sezione II civile; sentenza 13 dicembre 2001, n. 15760; Pres. Calfapietra, Est. Settimj, P.M.Palmieri (concl. diff.); Tommasino (Avv. Segarelli) c. De Maria (Avv. Caruso). Cassa App. Roma12 gennaio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2781/2782-2785/2786Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196855 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Qui il tribunale, nell'interpretare l'accordo aziendale del 22
gennaio 1982, afferma che sebbene esso limiti la prestazione
pecuniaria sostitutiva della mensa ai lavoratori adibiti al turno
«a motivo della mancata prestazione del servizio mensa durante
il turno di notte», esclude che l'indennità sostitutiva possa esse
re frazionata in base alle ore di lavoro notturno effettuate da cia
scun dipendente e che essa possa essere determinata in propor
zione, soltanto perché tanto non risulta dall'accordo.
In tal modo però il giudice del merito non solo trascura il dato
testuale dell'intesa aziendale in ordine all'indennità sostitutiva
di mensa, da interpretarsi, secondo quanto pure evidenzia, nel
senso di escluderla per i lavoratori che non siano adibiti al turno
notturno, ma anche il criterio complessivo dell'interpretazione
sistematica, non avendo considerato il collegamento funzionale,
dallo stesso giudice rilevato, dell'indennità in questione alla
mancanza del servizio durante il turno di lavoro di notte. Né il
tribunale ha tenuto conto della coerenza della precedente dispo sizione contrattuale relativa alla determinazione dell'indennità
nella misura fissa mensile con la limitazione della sua erogazio
ne, dopo l'istituzione del servizio mensa, ai lavoratori del turno
notturno, e della congruenza del mantenimento dell'indennità in
questione in misura fissa per tutti i lavoratori impiegati nel lavo
ro di notte indipendentemente dalla durata di tale prestazione, sia contenuta in un solo giorno al mese, sia prolungata in più turni settimanali nell'ambito di un mese.
Sempre ai fini della ricerca dell'effettiva volontà dei con
traenti rapportata al complessivo regolamento contrattuale, e
malgrado la carenza del lessico, sulla quale concordano anche i
lavoratori (v. controricorso), in ordine al mantenimento nella
precedente misura fissa dell'indennità sostitutiva di mensa dopo l'intesa aziendale del 1982, il giudice del merito ha omesso poi
qualsiasi valutazione sul comportamento complessivo delle parti successivamente a tale data e dopo che nel 1984 era stato ripri stinato il turno di lavoro notturno: infatti, sebbene la ripresa
dell'erogazione dell'indennità in questione fosse avvenuta sol
tanto nel 1994 (in misura rapportata alle ore di lavoro notturno
espletate da ciascuno dei lavoratori), non risulta che in prece denza i lavoratori avessero reclamato la corresponsione dell'in
dennità in questione nella misura fissa di quindicimila lire men
sili, determinata prima che fosse istituito il servizio mensa.
D'altra parte, considerata la mancanza di chiarezza nella
pattuizione del 1982 sull'individuazione della misura dell'in
dennità, né confermata in quella precedente fissata di quindici mila lire mensili né innovata con il frazionamento e la determi
nazione in base alle ore svolte, sebbene l'accertato collega mento dell'indennità alla mancata fruizione del servizio mensa
da parte dei lavoratori impiegati nel turno di notte, il giudice del
merito non ha verificato la rispondenza dell'interpretazione, alla
quale è pervenuto, del complessivo regolamento contrattuale al
criterio ermeneutico sussidiario, posto dall'art. 1366 c.c., della
buona fede in senso oggettivo, considerando le circostanze che
avevano indotto le parti all'intesa e la funzione del contratto in
relazione al loro rispettivo interesse.
Con il secondo motivo la società Plalam denuncia violazione
e falsa applicazione degli art. 2099 e 2121 c.c. e dell'art. 6 d.l.
