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sezione II civile; sentenza 10 gennaio 2003, n. 184; Pres. Vella, Est. De Julio, P.M. Raimondi(concl. diff.); Stiriti e altri (Avv. Salerni) c. De Angelis (Avv. Pugliese). Conferma App. Roma,decr. 19 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1093/1094-1097/1098Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198261 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
— «sono abrogali [l']art. 1651 ... c.c., nonché tutte le norme
in contrasto con le disposizioni della presente legge» (art. 29, 2°
comma). Portate all'attenzione della Corte costituzionale molteplici
questioni di legittimità costituzionale della 1. n. 11 del 1971 la
corte ebbe ad osservare: «fondata è invece la questione di co
stituzionalità rispetto al 2° comma dell'art. 14 che attribuisce
all'affittuario coltivatore diretto la facoltà di esecuzione dei mi
glioramenti che sia in grado di compiere col proprio lavoro e
della famiglia 'senza dover seguire le procedure previste dal
precedente comma e dall'art. 11', ossia senza nemmeno darne
comunicazione al proprietario del fondo».
«Ora è vero — ebbe ad osservare la corte — che l'art. 1651
c.c. prevede l'eventualità che l'affittuario abbia eseguito miglio ramenti senza essere autorizzato dal locatore, ma in tale ipotesi il giudice può attribuirgli un'equa indennità solo quando trattasi
di miglioramenti di durevole utilità per il fondo, che non siano il
risultato dell'ordinata e razionale coltivazione: l'art. 14, invece, non pone alcun limite o requisito, salvo quello della capacit i di
esecuzione diretta, escludendo qualsiasi possibilità di divieto o
di controllo, mentre altre norme della stessa legge accordano al
l'affittuario, anche per tali modesti lavori di miglioramento, una
serie di diritti di grande importanza. Si impone pertanto — ha
concluso la corte — la dichiarazione d'illegittimità dell'art. 14, 2° comma, per contrasto con l'art. 3, in relazione agli art. 41 e
42 Cost., per l'irrazionale disparità di trattamento che, consen
tendo l'esecuzione di migliorie anche inscio o invito domino, sacrifica oltre ogni giusta misura i diritti del proprietario conce
dente» (Corte cost. 22 dicembre 1977, n. 153). Da tale pronunzia è stata tratta, in diverse occasioni, anche in
sede di legittimità (con formula tralaticia e senza considerare
che non è stata mai dichiarata l'illegittimità costituzionale del
l'art. 29 1. n. 11 del 1971 che aveva abrogato expressis, tra le
altre, anche tale norma), la conclusione che l'art. 1651 c.c. è
stato ripristinato a seguito dell'illegittimità costituzionale del 2°
comma dell'art. 14 1. 11 febbraio 1971 n. 11, dichiarata con
sentenza n. 153 del 1977 della Corte costituzionale (Cass. 25
novembre 1998, n. 11963, cit. Analogamente, Cass. 20 agosto 1991. n. 8940, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 180; 9 dicembre
1988, n. 6686, id., 1989. I, 1527; 9 dicembre 1988, nn. da 6687
a 6692, id., Rep. 1988, voce cit., nn. 186-191: 7 febbraio 1986, n. 772, cit.; 25 giugno 1983, n. 4378, id.. Rep. 1983, voce cit.,
n. 240). A fondamento di una tale conclusione, Cass. 25 novembre
1998, n. 11963. nonché Cass. 20 agosto 1991, n. 8940, cit., os
servano altresì che l'art. 1651 c.c. non è stato modificato dal
l'art. 17, 7° comma, 1. n. 203 del 1982 (secondo cui, in partico lare «le disposizioni del presente articolo (quanto al diritto del
l'affittuario di ottenere un compenso per i miglioramenti) si ap
plicano anche per le opere . .. comunque eseguite in data ante
riore all'entrata in vigore della presente legge») perché anche
esso dichiarato incostituzionale da Corte cost. 23 giugno 1988.
