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Sezione II civile; sentenza 13 ottobre 1960, n. 2708; Pres. Chieppa P., Est. Ferrati, P. M. Toro...

Date post: 27-Jan-2017
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Sezione II civile; sentenza 13 ottobre 1960, n. 2708; Pres. Chieppa P., Est. Ferrati, P. M. Toro (concl. conf.); Volpi di Misurata (Avv. Moschella, Maino) c. Ruspoli (Avv. Tumedei, Storoni) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 1929/1930-1935/1936 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151555 . Accessed: 24/06/2014 23:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.51 on Tue, 24 Jun 2014 23:23:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 13 ottobre 1960, n. 2708; Pres. Chieppa P., Est. Ferrati, P. M. Toro(concl. conf.); Volpi di Misurata (Avv. Moschella, Maino) c. Ruspoli (Avv. Tumedei, Storoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 1929/1930-1935/1936Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151555 .

Accessed: 24/06/2014 23:23

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1929 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1930

è noto, che i contratti con l'Amministrazione statale non

sono obbligatori per questa finché non siano approvati dal Ministro competente o dall'ufficiale all'uopo delegato, ed è principio di comune insegnamento che l'approvazione di cui in detta norma appartiene all'ordine dei così detti

provvedimenti di efficacia, ossia di quegli atti che servono, non già ad imprimere validità ad un atto, bensì a render

efficace, ossia produttivo dei suoi effetti coll'esaudirsi di

una condicio iuris, un atto avente già in sè e per sè ogni

requisito di validità.

Così intesi il contenuto e la portata della norma, è di

manifesta irrilevanza la circostanza che al contratto fosse

stata data nelle more parziale esecuzione, quando se ne

volesse dedurre, come assume il ricorrente, che si dovesse

per ciò solo giungere alla esecuzione totale, malgrado il

difetto di approvazione ministeriale. E posto che la detta

approvazione è provvedimento di efficacia del contratto, vale a dire un quid facti che deve concorrere a dar fonda

mento alla domanda, è rispondente al precetto dell'art. 2697

cod. civ. che la prova relativa dovesse far carico alla So

cietà oggi ricorrente, precisamente come è stato detto nel

l'impugnata sentenza.

Di nessun rilievo è l'obiezione che la spesa occorrente

per l'erogazione del contributo di cui trattasi fosse stata

intanto impostata in bilancio, come afferma la ricorrente,

perchè è chiaro che una operazione di natura contabile,

quale è l'iscrizione di un capitolo di spesa, sia pure nel bi

lancio di una pubblica Amministrazione, non è atto idoneo

a supplire al difetto dell'attività voluta dall'art. 19 più volte citato, ossia a conferire al contratto quell'efficacia che può essere acquistata solo con l'approvazione ministe

riale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 13 ottobre 1960, n. 2708 ; Pres.

Chieppa P., Est. Ferrati, P. M. Toro (conci, conf.) ;

Volpi di Misurata (Avv. Moscheixa, Maino) c. Ruspoli

(Avv. Tumedei, Storoni).

(Conferma App. Venezia 11 febbraio 1958)

Procedimento in materia civile — Morie «Iella parte — Riassunzione —• Notifica collettiva agli eredi -— Identificazione — Esclusione — Omessa men

zione specifica degli eredi nell'intestazione della

sentenza — Validità della sentenza (Cod. proo. CÌV.,

art. 303, 330). Minore (età) agli effetti civili — Autorizzazione del

giudice tutelare —- Minore convenuto — Non ne

cessarietà dell'autorizzazione (Cod. civ., art. 320). Minore (età) agli effetti civili — Minore convenuto

— Giudizio relativo ad atti di conservazione o di

miglioramento del patrimonio — Non necessa

rietà dell'autorizzazione (Cod. CÌV., art. 320). Donazione — Donazione ohnuzialc — Nullità conse

guente all'annullamento del matrimonio — Azione

di restituzione — Natura — Onere della prova

(Cod. civ., art. 785, 948, 2697).

0on la notifica collettiva ed impersonale agli eredi della parte

defunta nella ipotesi degli art. 303, 2° comma, e 330, 2°

comma, cod. proc. civ., tutti gli eredi devono intendersi

evocati in giudizio senza bisogno di individuazione, e non

è nulla la sentenza che non rechi menzione di ciascuno

degli eredi stessi nell'intestazione o nella parte dispo sitiva. (1)

(1) Sulla questione specifica non ci risultano precedenti. In generale nel senso che in caso di morte della parte la rias

sunzione determina una situazione di litisconsorzio necessario

tra i coeredi, fondata sopra la successione nel processo : Cass.

