sezione II civile; sentenza 10 ottobre 1997, n. 9849; Pres. Vella, Est. Elefante, P.M. Ceniccola(concl. conf.); C. M. D'Onofrio (Avv. Caradonna) c. A. D'Onofrio e altri (Avv. Mastrantonio).Cassa Trib. L'Aquila 17 gennaio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 1 (GENNAIO 1998), pp. 85/86-87/88Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192204 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il convenuto si costituiva e contestava l'avversa domanda, assumendo che l'attore aveva abbandonato il fondo, e chieden
do in via riconvenzionale il pagamento di lire 4.500.000 di cui
lire 2.500.000 per lavori agricoli e lire 2.000.000 per mancato
guadagno. Con sentenza 22 dicembre 1993 l'adito tribunale rigettava le
domande hinc et inde proposte e condannava il Renda alle spe se processuali, ritenendo che nessuna parte avesse dato la prova del proprio assunto.
Proponeva gravame il Renda davanti alla sez. spec. agr. della
Corte d'appello di Palermo che, nella resistenza del Trovato, 10 rigettava (con ulteriore condanna dell'appellante alle spese del grado), affermando:
— che la controversia spettava ratìone materiae al giudice
specializzato agrario; — che peraltro non andava dichiarata la nullità della senten
za di primo grado, potendo essa corte specializzata decidere nel
merito; — che l'onere del preventivo tentativo di conciliazione in
combeva all'attore e, quindi, il Renda non poteva lamentarsi
per l'omissione; — che le parti non avevano fornito la prova delle rispettive
tesi e la richiesta prova testimoniale era preclusa ai sensi del
l'art. 437 c.p.c. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Ren
da, affidandolo a due motivi di censura. L'intimato non si è
costituito in questo grado. Motivi della decisione. — Assume valore prioritario l'esame
del secondo motivo (il primo riguardando le spese) con il quale 11 Renda lamenta che il giudice dell'appello, dopo avere esatta
mente rilevato l'incompetenza del tribunale a pronunciare sulla
domanda in composizione ordinaria (trattandosi di controversia
di natura agraria), non ne abbia annullato la decisione, con
conseguente rimessione della causa al giudice specializzato di
primo grado, ed abbia invece pronunciato nel merito, così omet
tendo un grado di giurisdizione. La censura è fondata, nei limiti e con i chiarimenti che seguo
no. Contrariamente ad un'autorevole corrente dottrinale che con
sidera inammissibile l'appello proposto davanti a giudice incom petente, atteso che il giudice del gravame va individuato in cor
relazione al giudice che ha reso la sentenza impugnata e, pertanto, la sua competenza ha pacificamente carattere funzionale ed in
derogabile, la giurisprudenza è da tempo attestata nel ricono
scere effetto conservativo all'appello proposto davanti ad un
giudice (comunque di secondo grado ma) incompetente. In par ticolare è stato affermato che poiché le sezioni specializzate agra
rie, anche se organi specializzati, appartengono pur sempre alla
giurisdizione ordinaria, in quanto costituiscono una speciale com
posizione dello stesso organo giudiziario e non già organo giu diziario speciale, l'appello proposto davanti alla sezione ordina
ria e non avanti la sezione specializzata agraria della corte d'ap
pello instaura un valido rapporto processuale di impugnazione, il quale, poi, prosegue, per effetto dell'impulso originario di
parte, anche quando la translatio iudicii sia avvenuta d'ufficio
e non ad istanza di parte (Cass. 28 ottobre 1978, n. 4940, Foro
it., Rep. 1978, voce Contratti agrari, n. 352). Pertanto, l'inam
missibilità resta limitata alle ipotesi in cui manchi lo strumento
processuale prescritto dalla legge per il passaggio del rapporto
processuale dal primo al secondo grado del giudizio, come quan do la parte soccombente in primo grado adisca, con l'appello, un giudice di grado pari a quello che ha emesso la sentenza
impugnata, ovvero lo stesso giudice che tale sentenza abbia pro
nunciato (Cass. 9 dicembre 1981, n. 6515, id., 1982, I, 1997). Orbene, nel caso di specie, la sezione specializzata agraria della
corte palermitana, ravvisando una controversia in materia agra
ria decisa in primo grado dal tribunale in composizione ordina ria e, quindi, incompetente, preso atto che si era comunque
instaurato un valido rapporto processuale, avrebbe dovuto an
nullare la sentenza gravata e rimettere la causa allo stesso tribu
nale perché pronunciasse in composizione speciale. Ed infatti, la declaratoria, da parte del giudice di appello, che il primo giudice non aveva la competenza per materia erroneamente ri
conosciutasi, implica nullità non solo della sentenza appellata
ma anche di tutti gli atti processuali anteriori, con la conse
guenza che in tal caso il giudice di secondo grado non può trat
tenere la causa e deciderla nel merito, ma, nel rispetto del prin
cipio fondamentale del doppio grado di giurisdizione, deve ri
li Foro Italiano — 1998.
