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Sezione II civile; sentenza 10 novembre 1967, n. 2713; Pres. Civiletti P., Est. Modigliani, P. M....

Date post: 30-Jan-2017
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Sezione II civile; sentenza 10 novembre 1967, n. 2713; Pres. Civiletti P., Est. Modigliani, P. M. Caccioppoli (concl. conf.); Scuderi (Avv. Riccardelli, Volli) c. Giuliano (Avv. Mazzone, Paola) Source: Il Foro Italiano, Vol. 91, No. 5 (MAGGIO 1968), pp. 1269/1270-1273/1274 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156917 . Accessed: 28/06/2014 07:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 07:59:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione II civile; sentenza 10 novembre 1967, n. 2713; Pres. Civiletti P., Est. Modigliani, P. M. Caccioppoli (concl. conf.); Scuderi (Avv. Riccardelli, Volli) c. Giuliano (Avv. Mazzone,

Sezione II civile; sentenza 10 novembre 1967, n. 2713; Pres. Civiletti P., Est. Modigliani, P. M.Caccioppoli (concl. conf.); Scuderi (Avv. Riccardelli, Volli) c. Giuliano (Avv. Mazzone, Paola)Source: Il Foro Italiano, Vol. 91, No. 5 (MAGGIO 1968), pp. 1269/1270-1273/1274Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156917 .

Accessed: 28/06/2014 07:59

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ma la misura di tale incidenza è ovviamente rimessa al giu dizio incensurabile del giudice del merito, il cui apprezza mento non può essere sottoposto a revisione in sede di le

gittimità senza travalicare i limiti del relativo giudizio.

Inoltre, sino all'attuazione concreta del piano regolatore, la zona può avere un valore venale anche in relazione ad

una possibile utilizzazione temporanea di essa, tanto più se,

come quella di cui trattasi, si trovi in un comprensorio edi

lizio con fabbricati ivi esistenti, così come ha rilevato la

corte, sulla scorta della relazione del consulente. Ma quel

che più conta è che la stessa corte ha valutato l'area come

non edificabile ed il relativo giudizio, essendo congruamente

motivato, si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità.

Infine, quanto alla censura relativa al denunciato con

trasto con l'art. 40 della legge urbanistica, è appena il caso

di rilevare che detto contrasto è stato dedotto per la prima volta in questo giudizio di cassazione, per cui non ne é

consentito l'esame. Ma, pur ammesso, in ipotesi, che lo fos

se, essa resterebbe comunque assorbita dalle considerazioni

ora svolte.

Con il secondo motivo il comune ricorrente, denunciando

la violazione del principio enunciato dall'art. 39 della citata

legge del 1865 e dall'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., lamenta che la determinazione del danno non sia stata fatta

con riferimento a beni analoghi e che sia stato fatto invece

sulla base di un comprensorio arbitrariamente determinato.

Anche questa censura non è fondata. Infatti, ai fini della

determinazione del risarcimento del danno concretamente do

vuto al proprietario che abbia l'illegittima occupazione di un

terreno di cui la pubblica amministrazione non possa, come

nel caso, effettuare la restituzione per la trasformazione di

essa in pubblica strada, il giudice di merito può bene adot

tare, tra i vari criteri elaborati dalla tecnica estimatoria, quel lo che meglio ritenga adatto ed opportuno per la particola rità del caso e fare anche, se lo ritiene, ricorso a più si

stemi contemporaneamente, salvo a contemperarne i risul

tati onde pervenire ad una valutazione finale del danno che, a suo giudizio, più si avvicini alla realtà, ed il relativo

apprezzamento è incensurabile in Cassazione se congruamente

motivato, senza vizi logici e giuridici, che nella specie non

si rilevano (cfr. Cass. 16 maggio 1962, n. 1099, Foro it., Rep. 1962, voce Espropriazione per p. i., n. 112).

