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Sezione II civile; sentenza 10 giugno 1961, n. 1359; Pres. Vela P., Est. Albano, P. M. Pisano...

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Sezione II civile; sentenza 10 giugno 1961, n. 1359; Pres. Vela P., Est. Albano, P. M. Pisano (concl. conf.); Giuliani (Avv. Daina) c. Hanspeter (Avv. Angelucci, Barbato) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 1323/1324-1327/1328 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174843 . Accessed: 28/06/2014 17:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.93 on Sat, 28 Jun 2014 17:36:32 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 10 giugno 1961, n. 1359; Pres. Vela P., Est. Albano, P. M. Pisano(concl. conf.); Giuliani (Avv. Daina) c. Hanspeter (Avv. Angelucci, Barbato)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 1323/1324-1327/1328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174843 .

Accessed: 28/06/2014 17:36

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1323 PARTE PRIMA 1324

I

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo.

— Con de

creto ingiuntivo 5 ottobre 1956 il Presidente del Tribunale

di Milano, partendo dal presupposto dell'intervenuta ri

soluzione, per inadempienza dell'acquirente, del contratto

di fornitura di un forno a vapore intercorso tra la Ditta

Monziani venditrice e la Ditta Franca Zongoli compra

trice, ordinò la restituzione del forno.

La Zongoli propose opposizione davanti il Tribunale di

Milano con atto del 29 ottobre 1956, adducendo : a) l'in

competenza territoriale del Presidente del Tribunale di

Milano, in quanto il contratto sarebbe stato concluso in

Bari ed ivi dovevano avvenire i pagamenti a mezzo cambiali ;

b) l'inesistenza dell'oggetto, perchè la venditrice avrebbe

consegnato un forno diverso da quello indicato nell'ingiun zione ; e) l'insussistenza dell'inadempienza, in quanto il man

cato pagamento di alcune rate sarebbe stato giustificato dalla inadempienza della venditrice, che aveva consegnato un forno del tutto inefficiente (inadimplenti non est adimplen

dum). Nelle more del giudizio la Zongoli fu dichiarata fal

lita ; il processo fu interrotto, e poi proseguito dal Cura

tore, con ricorso notificato il 16 luglio 1958.

Con citazione del 17 luglio 1958, il Curatore del Falli

mento Zongoli convenne la Ditta Monziani davanti il Tri

bunale di Bari e, sostenendo che, a seguito della consegna di un forno inefficiente e diverso da quello contrattato, la

Zongoli era stata costretta a sospendere la panificazione ed era successivamente venuta a trovarsi in stato di insol

venza con conseguente dichiarazione di fallimento, chiese

che il contratto fosse dichiarato risolto per inadempienza della Ditta Monziani, con la condanna della stessa al risar

cimento dei danni, richiesti nella misura di 10 milioni di

lire.

Nella comparsa di risposta la Ditta Monziani eccepì la litispendenza tra la causa instaurata a Bari e quella di

opposizione a decreto ingiuntivo pendente davanti al

Tribunale di Milano ; nel corso della causa eccepì anche, in

via subordinata, la continenza e la connessione.

Con sentenza 11 dicembre 1959-5 febbraio 1960 il Tri

bunale di Bari rigettò le eccezioni della convenuta, dispo nendo con separata ordinanza per l'ulteriore corso del pro cesso. (Omissis)

Motivi della decisione. -- Il Tribunale di Bari ha rite

nuto non sussistere la litispendenza, perchè nelle due cause,

pur essendo identiche le parti e, almeno parzialmente,

l'oggetto, sarebbe diversa la causa petendi, costituita, nella

causa pendente a Milano, dall'inadempienza della compra trice per mancato pagamento di alcune rate di prezzo, e, in quella pendente a Bari, dall'inadempienza della vendi

trice per avere consegnato un forno inefficiente e diverso

da quello contrattato. Ha ritenuto inoltre che tra le due

cause ricorrerebbe un rapporto di connessione, ma che, tuttavia, non essendo stata eccepita la connessione stessa

