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sezione II civile; sentenza 13 dicembre 2001, n. 15760; Pres. Calfapietra, Est. Settimj, P.M....

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sezione II civile; sentenza 13 dicembre 2001, n. 15760; Pres. Calfapietra, Est. Settimj, P.M. Palmieri (concl. diff.); Tommasino (Avv. Segarelli) c. De Maria (Avv. Caruso). Cassa App. Roma 12 gennaio 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2781/2782-2785/2786 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196855 . Accessed: 28/06/2014 07:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.31 on Sat, 28 Jun 2014 07:30:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 13 dicembre 2001, n. 15760; Pres. Calfapietra, Est. Settimj, P.M.Palmieri (concl. diff.); Tommasino (Avv. Segarelli) c. De Maria (Avv. Caruso). Cassa App. Roma12 gennaio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2781/2782-2785/2786Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196855 .

Accessed: 28/06/2014 07:30

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Qui il tribunale, nell'interpretare l'accordo aziendale del 22

gennaio 1982, afferma che sebbene esso limiti la prestazione

pecuniaria sostitutiva della mensa ai lavoratori adibiti al turno

«a motivo della mancata prestazione del servizio mensa durante

il turno di notte», esclude che l'indennità sostitutiva possa esse

re frazionata in base alle ore di lavoro notturno effettuate da cia

scun dipendente e che essa possa essere determinata in propor

zione, soltanto perché tanto non risulta dall'accordo.

In tal modo però il giudice del merito non solo trascura il dato

testuale dell'intesa aziendale in ordine all'indennità sostitutiva

di mensa, da interpretarsi, secondo quanto pure evidenzia, nel

senso di escluderla per i lavoratori che non siano adibiti al turno

notturno, ma anche il criterio complessivo dell'interpretazione

sistematica, non avendo considerato il collegamento funzionale,

dallo stesso giudice rilevato, dell'indennità in questione alla

mancanza del servizio durante il turno di lavoro di notte. Né il

tribunale ha tenuto conto della coerenza della precedente dispo sizione contrattuale relativa alla determinazione dell'indennità

nella misura fissa mensile con la limitazione della sua erogazio

ne, dopo l'istituzione del servizio mensa, ai lavoratori del turno

notturno, e della congruenza del mantenimento dell'indennità in

questione in misura fissa per tutti i lavoratori impiegati nel lavo

ro di notte indipendentemente dalla durata di tale prestazione, sia contenuta in un solo giorno al mese, sia prolungata in più turni settimanali nell'ambito di un mese.

Sempre ai fini della ricerca dell'effettiva volontà dei con

traenti rapportata al complessivo regolamento contrattuale, e

malgrado la carenza del lessico, sulla quale concordano anche i

lavoratori (v. controricorso), in ordine al mantenimento nella

precedente misura fissa dell'indennità sostitutiva di mensa dopo l'intesa aziendale del 1982, il giudice del merito ha omesso poi

qualsiasi valutazione sul comportamento complessivo delle parti successivamente a tale data e dopo che nel 1984 era stato ripri stinato il turno di lavoro notturno: infatti, sebbene la ripresa

dell'erogazione dell'indennità in questione fosse avvenuta sol

tanto nel 1994 (in misura rapportata alle ore di lavoro notturno

espletate da ciascuno dei lavoratori), non risulta che in prece denza i lavoratori avessero reclamato la corresponsione dell'in

dennità in questione nella misura fissa di quindicimila lire men

sili, determinata prima che fosse istituito il servizio mensa.

D'altra parte, considerata la mancanza di chiarezza nella

pattuizione del 1982 sull'individuazione della misura dell'in

dennità, né confermata in quella precedente fissata di quindici mila lire mensili né innovata con il frazionamento e la determi

nazione in base alle ore svolte, sebbene l'accertato collega mento dell'indennità alla mancata fruizione del servizio mensa

da parte dei lavoratori impiegati nel turno di notte, il giudice del

merito non ha verificato la rispondenza dell'interpretazione, alla

quale è pervenuto, del complessivo regolamento contrattuale al

criterio ermeneutico sussidiario, posto dall'art. 1366 c.c., della

buona fede in senso oggettivo, considerando le circostanze che

avevano indotto le parti all'intesa e la funzione del contratto in

relazione al loro rispettivo interesse.