n. 692, id., 1988,1, 2798 (nella parte in cui estende il regime dei
miglioramenti, delle addizioni e trasformazioni, statuito nel me
desimo art. 17, agli affittuari che, in data anteriore all'entrata in
vigore della legge, abbiano eseguito, senza l'osservanza delle
procedure prescritte dalla legislazione precedente, opere miglio rative, incrementative o trasformative non previste nel contratto
o consentite dal concedente). Tale indirizzo giurisprudenziale, peraltro, è stato disatteso
dalla più recente giurisprudenza di questa corte la quale ha
enunciato il diverso principio in forza del quale, in particolare, in tema di affitto di fondi rustici, l'affittuario, quanto ai miglio ramenti compiuti dopo il 1971, non può vantare diritto all'in
dennità, ove non abbia osservato le procedure di cui agli art. 11
ss. 1. 11 febbraio 1971 n. 11 e 16 1. 3 maggio 1982 n. 203. Lo stesso non può neppure invocare, al riguardo, per tali mi
glioramenti, la disciplina dell'art. 1651 c.c. che, abrogato per ef
fetto dell'art. 29 1. n. 11 del 1971, non è applicabile ai miglio ramenti eseguiti successivamente all'entrata in vigore di questa ultima disposizione a seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 14, 2° comma, stessa 1. n. 11 del 1971
(Cass. 21 febbraio 2001, n. 2577, cit.). Tale principio deve essere nella specie ulteriormente confer
mato attese le considerazioni svolte sopra e, in particolare, te
nuto presente che non è stata mai dichiarata l'illegittimità co
stituzionale dell'art. 29 1. n. 11 del 1971 (che ha abrogato ex
li. Foro Italiano — 2003.
pressis l'art. 1651 c.c.) e che per effetto della dichiarata inco
stituzionalità dell'art. 14, 2° comma, stessa 1. n. 11 del 1971 so
no applicabili le disposizioni di cui all'art. 1651 c.c. solo con
riguardo ai miglioramenti effettuati in epoca anteriore alla data
di abrogazione del ricordato art. 1651 c.c.
13. - Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, in
conclusione, come anticipato, devono accogliersi. Con il quarto motivo, ancora la ricorrente principale denunzia
«in riferimento agli art. 3. 42 e 44 Cost.», «la questione di legit timità costituzionale dell'art. 15, 6° comma, 1. n. 11 del 1971»
nella parte in cui lo stesso «viene interpretato come norma svol
gente effetti retroattivi e cioè effetti relativamente ai migliora menti realizzati sotto un impianto codicistico che regolamentava in un modo totalmente diverso e autonomo tale fattispecie».
L'esame di tale motivo rimane assorbito, a seguito dell'acco
glimento del secondo e del terzo motivo.
E palese, infatti, a prescindere da ogni altra considerazione, che la questione — nei termini come prospettati
— è, in tesi, rilevante al fine del decidere, solo nell'eventualità questa corte
faccia propria l'interpretazione della ricordata disposizione nei
termini indicati dai giudici del merito.
Certa, all'opposto, come sopra dimostrato, l'insostenibilità
dell'assunto dei giudici del merito è di palmare evidenza l'as
sorbimento della questione stessa.
14. - Dall'accoglimento del secondo e del terzo motivo del ri
corso principale oltre a seguire, come sopra evidenziato, l'as
sorbimento del quarto motivo, deriva, altresì la cassazione della
sentenza gravata. Ritenuto, peraltro, a norma dell'art. 384, 1° comma, ultima
parte, che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito.
