sezione II civile; sentenza 1° aprile 1992, n. 3950; Pres. Pafundi, Est. Vella, P.M. Lo Cascio(concl. parz. diff.); Cucciniello (Avv. Porcacchia, Giorgianni) c. Cucciniello ed altri (Avv.D'Amato). Conferma App. Perugia 2 dicembre 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 1 (GENNAIO 1993), pp. 193/194-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186245 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della vocatio in ius di un soggetto estinto, posto che questo vizio si realizza con il solo fatto della convocazione in giudizio di un siffatto convenuto, e prescinde totalmente dalla ritualità
della notifica, che è atto processuale autonomo ed indipendente della citazione, pur se ad essa accessorio e complementare.
Ne deriva che il profilo del primo motivo che denuncia tale
errore è fondato e deve essere accolto.
Non per questo, tuttavia, sempre per le ragioni esposte, rima
neva precluso l'appello nei confronti della sentenza del Tribu
nale di Aosta, per cui correttamente, la corte territoriale ha ri
conosciuto l'ammissibilità, sotto questa prospettiva, dell'impu
gnazione proposta dalla Commerciale Gema e la legittimazione della medesima società all'impugnazione.
Perciò, il ricorso incidentale risulta infondato e da respingere. 6. - Inoltre, allorquando una società si sia estinta a seguito
di incorporazione in altra società e l'atto di fusione sia stato
iscritto nel registro delle imprese a mente dell'art. 2504 c.c., è nulla la notifica alla società incorporata effettuata, dopo l'i
scrizione, nel luogo dove aveva sede prima dell'incorporazione.
Innanzitutto, per l'inesistenza del destinatario della notifica
(v., per il principio, Cass. 4 maggio 1978, n. 2097, id., Rep.
1978, voce Notificazione civile, n. 48, che ha escluso che una
siffatta notificazione potesse considerarsi tamquam non esset,
sol perché nel caso ivi esaminato mancava la prova dell'avvenu
ta iscirzione dell'atto di fusione nel registro delle imprese del
luogo ove la società incorporata aveva sede).
Indi, perché in tal modo viene meno anche la sede della so
cietà incorporata, per cui non può più trovare applicazione il
disposto dell'art. 145 c.p.c. che subordina la validità della noti
fica alle persone giuridiche alla consegna dell'atto nella loro sede.
Perciò, come riconosce la stessa amministrazione fallimenta
re resistente anche se come premessa d'una costruzione giuridi ca inaccettabile, la notifica dell'atto di citazione alla s.p.a. Mir
va, era nullo in quanto aveva come destinatario un soggetto estinto ed è stata effettuata in un luogo dove non era più la
sua sede.
Di conseguenza, deve essere accolto anche il profilo del pri mo motivo che denuncia l'errore della corte d'appello per aver
escluso la validità della notifica.
7. - Ne deriva, ferma restando la nullità della citazione e del
la sua notifica, ed essendo incontroverso che i successori della
Mirva non avevano avuto conoscenza del processo prima della
lettera del legale del fallimento Nicolet del 29 dicembre 1986:
che sussistevano i presupposti per la rimessione in termini della
società Commerciale Gema ai fini della proposizione dell'appel lo avverso la sentenza del Tribunale di Aosta pubblicata il 19
giugno 1986; che per la stessa società il termine lungo per l'ap
pello decorreva dal 29 dicembre 1986; infine, che l'appello pro
posto con citazione notificata il 28 dicembre 1987, era tempesti
vo e, dunque, ammissibile, sicché la corte del merito, andando
in contrario avviso, è incorsa nell'errore in procedendo denun
ciato nel secondo motivo.
Diventa cosi irrilevante la questione relativa all'applicabilità
del termine lungo in ordine alle impugnazioni avverso le senten
ze inesistenti, alla quale parte della dottrina ha dato risposta
negativa. 8. - In sintesi, allora, mentre deve essere accolto nei limiti
enunciati il ricorso principale, deve essere rigettato quello inci
dentale.
Nel contempo, l'accertamento della nullità della citazione in
primo grado quale momento necessario dell'annullamento della
statuizione della sentenza impugnata sull'ammissibilità dell'ap
pello, comporta la cassazione della stessa sentenza senza rinvio.