Con il secondo motivo la società Plalam denuncia violazione

e falsa applicazione degli art. 2099 e 2121 c.c. e dell'art. 6 d.l.

11 luglio 1992 n. 333, convertito nella 1. 8 agosto 1992 n. 359,

nonché vizio di motivazione, e si duole che il giudice del meri

to, pur avendo escluso il carattere retributivo dell'indennità so

stitutiva di mensa, abbia riconosciuto la sua incidenza sulla tre

dicesima mensilità sul rilievo che l'accordo aziendale più volte

innanzi richiamato era anteriore all'entrata in vigore del d.l. n.

333 del 1992 e che nell'accordo il valore dell'indennità era

convenzionalmente fissato in quindicimila lire mensili, ma

omettendo di considerare che l'accordo nulla prevedeva al ri

guardo. Anche questo motivo è fondato. L'art. 6 d.l. 11 luglio 1992 n.

333, convertito, con modificazioni, nella 1. 8 agosto 1992 n.

359, dispone: «Salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, an

che aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di

mensa, comunque gestito ed erogato, e l'importo della presta zione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usu

fruisce del servizio istituito dall'azienda, non fanno parte della

retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrat

tuali del rapporto di lavoro» (3° comma). «Sono fatte salve, a

far data dalla loro decorrenza, le disposizioni degli accordi e dei

contratti collettivi, anche aziendali, pur se stipulati anterior

II Foro Italiano — 2002.

mente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che

prevedono limiti e valori convenzionali del servizio di mensa di

cui al 3° comma e dell'importo della prestazione sostitutiva di

esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito, a

qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rap

porto di lavoro subordinato» (4° comma). In base all'interpretazione letterale di detta norma, e secondo

il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa corte

(v., fra le più recenti, la sentenza 8 giugno 2001, n. 7824, id.,

2001, I, 2500), l'indennità sostitutiva della mensa non fa parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e

contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una di

versa previsione da parte dei contratti collettivi nazionali e

aziendali, anche se stipulati anteriormente all'entrata in vigore del citato decreto.

Su tale interpretazione ha concordato in modo esplicito pure la sentenza impugnata, la quale però ha ritenuto la computabilità dell'indennità sostitutiva soltanto perché l'accordo aziendale

con cui era stata determinata in misura fìssa era anteriore al de

creto legge ora menzionato, senza accertare se il predetto accor

do disponesse per l'inclusione dell'indennità sostitutiva del ser

vizio mensa nella base di calcolo della tredicesima mensilità.

Accolto il ricorso, la causa va rimessa ad altro giudice d'ap

pello che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi in

nanzi esposti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 13 di

cembre 2001, n. 15760; Pres. Calfapietra, Est. Settimj, P.M.

Palmieri (conci, diff.); Tommasino (Avv. Segarelli) c. De

Maria (Avv. Caruso). Cassa App. Roma 12 gennaio 1999.

Prova civile in genere — Ammissioni contenute negli atti di

fensivi sottoscritti unicamente dal procuratore — Elemen

ti indiziari liberamente valutabili dal giudice — Ammis

sioni contenute negli atti difensivi sottoscritti anche dalla

parte — Valore confessorio (Cod. civ., art. 2730; cod. proc.

civ., art. 116).

Le ammissioni contenute negli atti difensivi sottoscritti unica

mente dal procuratore ad litem, pur non avendo valore con

fessorio, costituiscono elementi indiziari liberamente valuta

bili dal giudice per la formazione del proprio convincimento;

quando invece gli stessi atti rechino in calce o a margine an

che la sottoscrizione della parte, il giudice può attribuire alle

ammissioni ivi contenute valore confessorio. ( 1 )

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione 29 giugno

1989, Euclide Tommasino — premesso che dal 1983 aveva

(1) Cfr., da ultimo, in termini, Cass. 30 marzo 2001, n. 4727, Foro

it., Rep. 2001, voce Prova civile in genere, n. 44; 26 marzo 1999, n.