In particolare, in riforma della sentenza dei primi giudici, de
ve rigettarsi, da un lato, la domanda proposta dai Monticelli al
fine di ottenere l'indennizzo per i miglioramenti apportati al
fondo anteriormente all'annata agraria 1971. atteso che il relati
vo diritto, all'epoca in cui è stato azionato (1997) era già pre scritto. dall'altro, la domanda per il conseguimento dell'inden
nizzo per le opere di miglioramento eseguite successivamente
all'entrata in vigore della 1. n. 11 del 1971, perché realizzate
senza l'autorizzazione del concedente e, quindi, non indenniz
zabili (per essere stato abrogato l'art. 1651 c.c. a far data dall'e
poca di entrata in vigore della 1. n. 11 del 1971 ) e, da ultimo, la
domanda di ritenzione, ex art. 17 1. 3 maggio 1982 n. 203. es
sendo stato escluso qualsiasi diritto in favore dei Monticelli a
ottenere alcuna somma a titolo di indennizzo per miglioramenti
apportati al fondo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 10
gennaio 2003, n. 184; Pres. Vella, Est. De Julio, P.M. Rai
mondi (conci, diff.); Stiriti e altri (Avv. Salerni) c. De Ange lis (Avv. Pugliese). Conferma App. Roma, decr. 19 aprile 1999.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici —
Amministratore — Revoca giudiziaria — Ricorso per cas
sazione — Ammissibilità (Cost., art. Ill; cod. cìv., art.
1129; disp. att. cod. civ., art. 64; cod. proc. civ., art. 742).
E ammissìbile il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. Ili
Cost., avverso il decreto con cui la corte d'appello provvede in sede di reclamo sul decreto del tribunale che ha pronun ziato, su istanza di alcuni condomini, in tema di revoca del
l'amministratore di condominio. ( 1 )
(1) La sentenza in epigrafe, argomentatamente aderendo alla tesi
espressa da Cass. 18 maggio 1996, n. 4620. Foro it.. 1996, I, 2376, con nota di richiami, ripropone il contrasto con l'orientamento consolidato e finora dominante nell'ambito della sezione seconda civile della Su
prema corte, secondo cui nell'ipotesi considerata il ricorso per cassa
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1095 PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 23 ottobre
1997 Cesare Stiriti, Maria Orazia Messina, Ugo Igliozzi, Giu
liana Petrucci e Annunziata Dell'Omo, condomini del condomi
nio La Fiorita, in Roma, via P. Baffi 14. 26, 28, chiedevano al
Tribunale di Roma la revoca dell'amministratore Rossana De
Angelis, in considerazione delle inadempienze ed irregolarità di
cui la stessa si era resa responsabile. Il Tribunale di Roma, con decreto in data 24 aprile 1998, ri
gettava la richiesta.
Gli originari ricorrenti proponevano reclamo.
Altro reclamo veniva proposto da Rossana De Angelis, che si
doleva della compensazione delle spese. Con decreto in data 19 aprile 1999 la Corte d'appello di Ro
ma rigettava il reclamo proposto dai condomini con la seguente motivazione: sul merito delle censure dei condomini, va rilevato
che è depositato in atti il certificato rilasciato il 5 luglio 1998 di
prevenzione incendi relativo alla centrale termica del condomi
nio onde è superata ogni questione al riguardo, ferma restando
la non addebitabilità all'amministratore, per i motivi già indicati
nel provvedimento reclamato che la corte conferma, del ritar
dato rilascio del detto certificato. Per quanto riguarda l'asserita
illegittima ripartizione delle spese condominiali va ribadito
quanto ha già affermato il Tribunale di Roma e cioè che l'as
semblea condominiale ha approvato la detta ripartizione e che la
delibera assembleare non è stata impugnata. La questione pro
posta con la censura è. quindi, inammissibile in questa sede.
Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, con tre motivi. Cesare Stiriti, Maria Orazia Messina, Ugo
Igliozzi, Giuliana Petrucci e Annunziata Dell'Omo.
Resiste con controricorso Rossana De Angelis. Motivi della decisione. — Va preliminarmente esaminata la
questione dell'ammissibilità del ricorso.
Il collegio non ignora che la giurisprudenza assolutamente
prevalente di questa Suprema corte esclude l'ammissibilità del
ricorso per cassazione proposto ex art. I 11 Cost, contro il de
creto con il quale la corte d'appello provveda in sede di reclamo
avverso il decreto del tribunale ex art. 1129 c.c. in tema di revo
ca dell'amministratore di condominio (cfr., in tal senso, da ul
timo, sent. 30 marzo 2001, n. 4706, Foro it., 2001, I. 1499; 15
maggio 2000, n. 6249, id.. Rep. 2000, voce Comunione e con
dominio, n. 155; 23 febbraio 1999, n. 1493, id., 1999, I, 1462; 10 maggio 1997. n. 4090, id., 1997.1, 2497).
