARTE TERZA

Consiglio di Stato — una volta che la stessa abbia riconosciuto

l'utilità delle opere realizzate dal privato, l'indagine concernente

l'individuazione del minor limite tra le spese sostenute dal terzo

e l'incremento di valore determinatosi nel patrimonio dell'ente

pubblico non implica in alcun modo discrezionali valutazioni

dell'ente debitore (perché rientra invece nella predeterminazione

legale della fattispecie) ed è, quindi, sindacabile dal giudice ordinario senza impingere nel divieto di cui all'art. 4 1. 20 marzo

1865 n. 2248, ali. E, l'operazione logica di quantificazione dell'ar

ricchimento, ancorché si debba, a tal fine, scegliere tra diversi

criteri di stima ».

Passando all'esame del merito del ricorso, deve riconoscersi la

fondatezza delle censure con esso proposte relativamente alla

mancata valutazione, da parte dell'amministrazione, dell'utiliter

versum eventualmente riscontrabile nelle prestazioni di fisiokinesi

terapia effettuate dalla ricorrente pur in assenza della prescritta autorizzazione regionale e del relativo convenzionamento.

An.che senza trascurare l'evidente preoccupazione dell'ammini

strazione di mettersi al riparo da eventuali responsabilità, a

seguito del rilievo — contenuto nella nota dell'assessore regionale alla sanità del 7 gennaio 1983 — secondo cui le prestazioni di

fisiokinesiterapia effettuate dalla ricorrente avrebbero dovuto

configurarsi come « effettuate da presidio che opera in difformità

dalla vigente legislazione regolante la materia », non potevano

essere ignorate le obiettive circostanze concernenti la particolare natura delle prestazioni rese (evidentemente affini o complementa

ri rispetto a quelle comprese nella convenzione), che avevano

potuto far passare inosservato per alcuni anni al controllo della

U.s.l. il fenomeno rilevato. Né poteva essere aprioristicamente

esclusa — senza una congrua motivazione al riguardo — la

considerazione della possibile utilitas del servizio indebitamente

reso agli utenti assistiti dal servizio sanitario nazionale (la cui

erogabilità da parte di quest'ultimo non è stata contestata).

La possibilità di distinguere, inoltre, un periodo in cui le

prestazioni in questione erano state rese con la possibile convin

zione che le stesse fossero ricomprese nel regime convenzionale

già instaurato, da un periodo successivo (individuabile — come

rileva la stessa difesa dell'amministrazione resistente — dalla

data, del 22 novembre 1982, di richiesta della ricorrente alla

regione Lazio di estensione della convenzione in atto alla branca

di fisiokinesiterapia) in cui tale convinzione poteva ritenersi

assente, costituiva un ulteriore elemento suscettibile di valutazio

ne da parte dell'amministrazione.

Pur con le cautele che si rendono necessarie nell'esercizio del

potere discrezionale di riconoscimento di una utilitas (che può

sostanzialmente equivalere alla ricognizione di un debito contratto

senza che ne ricorrano tutti i necessari presupposti di legge)

legata a prestazioni non autorizzate della controparte, doveva,

pertanto, l'amministrazione non sottrarsi, con l'adozione dell'atto

impugnato, al fondamentale dovere etico di solidarietà che è

insito nella norma di cui all'art. 2041 c.c., valutando, in relazione

all'interesse pubblico di cui è titolare, l'eventuale effettivo appor

to (e la conseguente indennizzabilità) delle prestazioni rese dalla

ricorrente.

E anche sotto il profilo della competenza dell'organo che ha

adottato il provvedimento, proprio perché trattavasi dell'esercizio

di un potere discrezionale e non di un atto dovuto, a contenuto

rigorosamente predeterminato, era necessario che intervenisse il

comitato di gestione e non il presidente della U.s.1., a nulla

rilevando, al riguardo, il fatto che l'organo collegiale abbia,

successivamente, determinato le modalità del recupero della som

ma erogata, dal momento che è mancata, comunque, la fonda

mentale valutazione che nel caso si richiedeva.

Per le considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere

accolto, con il conseguente annullamento dell'atto impugnato.

(Omissis)

Il Foro Italiano — 1986.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; sezione II; sentenza 3 novembre 1984, n. 1534; Pres.

Chieppa, Est. Corasaniti; Soc. Fiat Auto (Avv. Giannini) c.

Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia).

Giustizia amministrativa — Ricorso gerarchico — Decisione —

Ricorso giurisdizionale — Nuove censure — Inammissibilità.

Dogana — Autovetture prodotte all'estero — Marchio di impre sa nazionale — Difetto di indicazione dell'origine — Fermo

in dogana — Legittimità — Fattispecie.

