Sezione II civile; sentenza 10 giugno 1961, n. 1359; Pres. Vela P., Est. Albano, P. M. Pisano(concl. conf.); Giuliani (Avv. Daina) c. Hanspeter (Avv. Angelucci, Barbato)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 1323/1324-1327/1328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174843 .
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1323 PARTE PRIMA 1324
I
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo.
— Con de
creto ingiuntivo 5 ottobre 1956 il Presidente del Tribunale
di Milano, partendo dal presupposto dell'intervenuta ri
soluzione, per inadempienza dell'acquirente, del contratto
di fornitura di un forno a vapore intercorso tra la Ditta
Monziani venditrice e la Ditta Franca Zongoli compra
trice, ordinò la restituzione del forno.
La Zongoli propose opposizione davanti il Tribunale di
Milano con atto del 29 ottobre 1956, adducendo : a) l'in
competenza territoriale del Presidente del Tribunale di
Milano, in quanto il contratto sarebbe stato concluso in
Bari ed ivi dovevano avvenire i pagamenti a mezzo cambiali ;
b) l'inesistenza dell'oggetto, perchè la venditrice avrebbe
consegnato un forno diverso da quello indicato nell'ingiun zione ; e) l'insussistenza dell'inadempienza, in quanto il man
cato pagamento di alcune rate sarebbe stato giustificato dalla inadempienza della venditrice, che aveva consegnato un forno del tutto inefficiente (inadimplenti non est adimplen
dum). Nelle more del giudizio la Zongoli fu dichiarata fal
lita ; il processo fu interrotto, e poi proseguito dal Cura
tore, con ricorso notificato il 16 luglio 1958.
Con citazione del 17 luglio 1958, il Curatore del Falli
mento Zongoli convenne la Ditta Monziani davanti il Tri
bunale di Bari e, sostenendo che, a seguito della consegna di un forno inefficiente e diverso da quello contrattato, la
Zongoli era stata costretta a sospendere la panificazione ed era successivamente venuta a trovarsi in stato di insol
venza con conseguente dichiarazione di fallimento, chiese
che il contratto fosse dichiarato risolto per inadempienza della Ditta Monziani, con la condanna della stessa al risar
cimento dei danni, richiesti nella misura di 10 milioni di
lire.
Nella comparsa di risposta la Ditta Monziani eccepì la litispendenza tra la causa instaurata a Bari e quella di
opposizione a decreto ingiuntivo pendente davanti al
Tribunale di Milano ; nel corso della causa eccepì anche, in
via subordinata, la continenza e la connessione.
Con sentenza 11 dicembre 1959-5 febbraio 1960 il Tri
bunale di Bari rigettò le eccezioni della convenuta, dispo nendo con separata ordinanza per l'ulteriore corso del pro cesso. (Omissis)
Motivi della decisione. -- Il Tribunale di Bari ha rite
nuto non sussistere la litispendenza, perchè nelle due cause,
pur essendo identiche le parti e, almeno parzialmente,
l'oggetto, sarebbe diversa la causa petendi, costituita, nella
causa pendente a Milano, dall'inadempienza della compra trice per mancato pagamento di alcune rate di prezzo, e, in quella pendente a Bari, dall'inadempienza della vendi
trice per avere consegnato un forno inefficiente e diverso
da quello contrattato. Ha ritenuto inoltre che tra le due
cause ricorrerebbe un rapporto di connessione, ma che, tuttavia, non essendo stata eccepita la connessione stessa
nella prima udienza, la possibilità dello spostamento della
competenza a favore del giudice preventivamente adito
sarebbe rimasta preclusa. La Ditta ricorrente, con un primo motivo, sostiene la
sussistenza della litispendenza, in quanto nella causa da
vanti il Tribunale di Milano la Zongoli, opponendosi al de
creto ingiuntivo, non si sarebbe limitata a contestare la
propria inadempienza, ma avrebbe anche tentato di giusti ficarla adducendo l'inadempienza della venditrice ; il che, secondo la ricorrente, andrebbe configurato come una vera
e propria riconvenzionale di contenuto identico alla do
manda proposta nella causa pendente davanti al Tribu
nale di Bari. Subordinatamente, la Ditta ricorrente sostiene
che dovrebbesi riconoscere la sussistenza di continenza di
cause, in quanto la causa di Bari, da un punto di vista quan
titativo, si trova compresa con nesso di contenuto a conte
nente, nella causa di Milano.
