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Sezione II civile; sentenza 12 ottobre 1962, n. 2932; Pres. Varallo P., Est. Rapisarda, P. M....

Date post: 31-Jan-2017
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Sezione II civile; sentenza 12 ottobre 1962, n. 2932; Pres. Varallo P., Est. Rapisarda, P. M. Tavolaro (concl. conf.); Sanderson and Sons (Avv. Nicolò) c. De Leo. Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 5 (1963), pp. 997/998-999/1000 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152605 . Accessed: 25/06/2014 11:02 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.146 on Wed, 25 Jun 2014 11:02:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 12 ottobre 1962, n. 2932; Pres. Varallo P., Est. Rapisarda, P. M.Tavolaro (concl. conf.); Sanderson and Sons (Avv. Nicolò) c. De Leo.Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 5 (1963), pp. 997/998-999/1000Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152605 .

Accessed: 25/06/2014 11:02

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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997 G1URISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 998

camente al fine di ottenere la sospensione del giudizio di

cassazione, era stata indicata la data in cui era avvenuto il

rilascio delle copie dei documenti.

Ritiene la Suprema corte che la sentenza impugnata non meriti le suesposte censure.

Non e innanzitutto da condividersi la tesi dei ricor

renti, secondo i quali il significato del termine « trovati»

usato dal legislatore nella formulazione della ipotesi revo

eatoria di oui all'art. 395, n. 3, cod. proc. civ. e quello di

«recupero » contenuto nel 2° comma dell'art. 398 stesso

codice dovrebbero esser intesi nel senso dell'acquisizione della materiale disponibilitä dei documenti da parte di colui

che intende avvalersene. ft, invero, fermo principio che il

motivo che giustifica la domanda di revocazione nella ipo tesi anzidetta non consiste nella sola impossibilita materiale

da parte del soccombente, di produrre i documenti predetti

prima della sentenza revocanda, ma nella dimostrata im

possibility di esibizione dovuta ad incolpevole ignoranza della loro esistenza ovvero del luogo oye si trovavano. Oc

corre, in altri termini, che la mancata produzione nel pre

gresso giudizio derivi dal non aver avuto nõ potuto avere

conoscenza dei documenti decisivi o dal non aver saputo ne potuto sapere oye questi si trovassero, sempreche tuttociõ

derivi da forza maggiore o da fatto dell'avversario.

Discende da tale principio che, ai fini del decorso del

termine utile per agire in revocazione, ha rilevanza giuridica non tanto il momento in cui la parte interessata abbia con

seguito la materiale apprensione o la disponibilita dei do

cumenti, quanto quello in cui essa. abbia avuto certa no

tizia della loro esistenza anche presso un terzo, ufficio, o

privato. Al riguardo questa Suprema corte ha avuto modo

di precisare, con la sentenza n. 2683 del 1955 (Foro it.,

Rep. 1955, voce Bevcfcaeione, n. 17), che il recupero dei

documenti, cui si riferisce la ipotesi prevista dall'art. 395, n. 3, del codice di rito, deve esser coordinato con le norme

che regolano la esibizione delle prove in giudizio (art. 118

e 210 cod. proc. civ.) ; ond'õ che la parte, la quale abbia

acquisito successivamente alia sentenza la certa scienza

della esistenza dei documenti decisivi presso un terzo, viene

a trovarsi in una situazione non dissimile da quella della

parte che, avendone la disponibilita, possa senz'altro pro durli, epperõ legittimamente puõ agire in revocazione sop

perendo alla indisponibilitä col richiedere al giudice l'ordine

di esibizione da rivolgersi al terzo possessore. Non diversa opinione, del resto, manifestarono gli

odierni ricorrenti allorquando col primo atto di citazione

del 6 novembre 1958, del quale non discutono la dichiarata

inefficacia, suggerirono al giudice della revocazione, quali rimedi per owiare alia materiale indisponibilitä dei docu

menti, la richiesta della copia degli stessi al giudice del

l'istruttoria penale o la sospensione del processo civile fino

alia chiusura di quella istruttoria.

Ed õ vano ripiegare, ora, da siffatta opinione sostenendo

che l'anzidetta citazione alt.ro non costituiva se non un

mero espediente volto unicamente ad ottenere la sospen sione del giudizio di cassazione della sentenza revocanda,

poiche in una materia come quella della revocazione, do

minata da rigide regole formali apprestate al fine di evi

tare facili ed artificiosi attacchi all'autorita della cosagiu dicata, non puõ esser consentito procedere per tentativi

esplorativi in funzione di mero espediente e per tacite ri

serve di migliore valutazione della efficacia probatoria dei

documenti, dei quali si õ giä affermata la certa esistenza

e la idoneitä a dare ingresso alio indicium rescindens e a

determinare la revocazione della sentenza, e sulla base

dei quali non puõ evidentemente, ammettersi la proposi zione di piu istanze di revocazione successive.