A fondamento di tale orientamento viene dedotta la natura di
provvedimento di volontaria giurisdizione del decreto in que stione, non suscettibile di passare in cosa giudicata, potendo gli interessati nuovamente ricorrere al giudice per chiedere un altro
provvedimento in senso difforme da quello precedente.
zione deve ritenersi inammissibile, attesa la natura di volontaria giuris dizione del provvedimento reso in tema di revoca dell'amministratore condominiale ai sensi degli art. 1129, 3° comma, c.c. e 64 disp. att. c.c.: in tal senso, v., da ultimo, Cass. 30 marzo 2001. n. 4706, id.. 2001. I, 1499. con nota di richiami (la quale esclude, d'altra parte, appunto in virtù della suddetta natura, la recuperabilità delle spese del procedi mento da parte del soggetto che le abbia anticipate). Analogamente, con riferimento all'ipotesi della nomina di un amministratore giudizia rio ai sensi dell'art. 1129, 1° comma, c.c., v. Cass. 21 febbraio 2001. n. 2517, ibid., 1500.
In argomento, v. anche Trib. Torino 3 maggio 2000, id., Rep. 2001, voce Comunione e condominio, n. 146 (e Arch, locazioni, 2001, 456). dove si sottolinea che il procedimento di revoca giudiziale dell'ammi
nistratore, ex art. 1129, 3° comma, c.c., non deve necessariamente
svolgersi nel contraddittorio di tutti i condomini. La riportata pronunzia sottolinea che il provvedimento in discorso,
«emesso su istanza di alcuni soltanto dei condomini», comporta non la
semplice sospensione, ma la revoca — ovvero «la risoluzione antici
pata e definitiva, contro la quale non è previsto alcun altro rimedio» —
del rapporto di «mandato esistente fra tutti i condomini, da un lato, e
l'amministratore, dall'altro», incidendo in tal modo su diritti soggettivi; non mancando di osservare, d'altra parte, come sia contraddittorio «ri conoscere il carattere decisorio di un provvedimento e contemporanea mente negare allo stesso l'attitudine a passare in giudicato», come fan no alcune pronunzie rappresentative dell'orientamento maggioritario.
Riguardo all'analoga problematica che investe i provvedimenti emessi in materia societaria ai sensi dell'art. 2409 c.c., v., da ultimo, Cass. 8 maggio 2001, n. 6365, 15 marzo 2001, n. 3750. e App. Roma, decr. 8 giugno 2001, Foro it., 2002, I, 830, con nota di P. Gallo, La condanna alle spese nel procedimento camerale previsto dall'art. 2409 c.c. ed il regime d'impugnazione della pronuncia', Cass. 26 febbraio
2002, il. 2776, ibid., 1718, con nota redazionale di R. Rordorf.
Il Foro Italiano — 2003.
Costituisce eccezione a tale orientamento la sentenza 18
maggio 1996. n. 4620 (id., 1996, I. 2376), alle cui conclusioni,
invece, il collegio ritiene di dover aderire.
Va preliminarmente rilevato che ai fini della ricorribilità non
costituisce ostacolo la natura (decreto e non sentenza) del prov vedimento impugnato.