Con un secondo motivo si deduce che, quanto meno, dovrebbe operare la connessione, in quanto la eccezione
proposta dalla convenuta nella prima udienza, pur se qua lificata erroneamente di litispendenza, tendeva sostanzial
mente ad impedire la procedibilità del processo in corso a
Bari, onde il Giudice avrebbe dovuto, correggendo la qua lificazione giuridica, determinare la natura dell'eccezione
come eccezione di connessione, traendone le relative conse
guenze. Osserva il Supremo collegio, contrariamente a quanto
opina il Procuratore generale nelle sue conclusioni scritte,
che il ricorso, almeno per quanto concerne il rapporto di
continenza, appare fondato.
Va tenuto presente che per effetto della opposizione a
decreto ingiuntivo, che dà luogo ad un normale ed auto
nomo processo di cognizione, il giudice dell'opposizione rimane investito del giudizio sia sulla pretesa fatta valere
con la domanda di ingiunzione, sia sulle eccezioni contro
di essa proposte, con la conseguenza che il petitmn, nel si
gnificato di oggetto della causa, è costituito da ambedue
le pretese contrapposte. Va altresì rilevato che l'ipotesi della continenza di lite,
che è una litispendenza parziale, ricorre tutte le volte che
tra due o più cause, pendenti dinanzi a giudici diversi, sus
sista la identità dei soggetti e, per quanto concerne l'oggetto, sussista una diversità solo quantitativa, nel senso che il
petitum di una di esse deve essere maggiormente esteso, sì
da comprendere, con un rapporto di contenente a contenuto,
l'oggetto dell'altra o delle altre cause, onde si imponga la
loro riunione al fine di decidere l'intera controversia con una
sola sentenza.
Se ciò è sufficiente per ravvisare nelle singole fattispecie la continenza di lite, l'ipotesi configurata nel 2° comma del
l'art. 39 cod. proc. civ. è maggiormente ravvisabile nel caso
in cui la questione sollevata con la prima lite (per lo più innanzi a giudice funzionalmente competente a norma del
l'art. 645) sia il presupposto necessario della domanda con
tenuta nella causa successivamente iniziata tra le stesse
parti davanti ad un giudice diverso, in guisa che l'attrazione
della seconda lite nella prima si imponga al fine di realizzare
la duplice finalità dell'economia dei giudizi e di evitare,
soprattutto, l'emanazione di sentenza contraddittoria.
Facendo applicazione di tali principi al caso in esame, non si può non ravvisare la continenza di lite, in quanto la
causa di Bari, da un punto di vista quantitativo, si trova
compresa, con nesso di contenuto a contenente, nella causa
di Milano, dappoiché il petitum di quest'ultima era maggior mente esteso, rispetto alla causa di Bari.
Ed invero, instaurata l'opposizione a decreto ingiuntivo sulla base dell'eccezione inadimplenti non est adimplen dwm per i vizi della merce venduta, il petitum (nel senso di
oggetto della controversia) non era costituito soltanto dalla
domanda posta a fondamento del procedimento monito
rio, ma altresì dalla richiesta declaratoria di risoluzione del
contratto di compravendita per responsabilità del vendi
tore, il che costituiva il presupposto necessario della do
manda contenuta nella causa di Bari in ordine alla pretesa
generica di danni. Sembra pertanto potersi concludere che nella fattispe
cie in esame sussista, quanto meno, il rapporto di conti
nenza di lite con la conseguenza che il ricorso deve essere
accolto. Per questi motivi, dichiara la competenza del Tribunale
di Milano, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione li civile ; sentenza 10 ghigno 1961. n. 1359 ; Pres.