2894, id., Rep. 1999, voce cit., n. 32; 23 luglio 1997, n. 6909, id., Rep. 1998, voce cit., n. 34, e, per esteso. Arch, civ., 1998, 187, e Fallimento,

1998, 1025; ma sul punto, cfr. anche Cass. 4 giugno 2001, n. 7561, Fo

ro it., Rep. 2001, voce cit., n. 41, la quale ha ritenuto che «in tema di

prova civile, le ammissioni provenienti dal difensore possono avere

solo valore indiziario, che, peraltro, difficilmente può riconoscersi ove

si tratti di affermazioni che esulino dalla linea difensiva assunta»; non

ché Cass. 17 marzo 1998, n. 2849, id., Rep. 1998, voce Presunzione, n.

6, secondo la quale «il giudice di merito può attribuire valore di ele

mento di prova alle dichiarazioni rese dal procuratore negli atti difensi

vi (nel caso di specie si trattava di dichiarazioni rese nella comparsa di

risposta)». Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali e dottrinali sul punto e, più

in generale, sul tema delle «ammissioni del difensore», cfr. per tutti E.

Fabiani, Le ammissioni de! difensore nella giurisprudenza della Cassa

zione, id., 1997, I, 3257; nonché, in stretta connessione con il principio di non contestazione, Carratta, Il principio della non contestazione

neIprocesso civile, Milano, 1995, spec. 505 ss.

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2783 PARTE PRIMA 2784

avuto una relazione more uxorio con Anna Maria De Maria;

che, in vista della nascita d'un figlio, frutto di tale relazione, s'era ripromesso d'acquistare un appartamento sito in Roma, via Colfelice n. 18, attingendo la somma necessaria dai propri

risparmi ed in particolare, chiedendo alla Rai, della quale era

dipendente, un'anticipazione sulla liquidazione, erogabile per

l'acquisto della prima casa per sé o per i figli; che, al fine d'ot

tenere tale anticipazione e realizzare l'acquisto, aveva concor

dato con la De Maria di trasferirle fittiziamente un apparta

mento, già di sua proprietà, sito in Roma, via Tebaldi n. 38, il

che era avvenuto con contratto di compravendita 13 maggio

1985; che, in adempimento di tale accordo, per atto Notar Caro

si 8 luglio 1986 aveva acquistato l'appartamento di via Colfeli

ce n. 18 la cui proprietà, per una quota del quaranta per cento, era stata intestata al minore mentre l'appartamento di via Tebal

di, oggetto della fittizia compravendita, era rimasto nella pro

pria totale disponibilità e, infatti, l'aveva concesso in comodato

a tal Francesco Carbone; che, fallito il rapporto sentimentale

con la De Maria, quest'ultima l'aveva minacciato di far valere il

contratto simulato qualora non le avesse intestato il restante ses

santa per cento dell'appartamento di via Colfelice — conveniva

Anna Maria De Maria innanzi al Tribunale di Roma al fine di

sentir dichiarare la simulazione assoluta dell'atto di compraven dita inter partes del 13 maggio 1985 con conseguente sua decla

ratoria di nullità od inefficacia.

Costituendosi, la De Maria s'opponeva alla domanda chie

dendone il rigetto e, con successive citazioni, conveniva a sua

volta in giudizio il Tommasino ed il Carbone onde ottenere che

quest'ultimo fosse condannato a rilasciare l'appartamento ille

gittimamente concessogli in comodato ed al risarcimento dei

danni.

Disposta la riunione dei giudizi ed espletata prova testimo

niale, con sentenza 25 ottobre 1995 il Tribunale di Roma — ri

levata l'impossibilità morale dell'attore di fornire prova scritta a

sostegno della proposta azione di simulazione, stanti i pregressi

rapporti sentimentali tra le parti e la circostanza dell'imminente

nascita del figlio; ritenuto che nella specie ricorressero le condi

zioni per l'applicazione dell'art. 2724, nn. 1 e 2, c.c.; che le

prove orali avessero confermato l'esistenza nel negozio dissi

mulato — dichiarava la simulazione assoluta del contratto di

compravendita 13 maggio 1985.