Infatti, una siffatta nullità realizza un'ipotesi di «processo che
non poteva essere proseguito», sicché il suo accertamento in
sede di legittimità determina l'applicazione dell'art. 382, 3° com
ma, ultima parte, c.p.c. (cfr., sia pure con riferimento alla nul
lità della citazione per difetto del termine a comparire, Cass.
24 marzo 1982, n. 1861, id., Rep. 1982, voce Appello civile,
n. 116; 9 marzo 1982, n. 1485, ibid., n. 131; 13 dicembre 1977,
n. 5414, id., 1978, I, 356; 8 marzo 1976, n. 784, id., 1976, I, 2692).
Il Foro Italiano — 1993 — Parte 7-4.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 1° aprile
1992, n. 3950; Pres. Pafundi, Est. Vella, P.M. Lo Cascio
(conci, parz. diff.); Cucciniello (Aw. Porcacchia, Giorgian
ni) c. Cucciniello ed altri (Avv. D'Amato). Conferma App.
Perugia 2 dicembre 1989.
Successione ereditaria — Testamento olografo nullo — Codicil lo successivo (Cod. civ., art. 602, 2909).
Successione ereditaria — Azione di riduzione — Presupposti — Legittimario leso — Accettazione con beneficio d'inventa
rio (Cod. civ., art. 467 , 556, 588, 639, 674, 688).
L'invalidità del testamento olografo non si trasmette automati
camente al codicillo aggiunto alla scheda testamentaria. (1) Per esperire l'azione di riduzione, è necessaria l'accettazione con
beneficio d'inventario quando il legittimario, pur pretermesso
(1) In giurisprudenza, in senso conforme, v. Cass. 20 ottobre 1981, n. 5480, Foro it., Rep. 1981, voce Successione ereditaria, n. 62, che intervenne per la prima volta sulla vicenda odierna. Dello stesso avviso anche Cass. 10 giugno 1966, n. 1517, id., 1966, I, 1726, e, nella motiva
zione, Cass. 28 settembre 1954, n. 3152, id., 1955, I, 1187; 7 maggio 1968, n. 1405, id., 1968, I, 1431.
Sulla natura del codicillo, la giurisprudenza ha lasciato intendere che le modificazioni e le aggiunte ad un testamento olografo godono di
una loro autonomia (Cass. 7 maggio 1974, n. 1290, id., Rep. 1974, voce cit., n. 54). In altra circostanza («un caso di data impossibile del
testamento implicitamente corretta da un codicillo confermativo dell'at
to», cosi Branca, Dei testamenti ordinari, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1986, 87, n. 1), il codicillo è stato configurato alla stregua di testamento per relationem e, come tale, ritenuto valido
(Trib. Vicenza 10 aprile 1972, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 68), ma deve, trattarsi di relatio formale, ossia mero «rinvio ad una fonte esterna per la determinazione dell'oggetto e del soggetto» dell'atto (Apoz
zi, Successione e donazione, Milano, 1983, I, 414). In letteratura v.
Amore, Codicillo (diritto civile), voce del Novissimo digesto, Torino,
1967, III, 407; Vismara, Codicillo, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1960, VII, 290.