Vela P., Est. Albano, P. M. Pisano (conci, conf.) ; Giuliani (Avv. Daina) e. Hanspeter (Avv. Angelucci,
Barbato).
(Conferma App. Trento 14 giugno 1960)
Lavoro (rapporto) Convivenza « more uxorio »
Nozione — Continuità, regolarità e intensità della
prestazione lavorativa EUelusione «Iella presun zione (li gratuità.
Le prestazioni di lavoro compiute dall'un convivente more uxorio in favore dell'altro, sia nel campo strettamente
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1325 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1326
• domestico sia in quello e xtì adomestico, sono assistite dalla presunzione semplice di gratuità, anche se la con vivenza non sia accompagnata da notorietà. (1)
Betta presunzione viene meno se la prestazione lavorativa del convivente more uxorio ha carattere di continuità,
; regolarità e intensità. (2)
>-5 La Corte, ecc. — La Corte di Trento è partita dalla pre messa che per la sussistenza della convivenza more uxorio non è sufficiente l'esistenza di rapporti intimi tra un uomo
(1) Giurisprudenza del tutto prevalente nel senso del rico noscimento di una presunzione soltanto relativa di gratuità della prestazione lavorativa fornita dal convivente more uxorio, presunzione la cui applicabilità va accertata caso per caso ; in tal senso Cass. 12 dicembre 1959, n. 3543, Foro it., Rep. 1959, voce Lavoro (rapp.), n. 143 ; 10 giugno 1957, n. 2156, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 109, 110 (in particolare va sottolineato che in questa sentenza si parla di presanzione di gratuità per le
prestazioni rese « nell'ambito domestico », mentre la sentenza annota a estende la presunzione anche al lavoro extradomestico) ; 20 gennaio 1955, n. 136, id., 1956, I, 226, con nota di richiami. La configurabilità di un vero e proprio rapporto di lavoro fra
coniugi o fra padre e figlio è ritenuta dalla Corte d'appello di Torino con sentenza 9 marzo 1959, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 129, 130, annotata adesivamente da Sirchia, Sulla possi bilità di configurare un rapporto di lavoro subordinato tra co
niugi, in Giur. it., 1960, I, 2, 39, il quale in particolare distin
gue fra attività lavorativa domestica o extradomestica, rite nendo sussistente la presunzione di gratuità solo per la prima ; Trioni, Il rapporto di lavoro tra congiunti nei suoi aspetti sostan ziale e processuale, in Riv. dir. matrim., 1960, 474, che pone su due piani del tutto distinti e non interferenti il rapporto di lavoro e quello familiare ; Paradiso, Rapporto di lavoro tra
coniugi e assicurazioni sociali, in Riv. it. prev. soc., 1960, 650. Da notare che nella fattispecie decisa dalla Corte di Torino l'esistenza del rapporto di lavoro era negata dall'Istituto nazio nale della previdenza sociale, al fine di respingere la richiesta di costituzione del rapporto assicurativo presentata dal marito datore di lavoro in favore della moglie lavoratrice ; con la stessa sentenza si nega anche qualsiasi obbligo da parte dei conviventi di fornire la propria prestazione lavorativa in favore del capo famiglia, così come invece accade nell'ordinamento germanico.