nella prima udienza, la possibilità dello spostamento della

competenza a favore del giudice preventivamente adito

sarebbe rimasta preclusa. La Ditta ricorrente, con un primo motivo, sostiene la

sussistenza della litispendenza, in quanto nella causa da

vanti il Tribunale di Milano la Zongoli, opponendosi al de

creto ingiuntivo, non si sarebbe limitata a contestare la

propria inadempienza, ma avrebbe anche tentato di giusti ficarla adducendo l'inadempienza della venditrice ; il che, secondo la ricorrente, andrebbe configurato come una vera

e propria riconvenzionale di contenuto identico alla do

manda proposta nella causa pendente davanti al Tribu

nale di Bari. Subordinatamente, la Ditta ricorrente sostiene

che dovrebbesi riconoscere la sussistenza di continenza di

cause, in quanto la causa di Bari, da un punto di vista quan

titativo, si trova compresa con nesso di contenuto a conte

nente, nella causa di Milano.

Con un secondo motivo si deduce che, quanto meno, dovrebbe operare la connessione, in quanto la eccezione

proposta dalla convenuta nella prima udienza, pur se qua lificata erroneamente di litispendenza, tendeva sostanzial

mente ad impedire la procedibilità del processo in corso a

Bari, onde il Giudice avrebbe dovuto, correggendo la qua lificazione giuridica, determinare la natura dell'eccezione

come eccezione di connessione, traendone le relative conse

guenze. Osserva il Supremo collegio, contrariamente a quanto

opina il Procuratore generale nelle sue conclusioni scritte,

che il ricorso, almeno per quanto concerne il rapporto di

continenza, appare fondato.

Va tenuto presente che per effetto della opposizione a

decreto ingiuntivo, che dà luogo ad un normale ed auto

nomo processo di cognizione, il giudice dell'opposizione rimane investito del giudizio sia sulla pretesa fatta valere

con la domanda di ingiunzione, sia sulle eccezioni contro

di essa proposte, con la conseguenza che il petitmn, nel si

gnificato di oggetto della causa, è costituito da ambedue

le pretese contrapposte. Va altresì rilevato che l'ipotesi della continenza di lite,

che è una litispendenza parziale, ricorre tutte le volte che

tra due o più cause, pendenti dinanzi a giudici diversi, sus

sista la identità dei soggetti e, per quanto concerne l'oggetto, sussista una diversità solo quantitativa, nel senso che il

petitum di una di esse deve essere maggiormente esteso, sì

da comprendere, con un rapporto di contenente a contenuto,

l'oggetto dell'altra o delle altre cause, onde si imponga la

loro riunione al fine di decidere l'intera controversia con una

sola sentenza.

Se ciò è sufficiente per ravvisare nelle singole fattispecie la continenza di lite, l'ipotesi configurata nel 2° comma del

l'art. 39 cod. proc. civ. è maggiormente ravvisabile nel caso

in cui la questione sollevata con la prima lite (per lo più innanzi a giudice funzionalmente competente a norma del

l'art. 645) sia il presupposto necessario della domanda con

tenuta nella causa successivamente iniziata tra le stesse

parti davanti ad un giudice diverso, in guisa che l'attrazione

della seconda lite nella prima si imponga al fine di realizzare

la duplice finalità dell'economia dei giudizi e di evitare,

soprattutto, l'emanazione di sentenza contraddittoria.

Facendo applicazione di tali principi al caso in esame, non si può non ravvisare la continenza di lite, in quanto la

causa di Bari, da un punto di vista quantitativo, si trova

compresa, con nesso di contenuto a contenente, nella causa

di Milano, dappoiché il petitum di quest'ultima era maggior mente esteso, rispetto alla causa di Bari.