11 luglio 1992 n. 333, convertito nella 1. 8 agosto 1992 n. 359,
nonché vizio di motivazione, e si duole che il giudice del meri
to, pur avendo escluso il carattere retributivo dell'indennità so
stitutiva di mensa, abbia riconosciuto la sua incidenza sulla tre
dicesima mensilità sul rilievo che l'accordo aziendale più volte
innanzi richiamato era anteriore all'entrata in vigore del d.l. n.
333 del 1992 e che nell'accordo il valore dell'indennità era
convenzionalmente fissato in quindicimila lire mensili, ma
omettendo di considerare che l'accordo nulla prevedeva al ri
guardo. Anche questo motivo è fondato. L'art. 6 d.l. 11 luglio 1992 n.
333, convertito, con modificazioni, nella 1. 8 agosto 1992 n.
359, dispone: «Salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, an
che aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di
mensa, comunque gestito ed erogato, e l'importo della presta zione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usu
fruisce del servizio istituito dall'azienda, non fanno parte della
retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrat
tuali del rapporto di lavoro» (3° comma). «Sono fatte salve, a
far data dalla loro decorrenza, le disposizioni degli accordi e dei
contratti collettivi, anche aziendali, pur se stipulati anterior
II Foro Italiano — 2002.
mente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che
prevedono limiti e valori convenzionali del servizio di mensa di
cui al 3° comma e dell'importo della prestazione sostitutiva di
esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito, a
qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rap
porto di lavoro subordinato» (4° comma). In base all'interpretazione letterale di detta norma, e secondo
il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa corte
(v., fra le più recenti, la sentenza 8 giugno 2001, n. 7824, id.,
2001, I, 2500), l'indennità sostitutiva della mensa non fa parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e
contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una di
versa previsione da parte dei contratti collettivi nazionali e
aziendali, anche se stipulati anteriormente all'entrata in vigore del citato decreto.
Su tale interpretazione ha concordato in modo esplicito pure la sentenza impugnata, la quale però ha ritenuto la computabilità dell'indennità sostitutiva soltanto perché l'accordo aziendale
con cui era stata determinata in misura fìssa era anteriore al de
creto legge ora menzionato, senza accertare se il predetto accor
do disponesse per l'inclusione dell'indennità sostitutiva del ser
vizio mensa nella base di calcolo della tredicesima mensilità.
Accolto il ricorso, la causa va rimessa ad altro giudice d'ap
pello che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi in
nanzi esposti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 13 di
cembre 2001, n. 15760; Pres. Calfapietra, Est. Settimj, P.M.
Palmieri (conci, diff.); Tommasino (Avv. Segarelli) c. De
Maria (Avv. Caruso). Cassa App. Roma 12 gennaio 1999.
Prova civile in genere — Ammissioni contenute negli atti di
fensivi sottoscritti unicamente dal procuratore — Elemen
ti indiziari liberamente valutabili dal giudice — Ammis
sioni contenute negli atti difensivi sottoscritti anche dalla
parte — Valore confessorio (Cod. civ., art. 2730; cod. proc.
civ., art. 116).
Le ammissioni contenute negli atti difensivi sottoscritti unica
mente dal procuratore ad litem, pur non avendo valore con
fessorio, costituiscono elementi indiziari liberamente valuta
bili dal giudice per la formazione del proprio convincimento;
quando invece gli stessi atti rechino in calce o a margine an
che la sottoscrizione della parte, il giudice può attribuire alle
ammissioni ivi contenute valore confessorio. ( 1 )
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione 29 giugno
1989, Euclide Tommasino — premesso che dal 1983 aveva
(1) Cfr., da ultimo, in termini, Cass. 30 marzo 2001, n. 4727, Foro
it., Rep. 2001, voce Prova civile in genere, n. 44; 26 marzo 1999, n.