mettere le parti avanti al giudice competente di primo grado, affinché questi si pronunci sulle domande proposte (Cass. 8 ago sto 1984, n. 4642, id., Rep. 1984, voce Appello civile, n. 92). A tale omissione deve ovviare questa corte regolatrice, dichia
rando la competenza della sezione specializzata agraria del Tri
bunale di Trapani, avanti al quale il processo continuerà se rias
sunto nel termine di cui all'art. 50 c.p.c. Non è superfluo aggiungere che tale giudice dovrà esaminare,
in primo luogo, il problema della proponibilità della domanda
per mancato esperimento del preventivo tentativo di concilia
zione ex art. 46 1. n. 203 del 1982, questione non coperta da
giudicato (per mancata impugnazione in questa sede) in quanto la corte palermitana si è indebitamente pronunciata al riguardo
(dovendosi limitare a declinare la competenza). La conclusione raggiunta importa la cassazione senza rinvio
dell'impugnata sentenza, con assorbimento del primo motivo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 10 otto bre 1997, n. 9849; Pres. Vella, Est. Elefante, P.M. Cenic
cola (conci, conf.); C. M. D'Onofrio (Aw. Caradonna) c.
A. D'Onofrio e altri (Aw, Mastrantonio). Cassa Trib. L'A
quila 17 gennaio 1994.
Divisione — Ordinanza di approvazione del progetto esecutivo — Ricorso straordinario per cassazione — Ammissibilità
(Cost., art. Ill; cod. proc. civ., art. 789). Divisione — Domanda nuova — Notificazione al contumace
— Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 292, 789).
È denunziatile con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. Ili,
2° comma, Cost., l'ordinanza con la quale il giudice istrutto
re, ai sensi dell'art. 789 c.p.c., dichiara per mancanza di con
testazioni esecutivo il progetto di divisione che prevede la ri
partizione dell'asse ereditario in quote inferiori (tre anziché
sei) a quelle richieste con la domanda introduttiva. (1)
Proposta domanda di divisione ereditaria in tante quote corri
spondenti al numero degli eredi, costituisce domanda nuova
l'istanza diretta alla divisione dei beni, e attribuzione delle quote, soltanto fra alcuni eredi con esclusione degli altri, sul
presupposto che i beni stessi siano stati oggetto di donazione
da parte del de cuius a favore di determinati eredi; conse
guentemente, su tale domanda nuova il giudice istruttore non
può provvedere senza che vi sia stata la notificazione al con
tumace ai sensi dell'art. 292 c.p.c. (2)
(1-2) I. - Sulla prima massima, in senso conforme, Cass. 3 settembre
1993, n. 9305, Foro it., Rep. 1993, voce Divisione, n. 31; 7 maggio
1991, n. 5014, id., Rep. 1991, voce cit., n. 28; 2 agosto 1990, n. 7751,
ibid., n. 30; 20 febbraio 1988, n. 1778, id., Rep. 1988, voce cit., n.
14; 11 aprile 1987, n. 3612, id., Rep. 1987, voce cit., n. 40.
In senso contrario (e completamente ignorata dalla pronuncia in epi
grafe), v. soprattutto Cass., sez. un., 1° marzo 1995, n. 2317, id., 1996,
I, 3462, con osservazioni di Impagnatiello, ed anche Cass. 20 agosto 1993, n. 8800, id., 1994, I, 3167, alla cui esauriente nota si rinvia per ulteriori ragguagli bibliografici sullo stato di dottrina e giurisprudenza.
II. - Sulla seconda massima, in senso conforme, v. Cass. 14 giugno
1990, n. 5824, id., Rep. 1991, voce cit., n. 31; 31 luglio 1987, n. 6638,
id., Rep. 1987, voce cit., n. 38; 24 agosto 1981, n. 4984, id., Rep.
1982, voce cit., n. 36.
♦ * »
Quel che colpisce nella sentenza in epigrafe è soprattutto la scelta
di sottovalutare lo spessore dei problemi affrontati e di ignorare com
pletamente il dissenso, quasi che il ritenere ricorribile ex art. Ill Cost,
l'ordinanza emessa ex art. 789 c.p.c. sia una questione scontata, dimen
ticando che da sempre tale problema è stato fonte di contrasti nella
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione 7 settem
bre 1979, Filippo, Maria Lina e Antonio D'Onofrio, quali eredi
di Agostino e Augusto D'Onofrio, convenivano in giudizio di
nanzi al Tribunale de L'Aquila Pietro, Teresa, Angeladea, Car
mine (e, per esso deceduto, gli eredi Giovanni, Lidio e Filome
na) e Domenico D'Onofrio al fine di sentir dichiarare aperta la successione di Giovanni Antonio D'Onofrio, ordinare la divi
sione del patrimonio relitto in sei parti uguali, una per ciascuno
dei sei figli, ordinare la prestazione dei rendiconti, disporre i
conguagli e impartire ogni altra disposizione per la concreta at
tuazione della divisione.