Sempre nel senso di una presunzione relativa di gratuità nei confronti dei soli familiari conviventi, vedi : App. Cagliari 7 giugno 1959, Foro it., Rep. 1960, voce cit., nn. 131, 132 ; App. Venezia 20 maggio 1957, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 144, 145 ; Cass. 11 luglio 1957, n. 2772, id., Rep. 1958, voce cit., n. 120, annotata adesivamente da Napoletano, In tema di la voro familiare, in Giur. agr. it., 1958, 219, il quale ritiene più opportuno non già parlare di una presunzione, sia pure soltanto relativa di gratuità, bensì di una maggiore difficoltà a dimostrare l'esistenza del vincolo contrattuale nel caso di prestazione lavo rativa fornita dai familiari ; Trib. Vallo Lucania 31 dicembre
1956, Foro it., Rep. 1958, voce cit., nn. 121, 122 ; App. Trieste 8 luglio 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 158 ; App. Firenze 6 settembre 1954, ibid., n. 159.
La Corte d'appello di Caltanissetta con sentenza del 7 aprile 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 415, ha deciso che la misura della retribuzione nel caso di rapporto di lavoro domestico fra
parenti, va fissata con riferimento, oltre che alla entità del servizio prestato, al rapporto di parentela esistente fra le parti.
Infine con sentenza 3 novembre 1956, n. 4110, id., 1957, I, 583, la Cassazione ha escluso la possibilità di esperire l'azione di arricchimento senza causa da parte di chi abbia prestato la
propria attività lavorativa benevolentiae causa. Per una interessante rassegna di giurisprudenza, vedi Ghezzi,
Comunione tacita familiare e, in genere, prestazioni di lavoro nella comunità familiare, in Dir. economia, 1958, 774.
Anche la dottrina prevalente è nel senso della giurisprudenza; così : De Lit ala, Il contratto di lavoro, Torino, 1956, pag. 146 ; Riva Sanseverino, Diritto del lavoro, Padova, 1958, pag. 58 ; Mazzoni, Manuale di diritto del lavoro, Firenze, 1958, pag. 295, che in particolare afferma l'inesistenza dell'obbligo dei familiari di prestare la propria attività lavorativa a favore del capo
famiglia ; in senso contrario, invece, Santoro Passarelli, No
zioni di diritto del lavoro, Napoli, 1960, pag. 85, il quale, almeno
nel caso della esistenza di un'azienda familiare, ravvisa implicita l'esistenza del suddetto obbligo a carico dei familiari.
Infine il Barassi, Il diritto del lavoro, Milano, 1949, I,
pag. 237 distingue a seconda dei singoli casi. Sulle prestazioni lavorative gratuite, in genere, Cass. 25
maggio 1960, n. 1356, infra, 1366, con nota di Scorza.
e una donna, ma occorre, invece, un complesso di manifesta zioni soprattutto esteriori per cui l'uomo e la donna si
pongano nei rapporti sociali nella situazione di fatto corri
spondente a quella di un legittimo coniugio. Per conse
guenza, come non potrebbe aversi convivenza, nel caso di chi mantenesse rapporti, verso corrispettivo, con una con
cubina, così non potrebbe esservi convivenza ad avviso della Corte, allorché l'uomo e la donna usassero ogni accor
gimento per tenere celata nei limiti del possibile la loro relazione. Ciò precisato, la Corte ha ritenuto che, nella
specie, fosse mancata la prova specifica che il Giuliani e la Hanspeter fossero convissuti more uxorio, in quanto,
pur coabitando nella stessa casa e consumando insieme i
pasti, avevano operato però in modo che i terzi non si
avvedessero della loro relazione ed in effetti si erano com
portati come due persone che tendessero a nascondere i
loro rapporti, piuttosto che a renderli di pubblica ragione. Passando, poi, all'esame della collaborazione prestata
dall'Hanspeter nel bar del Giuliani, la Corte ha affermato
che non era dato presumere che la stessa Hanspeter avesse
prestato la sua attività nel bar gratuitamente, tenuto conto
che tale attività aveva rappresentato un contributo lavo
rativo cospicuo, che per i suoi caratteri di continuità, rego larità ed intensità (vi lavorava la mattina e la sera ed
anche spesso dopo cena), non poteva ritenersi essere stato
dato per pura cortesia o affetto e con animo di liberalità.