Da tempo la dottrina (Messineo, Manuale, Milano, 1951, III, 2, 77), e poi la giurisprudenza (Cass. 23 aprile 1958, n. 1346, Foro it., Rep. 1958, voce Testamento, nn. 8, 9) hanno fatto rilevare l'inutilità della
distinzione, tramandataci dal diritto romano, tra testamento e codicillo; il codicillo — o clausola codicillare —, che poteva contenere solo legati e fedecommessi (cosi Ganci, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1952, 1, 25), oggi si identificherebbe, riguardo alla finalità, con le «disposizioni testamentarie di carattere accessorio», ossia modificative o integrative di quelle testamentarie. Sostanzialmen
te, del codicillo è rimasto soltanto il nomen iuris; se contiene tutti i
requisiti di forma previsti dalla legge per il testamento (olografo), può considerarsi autonomo rispetto alle disposizioni testamentarie cui fa ri
ferimento. Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Commenta
rio diretto da De Martino, Novara, 1973, 124, afferma che le aggiunte
integrano una nuova volontà testamentaria, che in ogni caso ha «una
validità distinta da quella anteriormente manifestata». Altra dottrina (Branca, cit., Ili), con riguardo alle aggiunte al te
stamento, distingue quelle autonome da quelle che non lo sono «perché
collegate all'olografo»: caso in cui, si sostiene, non si è di fronte ad
un nuovo testamento. Il pregio della dottrina ora citata consiste nell'a
ver contribuito a porre un criterio di discernimento obiettivo. Perché si possa parlare di codicillo (ma la rilevanza di tale terminologia è dav
vero relativa), occorre che sussistano due condizioni: a) che si tratti di aggiunte o modifiche ad un testamento (olografo); b) che esse siano
dotate di autonomia (ovvero che non siano collegate con il resto del
testamento). In materia di indegnità a succedere per la falsificazione di un codicil
lo, Cass. 3152/54 ha dichiarato applicabile l'art. 463, n. 6, c.c. La sen
tenza si fonda sulla considerazione che il codicillo non necessariamente
regola l'intera successione, ma è costituito da «un documento formal mente autonomo contenente disposizioni di ultima volontà, intese cioè
a regolare anche in parte la sorte dei beni del testatore» (v. Cardani
Contorsi Lisi, Le successioni. Disposizioni generali, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale fondata da Bigiavi, Torino, 1981, 229-30).
Circa la forma del codicillo (Galgano, Il negozio giuridico, in Trat
tato dir. civ. comm., Milano, 1988, III, 1, 521; Marinaro, Art. 601-648, in Cod. civ. annotato, a cura di Perlingieri, 2, Napoli, 1991, 274), si ritiene necessaria quella prevista dalla legge per il tipo di testamento
cui si rimanda. Ci si potrebbe chiedere se il codicillo sia ammissibile per tutti i tipi
di testamento. La risposta negativa richiede una precisazione per quello
pubblico; considerato il rigoroso formalismo che governa gli atti mortis
causa e, in particolare i testamenti per atto di notaio, una nuova mani
festazione di volontà, trasfusa in un testamento pubblico, costituisce
un nuovo negozio a causa di morte, anche se contiene soltanto aggiunte o modifiche.
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PARTE PRIMA
in parte, risulti essere ex lege in comunione ereditaria per i
restanti beni. (2)
Svolgimento del processo. — Angela Cucciniello, con testa
mento olografo del 13 marzo 1961, lasciò, tra l'altro, al figlio Domenico Cucciniello la proprietà di un appartamento, e, con un codicillo del 1° luglio 1965, dispose che, se alla di lei morte
il beneficiato non avesse avuto figli, l'immobile sarebbe dovuto
passare alle nipoti Emilia e Mariangela Cucciniello (figlie del
l'altro suo figlio Ermanno), a condizione che ai loro figli ma
schi si fosse aggiunto il proprio cognome a quello del padre. Poiché alla morte della testatrice il figlio Domenico era ancora celibe e non aveva figli, il fratello Ermanno Cucciniello, in rap
presentanza delle figlie minori Emilia e Mariangela, lo conven
ne, davanti al Tribunale di Avellino, chiedendone la condanna
al rilascio del menzionato appartamento, sul presupposto che
si fosse verificata la condizione risolutiva apposta alla disposi zione mortis causa.
Costituitosi in giudizio, il convenuto contestò la pretesa de
ducendo che il testamento era stato redatto dalla dante causa
come volontà viziata dalla violenza e dal dolo del marito Do
menico Cucciniello, e, con domanda riconvenzionale, ne chiese
l'annullamento.
Dopo essersi integrato il contraddittorio nei confronti di Er manno Cucciniello, dell'altro germano Raffaele e del loro geni tore Domenico Cucciniello, il giudice adito, con sentenza del
20 gennaio 1976, dichiarò la nullità dell'olografo, ai sensi del
l'art. 624 c.c., avendo ritenuto che la Cucciniello era stata de
terminata dal comportamento del coniuge a redigere il negozio mortis causa, mentre dichiarò valido il codicillo per la sua auto nomia rispetto alla scheda testamentaria.
Su impugnazione del convenuto, la Corte d'appello di Napo
li, con sentenza del 29 settembre 1979, annullò anche il codicil
lo, perché lo considerò parte integrante di un unico invalido
testamento.