L'autorizzazione del giudice tutelare al genitore esercente la

patria potestà non è necessaria quando il minore sia chia

mato da altri in giudizio. (2) L'autorizzazione non è altresì necessaria quando il giudizio

si riferisca ad atti che non possono recare pregiudizio o diminuzione del patrimonio del minore, in quanto diretti al miglioramento o alla conservazione dei beni che del

patrimonio fanno parte. (3) Dalla nullità della donazione obnuziale, conseguente all'an

nidlamento del matrimonio, nasce a carico del donatario

un obbligo, personale, di restituzione dei beni donati ;

pertanto, il donante attore non è tenuto a fornire la prova della proprietà del bene, ma soltanto quella dell'esistenza

della donazione e della sua qualità di donante. (4)

La Corte, ecc. — (Omissis). Passando all'esame del ri

corso si osserva che con i primi quattro motivi si sollevano

questioni diverse d'ordine processuale. Con il primo motivo si denuncia infatti dalla ricorrente

3 luglio 1958, n. 2372, Foro it., Rep. 1958, voce Procedimento in materia civile, n. 419 ; 7 febbraio 1958, n. 375, ibid., n. 420 ; 13 novembre 1956, n. 4229, id., Rep. 1956, voce cit., n. 499. Per qualche riferimento in tema di successione processuale, v. Cass. 11 maggio 1957, n. 1668, id., 1957, I, 1642.

In dottrina sulla riassunzione del processo, vedi : Nappi, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1943, II, 1, n. 80 ; Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma, 1951, II, n. 530 ; Andrioli, Commento al codice di pro cedura civile, Napoli, 1956, II, pag. 325 ; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Napoli, 1960, II, 1, pag. 413.

(2-3) In senso conforme : Cass. 24 novembre 1956, n. 4299, Foro it., Rep. 1956, voce Minore [età) agli effetti civili, n. 16, citata nella motivazione ; e sostanzialmente : App. Firenze 12

gennaio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., n. 10 ; Cass. 6 settembre

1957, n. 3455, id., Rep. 1957, voce cit., n. 20 ; ed inoltre : Cass. 21 maggio 1957, n. 1840, ibid., n. 28 ; 7 maggio 1954, n. 1441, id., Rep. 1954, voce cit., n. 7 ; 6 maggio 1954, n. 1407, ibid., n. 14 ; e 3 dicembre 1952, n. 3109, id., Rep. 1952, voce cit., n. 19.

La distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria ammini strazione non è fondata su un criterio giuridico, bensì su un cri terio economico, quale quello delle conseguenze patrimoniali degli atti medesimi : in tal senso giurisprudenza e dottrina pre valenti. In proposito, v. Cass. 17 giugno 1958, n. 2082, id., Rep. 1958, voce ciL., n. 3 ; 13 novembre 1957, n. 4375, id., Rep. 1957, voce cit., n. 24 ; 31 maggio 1957, n. 1840, ibid., n. 28 ; 11 gen naio 1957, n. 44, ibid., n. 10 ; 19 gennaio 1956, n. 139, id., Rep. 1956, voce cit., n. 5 ; 23 luglio 1953, n. 2484, id., Rep. 1953, voce

cit., n. 6 ; 18 giugno 1953, n. 1843, n. 4, ibid., n. 4 ; 21 agosto 1952, n. 2715, id., 1953, I, 333. In dottrina, diffusamente, vedi: Mira

belli, I c. d. atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoja, Bologna, 1953, III, pag. 353 e segg. ; De Gre

gorio, Gli atti di amministrazione nelle società per azioni e a respon sabilità limitata, in Foro it., 1954, I, 1271 ; Cicu, La filiazione, Torino, 1954, pag. 324 ; Messineo, Manuale di diritto civile e

commerciale, Milano, 1950, I, pag. 245 ; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, pag. 302 ; Cariota-Ferrara, Il negozio giuridico, Napoli, 1948, pag. 625; Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1957, pag. 199.

L'autorizzazione del giudice tutelare è necessaria solo nel caso in cui il minore assuma la veste di attore, e non quando sia convenuto : Cass. 14 ottobre 1959, n. 2846, Foro it., Rep. 1959, voce cit.? n. 5 ; 8 agosto 1957, n. 3355, id., Rep. 1957, voce cit., n. 21 ; e 16 agosto 1955, n. 2540, id., Rep. 1955, voce

cit., n. 8. L'esercizio di un'azione giudiziaria può costituire atto di

ordinaria o straordinaria amministrazione in relazione al rap porto giuridico su cui verte la lite : Cass. 22 ottobre 1959, n.