I convenuti rimanevano contumaci.
Con ordinanza 26 ottobre 1993, il giudice istruttore, rilevato
che il progetto di divisione redatto dal c.t.u. geom. Simoni «di
vide l'asse ereditario in tre quote uguali, mentre occorreva for
mare sei quote uguali» da attribuire a D'Onofrio Pietro, Tere
sa, Domenico, Angeladea, agli eredi di Carmine e agli attori, eredi di Agostino, in sostituzione del geom. Simoni, nominava
altro c.t.u. e fissava l'udienza per il giuramento. Ma poi, con ordinanza resa all'udienza del 17 gennaio 1994,
sul rilievo del difensore degli attori che il c.t.u. aveva suddiviso
in tre lotti l'asse ereditario perché l'intera proprietà del de cuius
D'Onofrio Giovanni Antonio era stata da questi donata ai tre
figli Agostino, Carmine e Pietro con atto notaio Scarduccione
del 15 maggio 1946, revocava il provvedimento di nomina del
nuovo c.t.u., riteneva valida la divisione del patrimonio eredita
rio in tre quote ed assegnava il lotto «A», in difetto di contesta
zioni, a favore degli attori (eredi di Agostino D'Onofrio); per l'attribuzione dei restanti lotti disponeva procedersi ad estrazio
ne a sorte ed assegnava in conformità il lotto «C» a Pietro
D'Onofrio e il lotto «B» agli eredi di Carmine D'Onofrio. Infi
ne, rilevato che le quote divisionali indicate nel progetto di divi
sione depositato dal geom. Simoni il 25 febbraio 1993 erano
state attribuite come sopra senza contestazioni, ordinava la can
cellazione della causa dal ruolo.
Avverso tale ordinanza 17 gennaio 1994 ricorre per cassazio
ne, ai sensi dell'art. 111,2° comma, Cost., Chiara Maria D'O
nofrio, quale erede di Domenico D'Onofrio, sulla base di due
motivi. Resistono con controricorso Antonio, Filippo e Maria
Linda D'Onofrio, quali eredi di Agostino D'Onofrio. Gli altri
intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — A sostegno dell'impugnazione la
ricorrente deduce.
1. - Violazione o falsa applicazione della norma contenuta
nell'art. 789 c.p.c. in relazione al diritto del contumace ad ave
re notizia del deposito del progetto di divisione.
Non è stato comunicato ai convenuti contumaci il decreto di comparizione delle parti per la discussione del progetto di
divisione, rendendo impossibile a costoro di contestare il conte nuto del progetto, contravvenendosi così al dettato normativo
dell'art. 789, 1° e 2° comma, c.p.c. Inoltre, tale progetto di divisione con attribuzione delle quote
è stato discusso in una udienza che non era a ciò destinata, con ulteriore violazione del disposto dell'art. 789 c.p.c., a nor ma del quale l'assunzione della discussione conclusiva del pro getto di divisione deve avvenire nell'ambito di una specifica udien za all'uopo esclusivamente fissata e solo previa comunicazione della medesima alle parti.
2. - Violazione e falsa applicazione degli art. 789 e 292 c.p.c., per la mancata notificazione ai convenuti contumaci della so stanziale modificazione della domanda giudiziale.
Nel corso del giudizio il nuovo difensore degli attori, assu mendo che il de cuius aveva diviso, mediante donazione come
giurisprudenza di legittimità, a dirimere i quali giunse l'arresto delle sezioni unite 2317/95, secondo cui non è soggetta a ricorso straordina rio per cassazione l'ordinanza del giudice istruttore che dichiari esecuti vo il progetto di divisione in assenza di contestazioni delle parti costi tuite (esattamente il contrario di quanto sostenuto dalla odierna sentenza).
Non sorprende la decisione di dissentire dalle sezioni unite (anche se forse è giunto il momento di chiedersi se serva ancora l'assegnazione dei ricorsi ex art. 374, 2° comma, c.p.c.); sconcerta, però, la scelta di ignorare completamente la ragioni dell'opposto orientamento, scelta spinta sino al punto di non citare alcun precedente contrario, neppure quello recentissimo delle sezioni unite.