Su ricorso per cassazione, proposto da Ermanno Cucciniello,
questa corte, con sentenza del 20 ottobre 1981, cassò la decisio
ne impugnata enunciando il seguente principio: «Il codicillo ag
giunto a un testamento olografo, se è anch'esso autografo, da
tato e sottoscritto dal testatore, rientra nell'ampio concetto di
testamento olografo, la cui efficacia non è automaticamente esclu
sa dall'invalidità, ex art. 624, dell'altro testamento cui si riferi
sce, ove per il principio della conservazione del testamento la
precedente disposizione oggetto del riferimento, sebbene infi
ciata dalla non corrispondenza alla volontà effettiva, risulti pre sente alla coscienza del testatore al momento in cui, con volon
tà non viziata, ha redatto il codicillo in calce alla stessa».
La decisione del Tribunale di Avellino fu confermata, con sentenza del 23 marzo 1984, dalla Corte d'appello di Roma, come giudice di rinvio.
Con altro ricorso per cassazione il convenuto Domenico Cuc ciniello dedusse che si era ravvisata l'incompatibilità tra il codi cillo e il testamento, senza avere prima valutati gli argomenti della tesi secondo cui il codicillo costituiva parte integrante del la scheda testamentaria, e di esso, pertanto, doveva essere di
chiarata la nullità insieme con questa ultima. In particolare, affermò che non erano state esaminate alcune circostanze deci
sive, estrinseche all'atto, dalla cui considerazione sarebbe certa
mente derivata una statuizione diversa.
Con sentenza del 26 marzo 1986 questa corte cassò, per difet to di motivazione, la pronuncia della Corte d'appello di Roma
per non avere esaminato le circostanze decisive menzionate nel
ricorso.
Con sentenza del 2 dicembre 1989 la Corte d'appello di Peru
gia, designata come nuovo giudice di rinvio, ha confermato la
decisione del Tribunale di Avellino del 20 gennaio 1976. Ricorre per cassazione Domenico Cucciniello deducendo otto
motivi. Resiste con controricorso Ermanno Cucciniello, in no
me proprio e come procuratore delle figlie Emilia e Mariangela.
(2) 11 principio espresso dalla Cassazione è consolidato nella giuris prudenza (da ultimo, v. sent. 6 agosto 1990, n. 7899, Foro it., Rep. 1990, voce Successione ereditaria, n. 97; 7 aprile 1990, n. 2923, ibid., n. 67). Sull'accettazione con beneficio d'inventario come presupposto per l'esercizio dell'azione di riduzione, v. Cass. 28 marzo 1981, n. 1787, id., 1981, I, 2472, con nota di Di Lalla.
Il Foro Italiano — 1993.
Le parti hanno depositato memorie. Non si sono costituiti gli eredi di Raffaele Cucciniello.
Motivi della decisione. — Con i primi cinque motivi, stretta
mente connessi, si denunzia la violazione degli art. 2909 c.c.
e 345, 384 e 394 c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, di quest'ultimo codice e si censura la sentenza impugnata dedu
cendosi che la corte d'appello ha ritenuto valido il codicillo, sull'erroneo rilievo che questo sia un negozio giuridico autono
mo rispetto al testamento dichiarato nullo, mentre avrebbe do
vuto rilevarne l'invalidità, costituendo parte integrante dell'uni
co negozio mortis causa da esso solo modificato, ed essendo
stato, comunque, redatto dalla de cuius non liberamente, ma
perché determinata dal coniuge. In proposito, si sostiene che la corte ha presupposto la validi
tà del testamento, in contrasto con la statuizione, passata in
giudicato, con cui era stato pronunciato il suo annullamento, e ha omesso di esaminare la lettera, in data 18 dicembre 1965, con cui il marito della testatrice, Domenico Cucciniello, aveva informato i figli di avere costretto la moglie a redigere il codi
cillo in esecuzione della di lui volontà. Inoltre, ha affermato
che quest'ultimo era stato scritto al fine di tramandare il nome
di famiglia, sebbene dagli elementi acquisiti al processo, e, in
particolare, dalla menzionata lettera, risulti che l'atto era privo di qualsiasi autonomia. Da essi, infatti, si evince che, mentre, in un primo momento, la testatrice era stata indotta dal marito
ad assegnare l'appartamento al figlio Domenico a titolo di rico
noscenza per le spese che costui aveva sborsato nell'interesse
dell'intera famiglia, in un secondo momento, sempre su indu
zione del coniuge, aveva disposto dello stesso bene a favore
delle nipoti, avendo accertato «l'inganno del figlio circa una
generosità che verso i genitori e i familiari il medesimo non
aveva in realtà mai avuto».