3065, id., Rep. 1959, voce cit., n. 6 ; 23 gennaio 1959, n. 176, ibid., n. 7 ; App. Napoli 26 agosto 1957, id., Rep. 1958, voce

cit., n. 15.

(4) Non risultano precedenti giurisprudenziali. In dottrina, sull'incidenza dell'annullamento del matri

monio sulla donazione obnuziale : Amendola, Le donazioni obnuziali e Vannullamento del matrimonio, in Foro it., 1956, IV, 153. Recentemente : Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, pag. 810 e seg. ; Azzariti-Martinez, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1959, pag. 737 e seg. ; Torrente, La dona

zione, Milano, 1956, pag. 463 e segg ; nonché, sulla donazione obnuziale nel campo della riforma agraria, Corte cost. 18 maggio 1960, n. 31, Foro it., I960, I, 1641, con nota di richiami.

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1931 PARTE PRIMA 1932

I

la nullità della sentenza impugnata perchè non pronunciata nei confronti di tutte le parti in causa, donde violazione o

erronea applicazione degli art. 101, 102, 110, 330, 331,

350, 291 e segg. cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, stesso codice.

Partendo dall'incontrastato presupposto di fatto clie

eredi di Palma de Talleyrand sono tutte le persone alle

quali è stato notificato il presente ricorso, la Volpi sostiene

che la sentenza della Corte d'appello, anziché in confronto

di tutti gli eredi, è stata pronunciata solo in confronto di

quelli di essi che si erano costituiti nel giudizio d'appello, e cioè gli attuali controricorrenti Alessandro Edmondo

Ruspoli e Virginia Patrizi, ved. Ruspoli, in proprio e per i

figli minori, poiché questi sono gli unici menzionati nel

l'intestazione della sentenza : essa muove quindi alla Corte

d'appello l'addehito di aver omesso la identificazione degli eredi della defunta principessa, e di non aver successiva

mente dichiarato la contumacia di quelli di essi che non

erano comparsi. Pur dovendosi riconoscere che la sentenza impugnata

non è formalmente impeccabile, devesi escludere la sussi

stenza della denunciata nullità.

Giova premettere, in linea generale, che, secondo la

costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata in

testazione della sentenza a taluna delle parti non determina

la nullità della sentenza stessa, qualora le parti risultino

indicate con sufficiente chiarezza nel contesto della deci

sione : si tratta in tal caso di una semplice omissione ma

teriale, suscettibile di correzione nelle forme dettate dalla

legge. Parimenti devesi considerare che l'omissione della for

male dichiarazione di contumacia non importa irregolarità del contraddittorio o altra conseguenza sul rituale svolgi mento del processo, ove risulti che in realtà il contraddit

torio è stato regolarmente instaurato.

Ciò porta immediatamente ad escludere che le due

omissioni, che secondo la ricorrente viziano la sentenza

impugnata, abbiano, di per sè, la portata e gli effetti da

essa asseriti.

A questo riguardo devesi riflettere alla peculiarità del

caso concreto e tener conto che, essendo la coattrice Palma

de Talleyrand deceduta nelle more tra la notificazione del

l'appello, questo è stato proposto in forma collettiva ed

impersonale nei confronti di tutti gli eredi della parte de

funta. Ora siilla ritualità di questa notificazione, espressa mente prevista dall'art. 330, 2° comma, cod. proc. civ., non possono sorgere dubbi, nè avrebbe interesse a solle

varne proprio l'attuale ricorrente, che si è avvalsa di detta

forma di notificazione per instaurare il giudizio d'impugna zione avverso la sfavorevole sentenza del Tribunale.

Ma, se l'appello è stato validamente proposto con la

notifica collettiva ed impersonale agli eredi di Palma de

Talleyrand, deve per ciò stesso escludersi che fin da quel momento il contraddittorio è stato regolarmente instaurato

nei confronti di tutti gli eredi della defunta, che, come tali, dovevano necessariamente partecipare al giudizio di secondo

grado, verificandosi nei loro riguardi un'ipotesi di litiscon

sorzio necessario. Ed è appena il caso di aggiungere che, non essendosi gli appellanti costituiti alla prima udienza, il Consigliere istruttore dichiarò senz'altro la loro contu

macia, onde non è nemmeno esatto quanto denuncia a tal

proposito la ricorrente.