Correttamente, pertanto, la Corte del merito ha consi

derato intempestiva la domanda proposta con la citazione

dell'aprile 1959, dopo aver ritenuto per certo che gli odierni

ricorrenti giä con la prima istanza del 1958 avevano affer

mato di aver avuto sicura conoscenza della esistenza dei

documenti, si da esser in grado di formulare sin da allora

le stesse deduzioni di poi riprodotte nella successiva istanza.

Peraltro, ove pur si volesse accedere alia tesi sostenuta

nel ricorso in ordine alia distinzione tra conoscenza gene

rica dell'esistenza dei doeumenti e possibility di valuta

zione della loro rilevanza probatoria, in clie soltanto si

conoreterebbe il momento di decorrenza del termine utile

per proporre la revooazione, resterebbe pur sempre il fatto

per gli odierni ricorrenti che avevano l'obbligo di dedurre, nella seconda oitazione del 9 aprile 1959, facendone oggetto di speeifico, thema probandum a pena di inammissibilita della

domanda, la prova rigorosa diretta a dimostrare che, per

ragioni 11011 aserivibili a loro colpa, siffatta possibility essi

avevano avuto soltanto I'll marzo 1959 e non prima. Ob

bligo che non poteva ritenersi assolto dalla semplice indi

eazione della suddetta data, poiche, da un lato, la data di

rilascio della copia di un doeumento di per se non prova anclie che l'interessato ne abbia acquisito la conoscenza nello

stesso giorno e non anteriormente, e, d'alt.ro lato, che, com'e pacifico e come la sentenza impugnata dä atto, gli atti della istruttoria penale erano divenuti ostensibili col

deposito della sentenza di proscioglimento, avvenuto il

23 gennaio 1959, cosi che, quanto meno da tale data, risul

tava rimosso l'ostacolo del segreto istruttorio che, secondo

l'assunto dei ricorrenti, aveva impedito la conoscenza dei

doeumenti nel senso da essi inteso. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 12 ottobre 1962, n. 2932 ; Pres.

Vaballo P., Est. Rapisarda, P. M. Tavolaro (concl.

conf.) ; Sanderson and Sons (Aw. Nicolõ) c. De Leo.

(Oassa App. Messina 26 luglio 1960)

Lavoro (rapporto) — Orario di lavoro Lavoro

discontinue « di eustodia — Limiti legali di du

rata — Inapplieabilitä — Determinazione della

durata del lavoro mcdiante contratto collcttivo

o individuale — Ammissibilitä — Lavoro straor

diuario— Retribuzione (Cod. civ., art. 2107 ; r. d. 10

settembre 1923 n. 1956, limitazione orario di lavoro). Lavoro (rapporto) —- Orario di lavoro — Lavoro di

scontinuo o di eustodia — Limitazioni stabilitc

nel regolamento 10 settembre 1956 — Inappli cabilitä ai rapporto di portierato.

Lavoro (rapporto) — Orario di lavoro — Lavoro

straordinario — Retribuzione — Maggiorazione

(R. d. 10 settembre 1923 n. 1956. art. 3).

La durata giornaliera del lavoro discontinuo o di eustodia

(nella specie, lavoro di portierato) non e soggetta a limiti

legali, ma pud essere diseiplinata dal contratto collettivo

o individuale. (1) Pertanto, ehi e addetto a lavori discontinui o di eustodia ha

diritto a compenso per lavoro straordinario soltanto se la

durata del lavoro b stabilita nel contratto collettivo o indi

viduale ed il lavoro prestato oltrepassa la durata mede

sima. (2) Il regolamento 10 settembre 1956 si riferisce alle limitazioni

di orario per i dipendenti delle aziende agricole e non e

applicabile ai portieri. (3) Nel caso di lavoro prestato oltre Vorario stabilito dalla legge

o dal contratto collettivo o individuale ai lavoratore spetta soltanto 1'aumento del 10% sulla retribuzione oraria sta

bilita, e non la decuplicazione della retribuzione con lo

aumento del 10%. (4)

(] -4) In senso conforme sulla prima mässima, v. Cass. 0

agosto 1962, nn. 2400 e 2401, Foro it., Rep. 1962, voce Lavoro

(rapporto), nn. 509, 510, 516-520 ; 23 maggio 1961, n. 1217, id., Rep. 1961, voce eit., n. 362 ; 13 ottobre 1960, n. 2709, id., Rep. I960, voce eit., n. 458.