Occorre in proposito ricordare che per costante giurispruden za di questa Suprema corte, ai fini dell'ammissibilità del ricorso
per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost, il termine «sentenza»
non va inteso nel significato proprio di provvedimento emesso
nelle forme e nei casi di cui agli art. 132 e 279 c.p.c., ma deve
essere interpretato estensivamente, in guisa da comprendervi tutti i provvedimenti giurisdizionali, anche se legittimamente emessi sotto forma di ordinanza o di decreto, rispetto ai quali non sia previsto alcun altro rimedio, a condizione, però, che si
tratti di provvedimenti decisori comunque incidenti su diritti
soggettivi ed aventi piena attitudine a produrre, con efficacia di
giudicato, effetti di diritto sostanziale o processuale sul piano contenzioso, sì che la loro eventuale ingiustizia comporterebbe
per la parte un pregiudizio definitivo ed irreparabile, se non fos
se assicurato quel controllo di legittimità della Corte di cassa
zione sui provvedimenti decisori che l'art. 111 Cost, ha inteso
garantire. Sulla base di tali premesse ritiene il collegio che contro il
provvedimento con il quale la corte d'appello decide il reclamo
avverso il decreto del tribunale che ha pronunciato la revoca
dell'amministratore di condominio è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto tale provvedimento, emesso su istanza di alcuni soltanto tra i condomini, comporta la risoluzione anticipata e definitiva (contro la quale non è pre visto alcun altro rimedio) del rapporto di mandato esistente fra
tutti i condomini, da un lato, e l'amministratore, dall'altro, e
cioè incide su diritti soggettivi. In relazione alle ragioni addotte a sostegno del contrario
orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Suprema corte, va. in primo luogo, osservato che appare contraddittorio
riconoscere il carattere decisorio di un provvedimento e negare
contemporaneamente allo stesso l'attitudine a passare in giudi cato (cfr. sent. 31 luglio 1965, n. 1861, id., 1965, I, 1764, e 4
febbraio 1988, n. 1103, id.. Rep. 1988, voce cit., n. 117). In senso contrario favorevole all'idoneità del provvedimento
di revoca dell'amministratore a passare in giudicato (in conside
razione della sua irrevocabilità, contrariamente a quanto soste
nuto dall'orientamento giurisprudenziale criticato) va osservato
che secondo autorevole dottrina l'efficacia di un provvedimento e la sua revocabilità od irrevocabilità dipendono dal suo conte
nuto, dalla natura dell'attività che l'organo giurisdizionale ha
svolto nel pronunciarlo, per cui se l'organo ha deciso una lite tra
due parti, attuando il diritto a favore dell'una o dell'altra, le ra
gioni politico-sociali che sono all'origine dell'istituto della cosa
giudicata impongono di attribuire al provvedimento (qualunque sia il suo nome e la sua forma) un'efficacia che valga a porre un
termine definitivo alla controversia.
Con riferimento specifico al provvedimento previsto dall'art.
64 disp. att. c.c., va ricordato che con esso il giudice non so
spende l'amministratore, cioè non pone in uno stato di quie scenza temporaneo il rapporto tra condominio e amministratore, ma revoca quest'ultimo, cioè pone definitivamente termine ante
tempus al rapporto in questione. A prescindere, poi, dalla possibilità teorica che il giudice ri
pristini un rapporto contrattuale al quale in precedenza ha posto termine, la possibilità pratica per le parti di ricorrere nuova
mente al giudice per ottenere un provvedimento di senso dif
forme da quello di revoca dell'amministratore in precedenza emesso è spesso da escludere.
A seguito della revoca, infatti, il condominio potrebbe (e nel
caso di condominio con più di quattro partecipanti dovrebbe) avere nominato un nuovo amministratore, oppure tale ammini
stratore potrebbe essere stato nominato dallo stesso giudice a
dìto da uno dei condomini ex art. 1129. 1° comma, c.c.
Nella prima ipotesi alla revoca osterebbe il disposto dell'art.
742 c.p.c., il quale fa salvi i diritti acquistati in buona fede dai
terzi in forza dì convenzioni anteriori alla revoca stessa.