Avverso tale decisione la De Maria proponeva gravame cui

resisteva il Tommasino, mentre il Carbone rimaneva contumace.

Con sentenza 12 gennaio 1999, la Corte d'appello di Roma — ritenuto, contro l'avviso del tribunale, che non fosse ravvisa

bile un principio di prova scritta nell'affermazione, contenuta

nell'atto di citazione della De Maria, concernente il riconosci

mento dell'esclusiva gestione a cura del Tommasino dell'ap

partamento di via Tebaldi; che, a prescindere da ogni considera

zione circa la natura ammissiva d'una circostanza contenuta

nell'atto di citazione redatto dal procuratore della parte, tale af

fermazione non potesse leggersi disgiuntamente dall'altra, di

segno opposto, con la quale la stessa s'era dichiarata proprieta ria del bene; che neppure condivisibile fosse l'opinione del tri

bunale circa l'impossibilità morale del Tommasino di procurarsi una prova scritta dell'accordo dissimulato in considerazione del

legame sentimentale con la De Maria e dell'attesa del figlio,

poiché, al contrario, la condizione psicologica riferibile alla na

scita del bambino avrebbe dovuto rafforzare, nel Tommasino,

l'esigenza di pretendere dall'acquirente la controdichiarazione

allo scopo di far risultare chiaramente l'intenzione di non voler

creare una situazione patrimoniale pregiudizievole alla propria

famiglia legittima; che dovesse pertanto affermarsi l'insussi

stenza delle condizioni per l'ammissibilità delle deroghe alla

prova documentale previste dall'art. 2724, nn. 1 e 2, c.c. ai fini

dell'azione di simulazione; che la domanda di risarcimento del

danno proposta dalla De Maria fosse priva di fondamento poi ché, avendo ella consentito l'esclusiva gestione del bene da

parte del Tommasino, il comodato da questi concesso doveva

considerarsi dalla stessa implicitamente autorizzato e, dunque,

legittimo — in parziale accoglimento dell'appello della De Ma

ria, respingeva l'originaria domanda del Tommasino compen sando interamente le spese del giudizio.

Avverso tale sentenza Euclide Tommasino proponeva ricorso

per cassazione con tre pluriarticolati motivi, illustrati anche da

successiva memoria.

Resisteva Anna Maria De Maria con controricorso.

Il Foro Italiano — 2002.

Motivi della decisione. — Devesi, preliminarmente, disatten

dere l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, sollevata dalla

resistente, per difetto di valida procura speciale al difensore che

ha redatto e sottoscritto l'atto introduttivo di controparte. La più recente giurisprudenza di questa corte anche a sezioni

unite — innovando rispetto al precedente indirizzo interpretati vo cui la resistente ha fatto riferimento — ritiene infatti che,

quando l'atto introduttivo del giudizio di legittimità contenga —

a margine, od in calce, o su foglio separato ad esso material

mente unito — una procura rilasciata al difensore che l'ha sot

toscritto, tale procura, salvo che dal suo contesto inequivoca mente risulti il contrario, deve considerarsi conferita per il giu dizio di cassazione e tale da soddisfare, perciò, il requisito della

specificità previsto dall'art. 365 (non il 366, n. 5, erroneamente

citato in controricorso) c.p.c. anche se non contenga espressi ri

ferimenti alla sentenza da impugnare e/o al giudizio da promuo vere.

Posto, dunque, che nel caso in esame non è ravvisabile alcun

elemento dal quale sia desumibile una volontà del mandante

d'escludere l'utilizzazione della rilasciata procura per il giudi zio di legittimità, si può passare all'esame del ricorso.

Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente — denun

ziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2724 c.c. in rife

rimento all'art. 2702 c.c. — si duole che la corte territoriale ab

bia dubitato dell'idoneità formale dell'atto di citazione di con

troparte a contenere una confessione stragiudiziale, nonostante

vi risultasse a margine la delega con sottoscrizione autenticata, ed abbia ritenuto che le dichiarazioni contenutevi, onde costitui

re ammissioni idonee a costituire principio di prova scritta pro veniente dalla controparte dovessero non configgere con altre

contestuali dichiarazioni ed avere significato univoco, negando la rilevanza probatoria e/o indiziaria così delle affermazioni

della controparte, dalla quale s'era escluso di voler abitare e ge stire l'immobile, come delle circostanze oggettive acquisite,

comprovanti la perdurante detenzione del bene da parte del ven

ditore successivamente all'apparente vendita.

Con il terzo motivo, il ricorrente — denunziando carenza ed

illogicità di motivazione su punti decisivi della controversia —

si duole che la corte territoriale abbia, da un lato, espresso l'o

pinione, già con i primi due motivi contestata in diritto, che fos

se irrilevante l'ammissione scritta della controparte circa il

permanere del bene in detenzione ed in godimento d'esso ricor

rente, tanto da negargli il beneficio dell'ammissione alla prova

per presunzioni, dall'altro abbia contraddittoriamente ritenuto

decisive le dichiarazioni contenute nel medesimo documento ai

fini del rigetto della stessa domanda della controparte; abbia,

inoltre, omesso di correlare la circostanza ammessa con gli altri

elementi acquisiti agli atti e valutati dal primo giudice, in parti colare non tenendo conto né della prova raggiunta in ordine alla

causa simulandi, né della circostanza incontestata dell'intensis

simo affetto tra le parti all'epoca dei fatti dal quale era legittimo

presumere un reciproco rapporto fiduciario, né della rinuncia ai

testimoni in occasione della stipula, né dell'inadeguatezza del

prezzo dichiarato nell'atto rispetto al reale valore del bene, né

della prova fornita in merito al mancato pagamento di detto

prezzo da parte della simulata acquirente, alla mancata esecu

zione del contratto di compravendita, alla gestione autonoma ed

incontrollata del bene da parte d'esso ricorrente.

I motivi come sopra sintetizzati, che, per essere tra loro va

riamente connessi, possono formare oggetto di unitaria tratta

zione, risultano fondati per quanto di seguito, dacché la corte

territoriale, con motivazione sommaria, viziata in diritto e ca

rente in fatto, ha erroneamente escluso ricorressero le condizio

ni perché il caso in esame fosse riconducibile alla previsione dell'art. 2724, nn. 1 e 2, c.c. e potesse, pertanto, essere deciso

anche sulla base di deposizioni testimoniali e presunzioni. Anzi tutto, va censurata l'affermazione con la quale la corte

territoriale s'è sbrigativamente sottratta, espressamente dichia

rando di pretermetterla, all'onere di esaminare, rispetto alla

controversia sottopostale, la «questione circa la natura di am

missione di una circostanza contenuta nella citazione redatta dal

procuratore della parte», questione, per contro, di determinante

rilievo ai fini della decisione. Questa corte ha, infatti, avuto ripetutamente occasione d'evi

denziare, non solo che le ammissioni contenute negli atti difen

sivi sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, pur non

avendo valore confessorio, costituiscono non di meno elementi

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2785 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2786

indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del

proprio convincimento, ma altresì che, ove gli stessi atti rechino

in calce od a margine anche la sottoscrizione della parte, alle

ammissioni contenutevi può senz'altro essere attribuito valore

confessorio, dovendosene presumere la piena conoscenza e,

quindi, l'assunzione della relativa responsabilità, da parte del

l'interessato (Cass. 26 marzo 1999, n. 2894, Foro it., Rep. 1999, voce Prova civile in genere, n. 32; 23 luglio 1997, n. 6909, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 34; 22 novembre 1995, n. 12096, id.,

Rep. 1995, voce cit., n. 49; 1° dicembre 1992, n. 12830, id.,

Rep. 1992, voce cit., n. 36; 12 luglio 1991, n. 7764, ibid., voce

Prova documentale, n. 15). Né il valore confessorio dell'affermazione contenuta, per

quanto attiene alla presente controversia, nell'atto di citazione

24 maggio 1990, recante a margine la procura sottoscritta dalla

De Maria, poteva essere fondatamente disatteso, sulla sola con

siderazione della contestuale affermazione della proprietà del

l'immobile, senza un'adeguata motivazione in ordine alla rite

nuta prevalenza della seconda sulla prima, invece del tutto man

cante.