La Cass. 13 ottobre 1960, n. 2709, sõpra eit., ha peraltro escluso ehe gli impiegati e gll operai addetti a lavoro discontinuo siano esposti all'obbligo di prestare la loro attivitä oltre qual siasi limite di orario.

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999 PARTE PRIMA 1000

La Corte, ecc. — Di tutte le questioni dibattute nel giu dizio di merito, solo due sono residuate e portate aU'esame

di questa Suprema corte l'una relativa al lavoro straordi

nario, l'altra ad un errore nel computo dell'indennit^ di

anzianita.

In ordine alia prima, occorre premettere che 6 pacifico in punto di fatto che il De Leo, per il periodo dal 24 marzo

1952 al 3 maggio 1955, presto servizio di portiere (a turno

con altro portiere) per 12 ore al giorno e per 5 giorni ogni settimana, e che il corrispettivo contrattualmente fissato

con riferimeuto a detto numero di ore gli b stato regolar mente pagato dal datore di lavoro.

La Corte di Messina ritenne che la prestazione del por

tiere, pur d oven do si considerare discontinua o di attesa, non si sottraesse al limite di orario e che il di piil dovesse

essere compensate come lavoro straordinario e che, nella

specie, tale limite dovesse fissarsi in 10 ore giornaliere in

conformity di quanto disposto dal regolamento 10 settembre

1923 n. 1956 sulla limitazione dell'orario per i lavoratori

delle aziende agricole ed alia relativa tabella approvata con r. decreto 6 dicembre 1923 n. 2657.

La ricorrente, col primo mezzo, denuncia la violazione

dell'art. 2108 cod. civ., in riferimeuto al r. decreto 6 di

cembre 1923 n. 2657, nonche l'errata applicazione del r.

decreto 10 settembre 1923 n. 1956 e, comunque, la contrad

dittorietä di motivazione in ordine al computo della mag

giorazione per il preteso lavoro straordinario, e deduce :

che il decreto n. 2657 del 1923 dichiara esplicitamente che

al lavoro discontinuo non e applicabile la materia della

limitazione di orario; che, conseguentemente, veniva a

mancare il presupposto per l'applicabilita dell'art. 2108,

dovendosi considerare rientrante nell'orario normale anche

quello eccedente le otto ore giornaliere ; che il r. decreto

n. 1956 del 1923 non e applicabile al caso in esame percho si riferisce ai lavoratori di aziende agricole, che, comunque, avrebbe dovuto liquidarsi soltanto la maggiorazione del

10% sulle due ore di lavoro considerato straordinario e

non gia l'equivalente paga delle due ore (che era compresa nella retribuzione pattuita) con l'aggiunta del 10%.

Le censure sono fondate.

La durata del lavoro, come e noto, 6 stata disciplinata dal r. decreto 15 marzo 1923 n. 692, che costituisce tuttora

la norma fondamentale in materia.

Per la manifesta infondatezza della questione d'illegittimita costituzionale della seconda parte dell'art. 3 r. decreto legge n. 692 del 1923, v. Trib. Roma 26 gennaio 1960, ibid., n. 467.

Secondo App. Genova 31 ottobre 1960, id., Rep. 1961, voce

cit., n. 213, la discontinuity* propria del servizio di portierato non esclude l'esigenza della costante presenza di una persona che custodisca lo stabile e, pertanto, l'imprenditore non e tenuto a compensare anche la persona da cui il portiere si e fatto sosti

tuire durante qualche assenza. Tn relazione alia quarta massima, per il carattere dispositivo

dell'art. 2108 cod. civ. e dell'art. 5 r. decreto 15 marzo 1923

n. 692 e per la possibilitä della deroga mediante una regolamen tazione contrattuale che assicuri al lavoratore un trattamento

almeno pari a quello risultante dall'applicazione dei minimi le

gislative v. App. Genova 22 novembre 1960, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 355, 356.

Per l'esclusione della forfetizzazione del compenso per il lavoro

straordinario, v. App. Firenze 28 aprile 1960, ibid., n. 370.

Per qualche riferimento nel senso che la prestazione del

lavoro straordinario puõ essere provata anche per presunzioni

semplici, v. Cass. 12 marzo 1962, n. 489, id., 1962, I, 1528, con

osservazione favorevole di Branca.

Sul lavoro straordinario, v. la rassegna di giurisprudenza re

lativa agli anni 1956-1960 di Codagnone, in Dir. economia,

1962, 740. Ancora per riferimento sull'incostituzionalita dell'art. 1,

2° comma, n. 6, della legge 22 febbraio 1934 n. 370, che esclude

per alcune categorie il diritto ad un riposo settimanale di venti

quattro ore consecutive, v. Corte cost. 7 luglio 1962, n. 76,

Foro it., 1962, I, 1222, con nota di richiami.