Nella seconda ipotesi la revoca sarebbe inefficace, se non ac
compagnata anche dalla revoca della nomina del nuovo ammini
stratore, in relazione alla quale mancherebbero, però, i presup
posti di legge.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In difesa dell'orientamento prevalente si è ritenuto di poter
opporre (sent. 23 febbraio 1999, cit.) che:
a) il provvedimento di revoca non ha attitudine a passare in
cosa giudicata proprio per l'espressa previsione legale della sua
modificabilità e revocabilità da parte dello stesso giudice che lo
ha emesso;
b) non si vede come possa acquisire carattere definitivo un
provvedimento che, pur comportando la risoluzione anticipata del rapporto di mandato esistente tra il condominio e l'ammini
stratore, non veda presenti in giudizio tutti i condomini, ma
soltanto alcuni di essi;
c) non è vero che l'amministratore revocato, e che ha visto
porre fine illegittimamente ante tempus al suo rapporto con il
condominio, rimarrebbe senza difesa, in quanto nulla osta a che, ove il provvedimento non venga revocato o disatteso dalla mag
gioranza dei condomini con la sua riconferma, egli possa, in un
giudizio autonomo, da proporre nei confronti del condominio, che il mandato gli ha conferito, e non soltanto di taluni condo
mini, far valere le sue ragioni. In ordine a quanto dedotto sub a), se si intende fare riferi
mento all'astratta revocabilità dei provvedimenti di volontaria
giurisdizione ai sensi dell'art. 742 c.p.c. (non essendo tale revo
cabilità prevista dall'art. 1129 c.c. o dall'art. 64 disp. att. c.c.), va rilevato che in tal modo si dà per dimostrato proprio ciò che
è da dimostrare, e cioè la revocabilità del provvedimento di cui
si discute solo perché emesso secondo la procedura prevista da
gli art. 737 ss. c.p.c., mentre, invece, la questione va risolta in
base alla natura sostanziale (e non solo formale) dello stesso.
La seconda argomentazione non tiene conto del disposto del
l'art. 1726 c.c., il quale prevede che, nel caso di mandato col
lettivo, ove ricorra una giusta causa, la revoca può essere fatta
anche da uno solo dei mandanti.
In ordine all'argomentazione secondo la quale una conferma
della non definitività del provvedimento di revoca dell'ammini
stratore sarebbe desumibile dal fatto che lo stesso potrebbe esse
re disatteso dalla maggioranza dei condomini, con la revoca
della revoca o con la riconferma dell'amministratore, è facile
osservare che in entrambi i casi non si verrebbe ad incidere sulla
revoca giudiziale, ma si procederebbe ad una nuova nomina.
L'affermazione, infine, secondo la quale l'amministratore
potrebbe, in un giudizio autonomo, far valere le sue ragioni nei
confronti del condominio è di difficile comprensione; non si ve
de, infatti, quali sarebbero tali ragioni, dal momento che la ri
chiesta di revoca, sia pure ad iniziativa di un solo condomino, ma nell'ambito di una legittimazione espressamente prevista dalla legge, è stata ritenuta fondata da parte dell'autorità giudi ziaria.
Una volta stabilita l'ammissibilità del ricorso, si può passare all'esame del merito dello stesso.
Con il primo motivo si deduce che il reclamo incidentale pro
posto da Rossana De Angelis era nullo, in quanto il relativo atto
di impugnazione era stato notificato in unica copia al procurato re domiciliatario.
Il motivo è infondato, in base all'assorbente considerazione
che, come affermato dalla Corte d'appello di Roma, la nullità è
stata sanata con effetto retroattivo dalla costituzione delle con
troparti, e contro l'esattezza di tale affermazione nessuna speci fica censura viene svolta in questa sede.
Con il secondo motivo si denuncia l'irregolare sostituzione
del relatore originariamente nominato.
La doglianza è infondata, in quanto secondo la pacifica giuris
prudenza di questa Suprema corte (cfr.. da ultimo, sent. 14 feb
braio 2000, n. 1643, id., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 66) l'eventuale inosservanza delle disposizioni in tema di so
stituzione del relatore costituisce un'irregolarità di carattere re
golamentare interno che non incide sulla costituzione del giudi ce né implica violazione della precostituzione del giudice per
legge, e come tale è improduttiva di conseguenze quanto alla
validità della sentenza.
Con il terzo motivo i ricorrenti propongono tre censure.
Con la prima deducono che il provvedimento impugnato, pur avendo carattere decisorio, è stato sottoscritto dal solo presi dente del collegio e non anche dal relatore.
La doglianza è infondata, in quanto il provvedimento in que stione, pur avendo carattere decisorio, per le ragioni in prece denza illustrate, è stato correttamente emesso secondo lo sche
ma (volontaria giurisdizione) per esso previsto.
Il Foro Italiano — 2003.
Con la seconda censura si sostiene che la corte d'appello non
avrebbe tenuto conto di tutte le inadempienze addebitate al
l'amministratore.