Ad avviso di questa, la notifica collettiva ed imperso nale agli eredi della parte defunta non esimerebbe, per altro, il giudice dall'obbligo di procedere successivamente

alla individuazione di ognuno di essi, in modo che, tanto

nell'intestazione quanto nella parte espositiva della sen

tenza, sia fatta menzione di ciascuno di detti eredi : l'os

servanza di queste formalità costituirebbe, quindi, requi sito indispensabile, perchè la sentenza, emessa a conclu

sione di quel giudizio, sia valida e possa essere produttiva

degli effetti che le sono propri. Simile assunto appare in netto contrasto con il sistema

della legge, onde non lo si può condividere. Invero, tanto

nell'ipotesi di interruzione del processo per morte della

parte (art. 303, 2° comma), quanto in quella di morte della

parte dopo la notificazione della sentenza (art. 330, 2°

comma), il legislatore lia consentito all'altra parte, che in

tende procedere alla riassunzione del processo o impugnare la sentenza, di effettuare la notificazione dell'atto riassun

tivo nel primo caso, dell'atto d'impugnazione nel secondo,

agli eredi del defunto in forma impersonale e collettiva.

La ratio di entrambe le norme è identica : quella di

agevolare la parte nella prosecuzione del giudizio già in

staurato o nell'esercizio del diritto d'impugnazione, senza

costringerla a previamente identificare gli eredi, legittimi o testamentari, del defunto con ricerche che, normalmente, esulano dalla sua sfera d'azione.

Con l'evocazione collettiva ed impersonale degli eredi, mentre non si pregiudicano gli interessi di questi, giacche

l'agevolazione, nel caso di interruzione del processo, opera entro un ristretto limite di tempo e, in entrambe le ipotesi, la notificazione deve avvenire in luogo (ultimo domicilio o

domicilio eletto del defunto), ove più facilmente gli eredi

possono venir a conoscenza del giudizio, si evita che nel

corso di questo se ne debba inserire un altro, avente per

oggetto l'accertamento della qualità di erede del defunto nei

soggetti singolarmente evocati in causa in tale veste.

Ora è di tutta evidenza che con la tesi sostenuta dalla

ricorrente permarrebbero proprio quegli inconvenienti, che

con le norme sovraesaminate si sono voluti evitare : in

definitiva si avrebbe soltanto mi differimento nel tempo, in

quanto quelle indagini e quegli accertamenti, che non si

sono fatti prima della riassunzione e dell'impugnazione, si dovrebbero necessariamente fare a giudizio riassunto od instaurato.

Il che porterebbe a configurare una vocatio in iws sot

toposta a condizione, nel senso cioè che l'evocazione col lettiva ed impersonale degli eredi sarebbe inizialmente

valida, onde, ad es., il giudizio d'impugnazione sarebbe

regolarmente instaurato con tutte le conseguenze ad esso

inerenti, prima tra esse l'impedimento al passaggio in giu dicato della sentenza impugnata, ma l'efficacia di quella vocatio in ius sarebbe subordinata alla successiva identi

ficazione degli eredi.

In tal modo la finalità della norma in esame viene irri

mediabilmente frustrata, senza contare che non si com

prende quali provvedimenti dovrebbe in concreto adottare il giudice ad avvenuta identificazione degli eredi, non po tendo ovviamente disporre un'integrazione del contraddit torio nei confronti di quelli di essi che non fossero comparsi, quando per effetto della notifica impersonale e collettiva tutti gli eredi devono intendersi già evocati in giudizio.

Indubbiamente, qualora, a seguito della citazione in forma collettiva ed impersonale degli eredi della parte de

funta, taluno si costituisca in causa in tale qualità, il giudice è tenuto a verificare se effettivamente egli abbia tale veste,

poiché questa è l'unica a legittimare la sua partecipazione al giudizio, e la sentenza non può essere pronunciata che nei confronti di chi è legittimato a proporre la domanda o a resistervi.

Ma un simile problema nella specie non si è mai posto, poiché non si è mai contestato che Alessandro Edmondo

Ruspoli ed i figli minori di Marescotti Ruspoli siano ef fettivamente eredi dell'originaria attrice, l'uno perchè figlio gli altri perchè nipoti in rappresentazione del defunto padre : non occorreva quindi alcun specifico formale accertamento, da parte del giudice.