Ed invero, instaurata l'opposizione a decreto ingiuntivo sulla base dell'eccezione inadimplenti non est adimplen dwm per i vizi della merce venduta, il petitum (nel senso di

oggetto della controversia) non era costituito soltanto dalla

domanda posta a fondamento del procedimento monito

rio, ma altresì dalla richiesta declaratoria di risoluzione del

contratto di compravendita per responsabilità del vendi

tore, il che costituiva il presupposto necessario della do

manda contenuta nella causa di Bari in ordine alla pretesa

generica di danni. Sembra pertanto potersi concludere che nella fattispe

cie in esame sussista, quanto meno, il rapporto di conti

nenza di lite con la conseguenza che il ricorso deve essere

accolto. Per questi motivi, dichiara la competenza del Tribunale

di Milano, ecc.

CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione li civile ; sentenza 10 ghigno 1961. n. 1359 ; Pres.

Vela P., Est. Albano, P. M. Pisano (conci, conf.) ; Giuliani (Avv. Daina) e. Hanspeter (Avv. Angelucci,

Barbato).

(Conferma App. Trento 14 giugno 1960)

Lavoro (rapporto) Convivenza « more uxorio »

Nozione — Continuità, regolarità e intensità della

prestazione lavorativa EUelusione «Iella presun zione (li gratuità.

Le prestazioni di lavoro compiute dall'un convivente more uxorio in favore dell'altro, sia nel campo strettamente

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1325 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1326

• domestico sia in quello e xtì adomestico, sono assistite dalla presunzione semplice di gratuità, anche se la con vivenza non sia accompagnata da notorietà. (1)

Betta presunzione viene meno se la prestazione lavorativa del convivente more uxorio ha carattere di continuità,

; regolarità e intensità. (2)

>-5 La Corte, ecc. — La Corte di Trento è partita dalla pre messa che per la sussistenza della convivenza more uxorio non è sufficiente l'esistenza di rapporti intimi tra un uomo

(1) Giurisprudenza del tutto prevalente nel senso del rico noscimento di una presunzione soltanto relativa di gratuità della prestazione lavorativa fornita dal convivente more uxorio, presunzione la cui applicabilità va accertata caso per caso ; in tal senso Cass. 12 dicembre 1959, n. 3543, Foro it., Rep. 1959, voce Lavoro (rapp.), n. 143 ; 10 giugno 1957, n. 2156, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 109, 110 (in particolare va sottolineato che in questa sentenza si parla di presanzione di gratuità per le

prestazioni rese « nell'ambito domestico », mentre la sentenza annota a estende la presunzione anche al lavoro extradomestico) ; 20 gennaio 1955, n. 136, id., 1956, I, 226, con nota di richiami. La configurabilità di un vero e proprio rapporto di lavoro fra

coniugi o fra padre e figlio è ritenuta dalla Corte d'appello di Torino con sentenza 9 marzo 1959, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 129, 130, annotata adesivamente da Sirchia, Sulla possi bilità di configurare un rapporto di lavoro subordinato tra co

niugi, in Giur. it., 1960, I, 2, 39, il quale in particolare distin

gue fra attività lavorativa domestica o extradomestica, rite nendo sussistente la presunzione di gratuità solo per la prima ; Trioni, Il rapporto di lavoro tra congiunti nei suoi aspetti sostan ziale e processuale, in Riv. dir. matrim., 1960, 474, che pone su due piani del tutto distinti e non interferenti il rapporto di lavoro e quello familiare ; Paradiso, Rapporto di lavoro tra

coniugi e assicurazioni sociali, in Riv. it. prev. soc., 1960, 650. Da notare che nella fattispecie decisa dalla Corte di Torino l'esistenza del rapporto di lavoro era negata dall'Istituto nazio nale della previdenza sociale, al fine di respingere la richiesta di costituzione del rapporto assicurativo presentata dal marito datore di lavoro in favore della moglie lavoratrice ; con la stessa sentenza si nega anche qualsiasi obbligo da parte dei conviventi di fornire la propria prestazione lavorativa in favore del capo famiglia, così come invece accade nell'ordinamento germanico.