La doglianza è inammissibile, in quanto, a parte la sua gene ricità, in sostanza viene denunciato un presunto vizio di motiva
zione, senza tener conto dei limiti ai quali è soggetto il ricorso
per cassazione ex art. 111 Cost.
I ricorrenti, infine, si dolgono della condanna alle spese. Anche tale doglianza è infondata, in quanto la corte d'appello
ha fatto applicazione del principio della soccombenza.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE ; sezione III civile; sentenza 11 di
cembre 2002, n. 17628; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M.
Gambardella (conci, diff.); Soc. Aeffe immobiliare (Avv. La
Porta) c. Ormella (Avv. D'Ottavi, Grisi). Cassa Trib. Vero
na 17 luglio 1999.
Mediazione e mediatore — Conclusione dell'affare — No
zione (Cod. civ., art. 1755). Mediazione e mediatore — Mediazione atipica — Contratto
a favore di terzo — Provvigione — Obbligo dello stipulan
te al pagamento (Cod. civ., art. 1754, 1755).
Il concetto di affare, di cui alla disciplina della mediazione, de
ve essere inteso in senso estensivo, sì da renderlo riferibile non solo a tutte le situazioni in cui l'affare intermediato sia
costituito da un solo contratto o da una pluralità di negozi tra
loro collegati e diretti a realizzare un unico interesse econo
mico, ma anche da qualsiasi operazione di natura economica
che si risolva in un 'utilità patrimoniale, prodotta attraverso
strumenti giuridici. ( 1 ) Posta l'ammissibilità della mediazione a favore di terzo come
ipotesi atipica della stessa, obbligato al pagamento della
provvigione è il soggetto incaricante rimasto estraneo al
l'affare mediato, allorché il terzo, a cui favore è stata effet tuata l'attività mediatoria, concluda l'affare. (2)
(1-2) I. - La pronuncia in rassegna, in linea con il consolidato orien tamento giurisprudenziale (v., da ultimo, Trib. Venezia 30 agosto 2002, Foro it.. 2002. I, 3469, nonché Cass. 11 gennaio 2001, n. 325, id., 2001.1, 1883). attribuisce al concetto di «affare» (di cui agli art. 1754 e 1755 c.c.) un significato più ampio rispetto a quello sic et simpliciter di
negozio o direttamente di contratto (la problematica non investe l'ordi namento tedesco, posto che il § 652 BGB usa il termine contratto). In fatti, da tempo l'espressione de qua sintetizza non solo la creazione di un vincolo di natura negoziale idoneo ad attribuire al mediatore il di ritto alla provvigione, ma anche la conclusione di qualsiasi operazione economica giuridicamente vincolante che abiliti ciascuna delle parti ad
agire per l'adempimento o per il risarcimento del danno. In altri termi
ni, perché possa parlarsi di affare concluso, è necessario che l'interesse economico perseguito dalle parti sia idoneo a ricevere tutela giuridica (a titolo esemplificativo, v. Cass. 13 marzo 1995, n. 2905, id.. Rep. 1995, voce Mediazione, n. 14; 16 giugno 1992. n. 7400, id.. Rep. 1992, voce cit.. il. 15, la quale precisa che per conclusione dell'affare deve «intendersi il compimento di un'operazione di natura economica gene ratrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempi mento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno»).
Le linee tracciate dalla giurisprudenza ripercorrono in parallelo il convincimento espresso a più riprese dalla dottrina prevalente sul signi ficato in parola. Infatti, voci autorevoli parlano di legittimazione da
parte del mediatore a chiedere la provvigione quando l'interesse perse guito sia garantito «da quei presupposti di validità che appagano l'inte resse economico delle parti e rendono il negozio azionabile», non già (rectius: non solo) quando prenda forma, con il consenso delle stesse, il vincolo giuridico (Cataudella, Mediazione, voce dell' Enciclopedia
giuridica Treccani, Roma, 1990, XIX, 10; Troisi, La mediazione, Mi
lano, 1995, 88; in senso contrario, già Carnelutti, La prestazione del
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