Nè poteva valere a distruggere tale convincimento la
dichiarazione resa dalla stessa Hanspeter ad un funzionario
dell'Ispettorato del lavoro, nella quale ella aveva escluso
la sussistenza di qualsiasi rapporto di lavoro col Giuliani, essendo a lui legato solo da una relazione amorosa, in quanto dinanzi al magistrato aveva poi spiegato che aveva reso
quella dichiarazione soltanto « per toglierlo dai guai e pre via assicurazione che mi avrebbe pagato ».
Con l'unico mezzo del suo ricorso il Giuliani lamenta
che la Corte di merito avrebbe seguito nella specie una
nozione troppo ristretta di convivenza more uxorio. Vice
versa, ad avviso del ricorrente, tale convivenza si realiz
zerebbe con la coabitazione continuativa sotto lo stesso
tetto e con la comunione di vita e di interessi, anche affet
tiva, al di là della semplice relazione sessuale. Lamenta,
altresì, il ricorrente che, sulla base di tale errata nozione di
convivenza, la Corte di merito avrebbe svalutato le prove sui rapporti tra il Giuliani e la Hanspeter e non avrebbe
ammesso le altre prove tendenti a dimostrare, oltre che la
saltuarietà della presenza della donna nel bar, soprattutto che il Giuliani stesso provvedeva alle spese del ménage familiare e alle esigenze materiali dflla Hanspeter, mentre
tutte tali prove avevano carattere decisivo per far ritenere
la sussistenza tra le parti di una convivenza more uxorio
e quindi la gratuità dell'attività prestata dalla donna nel bar.
Ciò posto, il Supremo collegio osserva che il problema relativo alla presunzione di gratuità del lavoro prestato dalla persona convivente more uxorio e quello concernente
la stessa nozione di convivenza more uxorio trovano un
preciso riferimento nel più vasto problema relativo alla
retribuibilità del lavoro prestato nell'ambito della comu
nità familiare. Come è noto, la piccola impresa implica un'attività organizzata del singolo, la quale, nella mag
giore parte dei casi, si svolge nell'ambito della comunità
familiare e con la partecipazione dei componenti la comu
nità stessa ; questi ultimi (moglie, figli, ed eventuali pa renti ed affini) prestano di regola la loro opera in base non
ad un rapporto contrattuale di dipendenza, bensì ad un
rapporto personale di convivenza e di affectio familiaris :
nell'ambito di tale comunità non esisterebbero, infatti, nè
rapporti contrattuali in generale, nè rapporti di lavoro in
particolare, e ciò anche nel caso in cui, come è stato ritenuto
in dottrina, il lavoro non sia prestato spontaneamente,
poiché la prestazione sarebbe sempre correlativa al diritto
del mantenimento e non implicherebbe quindi il diritto ad
una specifica controprestazione. Questo, tuttavia, può valere solo come presunzione
generale, dovendosi far salve le eventuali disposizioni e
pattuizioni in contrario.
Per conseguenza, l'esistenza di un rapporto di lavoro,
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1327 PARTE PRIMA 1328
i
regolarmente retribuito, nell'ambito della comunità fami
liare, è ammissibile solo quando risulti specificamente, dalla
manifesta o tacita volontà delle parti e dalle circostanze
di fatto (le quali fanno venir meno la presunzione di cui
si è parlato), che il lavoro viene prestato dietro un com
penso continuativo e indipendente, quanto alla sua esistenza, dai risultati dell'attività svolta e organizzata dal capo
famiglia. Alle prestazioni di attività e di lavoro compiute nel
l'ambito della comunità familiare vanno in sostanza assi
milate le prestazioni di lavoro compiute da persona convi
vente more uxorio.