Sempre nel senso di una presunzione relativa di gratuità nei confronti dei soli familiari conviventi, vedi : App. Cagliari 7 giugno 1959, Foro it., Rep. 1960, voce cit., nn. 131, 132 ; App. Venezia 20 maggio 1957, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 144, 145 ; Cass. 11 luglio 1957, n. 2772, id., Rep. 1958, voce cit., n. 120, annotata adesivamente da Napoletano, In tema di la voro familiare, in Giur. agr. it., 1958, 219, il quale ritiene più opportuno non già parlare di una presunzione, sia pure soltanto relativa di gratuità, bensì di una maggiore difficoltà a dimostrare l'esistenza del vincolo contrattuale nel caso di prestazione lavo rativa fornita dai familiari ; Trib. Vallo Lucania 31 dicembre

1956, Foro it., Rep. 1958, voce cit., nn. 121, 122 ; App. Trieste 8 luglio 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 158 ; App. Firenze 6 settembre 1954, ibid., n. 159.

La Corte d'appello di Caltanissetta con sentenza del 7 aprile 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 415, ha deciso che la misura della retribuzione nel caso di rapporto di lavoro domestico fra

parenti, va fissata con riferimento, oltre che alla entità del servizio prestato, al rapporto di parentela esistente fra le parti.

Infine con sentenza 3 novembre 1956, n. 4110, id., 1957, I, 583, la Cassazione ha escluso la possibilità di esperire l'azione di arricchimento senza causa da parte di chi abbia prestato la

propria attività lavorativa benevolentiae causa. Per una interessante rassegna di giurisprudenza, vedi Ghezzi,

Comunione tacita familiare e, in genere, prestazioni di lavoro nella comunità familiare, in Dir. economia, 1958, 774.

Anche la dottrina prevalente è nel senso della giurisprudenza; così : De Lit ala, Il contratto di lavoro, Torino, 1956, pag. 146 ; Riva Sanseverino, Diritto del lavoro, Padova, 1958, pag. 58 ; Mazzoni, Manuale di diritto del lavoro, Firenze, 1958, pag. 295, che in particolare afferma l'inesistenza dell'obbligo dei familiari di prestare la propria attività lavorativa a favore del capo

famiglia ; in senso contrario, invece, Santoro Passarelli, No

zioni di diritto del lavoro, Napoli, 1960, pag. 85, il quale, almeno

nel caso della esistenza di un'azienda familiare, ravvisa implicita l'esistenza del suddetto obbligo a carico dei familiari.

Infine il Barassi, Il diritto del lavoro, Milano, 1949, I,

pag. 237 distingue a seconda dei singoli casi. Sulle prestazioni lavorative gratuite, in genere, Cass. 25

maggio 1960, n. 1356, infra, 1366, con nota di Scorza.

e una donna, ma occorre, invece, un complesso di manifesta zioni soprattutto esteriori per cui l'uomo e la donna si

pongano nei rapporti sociali nella situazione di fatto corri

spondente a quella di un legittimo coniugio. Per conse

guenza, come non potrebbe aversi convivenza, nel caso di chi mantenesse rapporti, verso corrispettivo, con una con

cubina, così non potrebbe esservi convivenza ad avviso della Corte, allorché l'uomo e la donna usassero ogni accor

gimento per tenere celata nei limiti del possibile la loro relazione. Ciò precisato, la Corte ha ritenuto che, nella

specie, fosse mancata la prova specifica che il Giuliani e la Hanspeter fossero convissuti more uxorio, in quanto,

pur coabitando nella stessa casa e consumando insieme i

pasti, avevano operato però in modo che i terzi non si

avvedessero della loro relazione ed in effetti si erano com

portati come due persone che tendessero a nascondere i

loro rapporti, piuttosto che a renderli di pubblica ragione. Passando, poi, all'esame della collaborazione prestata

dall'Hanspeter nel bar del Giuliani, la Corte ha affermato

che non era dato presumere che la stessa Hanspeter avesse

prestato la sua attività nel bar gratuitamente, tenuto conto

che tale attività aveva rappresentato un contributo lavo

rativo cospicuo, che per i suoi caratteri di continuità, rego larità ed intensità (vi lavorava la mattina e la sera ed

anche spesso dopo cena), non poteva ritenersi essere stato

dato per pura cortesia o affetto e con animo di liberalità.