È stato inoltre ritenuto da questa Corte suprema in re

lazione all'art. 4 del r. decreto legge 6 luglio 1931 n. 981, sul piano regolatore di Roma (che contiene una norma del

tutto analoga a quella dell'art. 5 del decreto legge 8 settem bre 1932 n. 1390 sul piano regolatore di Genova, secondo

la quale per la liquidazione dell'indennità di espropriazione le aree destinate a strade si debbono considerare indipenden temente dalla loro edificabilità), che il valore venale deve essere determinato con riferimento a tutti i fattori econo

micamente influenti, tra i quali il collegamento con le altre zone circostanti edificate e dell'utilità che dal collegamento le aree ricevono (sent. 19 luglio 1961, n. 1753, Foro it., Rep. 1961, voce Piano regolatore, nn. 125, 126; 23 settembre 1958, n. 3034, id., Rep. 1958, voce Espropriazione per p.i., n. 112). Il che importa la corresponsione di una indennità superiore a quella che conseguirebbe alla considerazione del solo va lore attribuibile ad un nudo terreno agricolo.

Ora, se questi criteri si debbono applicare alla determi nazione della indennità di espropriazione, essi tanto più deb bono valere per la liquidazione dell'indennizzo diretto a ri sarcire il danno derivato da occupazione abusiva.

Pertanto, la corte di merito, che si è appunto attenuta a

questi criteri, non è incorsa nella denunciata censura.

Né, infine, sull'esattezza della liquidazione ha avuto pre giudizievole influenza l'inclusione dell'area in un « compren sorio » ossia in una zona urbana più ampia con caratte

ristiche omogenee, operata dalla corte genovese, ciò rispon dendo al criterio tecnico indicato dal consulente, criterio che,

essendo enunciato con argomentazioni congrue ed immuni

da vizi logici e giuridici, non può essere censurato in questa sede. (Omissis)

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione II civile; sentenza 10 novembre 1967, n. 2713; Pres.

Civiletti P., Est. Modigliani, P. M. Caccioppoli (conci,

conf.); Scuderi (Avv. Riccardelli, Volli) c. Giuliano

(Avv. Mazzone, Paola).

(Cassa App. Catania 9 maggio 1964)

Consulente tecnico — Ingegnere navale — Determinazione

dell'onorario — Normativa applicabile (Legge 2 marzo

1949 n. 143, tariffa professionale degli ingegneri ed archi

tetti, art. 2, 5, 57).

La prestazione professionale dell'ingegnere navale nominato

consulente tecnico di parte nel giudizio relativo alla de

terminazione dell'importo dovuto ad un'impresa cantieri

stica per lavori di restauro di nave, è ricompensata non

come « liquidazione di fatture », da retribuirsi a percen

tuale, ma «a discrezione ». (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso

12 agosto 1961 al presidente del Tribunale di Catania, l'ing.

prof. Salvatore Giuliano chiese che, sulla base del parere emesso dal Consiglio dell'Ordine degli ingegneri per la pro vincia di Catania in data 15 luglio 1961, si ingiungesse all'ar

matore Matteo Scuderi di pagare a esso ricorrente la somma

di lire 566.049, dovutagli a titolo di onorari per l'opera da

lui prestata, quale consulente tecnico di parte nel giudizio civile svoltosi dinanzi al Tribunale di Trieste tra lo Scuderi

e l'Arsenale marittimo triestino, relativamente alla liquidazio ne dei compensi chiesti dal detto arsenale per le opere ese

guite sul piroscafo « Naty ».

Il presidente del tribunale, con decreto del 14 agosto 1961, emise la chiesta ingiunzione.