E non s'è neppure dubitato che vi siano altri eredi oltre quelli, giacché, costituendosi in appello con l'identico

patrocinio dell'originario attore Mario Euspoli, i predetti elencarono dettagliatamente nella loro comparsa di risposta tutti gli eredi della defunta Palma de Talleyrand, e a quel l'elencazione, che doveva ritenersi pacifica in difetto di

ogni contestazione da parte dell'appellante, ha fatto evi dentemente riferimento la sentenza impugnata, quando dà atto che, notificato l'atto di appello agli eredi di Palma de Talleyrand, « di costoro si costituirono in causa, per resi stere al gravame unitamente all'originario attore Mario

Ruspoli, Alessandro Edmondo Ruspoli e Virginia Patrizi vedova Ruspoli, quest'ultima pei sè ed in nome e per conto dei figli minori Eugenio e Patrizia ».

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ciò dimostra quindi come il Giudice d'appello abbia inteso pronunciare la sentenza non nei soli confronti degli eredi costituiti, ma di tutti gli eredi della defunta attrice, così come gli eredi stessi erano stati evocati nel giudizio di impugnazione, onde non tanno ragion d'essere i dubbi

prospettati dalla ricorrente, la quale a torto profila l'ipo tesi della sentenza « soggettivamente indeterminata », giac ché questa è stata emessa nei confronti di soggetti ben in

dividuati, attraverso la loro qualità di eredi della defunta

attrice.

Rimane quindi soltanto l'incompletezza della inte

stazione della sentenza, cbe non menziona, a fianco dei

tre eredi costituiti, ancbe gli altri con generico richiamo

alla veste nella quale erano stati chiamati in giudizio, ma, come si è in precedenza dimostrato, si tratta di ima menda

puramente formale, la quale non esclude che la sentenza

sia stata pronunciata nei confronti di tutti gli eredi della

originaria attrice Palma de Talleyrand. Con il secondo motivo, nel quale si denuncia la viola

zione degli art. 100 e 75 cod. proc. civ. e320cod. civ., nonché

violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia, la ricorrente prospetta ima questione che attiene specifi camente alla posizione di Virginia Patrizi, la quale si è

costituita non solo quale legale rappresentante dei figli minori, ma anche in proprio.

Premesso che non si dubita àella,rJegitimatio ad causam

di Eugenio e Patrizia Euspoli, eredi, per rappresentazione, della defunta ava, si obietta, tuttavia, da parte della

ricorrente, che per la loro partecipazione al giudizio sa

rebbe occorsa l'autorizzazione del giudice tutelare.

È facile, peraltro, ribattere che l'autorizzazione sud

detta è necessaria per la proposizione di un giudizio, mentre

nella specie i minori Euspoli erano chiamati a resistere

all'impugnazione proposta contro una sentenza già emessa

a favore della loro dante causa, onde gli stessi avevano la

veste di convenuti così come l'hanno ora di resistenti.

D'altronde, come ha già affermato questa Corte (sent. 24 novembre 1956, n. 4299, Foro it-, Eep. 1956, voce Mi

nore civ., nn. 16, 17), l'autorizzazione del giudice tute

lare al genitore esercente la patria potestà è necessaria

soltanto per i giudizi relativi ad atti eccedenti l'ordinaria

amministrazione, cioè a quelli che possono recare pregiu dizio o diminuzione del patrimonio del minore, e non anche

per quelli diretti al miglioramento e alla conservazione

dei beni, che fanno parte del patrimonio, e sotto tal pro filo è stata considerata esercitabile, in virtù soltanto dei

poteri di rappresentanza del genitore esercente la patria

potestà, l'azione di rivendica, in quanto questa tende alla

conservazione dell'integrità del patrimonio del minore : nella

specie quindi era evidente la non necessità della autorizza

zione del giudice tutelare, giacche con la proposta azione

si tendevano a far valere diritti su beni entrati a far parte,

pro quota, del patrimonio dei minori ed indebitamente trat

tenuti dall'attuale ricorrente.

Si assume poi dalla Volpi che Virginia Patrizi non aveva

comunque titolo per costituirsi in proprio, non essendo erede

della defunta suocera ; ma, se quest'ultimo rilievo è sicura

mente esatto, non lo è altrettanto la deduzione che la ricor

rente vuol trarne. Gli è che la Corte d'appello non ha af

fatto riconosciuto alla Patrizi la legittimazione a parte

cipare al giudizio in dipendenza di una sua qualità di erede

della defunta principessa : la sentenza non contiene nes

suna affermazione, esplicita od implicita, in tal senso, mentre è di tutta evidenza che la legittimazione della Pa

trizi è stata ricollegata al suo diritto, pacifico, di usufrutto

che le compete sui beni dei figli minori, diritto da cui di

scende il suo autonomo interesse a partecipare ad un giu

dizio, in cui si discute su beni che dovrebbero, pro quota, accrescere il patrimonio dei minori stessi e maggiorare di