Nè poteva valere a distruggere tale convincimento la

dichiarazione resa dalla stessa Hanspeter ad un funzionario

dell'Ispettorato del lavoro, nella quale ella aveva escluso

la sussistenza di qualsiasi rapporto di lavoro col Giuliani, essendo a lui legato solo da una relazione amorosa, in quanto dinanzi al magistrato aveva poi spiegato che aveva reso

quella dichiarazione soltanto « per toglierlo dai guai e pre via assicurazione che mi avrebbe pagato ».

Con l'unico mezzo del suo ricorso il Giuliani lamenta

che la Corte di merito avrebbe seguito nella specie una

nozione troppo ristretta di convivenza more uxorio. Vice

versa, ad avviso del ricorrente, tale convivenza si realiz

zerebbe con la coabitazione continuativa sotto lo stesso

tetto e con la comunione di vita e di interessi, anche affet

tiva, al di là della semplice relazione sessuale. Lamenta,

altresì, il ricorrente che, sulla base di tale errata nozione di

convivenza, la Corte di merito avrebbe svalutato le prove sui rapporti tra il Giuliani e la Hanspeter e non avrebbe

ammesso le altre prove tendenti a dimostrare, oltre che la

saltuarietà della presenza della donna nel bar, soprattutto che il Giuliani stesso provvedeva alle spese del ménage familiare e alle esigenze materiali dflla Hanspeter, mentre

tutte tali prove avevano carattere decisivo per far ritenere

la sussistenza tra le parti di una convivenza more uxorio

e quindi la gratuità dell'attività prestata dalla donna nel bar.

Ciò posto, il Supremo collegio osserva che il problema relativo alla presunzione di gratuità del lavoro prestato dalla persona convivente more uxorio e quello concernente

la stessa nozione di convivenza more uxorio trovano un

preciso riferimento nel più vasto problema relativo alla

retribuibilità del lavoro prestato nell'ambito della comu

nità familiare. Come è noto, la piccola impresa implica un'attività organizzata del singolo, la quale, nella mag

giore parte dei casi, si svolge nell'ambito della comunità

familiare e con la partecipazione dei componenti la comu

nità stessa ; questi ultimi (moglie, figli, ed eventuali pa renti ed affini) prestano di regola la loro opera in base non

ad un rapporto contrattuale di dipendenza, bensì ad un

rapporto personale di convivenza e di affectio familiaris :

nell'ambito di tale comunità non esisterebbero, infatti, nè

rapporti contrattuali in generale, nè rapporti di lavoro in

particolare, e ciò anche nel caso in cui, come è stato ritenuto

in dottrina, il lavoro non sia prestato spontaneamente,

poiché la prestazione sarebbe sempre correlativa al diritto

del mantenimento e non implicherebbe quindi il diritto ad

una specifica controprestazione. Questo, tuttavia, può valere solo come presunzione

generale, dovendosi far salve le eventuali disposizioni e

pattuizioni in contrario.

Per conseguenza, l'esistenza di un rapporto di lavoro,

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1327 PARTE PRIMA 1328

i

regolarmente retribuito, nell'ambito della comunità fami

liare, è ammissibile solo quando risulti specificamente, dalla

manifesta o tacita volontà delle parti e dalle circostanze

di fatto (le quali fanno venir meno la presunzione di cui

si è parlato), che il lavoro viene prestato dietro un com

penso continuativo e indipendente, quanto alla sua esistenza, dai risultati dell'attività svolta e organizzata dal capo

famiglia. Alle prestazioni di attività e di lavoro compiute nel

l'ambito della comunità familiare vanno in sostanza assi

milate le prestazioni di lavoro compiute da persona convi

vente more uxorio.