Infatti, quando una persona convivente more uxorio
compie prestazioni di lavoro in favore dell'altro con
vivente, o nel campo strettamente domestico (assistenza,
cure, servizi) o anche eventualmente in quello extradome
stico (ad es. mediante la collaborazione in un'impresa
commerciale, industriale o agricola), si presume anche qui che tali prestazioni siano espletate non in base ad un rap
porto di lavoro, per mancanza dell 'animus contraendi, bensì
ad un rapporto personale fondato sulla benevolenza e siili'«/■
fectio fere coniugalis ; donde la presunzione (sempre iurin
tantum) di gratuità di tali prestazioni. In relazione a tale effetto particolare, non può porsi
in dubbio che la nozione di convivenza more uxorio, quale delineata dalla Corte di merito, relazione avente rilevanza
specie dal punto di vista esterno, con carattere di noto
rietà, sì da renderne consapevoli i terzi, sostanzialmente
cioè sul modello della previsione contenuta nell'art. 269, n. 1, cod. civ. in tema di dichiarazione giudiziale di pater nità naturale, non può essere condivisa.
Invero, al fine dell'accertamento della paternità può
giustificarsi una siffatta formulazione restrittiva : l'impor tanza della convivenza non sta infatti unicamente nella
probabilità di rapporti sessuali e nella loro continuità, ma
in ciò che rende probabile che la donna in quel periodo non abbia rapporti con altri ; anche il requisito della « no
torietà », indicato nell'art. 269, va inteso in relazione al
fine della norma, che non è quello di conseguire un suffi
ciente grado di certezza della paternità, valendo da un lato
a dar maggiore sicurezza alla prova della convivenza (tanto
più che essa è richiesta solo limitatamente al tempo a cui
risale il concepimento) e, dall'altro, ad escludere la clande
stinità dei rapporti.
Ma, al fine di stabilire la presunzione (iuris tantum) di
gratuità delle prestazioni di lavoro, compiute da uno dei
due conviventi in favore dell'altro, in base al presupposto della mancanza di un contratto di lavoro, la convivenza
non deve essere intesa in senso restrittivo e con aspetto,
cioè, anche esteriore presso a poco identico a quello di un
matrimonio legittimo, ma basta che essa si sia svolta more
uxorio, avuto riguardo al solo comportamento soggettivo dei concubini, e che cioè l'uomo abbia tenuto nella propria casa la donna, usandole quel trattamento e quella defe
rente benevolenza che avrebbe usato verso la propria
moglie, esclusa la necessità del concorso della opinio dei
terzi, sollecitata dalle manifestazioni meramente esteriori
dei conviventi medesimi. Ma così corretta la nozione di convivenza more uxorio,
quale delineata nella sentenza impugnata, ritiene questo
Supremo collegio che la sentenza stessa non possa conside
rarsi censurabile in questa sede nel suo giudizio conclusivo, in quanto essa ha ritenuto di dover comunque escludere
in fatto, in base alle risultanze probatorie acquisite, la
gratuità delle prestazioni rese dalla Hanspeter nei quattro anni di lavoro quale cassiera del bar gestito dal Giuliani, sotto il profilo che tali prestazioni, di per sè, rappresenta vano un contributo lavorativo cospicuo, che per i suoi
caratteri di continuità, regolarità e intensità (il lavoro
durava dal mattino alla sera e a volte anche dopo cena,
giusta quanto avevano riferito numerosi testi), non poteva ritenersi essere stato dato per affetto o con animo di libe
ralità e quindi gratuitamente. La Corte di merito, nel per venire a tale soluzione, ha tratto argomento anche dal
fatto che il Giuliani non aveva fornito alcuna prova in
contrario a quella fornita dalla Hanspeter ed ha valoriz- I
zato in favore di questa ultima la dichiarazione (non con
testata dal Giuliani), che essa aveva reso in sede di inter
rogatorio, con la quale aveva chiarito che in tanto aveva
negato dinanzi all'Ispettorato del lavoro l'esistenza di
un qualsiasi rapporto di lavoro col Giuliani, in quanto aveva voluto evitargli dei guai e comunque previa assicu
razione ohe egli l'avrebbe regolarmente retribuita. In so
stanza, quindi, la Corte ha tratto un argomento decisivo
di prova a favore della tesi della onerosità della prestazione dalla ammissione fatta stragiudizialmente dallo stesso
Giuliani, e non contestata da lui in sede giudiziale, che cioè
egli avrebbe provveduto a retribuire regolarmente la Hans
peter per il lavoro da essa prestato. Le censure formulate dal ricorrente si infrangono in
definitiva contro questi apprezzamenti di fatto che, in
quanto sorretti da adeguata e logica motivazione, sfuggono al sindacato di questa Corte, tanto più che nessuna censura è stata formulata in ordine ad eventuali vizi della motiva zione circa la sussistenza, nella specie, degli elementi essen ziali del rapporto di lavoro e. in particolare, dell'elemento
della subordinazione. Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 8 giugno 1961, n. 1317 ; Pres.