Infine per l'inapplicabilita dell'art. 36 Cost, alle attivita

che abbiano carattere discontinuo e cioe siano svincolate da un

qualsiasi obbligo di orario e costituiscono soltanto un a c ss rio

rispetto alla principale e nonnale attivita, v. Cass. 17 ottobre

1960, n. 2777, id., Rep. 1960, voce cit., n. 266.

Secondo tale decreto, la durata massima normale della

giornata di lavoro. . . « ovunque 6 prestato mi lavoro sala

riato o stipendiato alle dipendenze o sotto il eontrollo altrui, non poträ, eccedere 8 ore al giorno o le 48 ore settimanali

di lavoro effettivo » (art. 1), salvo, sull'accordo delle parti, il prolungamento fino a non oltre due ore giornaliere o 12

ore settimanali, nel qual caso codesto lavoro straordinario

deve essere computato a parte e remunerato con un auinento

di paga, rispetto a quella per il lavoro ordinario, non in

feriore al 10% (art. 5). Nell'art. 3, poi, 6 detto clie si con

sidera lavoro effettivo ogni lavoro che richieda una appli eazione assidua e continuativa e, conseguentemente, clie

lion sono compresi in tale dizione quelle oeeupazioni clie

richiedano, per loro natura o nella specialitä del caso, un

lavoro discontinuo o di semplice attesa o di custodia.

A maggiore specificazione, venne successivamente, col decreto 6 dicembre 1923 n. 2657, pubblicata la tabella

indicante «le oeeupazioni che richiedono un lavoro discon

tinuo o di semplice attesa e di custodia, alle quali non e

applicabile la limitazione di orario sancita daH'art. 1 della

legge n. 692 del 1923 » ed in essa, ai mi. 1, 2 e 3 sono i.ndi cati i custodi, i guardiani diurni, i portinai, ecc.

Dal chiaro testo delle dette leggi si deduce, quindi, con

certezza che, rispetto al lavoro discontinuo in genere (ed in modo particolare per il lavoro di custodia, nei cui con

fronti non e'e possibilitä di sottilizzare sul significato di

discontinuity o di attesa), non e in via di principio ipotizza bile il «lavoro straordinario ».

Ciõ 11011 significa, tuttavia, che il lavoro discontinuo o

di semplice attesa o di custodia sia assolutamente incompa tibile con la limitazione di orario. Esso, infatti, 11011 essendo

soggetto a limitazioiie legale, pud ben essere, in ordine alia

durata, regolato nell'ambito dell'economia negoziale delle

associazioni sindacali o dei singoli soggetti del rapporto, ed

in tal caso, qualora il lavoro si protragga oltre il tempo patti ziamente fissato, dovrä essere considerato straordinario e

compensato nel modo previsto dall'art. 5 della legge n. 692.

Nel caso in esame, non o stata prospettata l'esistenza di

disposizioni sindacali, ne si contesta, come e stato giä detto, che la durata del lavoro era stata d'accordo fissata in do

dici ore giornaliere e che in base ad essa e stata corrisposta la retribuzione. Consegue che solo nel caso che il De Leo

avesse prestato lavoro oltre tale limite (ciõ che non e) avrebbe potuto essergli attribuito lo speciale compenso.

II richiamo al regolamento del 10 settembre 1956, sul

quale sostanzialmente si fonda la sentenza impugnata, e

palesemente fuori luogo, perche esso si riferisce esclusiva

mente alle limitazioni di orario per i lavoratori delle aziende

agricole, in cui non rientra sicuramente l'azienda della ri

corrente.

Escluso che nella specie possa configurarsi una presta zione di lavoro straordinario, rimane assorbita la censura

subordinata relativa al computo del compenso, la quale,

peraltro, sarebbe stata anch'essa fondata.

Infatti, in base al disposto dell'art. 3 del piü volte citato

decreto n. 692 del 1923, sarebbe spettato soltanto l'au

mento del 10% sulla retribuzione giä corrisposta per le

due pretese ore di lavoro straordinario e non giä la duplica zione della retribuzione con l'aggiunta del 10%. (Omissis)

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 10 ottobre 1962, n. 2915 ; Pres.

VerzI P., Est. Cesakoni, P. M. Trotta (concl. eonf.) ;

Min. poste e telecomunicazioni (Aw. dello Stato Beon

zini) c. Rive]la (Aw. Sequi, Galante Gareone), Banca popolare di No vara e Cassa di risparmio della

Marca Trevigliana.

(Gonferma App. Venezia 20 maggio 1960)

Titoli di credit» Assejjno circolare — Altcrazioni —• Falsificazione del noine del prenditore

— Inop

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