2894, id., Rep. 1999, voce cit., n. 32; 23 luglio 1997, n. 6909, id., Rep. 1998, voce cit., n. 34, e, per esteso. Arch, civ., 1998, 187, e Fallimento,
1998, 1025; ma sul punto, cfr. anche Cass. 4 giugno 2001, n. 7561, Fo
ro it., Rep. 2001, voce cit., n. 41, la quale ha ritenuto che «in tema di
prova civile, le ammissioni provenienti dal difensore possono avere
solo valore indiziario, che, peraltro, difficilmente può riconoscersi ove
si tratti di affermazioni che esulino dalla linea difensiva assunta»; non
ché Cass. 17 marzo 1998, n. 2849, id., Rep. 1998, voce Presunzione, n.
6, secondo la quale «il giudice di merito può attribuire valore di ele
mento di prova alle dichiarazioni rese dal procuratore negli atti difensi
vi (nel caso di specie si trattava di dichiarazioni rese nella comparsa di
risposta)». Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali e dottrinali sul punto e, più
in generale, sul tema delle «ammissioni del difensore», cfr. per tutti E.
Fabiani, Le ammissioni de! difensore nella giurisprudenza della Cassa
zione, id., 1997, I, 3257; nonché, in stretta connessione con il principio di non contestazione, Carratta, Il principio della non contestazione
neIprocesso civile, Milano, 1995, spec. 505 ss.
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2783 PARTE PRIMA 2784
avuto una relazione more uxorio con Anna Maria De Maria;
che, in vista della nascita d'un figlio, frutto di tale relazione, s'era ripromesso d'acquistare un appartamento sito in Roma, via Colfelice n. 18, attingendo la somma necessaria dai propri
risparmi ed in particolare, chiedendo alla Rai, della quale era
dipendente, un'anticipazione sulla liquidazione, erogabile per
l'acquisto della prima casa per sé o per i figli; che, al fine d'ot
tenere tale anticipazione e realizzare l'acquisto, aveva concor
dato con la De Maria di trasferirle fittiziamente un apparta
mento, già di sua proprietà, sito in Roma, via Tebaldi n. 38, il
che era avvenuto con contratto di compravendita 13 maggio
1985; che, in adempimento di tale accordo, per atto Notar Caro
si 8 luglio 1986 aveva acquistato l'appartamento di via Colfeli
ce n. 18 la cui proprietà, per una quota del quaranta per cento, era stata intestata al minore mentre l'appartamento di via Tebal
di, oggetto della fittizia compravendita, era rimasto nella pro
pria totale disponibilità e, infatti, l'aveva concesso in comodato
a tal Francesco Carbone; che, fallito il rapporto sentimentale
con la De Maria, quest'ultima l'aveva minacciato di far valere il
contratto simulato qualora non le avesse intestato il restante ses
santa per cento dell'appartamento di via Colfelice — conveniva
Anna Maria De Maria innanzi al Tribunale di Roma al fine di
sentir dichiarare la simulazione assoluta dell'atto di compraven dita inter partes del 13 maggio 1985 con conseguente sua decla
ratoria di nullità od inefficacia.
Costituendosi, la De Maria s'opponeva alla domanda chie
dendone il rigetto e, con successive citazioni, conveniva a sua
volta in giudizio il Tommasino ed il Carbone onde ottenere che
quest'ultimo fosse condannato a rilasciare l'appartamento ille
gittimamente concessogli in comodato ed al risarcimento dei
danni.
Disposta la riunione dei giudizi ed espletata prova testimo
niale, con sentenza 25 ottobre 1995 il Tribunale di Roma — ri
levata l'impossibilità morale dell'attore di fornire prova scritta a
sostegno della proposta azione di simulazione, stanti i pregressi
rapporti sentimentali tra le parti e la circostanza dell'imminente
nascita del figlio; ritenuto che nella specie ricorressero le condi
zioni per l'applicazione dell'art. 2724, nn. 1 e 2, c.c.; che le
prove orali avessero confermato l'esistenza nel negozio dissi
mulato — dichiarava la simulazione assoluta del contratto di
compravendita 13 maggio 1985.