Lo Scuderi propose opposizione, con atto del 14 settem

bre dello stesso anno, deducendone l'eccessività della pretesa del ricorrente e facendo atto di prontezza per il pagamento di

un onorario più modesto; a tal fine fece presente che l'ing. Giuliano aveva svolto un'attività di piccola entità, in quanto si era limitato a presenziare ai sopralluoghi effettuati dal con

sulente tecnico di ufficio prof. Renato Lanza, ad annotare, durante i medesimi, quanto gli veniva verbalmente riferito

dal capitano macchinista navale Giuseppe Lombardo e a

presentare al suddetto consulente d'ufficio due note di osser

vazioni, l'una in data 18 giugno 1958 e l'altra in data 24

ottobre dello stesso anno, redatte entrambe in collaborazione

col macchinista cap. Lombardo e delle quali peraltro il con

sulente tecnico d'ufficio non aveva tenuto conto. Inoltre de

dusse che, comunque, l'ing. Giuliano non aveva diritto che

a un compenso calcolato per vacazioni, cioè con lo stesso cri

terio con cui era stato tassato il compenso del consulente

d'ufficio, e non poteva pretendere di essere retribuito in mi

sura maggiore di come era stato retribuito quest'ultimo. Costituitesi le parti, l'ing. Giuliano oppose che il suo

onorario era stato rettamente determinato dal Consiglio del

ti) Non constano precedenti specifici. La Cassazione ha am messo l'applicabilità analogica dell'art. 5, lett. /, legge 2 marzo 1949 n. 143 ritenendo che la consulenza tecnica di parte sia so stanzialmente assimilabile alle perizie stragiudiziali menzionate nella predetta norma (procedimento espressamente previsto dal l'art. 2, 2° comma, secondo il quale « gli onorari per le prestazioni non specialmente contemplate in questa tariffa vengono stabiliti per analogia »). Risultato, lo ammette la stessa corte, che si sarebbe in ogni caso raggiunto in quanto nello stesso art. 5 si prevede che l'onorario sia liquidato a discrezione « in tutti i casi in cui non sia applicabile il criterio per analogia». Sotto quest'ultimo pro filo, v. Cass. 12 maggio 1962, n. 980, Foro it., Rep. 1962, voce Professioni intellettuali, n. 89, la quale, dopo aver preliminarmente negato che l'attività svolta dall'ingegnere nella preparazione della documentazione tecnica occorrente per una pratica da svolgersi presso la pubblica amministrazione (concessione di mutuo edi

lizio) fosse analogicamente valutabile secondo le voci di cui alle tariffe previste dalla legge 2 marzo 1949 n. 143, ha ammesso che si dovesse liquidarle « a discrezione » ex art. 5 della stessa di

sposizione.

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1271 PARTE PRIMA 1272

l'Ordine degli ingegneri, il quale si era uniformato alle di

sposizioni contenute nell'art. 57 della tariffa di cui alla legge 2 marzo 1949 n. 143 e si era anzi attenuto al minimo inde

rogabile della tariffa medesima.

Il giudice istruttore rimise le parti dinanzi al collegio e

il tribunale, con sentenza 28 febbraio 1963, rigettò l'opposi zione.

Propose appello lo Scuderi, ma la corte di Catania, in

vestita del riesame della causa, con sentenza 9 marzo - 9

maggio 1964, rigettò il gravame. Osservò la corte che, ai

fini della liquidazione degli onorari spettanti all'ing. Giulia

no, doveva trovare applicazione la tariffa indicata nell'art.

57 della legge 2 marzo 1949 n. 143, in base alla quale il

compenso per il professionista non deve essere inferiore al

5 % del ribasso ottenuto nella liquidazione delle fatture. Indi

osservò che, poiché l'ing. Giuliano, con le sue osservazioni

verbali e scritte, aveva fatto si che il consulente d'ufficio, nel

procedere alla liquidazione delle fatture presentate allo Scu

deri dall'Arsenale marittimo triestino per i compensi relativi

alle opere eseguite sul piroscafo « Naty », avesse apportato alle stesse fatture un ribasso da lire 47.594.910 a lire 36.695.923, il compenso doveva essere stabilito in ragione del 5% del

ribasso medesimo (lire 10.898.987), e cioè in lire 544.949, di tal che, aggiungendo a tale somma lire 21.000 per spese e diritti riguardanti l'obbligatorio parere dell'Ordine degli ingegneri, il totale importo dovuto all'ing. Giuliano doveva essere determinato nella su indicata somma di lire 566.049.