Si aggiunge che la dante causa se avesse effettivamente volu
to tramandare il nome di famiglia mediante il codicillo, come
ritenuto dal giudice di rinvio, non avrebbe omesso di disporre dei suoi residui beni a favore del marito e degli altri figli, che, invece, sono stati tutti dimenticati nell'atto.
Infine, la corte è incorsa nei seguenti ulteriori errori e
omissioni:
1) ha negato valore probatorio alle risposte date da Raffaele
Cucciniello nel corso del suo interrogatorio formale e all'assen
za di reazione del genitore alle accuse rivoltegli dal ricorrente, avendo provveduto a una valutazione isolata di tali elementi
che si sarebbero dovuti considerare insieme con le altre risultan
ze probatorie;
2) ha trascurato la scrittura privata del 31 maggio 1966;
3) ha dichiarato inammissibile l'interrogatorio formale defe
rito alla Grimaldi (erede di Raffaele Cucciniello) e omesso di esaminare il certificato medico prodotto in giudizio.
La complessa censura è infondata. Contrariamente a quel che
sostiene il ricorrente, il quale ha prospettato in questa sede di
legittimità una nuova e, quindi, inammissibile ricostruzione dei
fatti della causa, la Corte d'appello di Perugia ha escluso, con
una motivazione esauriente, logica ed esente da errori di diritto, l'invalidità del codicillo, avendo ritenuto che ad esso non si sia
trasmessa la nullità del testamento del 1961, dichiarata con pro nuncia passata in giudicato e che lo stesso non sia invalido per violenza o dolo.
Infatti, sotto il primo profilo ha osservato che il codicillo
ha una sua autonomia e una diversa finalità rispetto a quella del negozio mortis causa di data anteriore, essendo stato redat
to per evitare l'estinzione del nome di famiglia e non per punire il figlio Domenico, privandolo dell'appartamento assegnatogli,
perché «in tal caso sarebbe stato più semplice modificare in
qualche modo il testamento o rifarlo da capo, senza ricorrere
al macchinoso sistema, indiretto e trasversale di apporre una condizione di difficile avveramento».
Sotto il secondo aspetto ha rilevato l'assenza di elementi pro batori della redazione del codicillo per effetto della violenza
o del dolo del marito della testatrice, della quale non era stata
neanche dimostrata la personalità psichicamente debole e in
fluenzabile.
Inoltre, con riguardo alle circostanze estrinseche, il cui omes
so esame aveva determinato la cassazione della sentenza prece dentemente emessa dalla Corte d'appello di Roma (primo giudi ce di rinvio), ha motivatamente affermato, a conclusione di in
censurabile apprezzamento il fatto, che:
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
a) l'ammissione degli avvenimenti formanti oggetto dell'in
terrogatorio formale deferito al contumace Raffaele Cucciniello
(« 1 - vero che la de cuius ha sempre dichiarato di avere testato
d'accordo col proprio marito e seguendo i desiderata dello stes
so; «2 - vero che il marito della de cuius ha dichiarato, dopo la morte della de cuius, che la postilla riguardante le minori
era stata fatta apporre da lui; 3 - vero che i rapporti tra esso
Raffaele Cucciniello ed Ermanno Cucciniello sono ottimi e il
primo ospita l'Ermanno e le sue figlie tutte le volte che questi si fermano in Avellino») era inattendibile, perché il dichiarante
«aveva debiti di gratitudine verso il fratello Domenico che lo
aveva, come avvocato, difeso in varie procedure, e salvato più volte dal fallimento»;
b) dalla lettera del 18 dicembre 1965 era risultato che il mari
to della testatrice si era adoperato per l'attribuzione dell'appar
tamento al figlio Domenico, ma non che l'apposizione della con
dizione al codicillo era riferibile al suo intervento violento o
doloso; del resto «lo stesso biasimo del genitore accomunava
nella lettera Ermanno Cucciniello, e non si vede per quale moti
vo il padre avrebbe dovuto punire il figlio Domenico e premia
re, invece, il figlio Ermanno, padre delle minori Emilia e Ma
riangela, oggetto del medesimo malanimo»;
c) la scrittura privata del 31 maggio 1966 era stata sottoscrit
ta dai coeredi non perché costoro avessero riconosciuto l'invali
dità del codicillo, ma perché avevano voluto con essa regolare
i rapporti successori, e, in particolare, i debiti verso l'attuale
ricorrente Domenico Cucciniello;
d) la mancata contestazione, da parte del genitore, delle af
fermazioni accusatorie contro di lui fatte in giudizio dal figlio
Domenico, era dipesa dalla sua contumacia.