conseguenza l'usufrutto da essa goduto. Il terzo ed il quarto motivo prendono entrambi lo

spunto dalla medesima circostanza e cioè dal fatto che, secondo le asserzioni della ricorrente, i gioielli in contesta

zione sarebbero attualmente in possesso della figlia Esme

ralda Euspoli. Sotto un profilo si afferma, infatti, con il terzo motivo,

nel quale si denuncia violazione od errata applicazione degli art. 330, 331, 100, 110 cod. proc. civ., anche in relazione al

l'art. 1253 e cod. civ., che, essendo divenuta Esmeralda

Ruspoli erede di Palma di Talleyrand in rappresentanza del

predefunto padre, sarebbe, per ciò stesso, venuta a cessare

la materia del contendere.

Secondo la Volpi l'azione diretta alla restituzione dei

gioielli non poteva proseguire contro la presunta obbligata

personale alla restituzione, una volta che la persona, la

quale aveva ricevuto i preziosi e ne era in possesso, era

venuta a trovarsi, sia pure con altri, nella posizione di colei

che aveva agito per la restituzione, e la Corte di Venezia sarebbe precisamente caduta nell'errore di non essersi ac

corta della nuova situazione creatasi nel giudizio d'appello. La censura non merita accoglimento. A parte che la questione, nei precisi termini in cui è

prospettata nel motivo, non è mai stata sottoposta al Giu

dice di merito, avanti al quale la circostanza, che i gioielli si trovassero a mani di Esmeralda Euspoli, venne fatta va

lere solo al fine di escludere la legittimazione passiva del

l'attuale ricorrente, è d'uopo considerare che la riunione

nella medesima persona della qualità di erede, pro quota,

dell'originaria attrice e di detentrice, in ipotesi, degli og

getti in contestazione non può esplicare effetti nell'attuale

processo. E ciò, non soltanto perchè i gioielli sono stati

congiuntamente richiesti da entrambi i coniugi Ruspoli, uno dei quali soltanto è defunto, ma, ed essenzialmente,

perchè secondo le stesse asserzioni della ricorrente la con

segna dei preziosi ad Esmeralda Euspoli sarebbe avvenuta

quando la medesima non era ancora erede dell'ava. Quale che sia stato il titolo in base al quale sia avvenuta quella

pretesa consegna, è certo quindi che la stessa non potè essere stata effettuata a titolo di restituzione, in conseguenza della nullità della donazione, vale a dire in base al titolo

fatto valere in questo giudizio : e questo basta per superare tutta l'argomentazione della ricorrente sull'indivisibilità

dell'obbligazione di restituzione e sulla liberazione del

debitore, che ha adempiuto la prestazione nei confronti di

uno dei creditori (art. 1317, 1319, 1202 cod. civile). Esattamente si rileva, invece, da parte dei resistenti che

l'asserita trasmissione dei gioielli ad Esmeralda Euspoli è circostanza che può interessare unicamente i particolari

rapporti tra madre e figlia, ma non riguarda affatto nè

l'originario attore Mario Euspoli, nè gli eredi di Palma de

Talleyrand, onde non sposta i termini della controversia, nè fa cessare la materia del contendere.

Sotto questo profilo si afferma poi con il quarto mo

tivo, nel quale si denuncia violazione degli art. 1068 cod.

civ. abr. e 785-948 cod. civ., e dei principi in materia di qua lificazione dell'azione e di legittimazione ad causam, che

Marina Volpi non sarebbe passivamente legittimata al

l'azione contro di lei proposta, giacché questa dovrebbe de

finirsi rivendica, e come tale sarebbe esperimentabile solo

contro colui che si trova in possesso del bene revindicato.

Questo aspetto della causa è stato ampiamente esa minato dal Giudice di merito, il quale ha disatteso le argo mentazioni della appellante con un ragionamento informato

ad esatti criteri giuridici, il quale resiste alla censura mos

sagli in questa sede.

Che dalla nullità della donazione obnuziale discenda il

diritto del donante di aver in restituzione i beni, costituenti

oggetto della donazione, non è dubbio ed in sostanza non

lo contesta nemmeno la ricorrente, la quale si limita a di

scutere la qualificazione dell'azione che compete al donante.