(Omissis) Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di annulla

mento, lo Scuderi, nel denunziare la violazione e falsa appli cazione dell'art. 57 della legge 2 marzo 1949 n. 153 (rectius: n. 143), in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., censura, anche sotto l'aspetto dell'insufficienza della motiva

zione, la sentenza denunziata, per avere ravvisato nelle ope razioni svolte dall'ing. Giuliano una « liquidazione » delle fatture presentate a esso Scuderi dall'Arsenale triestino e

per avere, in conseguenza, erroneamente ritenuto che fosse

applicabile, al caso de quo, la tariffa di cui al punto B) del citato art. 57, a tenore del quale il compenso globale do vuto al professionista non deve essere inferiore al 5% del ribasso ottenuto nella liquidazione delle fatture.

Con il secondo mezzo di annullamento, lo Scuderi, nel de nunziare la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della

legge 2 marzo 1949 n. 143, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., sostiene che, ai fini della determinazione degli onorari spettanti all'ing. Giuliano, avrebbe dovuto essere ap plicato il citato art. 5, secondo il quale, per le consulenze e per le altre prestazioni indicate nella stessa norma, gli ono rari dovuti al professionista sono stabiliti a discrezione.

Tali doglianze, che conviene esaminare congiuntamente, avuto riguardo alla connessione delle questioni con esse pro spettate, appaiono, nei termini che saranno in appresso pre cisati, meritevoli di accoglimento.

Come si è accennato nella narrativa in fatto, la corte di Catania ha ritenuto che, ai fini della determinazione dell'ono rario spettante all'ing. Giuliano, fosse applicabile la tariffa di cui alla nota B dell'art. 57 della legge 2 marzo 1949 n. 143, in quanto ha ravvisato nelle operazioni svolte dal no minato ingegnere una « liquidazione » delle fatture presentate allo Scuderi dall'Arsenale triestino per le opere eseguite sul piroscafo « Naty ».

Senonché tale opinione non può essere condivisa, non sembrando che la dianzi citata norma possa ricevere applica zione nel caso de quo. Infatti « la liquidazione di fatture », contemplata nella disposizione in esame, che riguarda la de terminazione degli onorari per prestazioni, inerenti all'inge gneria navale, comporta, oltre che l'espletamento di un'atti vità tecnica, consistente nell'esame dei lavori eseguiti dal l'arsenale, lo svolgimento di trattative, a carattere negoziale, con la controparte, allo scopo di ottenere la riduzione del prezzo indicato nelle fatture, di cui si discute. E, tale essendo l'attività esplicata dal professionista, la menzionata disposi zione per la quale l'onorario dovutogli deve essere stabilito in proporzione alla riduzione da lui ottenuta nella liquidazione dell'importo delle fatture, ha la sua giustificazione nel rilievo

che, nell'ipotesi considerata, sussiste, almeno di regola, un

rapporto di causa ad effetto tra l'opera svolta dal professio

nista e la riduzione anzidetta.

Diversa è l'ipotesi, in cui si tratti (come nella fattispecie in esame) della liquidazione dell'onorario da attribuire a un

consulente tecnico di parte, il quale abbia svolto la sua

attività in una controversia che abbia avuto per oggetto la

determinazione dell'importo dovuto a un opificio per lavori

eseguiti a una nave. Per vero, in tal caso, al professionista viene conferito, non già di esplicare un'attività di carattere

negoziale, ma solo di svolgere un'opera tecnica. E, sebbene si

debba ammettere che l'attività del professionista medesimo

possa concorrere al conseguimento del fine, per il quale dal

suo cliente gli è stato conferito l'incarico, e cioè alla riduzio

ne della somma pretesa dalla controparte, non può dirsi che

egli abbia proceduto direttamente a una « liquidazione », giac ché la determinazione della somma dovuta alla controparte è