Infine, inammissibile per la sua genericità è la critica diretta
contro la statuizione con cui la corte d'appello ha motivamente
negato, richiamando il divieto di nuove conclusioni sancito dal
l'art. 394 c.c., la proponibilità dei mezzi di prova dedotti da
Domenico Cucciniello, e ha rifiutato l'esame dei documenti dal
medesimo prodotti irritualmente e tardivamente nel giudizio di
rinvio.
Con il sesto, il settimo e l'ottavo motivo, anch'essi stretta
mente connessi, si denunzia la violazione degli art. 467, 556,
588, 639, 674 e 688 c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,
c.p.c., e si censura la sentenza impugnata per avere la corte
d'appello dichiarato inammissibile la domanda di riduzione pro
posta da Domenico Cucciniello perché non preceduta dall'ac
cettazione dell'eredità con il beneficio dell'inventario, avendo
erroneamente ritenuto che la proprietà dell'appartamento era
stata attribuita a Emilia e a Mariangela Cucciniello a titolo di
legato, mentre numerosi elementi acquisiti al processo rivelava
no inconfutabilmente che l'assegnazione del bene alle minori
era avvenuta a titolo ereditario (l'appartamento costituiva l'uni
co immobile della quota ereditaria di Domenico Cucciniello e
la sua attribuzione era stata disposta con l'uso delle stesse paro
le adoperate nel testamento di data anteriore; le due assegnazio
ni erano strettamente collegate dalla condizione risolutiva con
templata nel codicillo; ai sensi dell'art. 639 c.c., un erede può
essere sostituito da un altro erede e non da un legatario; Emilia
e Mariangela Cucciniello avendo fatto valere il diritto di accre
scimento e chiesto di subentrare per rappresentazione al genito
re che all'eredità aveva rinunciato, erano indubbiamente eredi
e in questa loro qualità si era confusa l'altra di legatarie).
Si aggiunge che l'azione di riduzione si sarebbe dovuta ritene
re, comunque, ammissibile in base a un consolidato principio
di diritto, in quanto il Cucciniello l'aveva promossa nella sua
veste di legittimario pretermesso, non essendo stato chiamato
all'eredità nel codicillo ed essendo stato dichiarato nullo il te
stamento del 1961 nel quale era stato nominato erede.
Anche questa censura è infondata. Innanzi tutto, la corte d'ap
pello ha esattamente definito legato la disposizione a favore delle
minori Emilia e Mariangela Cucciniello, in base all'ineccepible e decisivo rilievo che essa ha avuto ad oggetto un bene unico
del patrimonio della defunta, che non risulta essere stato asse
gnato come quota ereditaria (art. 588, 2° comma, c.c.), e ha
conseguentemente, dichiarato inammissibile la domanda di ri
duzione proposta da Domenico Cucciniello, perché non prece
duta dall'accettazione dell'eredità con il beneficio dell'inventa
rio, come prescritto dall'art. 564 c.c., il quale non richiede la
preventiva accettazione soltanto se l'azione sia promossa per
la riduzione delle donazioni e dei legati fatti a persone chiamate
Il Foro Italiano — 1993.
come coeredi, non sussistendo in questo caso il pericolo che
il legittimario possa ottenere la riduzione di donazioni e legati nascondendo dolosamente una parte dei beni ereditari.