Caeta P., Est. D'Amico, P. M. Colonnese (conci,
diff.) ; Lisi (Avv. Marucchi, Fortini Gobbo) e. Ti
rotti (Avv. De Bernardis).
(Dichiara improponibile ricorso avverso Pret. Borgo San
Lorenzo 9 ottobre 1959)
Provvedimenti d'urgenza .\'otiliea del titolo ese cutivo e del precetto - Contestazione sulla neces
sità — Sentenza appellabile (Cod. proc. civ., art.
339, 479. 700).
La sentenza., che non ritiene necessaria la preventiva noti
ficazione del provvedimento d'urgenza in forma di titolo
esecutivo e di precetto, può formare oggetto di appello e non di ricorso per cassazione. (1)
La Corte, eco. — Fatto. - Tirotti Coriado otteneva dal Pretore di Borgo San Lorenzo un provvedimento
d'urgenza (ex art. 700 cod. proc. civ.), con cui veniva ordi
nato a Lisi Angiolo di restituirgli un autocarro di sua pro prietà. Eseguito detto provvedimento per mezzo dell'uf
ficiale giudiziario e provvedutosi, da parte del Tirotti, ad iniziare presso il Tribunale di Firenze il giudizio di
merito, il Lisi, con ricorso al Pretore, promuoveva opposi zione contro l'esecuzione per consegna avvenuta in forza del provvedimento sopra menzionato, in quanto non pre
fi) Questione nuova, a quanto ci consta. La sentenza impugnata, Pret. Borgo San Lorenzo 9 ottobre
1959, è riassunta in Foro it., Rep. I960, voce Provvedimenti
d'urgenza, n. 32. La necessità (postulata nel ricorso, dichiarato improcedi
bile dalla Suprema corte con la sentenza che si annota) di at tuare l'esecuzione dei provvedimenti d'urgenza nelle stesse forme
stabilite, dal codice di procedura civile, per l'esecuzione forzata
propriamente detta, è stata esclusa dal Tribunale di Aosta con sent. IS ottobre 1951, id., Rep. 1952, voce cit., n. 19, per la quale «il provvedimento d'urgenza, emanato in forza dell'art. 700 cod. proc. civ., non deve essere, per la legittimità dell'esecuzione, nè notificato nè comunicato alle parti contro le quali è concesso ; nè per l'esecuzione, dato il carattere di provvisorietà del prov vedimento, è necessaria la presenza dell'ufficiale giudiziario, che è indispensabile soltanto nel processo di esecuzione avente la caratteristica della definitività ».
Sulle modalità dell'esecuzione dei provvedimenti di cui agli art. 700-702 cod. proc. civ., vedi, in dottrina, Montesano, I provvedimenti d'urgenza nel processo civile, 1955, pag. 116 e
segg., nonché gli Autori citati in nota.
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