demandata al magistrato adito per la risoluzione della contro

versia, il quale vi provvede con l'ausilio, oltre che del consu

lente di parte, del consulente d'ufficio e dei difensori dei

litiganti. Esclusa, in base alle svolte considerazioni, l'applicabilità,

al caso, dell'art. 57 della legge 2 marzo 1949 n. 143, è da

ricordare che l'art. 2 della stessa legge distingue gli onorari

professionali spettanti agli ingegneri e architetti in quattro

tipi: a) onorari a percentuale, ossia in ragione dell'importo

dell'opera; b) onorari a quantità, ossia in ragione dell'unità

di misura; c) onorari a vacazione, ossia in ragione del tempo

impiegato; d) onorari a discrezione, ossia a criterio del pro fessionista. Il successivo art. 5 dispone, poi, che gli onorari sono stabiliti a discrezione, oltre che per le consulenze, per le altre prestazioni indicate nella stessa norma, per quelle a esse simili e in tutti i casi in cui non sia possibile applicare il criterio per analogia. Nell'elencare, indi, i casi, in cui gli onorari sono stabiliti a discrezione, il citato articolo menziona, alla lettera /) : « perizie estimative di beni in forma di parere verbale o di lettera, memorie e perizie stragiudiziali in tema di responsabilità civile e penale, consulenza su brevetti, in

terpretazione di leggi e regolamenti, sentenze, contratti, certi ficati di autorità marittime o consolari o di registri di classifi cazione di navi ».

Ciò premesso, si osserva che non può essere condivisa

l'opinione del ricorrente, secondo la quale, nel caso di cui si questiona, gli onorari devono essere stabiliti a discrezione, in quanto le consulenze di parte rientrerebbero tra le consu lenze previste nel primo alinea del citato art. 5.

Per vero l'espressione « consulenze », non seguita da al cuna precisazione, è stata usata nella sua comune accezione, e cioè per designare i pareri dati dal professionista al proprio cliente, e non già per riferirsi all'opera compiuta in un giudi zio da un consulente tecnico di parte.

Tuttavia, pur dovendosi ammettere l'inesattezza della suin dicata tesi del ricorrente, si deve riconoscere l'applicabilità, al caso, sotto altro aspetto, del citato art. 5. Infatti sussiste un'evidente somiglianza tra le perizie stragiudiziali, espressa mente elencate nella norma, e le consulenze di parte. A con ferma è da notare che le due fattispecie, pur presentando degli elementi di diversità (in quanto nelle perizie stragiudiziali non vi è, a differenza delle consulenze di parte, l'assistenza alle operazioni del consulente del giudice), hanno sostanziali elementi di identità, giacché in entrambe viene esplicata dal professionista un'attività di carattere tecnico per sostenere le ragioni di una delle parti. Ond'è che ben può farsi ricorso all'interpretazione analogica (alla quale, d'altronde, fanno espresso riferimento sia l'art. 2 che il citato art. 5 della leg ge n. 143 del 1949) e, in conseguenza, si deve riconoscere che l'ipotesi, della quale si discute, rientra tra quelle per le quali gli onorari vengono stabiliti a discrezione.

Per compiutezza di motivazione, non è fuori luogo ag giungere che, quand'anche si dubitasse dell'esattezza delle svolte considerazioni in ordine all'applicabilità della citata disposizione di cui alla lett. /) dell'art. 5, si dovrebbe ugual mente pervenire alla conclusione che gli onorari devono es sere stabiliti a discrezione. Invero, in tal caso, non essendo le consulenze previste da alcuna apposita disposizione e do

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

vendosi escludere l'analogia tra le stesse e le prestazioni espres samente contemplate nella menzionata legge n. 143 del 1949,

si renderebbe applicabile il primo alinea del più volte citato

art. 5, a tenore del quale gli onorari sono stabiliti a discre

zione anche in tutti i casi in cui non sia possibile applicare

l'analogia. Dalle svolte considerazioni discende che il primo e il

secondo mezzo di annullamento devono essere, nei termini

dianzi precisati, accolti. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione I civile; sentenza 6 novembre 1967, n. 2688; Pres.

Stella Richter P., Est. Perrone Capano, P. M. Gentile

(conci, conf.); Salatto (Avv. Nisio) c. Colgate Palmolive

Company e Colgate Palmolive s.p.a. (Avv. Montesano,

Spolidoro).