Al riguardo la legge tace, poiché l'art. 785 cod. civ. si li

mita a disporre che l'annullamento del matrimonio im

porta la nullità della donazione fatta in riguardo di esso, mentre l'art. 1068 cod. civ. disponeva che tale donazione

era senza effetto nella ipotesi di annullamento del matri

monio. Tutto ciò non vale tuttavia a qualificare come reale

l'azione del donante, che intenda riavere i beni donati, e

non consente di accedere all'assunto della ricorrente, che

la richiesta di restituzione debba fondarsi su norme e su

principi diversi da quelli sovramenzionati. Invero col

venir meno della donazione è caduto il titolo giustificativo del trasferimento del bene al donatario, onde sorge a carico

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1935 PARTE PRIMA 1936

di questo un obbligo, personale, di restituzione, ebe è

precisamente quello fatto valere dal donante.

Non bisogna dimenticare cbe, nonostante talune pecu liarità della sua disciplina, la donazione si configura come

un contratto, e regola generale in materia contrattuale è

cbe l'annullamento del contratto importa la restituzione

delle parti nelle rispettive posizioni, cbe esse avevano al

momento della sua stipulazione : uè si dubita cbe le azioni

al riguardo esercitate siano azioni personali, poicbè si

fondano sul rapporto cbe è intercorso tra i ccjgetti del

contratto.

Esattamente pertanto la Corte d'appello ba affermato

cbe obbligato alla restituzione dei beni donati è il dona

tario, onde bene contro di lui viene proposta l'azione da

parte del donante, il quale, appunto perchè esercita una

azione conseguente alla nullità della donazione, non è

tenuto a fornire prova diversa da quella di essere stato

egli il donante dei beni chiesti in restituzione.

Ciò pone in evidenza la distinzione tra quest'azione e

l'azione rivendicatoria, cbe ba carattere tipicamente reale,

esige la prova della proprietà del rivendicante e del possesso o della detenzione nel convenuto, e postula, perchè rimanga inalterata la sua essenza, che il convenuto stesso contesti

il diritto reale vantato dall'attore, anche se non si affermi

egli stesso titolare del diritto medesimo.

Nel caso concreto l'azione non poteva quindi proporsi che nei confronti di Marina Volpi, poiché è questa, e al

riguardo non v'è dubbio, che aveva ricevuto in dono i

gioielli e che doveva pertanto rispondere della loro resti

tuzione. È appena il caso di aggiungere che, nel qualificare

l'azione, il Giudice di appello si è riferito esclusivamente

al rapporto contrattuale, che si era istituito tra le parti

per effetto della donazione : se nella sentenza v'è un accenno

all'acquisto da parte degli attori dei preziosi, questo appare fatto non per dimostrare che gli attori intendessero far

valere un loro diritto di proprietà discendente dal detto

acquisto, bensì per dimostrare cbe essi, e non altri, erano

stati effettivamente i donanti dei preziosi stessi, e ciò per confutare un diverso assunto difensivo dell'appellante.

Nè può muoversi alla Corte l'appunto di essere caduta

in contraddizione con un riferimento all'art. 948, poiché detta norma non è mai menzionata nella sentenza : erano

stati soltanto gli appellanti a far rilevare che, quand'anche l'azione fosse stata configurata come rivendica, non per

questo sarebbe venuta meno la legittimazione passiva della Volpi, poicbè secondo il suo stesso assunto, la effettiva

consegna dei preziosi alla figlia sarebbe avvenuta nel 1949, all'atto in cui questa compiva la maggiore età, onde la

convenuta avrebbe cessato di possedere soltanto dopo l'instaurazione della lite, il che, a norma appunto del

l'art. 948, non esplica effetti sull'azione di rivendicazione

già proposta. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione I civile ; sentenza 12 ottobre 1960, n. 2678 ; Pres.

Lorizio P., Est. Akras, P. M. Pedote (conci, conf.) ; Finanze c. Società cooperativa Divin Padre (Avv. Scan

dale).

(Conferma App. Soma 12 novembre 1958)

Registro — Cooperativa agricola — Soci non colti

vatori diretti — Finanziamento dei soci — Fine

mutualistico — Sussistenza (D. 1. 14 dicembre 1947

ri. 1577, provvedimenti per la cooperazione, art. 26).

Hegistro — Società cooperativa non iscritta nel re

gistro prefettizio — Pendenza del termine per l'iscrizione — Agevolazioni tributarie — Spet tanza (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, legge del re

gistro, art. 65, 66 ; d. 1. 14 dicembre 1947 n. 1577, art. 13, 16).