Nel ricorso al giudice amministrativo contro la decisione di un

ricorso gerarchico non sono ammissibili le censure nei confronti del provvedimento originario, che non erano state formulate nel

ricorso gerarchico. (1) Sono legittimi i provvedimenti di fermo in dogana di autovetture

prodotte dalla Seat in Spagna, e recanti il marchio Fiat, per

difetto dell'indicazione relativa alla loro origine spagnola, anche

se l'acquirente sia poi posto in grado, al momento dell'acquisto

dell'autoveicolo, di individuare lo stabilimento dal quale pro

viene, attraverso l'esame della dichiarazione di conformità del

certificato di origine e della carta di circolazione. (2)

Diritto. — L'impugnativa della s.p.a. Fiat Auto, oggi all'esame

del collegio, è diretta contro la decisione ministeriale di rigetto del ricorso gerarchico proposto, in data 22 marzo 1982, avverso

alcuni provvedimenti di fermo in dogana di autovetture prodotte dalla Seat in Spagna e recanti il marchio Fiat; provvedimenti

(1) La massima è espressione del principio consolidato secondo cui sono inammissibili i motivi dedotti nel ricorso giurisdizionale i quali non siano già stati almeno enunciati nel previo gravame amministrati vo. Cfr., in questi stessi termini, T.A.R. Lazio, sez. I, 29 febbraio 1984, n. 203, Foro it., 1984, III, 253, con nota di richiami, cui adde T.A.R. Lombardia, sez. II, 10 settembre 1983, n. 1355, id., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n. 572, ove, in analogia con la sentenza in epigrafe, si sostiene che il principio in questione è volto ad evitare il rischio dell'elusione del termine di decadenza di 60 giorni previsto dalla legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali per la

proposizione (rectius, per la notificazione) del ricorso giurisdizionale, rispetto al quale, d'altro lato, il ricorso gerarchico è sempre un rimedio facoltativo, e alternativo, seppure generale, e T.A.R. Sicilia, sede Catania, 20 febbraio 1984, n. 76, ibid., n. 573, che nega l'applicabilità delle suesposte regole operative a coloro che abbiano rivestito, in sede gerarchica, la qualità di controinteressati, ed abbiano in tale veste proposto le proprie controdeduzioni.

(2) Nulla in termini. Per alcuni ragguagli, cfr. M. Scarlata Fazio, Manuale delle disposizioni doganali, Roma, 1984, e, in una prospettiva peraltro diversa e rovesciata rispetto a quella che si coglie nella decisione che si riporta. P. De Felice, Auto: le « importazioni parallele » falso problema doganale, in Rass. dir. tecnica doganale, 1983, 571 ss., cui adde, per i profili generali della questione, R. Catucci, La certificazione dell'origine per le merci in transito, id., 1981, 1189 ss. Si deve ancora segnalare che il problema affrontato nella sentenza che si riporta può anche dar luogo all'intervento del giudice penale, secondo quanto dimostra la recente pronunzia di Trib. Torino 12 ottobre 1984, id. 1985, II, 230, con annotazione di G. Fornasari, Appunti sull'applicabilità dell'art. 517 c.p. alle ipotesi di produzione su commissione, ove si ritiene che non integra gli estremi del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all'art. 517 c.p., il fatto dei produttori che vendono sul mercato italiano delle autovetture con il proprio marchio, fabbricate material mente all'estero, ma su licenza del produttore italiano stesso (e, nel caso su cui si è pronunziato il Tribunale penale di Torino, il fatto di reato ipotizzato era costituito dalla Fiat Auto che aveva posto in vendita in Italia degli autoveicoli prodotti all'estero — presso la Seat spagnola —, ma, tuttavia, con gli stessi requisiti tecnici delle analoghe vetture prodotte in Italia, ed apponendovi sull'esterno il solo marchio Fiat).

Circa le controversie fra importatori paralleli di autoveicoli e reti « ufficiali » di distribuzione cfr. Corte giustizia CE, ord. 7 giugno 1985 (che sarà riportata sul prossimo fascicolo) secondo cui stante il grave pregiudizio arrecato agli importatori paralleli ed agli esportatori esteri, nonché ai consumatori finali, dai provvedimenti con cui, a partire dal

luglio 1984 sono stati inaspriti i controlli amministrativi per l'immatri colazione di autoveicoli nuovi o usati importati da altri Stati membri, alla Repubblica italiana va ordinato, in via d'urgenza, l'adozione dei

provvedimenti necessari affinché agli importatori paralleli non siano

imposte condizioni più rigorose di quelle vigenti prima del luglio 1984; e per un significativo riscontro, Pret. Roma, ord. 13 luglio 1984, id., 1984, I, 2630.

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