(Conferma App. Bari 10 aprile 1964)

Marchio — Cessione parziale e temporanea — Contraffa

zione e concorrenza sleale per imitazione servile — Ef

fetti processuali (Cod. proc. civ., art. 100; cod. civ., art.

2598). Marchio — Cessione — Inscindibilità dall'organizzazione

aziendale — Esclusione (Cod. civ., art. 2573; r. d. 21

giugno 1942 n. 929, testo delle disposizioni legislative in

materia di brevetti per marchi d'impresa, art. 15).

Può agire in giudizio in difesa del marchio contraffatto e

per inibizione contro la concorrenza sleale per imita

zione servile la società americana titolare di marchio re

gistrato in Italia, la quale lo ha ceduto a tempo determi

nato e per il solo territorio italiano, con riserva di par

tecipazione sugli introiti lordi delle vendite, ad altra so

cietà. (1) È valida la cessione del marchio contestuale alla cessione

del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corri

spondente prodotto, per la cui realizzazione sia sufficiente la conoscenza della formula chimica segreta di esso, an

corché non vi sia stata cessione dell'intero complesso aziendale o di un ramo di esso. (2)

(1) Non constano precedenti in termini oltre a Cass. 4 luglio 1956, n. 2429, Foro it., Rep. 1956, voce Marchio, n. 35, citata nella motivazione della sentenza che si annota, pronunciata peraltro in relazione a fattispecie parzialmente diversa, poiché la concedente Nestlé di Vevey continuava, nonostante l'avvenuta concessione di licenza d'uso del marchio, a vendere in Italia i

prodotti da essa stessa fabbricati, tramite la concessionaria Nestlé di Milano; la situazione concorrenziale nei confronti dell'autore

degli atti di imitazione servile era quindi, nel caso, attuale. Sulla distinzione tra legitimatio ad causam, come potere

di ottenere una decisione di merito, sia essa favorevole o contraria

all'attore, e titolarità del diritto, e sulla diversa ampiezza del con

trollo, riservato alla Cassazione in ordine alla prima e alla se

conda, la sentenza riportata ribadisce l'orientamento giurispru denziale ormai invalso: v., da ultimo, Cass. 7 luglio 1967, n. 1698, id., Rep. 1967, voce Procedimento civile, nn. 58, 59; con riferimento ai poteri del giudice d'appello, Cass. 5 aprile 1966, n. 896, id., 1967, I, 629, con nota di richiami (e osservazioni di Di Nanni), cui adde Satta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, 638.

(2) Conf., Cass. 21 ottobre 1965, n. 2165, Foro it., 1966, I, 958, con nota di richiami, cui adde App. Firenze 25 luglio 1964, id., Rep. 1965, voce Marchio, n. 40, secondo cui la ratio del l'art. 2573 cod. civ. è fatta salva anche quando l'azienda, ai cui

prodotti il marchio ceduto ineriva, viene a cessare prima o in concomitanza del trasferimento del marchio ad altra impresa e tale trasferimento deve risultare dall'atto costitutivo della nuova

impresa; App. Milano 20 giugno 1963, id., Rep. 1963, voce cit., n. 9, che, analogamente alla sentenza che si annota, distingue l'ipotesi in cui le qualità del prodotto dipendano da formule o

Il Foro Italiano — Volume XCI — Parte I-81.

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ri

corso 13 febbraio 1961, diretto al presidente del Tribunale di

Foggia, la società americana Colgate Palmolive Company, con

sede in New York (U.S.A.), e la società italiana Palmolive,

società per azioni con sede in Milano, esponevano: a) che

esse erano, rispettivamente, titolare e concessionaria esclusiva

dei marchi Op-Là (parola) e OLÀ (etichetta), regolarmente re

gistrati in Italia, destinati a contraddistinguere prodotti deter

genti; b) che Salatto Antonio aveva posto in vendita un proprio detersivo in pacchetti, contrassegnandolo con la parola OPLA

(marchio di fatto) ; c) che, in tal modo, egli aveva imitato

servilmente gli anzidetti marchi Op-Là e OLÀ, sia sotto

l'aspetto nominativo che sotto quello figurativo, ed aveva vio

lato i diritti di esclusiva spettanti ad esse ricorrenti. Chiedeva

no, pertanto, che fosse disposto, a norma dell'art. 61 del r.

decreto 21 giugno 1942 n. 929, il sequestro di tutti i pacchi del detersivo OPLA, posto in commercio dal Salatto, nonché

degli altri oggetti recanti la medesima denominazione.