Motivazione la cui necessità sarebbe apparsa evidente ove

solo si fosse considerato che, mentre l'affermazione della pro

prietà era logicamente imprescindibile nella promossa azione in

quanto condizione d'accoglibilità della domanda intesa al recu

pero della disponibilità dell'immobile, proprio tale necessaria

premessa della pretesa fatta valere risultava ictu oculi logica mente inconciliabile con la contestuale affermazione d'essersi la

stessa parte istante completamente disinteressata dell'immobile

assuntivamente acquistato lasciandone la gestione all'apparente venditore dalla stipulazione nel maggio 1985 alla redazione

della citazione nel maggio 1990, questa addirittura di quasi un

anno successiva alla stessa introduzione da parte del detto appa rente venditore del contrapposto giudizio inteso a far valere la

simulazione della vendita nei confronti d'essa apparente acqui rente; tanto più che, nei negozi traslativi della proprietà o d'altri

diritti reali non essendo configurabile un costituto possessorio

implicito nel fatto che l'alienante rimanga nel godimento del

bene compravenduto (Cass. 15 febbraio 1996, n. 1156, id., Rep. 1997, voce Possesso, n. 20; 24 giugno 1994, n. 6095, id., Rep. 1994, voce cit., n. 40; 21 dicembre 1993, n. 12621, id., Rep. 1993, voce Vendita, n. 52), il contrasto tra le due affermazioni

risultava di tutto rilievo, dal momento che nessuna giustifica zione trovava situazione siffatta in difetto di specifica clausola

contrattuale che esplicitamente la prevedesse e legittimasse. In ragione dei rilevanti profili l'impugnata sentenza risulta

viziata per errata interpretazione ed applicazione dell'art. 2724, n. 1, c.c. in relazione agli art. 2730 ss. c.c. e 116 c.p.c. e per di

fetto d'esauriente e logica motivazione, quindi censurabile nella

parte in cui è stato escluso che nel caso di specie ricorressero i

presupposti d'applicabilità della prima delle citate norme ed è

stata, di conseguenza, esclusa l'utilizzabilità delle assunte prove testimoniali e delle allegate presunzioni ai fini del decidere.

A conclusione identica si perviene anche in ordine alla parte

dell'impugnata sentenza nella quale è stata del pari esclusa l'u

tilizzabilità delle prove testimoniali e delle presunzioni in con

seguenza della ritenuta inapplicabilità al caso in esame dell'art.

2724, n. 2, c.c.

Se è vero, infatti, che per la ricorrenza dell'impossibilità mo

rale di procurarsi la prova scritta di cui alla citata norma non è

sufficiente, per la parte onerata della produzione della prova stessa, la deduzione d'una astratta posizione di preminenza della

persona dalla quale la dichiarazione scritta doveva esser pretesa o d'un vincolo affettivo con la persona stessa, è pur vero che,

peraltro, la valutazione debba sempre essere operata in conside

razione del caso concreto e la circostanza de qua non possa es

sere negata ove a tali generiche deduzioni s'accompagni anche

quella d'altre speciali e/o particolari circostanze concorrenti a

determinare una specifica situazione d'oggettivo impedimento

psicologico alla richiesta d'una dichiarazione siffatta.