Ai fini delle agevolazioni tributarie in favore delle operazioni delle società cooperative (nella specie, tassa fissa di registro su atti di acquisto di immobili da parte della, cooperativa che, dopo averli assoggettati a bonifica, li assegnava ai

soci), è da riconoscere fine mutualistico ad une, coopera tiva, costituita da soci non coltivatori diretti, per attuare

opere di bonifica e di trasformazione agraria, in effetti

compiute, anche se l'attività sociale sia stata finanziata dai soci medesimi. (1)

Le agevolazioni tributarie, in materia di imposta di registro,

competono anche alle cooperative non ancora iscritte nel

registro prefettizio e nello schedario generale del Mini

stero del lavoro, purché non sia ancora scaduto il termine

per provvedere alla relativa iscrizione. (2)

La Corte, ecc. — I due motivi si integrano a vicenda e

devono perciò essere insieme esaminati.

Con essi l'Amministrazione delle finanze denuncia la

violazione dell'art. 8 legge di registro (r. decreto 30 dicembre

1923 n. 3269), in relazione all'art. 149 stessa legge, e la

violazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. e deduce che

la Corte di merito non ha sottoposto gli atti ad indagine critica per accertare, ai fini dell'applicazione dell'imposta, se la sostanza giuridica ed economica dei medesimi corri

spondeva alla forma assunta, avendo omesso l'esame delle

deduzioni dell'Amministrazione e della documentazione dalla

stessa offerta, da cui risultava : a) che i soci della Cooperativa non avevano la qualità di coltivatori agricoli, costante

mente richiesta dal Comitato centrale delle cooperative iscritte presso il Ministero del lavoro ; b) che i pseudo-soci

acquistavano la qualità di soci solo per procedere all'asse

gnazione e poi recedevano contemporaneamente all'avve

nuta assegnazione ; c) che nessuna opera di valorizzazione

agraria era stata compiuta, anche perchè i terreni erano

soggetti a locazione novennale, venuta a scadere dopo le

assegnazioni e la messa in liquidazione della Cooperativa ;

d) che la Cooperativa aveva svolto la sua attività, non attra

verso il capitale sociale, ma attraverso i finanziamenti dei

soci ; e) che la Cooperativa non aveva osservato le norme

di legge sulla cooperazione, perchè non risultava iscritta,

(1) Dallo «svolgimento del processo», esposto nella sentenza, dalla quale non sono state estratte massime «ufficiali» (Foro it., Mass., 591), risulta che la Cooperativa aveva acquistato immobili, che, dopo aver assoggettato a bonifica, assegnò ai

soci, con atti pubblici, su cui l'Ufficio tributario, dopo aver per cepito soltanto la tassa fissa, pretendeva, mediante ingiunzione, la tassa proporzionale.

Non risultano precedenti in termini. In genere, nel senso che il requisito della mutualità debba sussistere ed essere speci ficatamente accertato prima di ammettere la cooperativa alla

registrazione degli atti col beneficio della tassa fissa, vedi : Comm. centrale 1 febbraio 1057, n. 89181, id., Rep. 1958, voce

Registro, nn. 270, 271 ; 7 novembre 1956, n. 85944, id., Rep. 1957, voce cit., n. 104 ; 23 maggio 1952, n. 36668, id., Rep. 1953, voce cit., nn. 197, 198 ; Commiss. prov. imp. Mantova 15 dicembre 1950, id., Rep. 1951, voce cit., n. 156 ; Comm. centrale 24 marzo 1947, n. 88743, id., Rep. 1949, voce cit., n. 244.

In dottrina, per alcuni riferimenti, consulta Rastello, Società cooperative — Mutualità presunta e mutualità da indivi duare ai fini fiscali, in Riv. trib., 1953, 95 ; nonché, Oraziani, Società cooperativa e scopo mutualistico, in Riv. dir. comm., 1950, I, 276 ; Verrucoli, La società cooperativa, Milano, 1958, spec. 506.

(2) Non si rinvengono precedenti specifici del Supremo collegio.

In senso conforme alla sentenza riportata, vedi Commiss,

imp. Milano 20 ottobre 1958, Foro it., Rep. 1959, voce Registro, n. 223.

Nel senso, invece, che la mancata iscrizione della coopera tiva nel registro prefettizio e nello schedario generale del Mini stero del lavoro impedisce il godimento dei benefici fiscali anche

quando il termine per provvedervi non sia scaduto e sia stata

presentata la relativa domanda di iscrizione : cfr. Comm. cen trale 10 marzo 1958, n. 2828, ibid., nn. 219, 220 , 10 marzo 1958, n. 2868, ibid., n. 221 ; 21 giugno 1957, n. 95185, ibid., n. 222 ; 15 febbraio 1957, n. 78930, id., Rep. 1958, voce cit., n. 377 ; 26 maggio 1952, n. 36755, id., Rep. 1953, voce cit., n. 199,.

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