Infatti, quando una persona convivente more uxorio

compie prestazioni di lavoro in favore dell'altro con

vivente, o nel campo strettamente domestico (assistenza,

cure, servizi) o anche eventualmente in quello extradome

stico (ad es. mediante la collaborazione in un'impresa

commerciale, industriale o agricola), si presume anche qui che tali prestazioni siano espletate non in base ad un rap

porto di lavoro, per mancanza dell 'animus contraendi, bensì

ad un rapporto personale fondato sulla benevolenza e siili'«/■

fectio fere coniugalis ; donde la presunzione (sempre iurin

tantum) di gratuità di tali prestazioni. In relazione a tale effetto particolare, non può porsi

in dubbio che la nozione di convivenza more uxorio, quale delineata dalla Corte di merito, relazione avente rilevanza

specie dal punto di vista esterno, con carattere di noto

rietà, sì da renderne consapevoli i terzi, sostanzialmente

cioè sul modello della previsione contenuta nell'art. 269, n. 1, cod. civ. in tema di dichiarazione giudiziale di pater nità naturale, non può essere condivisa.

Invero, al fine dell'accertamento della paternità può

giustificarsi una siffatta formulazione restrittiva : l'impor tanza della convivenza non sta infatti unicamente nella

probabilità di rapporti sessuali e nella loro continuità, ma

in ciò che rende probabile che la donna in quel periodo non abbia rapporti con altri ; anche il requisito della « no

torietà », indicato nell'art. 269, va inteso in relazione al

fine della norma, che non è quello di conseguire un suffi

ciente grado di certezza della paternità, valendo da un lato

a dar maggiore sicurezza alla prova della convivenza (tanto

più che essa è richiesta solo limitatamente al tempo a cui

risale il concepimento) e, dall'altro, ad escludere la clande

stinità dei rapporti.

Ma, al fine di stabilire la presunzione (iuris tantum) di

gratuità delle prestazioni di lavoro, compiute da uno dei

due conviventi in favore dell'altro, in base al presupposto della mancanza di un contratto di lavoro, la convivenza

non deve essere intesa in senso restrittivo e con aspetto,

cioè, anche esteriore presso a poco identico a quello di un

matrimonio legittimo, ma basta che essa si sia svolta more

uxorio, avuto riguardo al solo comportamento soggettivo dei concubini, e che cioè l'uomo abbia tenuto nella propria casa la donna, usandole quel trattamento e quella defe

rente benevolenza che avrebbe usato verso la propria

moglie, esclusa la necessità del concorso della opinio dei

terzi, sollecitata dalle manifestazioni meramente esteriori

dei conviventi medesimi. Ma così corretta la nozione di convivenza more uxorio,

quale delineata nella sentenza impugnata, ritiene questo

Supremo collegio che la sentenza stessa non possa conside

rarsi censurabile in questa sede nel suo giudizio conclusivo, in quanto essa ha ritenuto di dover comunque escludere

in fatto, in base alle risultanze probatorie acquisite, la

gratuità delle prestazioni rese dalla Hanspeter nei quattro anni di lavoro quale cassiera del bar gestito dal Giuliani, sotto il profilo che tali prestazioni, di per sè, rappresenta vano un contributo lavorativo cospicuo, che per i suoi

caratteri di continuità, regolarità e intensità (il lavoro

durava dal mattino alla sera e a volte anche dopo cena,

giusta quanto avevano riferito numerosi testi), non poteva ritenersi essere stato dato per affetto o con animo di libe

ralità e quindi gratuitamente. La Corte di merito, nel per venire a tale soluzione, ha tratto argomento anche dal

fatto che il Giuliani non aveva fornito alcuna prova in

contrario a quella fornita dalla Hanspeter ed ha valoriz- I

zato in favore di questa ultima la dichiarazione (non con

testata dal Giuliani), che essa aveva reso in sede di inter

rogatorio, con la quale aveva chiarito che in tanto aveva

negato dinanzi all'Ispettorato del lavoro l'esistenza di

un qualsiasi rapporto di lavoro col Giuliani, in quanto aveva voluto evitargli dei guai e comunque previa assicu

razione ohe egli l'avrebbe regolarmente retribuita. In so

stanza, quindi, la Corte ha tratto un argomento decisivo

di prova a favore della tesi della onerosità della prestazione dalla ammissione fatta stragiudizialmente dallo stesso