Nel qual caso, d'altronde, occorre puntualizzare, onde non

privare di qualsiasi contenuto la previsione normativa, non può

pretendersi l'allegazione di circostanze ostative assolute, ma

può ritenersi sufficiente, per integrare gli estremi d'una situa

zione d'impossibilità morale, specie ove si verta in tema di rap

porti affettivi, l'allegazione di circostanze anche di solo detta

glio nelle quali, più che nel consueto, un atteggiamento di so

spetto e/o sfiducia, se pure giustificato sotto il profilo patrimo

II Foro Italiano — 2002 — Parte 1-52.

niale, finirebbe per ingenerare comprensibili risentimenti e mo

tivi di crisi nei rapporti interpersonali; di tal che, in tali ipotesi,

l'opera del giudice deve volgersi, con particolare sensibilità, alla valutazione delle circostanze dedotte in relazione sia al tipo di rapporto inter partes, in quanto anche nell'ambito di quelli affettivi in genere e familiari in ispecie ben possono operarsi di

stinzioni a seconda della natura e del grado del rapporto, sia alla

possibile incidenza d'eventi o situazioni particolari, in quanto lo

stato di esso può attraversare momenti diversi e condizionare

quindi a seconda delle circostanze gli atteggiamenti di ciascuno

dei soggetti. Nella specie, l'allegazione da parte dell'attore della conco

mitanza tra l'apparente trasferimento immobiliare e l'attesa del

l'imminente nascita del figlio concepito con la convenuta, non

ché la particolare atmosfera di quel momento nel rapporto di

coppia, che non consentivano turbative per atteggiamenti di so

spetto e sfiducia dettati da volgari interessi patrimoniali, era

stata correttamente presa in considerazione dal tribunale proprio nella sua essenza di quidpluris rispetto al semplice consueto le

game affettivo tra i conviventi.

A tale puntualizzazione, all'evidenza idonea e sufficiente, per le considerazioni precedentemente svolte in tema d'interpreta zione dell'art. 2724, n. 2, c.c., a giustificare l'applicazione della

norma stessa o, quanto meno, ad imporre un'adeguata e convin

cente motivazione ove tale applicazione si fosse ritenuto di do

ver escludere, la corte territoriale ha, per contro, negato rilievo

limitandosi a dubitare («non pare») della ricorrenza degli estre

mi dell'impossibilità morale in considerazione della massima

tratta da Cass. 26 marzo 1992, n. 3750 (id, Rep. 1992, voce

Prova testimoniale, n. 8), della quale non ha ben valutato la se

conda parte, oltre a non tener presente la sostanziale difformità

del caso decisovi (si discuteva non dell'impossibilità morale

dell'apparente venditore di farsi rilasciare la controdichiarazio

ne da parte dell'apparente acquirente ma, sul presupposto indi

mostrato che tale controdichiarazione fosse stata effettivamente

rilasciata, dell'impossibilità d'ottenerne la consegna da parte di

terzo detentore) rispetto a quello rimesso alla sua decisione.

Né vale ad integrare siffatta carenza di motivazione l'ulterio

re considerazione che la particolare situazione dedotta avrebbe

dovuto piuttosto rafforzare nell'apparente venditore l'esigenza di pretendere la controdichiarazione a tutela degli interessi della

famiglia legittima, considerazione illogica ed avulsa dalla realtà, dacché tutta la complessa attività posta in essere dal Tommasino

nella circostanza, ben evidenziata dal primo giudice e negletta dal secondo, lasciava chiaramente intendere un'attenzione in

centrata sulla sola famiglia di fatto, cui si proponeva di creare

un'autonoma condizione abitativa e patrimoniale, ed una totale

pretermissione di qualsiasi considerazione nei confronti di

quella legittima, in ragione delle cui eventuali pretese, anzi, l'attività stessa s'appalesava cautelativamente preordinata.

Anche sotto l'esaminato ulteriore profilo l'impugnata senten

za risulta, dunque, viziata, per erronea interpretazione ed appli cazione dell'art. 2724, n. 2, c.c. e per insufficiente ed illogica motivazione.

Il ricorso va, dunque, accolto e la causa deve essere, di con

seguenza, rinviata per nuova valutazione ad altro giudice del

merito di secondo grado che si indica in diversa sezione della

medesima corte d'appello.

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