Effettivamente, poi, questa corte ha ripetutamente enunciato
il principio secondo cui il legittimario, che sia stato pretermesso dall'eredità per avere il de cuius assegnato l'intero suo patrimo nio ad altre persone mediante disposizioni a titolo universale
«o particolare inter vivos» o mortis causa, non deve accettare
l'eredità con il beneficio dell'inventario per proporre la doman
da di riduzione di donazioni e legati, in quanto egli acquista la qualità di erede soltanto in caso di accoglimento della sua
pretesa. Tuttavia, nella specie, tale ipotesi non si è verificata non es
sendovi stata totale pretermissione. E, infatti, Domenico Cucci
niello, in conseguenza della dichiarata nullità del testamento del
1961 e della ritenuta natura di disposizione a titolo particolare contenuta nel codicillo del 1965, è stato chiamato ex lege alla
comunione ereditaria degli altri beni, dei quali la dante causa
non ha disposto, operando la successione legittima in via sup
pletiva, e, perciò, la sua domanda di riduzione per essere pro
ponibile avrebbe dovuto essere preceduta dall'accettazione con
il beneficio dell'inventario.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23 mar
zo 1992, n. 3594; Pres. Novelli, Est. Vizza, P.M. Tridico
(conci, conf.); Fabrizio (Avv. Agosunucci) c. Comune di La
tina (Avv. Serra). Conferma App. Roma 25 febbraio 1987.
Responsabilità civile — Aula giudiziaria — Pedana dissestata — Insidia — Caduta — Responsabilità per danno da cose
in custodia — Esclusione (Cod. civ., art. 2051).
La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia
riguarda i danni cagionati dalla cosa medesima per sua intrin
seca natura, ovvero per l'insorgenza in essa di agenti dannosi
e, pertanto, non può trovare applicazione nella diversa ipote
si di danni che non derivino dalla res in sé, ma da un com
portamento, anche omissivo, del detentore della stessa (nella
specie, è stata esclusa la responsabilità di un comune in ordi
ne ai danni subiti da un avvocato a seguito di caduta nell'atto
di discendere da una pedana di un'aula di giustizia). (1)
(1) La pronuncia (non massimata dal competente ufficio), in sede
di risoluzione di una fattispecie di danno da caduta, affronta la vexata
quaestio della precisazione della sfera di operatività del disposto del
l'art. 2051 c.c., in materia di danno da cose in custodia, rispetto a
quello proprio della clausola generale ex art. 2043 c.c.
Al riguardo, la giurisprudenza maggioritaria si è mostrata tradizio
nalmente propensa a rimarcare una profonda differenza strutturale tra
le due norme in menzione, ritenendo l'art. 2043 quale disposizione im
positiva di un obbligo generale di astensione da atti idonei ad arrecare danni a terzi — ossia, di un non agere —, e considerando, per contro, l'art. 2051 alla stregua di norma diretta all'enunciazione, in capo al
custode della res, di un dovere giuridico positivo — e cioè, di un agere
—, concretantesi nel mantenimento di un costante controllo sul bene
e nell'adozione delle misure funzionali alla neutralizzazione della poten ziale offensività dello stesso (in questo senso, ex plurimis, Cass. 15 di
cembre 1975, n. 4124, Foro it., Rep. 1975, voce Responsabilità civile, nn. 138-140; in senso parzialmente difforme, Cass. 22 maggio 1982,
n. 3134, id., Rep. 1982, voce cit., n. Ili, nella motivazione, id., 1982,
I, 2857, secondo cui l'ipotesi prevista dall'art. 2051 differisce da quella di cui all'art. 2043 esclusivamente in ragione della particolare intensità
del dovere di vigilanza e di precauzione imposto a chi sia munito di
un effettivo potere fisico sulla cosa).
Invece, la dottrina, nel quadro di un complessivo spostamento del
l'indagine in tema di responsabilità aquiliana dal profilo sanzionatorio
a quello riparatorio, è pervenuta all'individuazione degli elementi di
differenziazione delle disposizioni in questione non più sul piano strut
turale, bensì' su quello sistematico della scelta legislativa di disancorare
in determinate ipotesi — ivi compresa la fattispecie del danno da cose
in custodia — l'affermazione della responsabilità dall'aggettivazione del
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