Avverso tale decisione la De Maria proponeva gravame cui
resisteva il Tommasino, mentre il Carbone rimaneva contumace.
Con sentenza 12 gennaio 1999, la Corte d'appello di Roma — ritenuto, contro l'avviso del tribunale, che non fosse ravvisa
bile un principio di prova scritta nell'affermazione, contenuta
nell'atto di citazione della De Maria, concernente il riconosci
mento dell'esclusiva gestione a cura del Tommasino dell'ap
partamento di via Tebaldi; che, a prescindere da ogni considera
zione circa la natura ammissiva d'una circostanza contenuta
nell'atto di citazione redatto dal procuratore della parte, tale af
fermazione non potesse leggersi disgiuntamente dall'altra, di
segno opposto, con la quale la stessa s'era dichiarata proprieta ria del bene; che neppure condivisibile fosse l'opinione del tri
bunale circa l'impossibilità morale del Tommasino di procurarsi una prova scritta dell'accordo dissimulato in considerazione del
legame sentimentale con la De Maria e dell'attesa del figlio,
poiché, al contrario, la condizione psicologica riferibile alla na
scita del bambino avrebbe dovuto rafforzare, nel Tommasino,
l'esigenza di pretendere dall'acquirente la controdichiarazione
allo scopo di far risultare chiaramente l'intenzione di non voler
creare una situazione patrimoniale pregiudizievole alla propria
famiglia legittima; che dovesse pertanto affermarsi l'insussi
stenza delle condizioni per l'ammissibilità delle deroghe alla
prova documentale previste dall'art. 2724, nn. 1 e 2, c.c. ai fini
dell'azione di simulazione; che la domanda di risarcimento del
danno proposta dalla De Maria fosse priva di fondamento poi ché, avendo ella consentito l'esclusiva gestione del bene da
parte del Tommasino, il comodato da questi concesso doveva
considerarsi dalla stessa implicitamente autorizzato e, dunque,
legittimo — in parziale accoglimento dell'appello della De Ma
ria, respingeva l'originaria domanda del Tommasino compen sando interamente le spese del giudizio.
Avverso tale sentenza Euclide Tommasino proponeva ricorso
per cassazione con tre pluriarticolati motivi, illustrati anche da
successiva memoria.
Resisteva Anna Maria De Maria con controricorso.
Il Foro Italiano — 2002.
Motivi della decisione. — Devesi, preliminarmente, disatten
dere l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, sollevata dalla
resistente, per difetto di valida procura speciale al difensore che
ha redatto e sottoscritto l'atto introduttivo di controparte. La più recente giurisprudenza di questa corte anche a sezioni
unite — innovando rispetto al precedente indirizzo interpretati vo cui la resistente ha fatto riferimento — ritiene infatti che,
quando l'atto introduttivo del giudizio di legittimità contenga —
a margine, od in calce, o su foglio separato ad esso material
mente unito — una procura rilasciata al difensore che l'ha sot
toscritto, tale procura, salvo che dal suo contesto inequivoca mente risulti il contrario, deve considerarsi conferita per il giu dizio di cassazione e tale da soddisfare, perciò, il requisito della
specificità previsto dall'art. 365 (non il 366, n. 5, erroneamente
citato in controricorso) c.p.c. anche se non contenga espressi ri
ferimenti alla sentenza da impugnare e/o al giudizio da promuo vere.
Posto, dunque, che nel caso in esame non è ravvisabile alcun
elemento dal quale sia desumibile una volontà del mandante
d'escludere l'utilizzazione della rilasciata procura per il giudi zio di legittimità, si può passare all'esame del ricorso.
Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente — denun
ziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2724 c.c. in rife
rimento all'art. 2702 c.c. — si duole che la corte territoriale ab
bia dubitato dell'idoneità formale dell'atto di citazione di con
troparte a contenere una confessione stragiudiziale, nonostante
vi risultasse a margine la delega con sottoscrizione autenticata, ed abbia ritenuto che le dichiarazioni contenutevi, onde costitui
re ammissioni idonee a costituire principio di prova scritta pro veniente dalla controparte dovessero non configgere con altre
contestuali dichiarazioni ed avere significato univoco, negando la rilevanza probatoria e/o indiziaria così delle affermazioni
della controparte, dalla quale s'era escluso di voler abitare e ge stire l'immobile, come delle circostanze oggettive acquisite,
comprovanti la perdurante detenzione del bene da parte del ven
ditore successivamente all'apparente vendita.
Con il terzo motivo, il ricorrente — denunziando carenza ed
illogicità di motivazione su punti decisivi della controversia —
si duole che la corte territoriale abbia, da un lato, espresso l'o
pinione, già con i primi due motivi contestata in diritto, che fos
se irrilevante l'ammissione scritta della controparte circa il
permanere del bene in detenzione ed in godimento d'esso ricor
rente, tanto da negargli il beneficio dell'ammissione alla prova
per presunzioni, dall'altro abbia contraddittoriamente ritenuto
decisive le dichiarazioni contenute nel medesimo documento ai
fini del rigetto della stessa domanda della controparte; abbia,
inoltre, omesso di correlare la circostanza ammessa con gli altri
elementi acquisiti agli atti e valutati dal primo giudice, in parti colare non tenendo conto né della prova raggiunta in ordine alla
causa simulandi, né della circostanza incontestata dell'intensis
simo affetto tra le parti all'epoca dei fatti dal quale era legittimo
presumere un reciproco rapporto fiduciario, né della rinuncia ai
testimoni in occasione della stipula, né dell'inadeguatezza del
prezzo dichiarato nell'atto rispetto al reale valore del bene, né
della prova fornita in merito al mancato pagamento di detto
prezzo da parte della simulata acquirente, alla mancata esecu
zione del contratto di compravendita, alla gestione autonoma ed
incontrollata del bene da parte d'esso ricorrente.
I motivi come sopra sintetizzati, che, per essere tra loro va
riamente connessi, possono formare oggetto di unitaria tratta
zione, risultano fondati per quanto di seguito, dacché la corte
territoriale, con motivazione sommaria, viziata in diritto e ca
rente in fatto, ha erroneamente escluso ricorressero le condizio
ni perché il caso in esame fosse riconducibile alla previsione dell'art. 2724, nn. 1 e 2, c.c. e potesse, pertanto, essere deciso
anche sulla base di deposizioni testimoniali e presunzioni. Anzi tutto, va censurata l'affermazione con la quale la corte
territoriale s'è sbrigativamente sottratta, espressamente dichia
rando di pretermetterla, all'onere di esaminare, rispetto alla
controversia sottopostale, la «questione circa la natura di am
missione di una circostanza contenuta nella citazione redatta dal
procuratore della parte», questione, per contro, di determinante
rilievo ai fini della decisione. Questa corte ha, infatti, avuto ripetutamente occasione d'evi
denziare, non solo che le ammissioni contenute negli atti difen
sivi sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, pur non
avendo valore confessorio, costituiscono non di meno elementi
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2785 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2786
indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del
proprio convincimento, ma altresì che, ove gli stessi atti rechino
in calce od a margine anche la sottoscrizione della parte, alle
ammissioni contenutevi può senz'altro essere attribuito valore
confessorio, dovendosene presumere la piena conoscenza e,
quindi, l'assunzione della relativa responsabilità, da parte del
l'interessato (Cass. 26 marzo 1999, n. 2894, Foro it., Rep. 1999, voce Prova civile in genere, n. 32; 23 luglio 1997, n. 6909, id.,
Rep. 1998, voce cit., n. 34; 22 novembre 1995, n. 12096, id.,
Rep. 1995, voce cit., n. 49; 1° dicembre 1992, n. 12830, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 36; 12 luglio 1991, n. 7764, ibid., voce
Prova documentale, n. 15). Né il valore confessorio dell'affermazione contenuta, per
quanto attiene alla presente controversia, nell'atto di citazione
24 maggio 1990, recante a margine la procura sottoscritta dalla
De Maria, poteva essere fondatamente disatteso, sulla sola con
siderazione della contestuale affermazione della proprietà del
l'immobile, senza un'adeguata motivazione in ordine alla rite
nuta prevalenza della seconda sulla prima, invece del tutto man
cante.