Il sequestro veniva autorizzato con decreto 17 febbraio

1961 ed eseguito il 28 successivo.

Con citazione 6 marzo 1961, premesso quanto sopra, le

due predette società (società americana Colgate Palmolive e

società italiana Palmolive) convenivano il Salatto davanti al

Tribunale di Foggia e chiedevano che, previa convalida del

sequestro, fosse dichiarato illecito il marchio di fatto OPLA

e ne fosse inibito l'uso, con ordine di distruzione di tutto il

materiale recante il detto marchio. Chiedevano, inoltre, che

il Salatto fosse dichiarato colpevole di violazione dei marchi

Op-Là e OLÀ, nonché di concorrenza sleale, e fosse con

dannato al risarcimento dei relativi danni, da liquidarsi in

separato giudizio. Il convenuto eccepiva: 1°) che la società Colgate Palmo

live era carente di legittimazione ad agire, tanto per l'azione di violazione di marchio quanto per quella di concorrenza

sleale, avendo essa ceduto alla società italiana Palmolive l'uso esclusivo dei propri marchi ed essendosi in tal modo spogliata dei relativi diritti; 2°) che la cessionaria società italiana Pal molive era anch'essa carente di legittimazione, nel senso che non poteva avvalersi della cessione effettuata in suo favore dalla società americana, in quanto la cessione era da ritenersi invalida e priva di effetti, ai sensi degli art. 2573 cod. civ. e 15 r. decreto 21 giugno 1942 n. 929, per non essere stata

accompagnata dal trasferimento della relativa azienda, o di un ramo particolare di essa; 3°) che non ricorrevano gli estre mi dell'imitazione servile, e quindi della violazione di marchio, né quelli della concorrenza sleale; 4°) che non ricorrevano

neppure gli estremi per la concessione del sequestro. (Omis sis)

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, nel denun ciare la violazione ed errata applicazione dei principi sulla tutela del marchio, nonché degli art. 2043 cod. civ. e 100 cod. proc. civ., il Salatto si duole che non sia stata accolta la sua eccezione di difetto di legittimazione attiva della Col

gate Palmolive Company di New York, la quale promosse il presente giudizio insieme alla società italiana Palmolive.

da procedimenti di lavorazione segreti, in cui è sufficiente, per la validità del trasferimento del marchio, che vengano altresì tra sferiti tali elementi, dall'ipotesi in cui la composizione del pro dotto è nota, nel qual caso la validità del trasferimento del mar chio dovrà essere negata se non si accompagni ad esso la cessione di quelle entità aziendali che devono ritenersi indispensabili per garantire al prodotto i caratteri che sono essenziali per la fiducia del consumatore.

Risolve in senso affermativo i dubbi affacciati dalla dottrina circa l'applicabilità dell'art. 2573 cod. civ. anche alla cessione temporanea del marchio la già citata Cass. 4 luglio 1956, n. 2429, nella motivazione, ove afferma: « Né si potrebbe dubitare del l'ammissibilità in diritto di una concessione di tale carattere, riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche di questa Corte suprema (fra l'altro, con le sentenze n. 2304 del 1936, Foro it.. Rep. 1936, voce Marchio, nn. 12, 13; n. 3630 del 1927, id., Rep. 1927, voce cit., nn. 30-32) e largamente seguita in pratica; con cessione che non esclude l'applicazione dei principi della esclu sività dell'uso del marchio e della necessità del trasferimento del ramo di azienda per il tempo della sua durata, ma non implica la cessione del diritto sul relativo brevetto ».

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