Giuliani, e non contestata da lui in sede giudiziale, che cioè

egli avrebbe provveduto a retribuire regolarmente la Hans

peter per il lavoro da essa prestato. Le censure formulate dal ricorrente si infrangono in

definitiva contro questi apprezzamenti di fatto che, in

quanto sorretti da adeguata e logica motivazione, sfuggono al sindacato di questa Corte, tanto più che nessuna censura è stata formulata in ordine ad eventuali vizi della motiva zione circa la sussistenza, nella specie, degli elementi essen ziali del rapporto di lavoro e. in particolare, dell'elemento

della subordinazione. Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione III civile ; sentenza 8 giugno 1961, n. 1317 ; Pres.

Caeta P., Est. D'Amico, P. M. Colonnese (conci,

diff.) ; Lisi (Avv. Marucchi, Fortini Gobbo) e. Ti

rotti (Avv. De Bernardis).

(Dichiara improponibile ricorso avverso Pret. Borgo San

Lorenzo 9 ottobre 1959)

Provvedimenti d'urgenza .\'otiliea del titolo ese cutivo e del precetto - Contestazione sulla neces

sità — Sentenza appellabile (Cod. proc. civ., art.

339, 479. 700).

La sentenza., che non ritiene necessaria la preventiva noti

ficazione del provvedimento d'urgenza in forma di titolo

esecutivo e di precetto, può formare oggetto di appello e non di ricorso per cassazione. (1)

La Corte, eco. — Fatto. - Tirotti Coriado otteneva dal Pretore di Borgo San Lorenzo un provvedimento

d'urgenza (ex art. 700 cod. proc. civ.), con cui veniva ordi

nato a Lisi Angiolo di restituirgli un autocarro di sua pro prietà. Eseguito detto provvedimento per mezzo dell'uf

ficiale giudiziario e provvedutosi, da parte del Tirotti, ad iniziare presso il Tribunale di Firenze il giudizio di

merito, il Lisi, con ricorso al Pretore, promuoveva opposi zione contro l'esecuzione per consegna avvenuta in forza del provvedimento sopra menzionato, in quanto non pre

fi) Questione nuova, a quanto ci consta. La sentenza impugnata, Pret. Borgo San Lorenzo 9 ottobre

1959, è riassunta in Foro it., Rep. I960, voce Provvedimenti

d'urgenza, n. 32. La necessità (postulata nel ricorso, dichiarato improcedi

bile dalla Suprema corte con la sentenza che si annota) di at tuare l'esecuzione dei provvedimenti d'urgenza nelle stesse forme

stabilite, dal codice di procedura civile, per l'esecuzione forzata

propriamente detta, è stata esclusa dal Tribunale di Aosta con sent. IS ottobre 1951, id., Rep. 1952, voce cit., n. 19, per la quale «il provvedimento d'urgenza, emanato in forza dell'art. 700 cod. proc. civ., non deve essere, per la legittimità dell'esecuzione, nè notificato nè comunicato alle parti contro le quali è concesso ; nè per l'esecuzione, dato il carattere di provvisorietà del prov vedimento, è necessaria la presenza dell'ufficiale giudiziario, che è indispensabile soltanto nel processo di esecuzione avente la caratteristica della definitività ».

Sulle modalità dell'esecuzione dei provvedimenti di cui agli art. 700-702 cod. proc. civ., vedi, in dottrina, Montesano, I provvedimenti d'urgenza nel processo civile, 1955, pag. 116 e

segg., nonché gli Autori citati in nota.

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