Motivazione la cui necessità sarebbe apparsa evidente ove
solo si fosse considerato che, mentre l'affermazione della pro
prietà era logicamente imprescindibile nella promossa azione in
quanto condizione d'accoglibilità della domanda intesa al recu
pero della disponibilità dell'immobile, proprio tale necessaria
premessa della pretesa fatta valere risultava ictu oculi logica mente inconciliabile con la contestuale affermazione d'essersi la
stessa parte istante completamente disinteressata dell'immobile
assuntivamente acquistato lasciandone la gestione all'apparente venditore dalla stipulazione nel maggio 1985 alla redazione
della citazione nel maggio 1990, questa addirittura di quasi un
anno successiva alla stessa introduzione da parte del detto appa rente venditore del contrapposto giudizio inteso a far valere la
simulazione della vendita nei confronti d'essa apparente acqui rente; tanto più che, nei negozi traslativi della proprietà o d'altri
diritti reali non essendo configurabile un costituto possessorio
implicito nel fatto che l'alienante rimanga nel godimento del
bene compravenduto (Cass. 15 febbraio 1996, n. 1156, id., Rep. 1997, voce Possesso, n. 20; 24 giugno 1994, n. 6095, id., Rep. 1994, voce cit., n. 40; 21 dicembre 1993, n. 12621, id., Rep. 1993, voce Vendita, n. 52), il contrasto tra le due affermazioni
risultava di tutto rilievo, dal momento che nessuna giustifica zione trovava situazione siffatta in difetto di specifica clausola
contrattuale che esplicitamente la prevedesse e legittimasse. In ragione dei rilevanti profili l'impugnata sentenza risulta
viziata per errata interpretazione ed applicazione dell'art. 2724, n. 1, c.c. in relazione agli art. 2730 ss. c.c. e 116 c.p.c. e per di
fetto d'esauriente e logica motivazione, quindi censurabile nella
parte in cui è stato escluso che nel caso di specie ricorressero i
presupposti d'applicabilità della prima delle citate norme ed è
stata, di conseguenza, esclusa l'utilizzabilità delle assunte prove testimoniali e delle allegate presunzioni ai fini del decidere.
A conclusione identica si perviene anche in ordine alla parte
dell'impugnata sentenza nella quale è stata del pari esclusa l'u
tilizzabilità delle prove testimoniali e delle presunzioni in con
seguenza della ritenuta inapplicabilità al caso in esame dell'art.
2724, n. 2, c.c.
Se è vero, infatti, che per la ricorrenza dell'impossibilità mo
rale di procurarsi la prova scritta di cui alla citata norma non è
sufficiente, per la parte onerata della produzione della prova stessa, la deduzione d'una astratta posizione di preminenza della
persona dalla quale la dichiarazione scritta doveva esser pretesa o d'un vincolo affettivo con la persona stessa, è pur vero che,
peraltro, la valutazione debba sempre essere operata in conside
razione del caso concreto e la circostanza de qua non possa es
sere negata ove a tali generiche deduzioni s'accompagni anche
quella d'altre speciali e/o particolari circostanze concorrenti a
determinare una specifica situazione d'oggettivo impedimento
psicologico alla richiesta d'una dichiarazione siffatta.