E lo sconcerto non può che aumentare ove solo si consideri che l'e stensore della sentenza 2317/95, salvo casi di omonimia, è altresì il pre sidente del collegio che ha emesso la decisione in epigrafe. [C. M. Cea]
Il Foro Italiano — 1998.
da atto per notaio Scarduccione 15 maggio 1946, tutti i suoi
beni tra i tre figli Agostino, Carmine e Pietro, aveva implicita mente modificato l'originaria domanda di divisione «eredita
ria» introducendone una nuova diretta ad ottenere la divisione
«ordinaria» dei beni soltanto tra tre eredi con esclusione di tutti
gli altri. Il giudice istruttore non poteva provvedere su tale diversa do
manda, che non era stata neppure comunicata ai convenuti con
tumaci, senza violare il disposto dell'art. 292 c.p.c., secondo
il quale le comparse contenenti domande nuove o riconvenzio
nali, da chiunque proposte, devono essere notificate personal mente al contumace; con conseguente nullità della relativa or
dinanza.
3. - Osserva la corte che, per ragioni sistematiche e di priorità
logica, va esaminato innanzitutto il secondo motivo, che risulta
fondato.
3.1. - Al riguardo conviene premettere che, nel procedimento di scioglimento di comunione, l'ordinanza, normalmente di con
tenuto ordinario e non impugnabile, con la quale il giudice istrut
tore, ai sensi dell'art. 789 c.p.c., dichiara esecutivo il progetto di divisione, presuppone il suo potere di statuire sulle questioni
proposte e richiede che deve essere emanata con l'osservanza
delle prescrizioni dettate per il perfezionamento della complessa
fattispecie disciplinata dalla norma. Il difetto delle condizioni
previste dalle leggi rende l'atto invalido e suscettibile di impu
gnazione. In particolare, il provvedimento, ex art. 789 c.p.c., con il
quale il giudice istruttore, su richiesta degli attori (contumaci tutti i convenuti) dichiara, per mancanza di contestazioni, ese
cutivo il progetto di divisione che prevede la ripartizione del
l'asse ereditario in quote inferiori (tre anziché sei) di quelle ri
chieste con la domanda introduttiva, comportando l'esclusione
di alcuni eredi (contumaci) dalla divisione, assume contenuto
decisorio, essendo sostanzialmente, idoneo ad incidere sui dirit
ti soggettivi delle parti; e, stante il carattere della sua definitivi
tà, in carenza di specifico mezzo di impugnazione, è denuncia
bile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ili, 2° comma, Cost. (Cass. 3 settembre 1993, n. 9305, Foro it., Rep. 1993, voce Divisione, n. 31; 7 maggio 1991, n. 5014, id., Rep. 1991, voce cit., n. 28; 2 agosto 1990, n. 7751, ibid., n. 30; 11 aprile
1987, n. 3612, id., Rep. 1987, voce cit., n. 40). 3.2. - Nell'ambito del giudizio divisorio, che si propone con
citazione, trova applicazione il divieto di mutamento della do
manda (art. 184 c.p.c.), imposto dall'esigenza del rigetto del
principio generale del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), a meno
che la domanda nuova, introdotta nel corso del giudizio di pri mo grado, sia stata accettata da controparte ovvero notificata
al contumace (art. 292 c.p.c.).
Proposta domanda di divisione ereditaria, in tante quote cor
rispondenti al numero degli eredi, costituisce domanda nuova, inammissibile in corso di giudizio, l'istanza diretta alla divisio
ne dei beni, e attribuzione delle quote, soltanto fra alcuni eredi, con esclusione di altri, sul presupposto che i beni stessi siano
stati oggetto di donazione da parte del de cuius a favore di
determinati eredi.
3.3. - Su tale domanda nuova, il giudice istruttore non può
provvedere senza che vi sia stata l'accettazione (o la opposizio ne) delle parti costituite, ovvero la notificazione al contumace, necessaria in base all'espresso disposto dell'art. 292 c.p.c., che
prescrive la notifica personale al contumace delle domande (o
riconvenzionali) nuove (nonché le ordinanze che ammettono l'in
terrogatorio o il giuramento e le sentenze). 3.4. - Dagli atti processuali e dallo stesso provvedimento im
pugnato non risulta che la nuova domanda di divisione dell'as
se ereditario in tre anziché in sei quote sia stata notificata alle
parti contumaci. Pertanto, l'ordinanza del giudice istruttore, che
in accoglimento di tale domanda nuova, ha dichiarato esecutivo il progetto di divisione dell'asse ereditario ed ha attribuito le
tre quote, escludendo gli altri eredi, non può considerarsi valida.
4. - L'accoglimento del secondo motivo comporta l'assorbi
mento del primo. 5. - Accolto il ricorso e cassato il provvedimento impugnato,
la causa deve essere rinviata ad altra sezione del Tribunale de
L'Aquila.
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