Nel qual caso, d'altronde, occorre puntualizzare, onde non
privare di qualsiasi contenuto la previsione normativa, non può
pretendersi l'allegazione di circostanze ostative assolute, ma
può ritenersi sufficiente, per integrare gli estremi d'una situa
zione d'impossibilità morale, specie ove si verta in tema di rap
porti affettivi, l'allegazione di circostanze anche di solo detta
glio nelle quali, più che nel consueto, un atteggiamento di so
spetto e/o sfiducia, se pure giustificato sotto il profilo patrimo
II Foro Italiano — 2002 — Parte 1-52.
niale, finirebbe per ingenerare comprensibili risentimenti e mo
tivi di crisi nei rapporti interpersonali; di tal che, in tali ipotesi,
l'opera del giudice deve volgersi, con particolare sensibilità, alla valutazione delle circostanze dedotte in relazione sia al tipo di rapporto inter partes, in quanto anche nell'ambito di quelli affettivi in genere e familiari in ispecie ben possono operarsi di
stinzioni a seconda della natura e del grado del rapporto, sia alla
possibile incidenza d'eventi o situazioni particolari, in quanto lo
stato di esso può attraversare momenti diversi e condizionare
quindi a seconda delle circostanze gli atteggiamenti di ciascuno
dei soggetti. Nella specie, l'allegazione da parte dell'attore della conco
mitanza tra l'apparente trasferimento immobiliare e l'attesa del
l'imminente nascita del figlio concepito con la convenuta, non
ché la particolare atmosfera di quel momento nel rapporto di
coppia, che non consentivano turbative per atteggiamenti di so
spetto e sfiducia dettati da volgari interessi patrimoniali, era
stata correttamente presa in considerazione dal tribunale proprio nella sua essenza di quidpluris rispetto al semplice consueto le
game affettivo tra i conviventi.
A tale puntualizzazione, all'evidenza idonea e sufficiente, per le considerazioni precedentemente svolte in tema d'interpreta zione dell'art. 2724, n. 2, c.c., a giustificare l'applicazione della
norma stessa o, quanto meno, ad imporre un'adeguata e convin
cente motivazione ove tale applicazione si fosse ritenuto di do
ver escludere, la corte territoriale ha, per contro, negato rilievo
limitandosi a dubitare («non pare») della ricorrenza degli estre
mi dell'impossibilità morale in considerazione della massima
tratta da Cass. 26 marzo 1992, n. 3750 (id, Rep. 1992, voce
Prova testimoniale, n. 8), della quale non ha ben valutato la se
conda parte, oltre a non tener presente la sostanziale difformità
del caso decisovi (si discuteva non dell'impossibilità morale
dell'apparente venditore di farsi rilasciare la controdichiarazio
ne da parte dell'apparente acquirente ma, sul presupposto indi
mostrato che tale controdichiarazione fosse stata effettivamente
rilasciata, dell'impossibilità d'ottenerne la consegna da parte di
terzo detentore) rispetto a quello rimesso alla sua decisione.
Né vale ad integrare siffatta carenza di motivazione l'ulterio
re considerazione che la particolare situazione dedotta avrebbe
dovuto piuttosto rafforzare nell'apparente venditore l'esigenza di pretendere la controdichiarazione a tutela degli interessi della
famiglia legittima, considerazione illogica ed avulsa dalla realtà, dacché tutta la complessa attività posta in essere dal Tommasino
nella circostanza, ben evidenziata dal primo giudice e negletta dal secondo, lasciava chiaramente intendere un'attenzione in
centrata sulla sola famiglia di fatto, cui si proponeva di creare
un'autonoma condizione abitativa e patrimoniale, ed una totale
pretermissione di qualsiasi considerazione nei confronti di
quella legittima, in ragione delle cui eventuali pretese, anzi, l'attività stessa s'appalesava cautelativamente preordinata.
Anche sotto l'esaminato ulteriore profilo l'impugnata senten
za risulta, dunque, viziata, per erronea interpretazione ed appli cazione dell'art. 2724, n. 2, c.c. e per insufficiente ed illogica motivazione.
Il ricorso va, dunque, accolto e la causa deve essere, di con
seguenza, rinviata per nuova valutazione ad altro giudice del
merito di secondo grado che si indica in diversa sezione della
medesima corte d'appello.
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