Sezione II civile; sentenza 13 ottobre 1960, n. 2708; Pres. Chieppa P., Est. Ferrati, P. M. Toro(concl. conf.); Volpi di Misurata (Avv. Moschella, Maino) c. Ruspoli (Avv. Tumedei, Storoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 1929/1930-1935/1936Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151555 .
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1929 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1930
è noto, che i contratti con l'Amministrazione statale non
sono obbligatori per questa finché non siano approvati dal Ministro competente o dall'ufficiale all'uopo delegato, ed è principio di comune insegnamento che l'approvazione di cui in detta norma appartiene all'ordine dei così detti
provvedimenti di efficacia, ossia di quegli atti che servono, non già ad imprimere validità ad un atto, bensì a render
efficace, ossia produttivo dei suoi effetti coll'esaudirsi di
una condicio iuris, un atto avente già in sè e per sè ogni
requisito di validità.
Così intesi il contenuto e la portata della norma, è di
manifesta irrilevanza la circostanza che al contratto fosse
stata data nelle more parziale esecuzione, quando se ne
volesse dedurre, come assume il ricorrente, che si dovesse
per ciò solo giungere alla esecuzione totale, malgrado il
difetto di approvazione ministeriale. E posto che la detta
approvazione è provvedimento di efficacia del contratto, vale a dire un quid facti che deve concorrere a dar fonda
mento alla domanda, è rispondente al precetto dell'art. 2697
cod. civ. che la prova relativa dovesse far carico alla So
cietà oggi ricorrente, precisamente come è stato detto nel
l'impugnata sentenza.
Di nessun rilievo è l'obiezione che la spesa occorrente
per l'erogazione del contributo di cui trattasi fosse stata
intanto impostata in bilancio, come afferma la ricorrente,
perchè è chiaro che una operazione di natura contabile,
quale è l'iscrizione di un capitolo di spesa, sia pure nel bi
lancio di una pubblica Amministrazione, non è atto idoneo
a supplire al difetto dell'attività voluta dall'art. 19 più volte citato, ossia a conferire al contratto quell'efficacia che può essere acquistata solo con l'approvazione ministe
riale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 13 ottobre 1960, n. 2708 ; Pres.
Chieppa P., Est. Ferrati, P. M. Toro (conci, conf.) ;
Volpi di Misurata (Avv. Moscheixa, Maino) c. Ruspoli
(Avv. Tumedei, Storoni).
(Conferma App. Venezia 11 febbraio 1958)
Procedimento in materia civile — Morie «Iella parte — Riassunzione —• Notifica collettiva agli eredi -— Identificazione — Esclusione — Omessa men
zione specifica degli eredi nell'intestazione della
sentenza — Validità della sentenza (Cod. proo. CÌV.,
art. 303, 330). Minore (età) agli effetti civili — Autorizzazione del
giudice tutelare —- Minore convenuto — Non ne
cessarietà dell'autorizzazione (Cod. civ., art. 320). Minore (età) agli effetti civili — Minore convenuto
— Giudizio relativo ad atti di conservazione o di
miglioramento del patrimonio — Non necessa
rietà dell'autorizzazione (Cod. CÌV., art. 320). Donazione — Donazione ohnuzialc — Nullità conse
guente all'annullamento del matrimonio — Azione
di restituzione — Natura — Onere della prova
(Cod. civ., art. 785, 948, 2697).
0on la notifica collettiva ed impersonale agli eredi della parte
defunta nella ipotesi degli art. 303, 2° comma, e 330, 2°
comma, cod. proc. civ., tutti gli eredi devono intendersi
evocati in giudizio senza bisogno di individuazione, e non
è nulla la sentenza che non rechi menzione di ciascuno
degli eredi stessi nell'intestazione o nella parte dispo sitiva. (1)
(1) Sulla questione specifica non ci risultano precedenti. In generale nel senso che in caso di morte della parte la rias
sunzione determina una situazione di litisconsorzio necessario
tra i coeredi, fondata sopra la successione nel processo : Cass.
L'autorizzazione del giudice tutelare al genitore esercente la
patria potestà non è necessaria quando il minore sia chia
mato da altri in giudizio. (2) L'autorizzazione non è altresì necessaria quando il giudizio
si riferisca ad atti che non possono recare pregiudizio o diminuzione del patrimonio del minore, in quanto diretti al miglioramento o alla conservazione dei beni che del
patrimonio fanno parte. (3) Dalla nullità della donazione obnuziale, conseguente all'an
nidlamento del matrimonio, nasce a carico del donatario
un obbligo, personale, di restituzione dei beni donati ;
pertanto, il donante attore non è tenuto a fornire la prova della proprietà del bene, ma soltanto quella dell'esistenza
della donazione e della sua qualità di donante. (4)
La Corte, ecc. — (Omissis). Passando all'esame del ri
corso si osserva che con i primi quattro motivi si sollevano
questioni diverse d'ordine processuale. Con il primo motivo si denuncia infatti dalla ricorrente
3 luglio 1958, n. 2372, Foro it., Rep. 1958, voce Procedimento in materia civile, n. 419 ; 7 febbraio 1958, n. 375, ibid., n. 420 ; 13 novembre 1956, n. 4229, id., Rep. 1956, voce cit., n. 499. Per qualche riferimento in tema di successione processuale, v. Cass. 11 maggio 1957, n. 1668, id., 1957, I, 1642.
In dottrina sulla riassunzione del processo, vedi : Nappi, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1943, II, 1, n. 80 ; Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma, 1951, II, n. 530 ; Andrioli, Commento al codice di pro cedura civile, Napoli, 1956, II, pag. 325 ; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Napoli, 1960, II, 1, pag. 413.
(2-3) In senso conforme : Cass. 24 novembre 1956, n. 4299, Foro it., Rep. 1956, voce Minore [età) agli effetti civili, n. 16, citata nella motivazione ; e sostanzialmente : App. Firenze 12
gennaio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., n. 10 ; Cass. 6 settembre
1957, n. 3455, id., Rep. 1957, voce cit., n. 20 ; ed inoltre : Cass. 21 maggio 1957, n. 1840, ibid., n. 28 ; 7 maggio 1954, n. 1441, id., Rep. 1954, voce cit., n. 7 ; 6 maggio 1954, n. 1407, ibid., n. 14 ; e 3 dicembre 1952, n. 3109, id., Rep. 1952, voce cit., n. 19.
La distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria ammini strazione non è fondata su un criterio giuridico, bensì su un cri terio economico, quale quello delle conseguenze patrimoniali degli atti medesimi : in tal senso giurisprudenza e dottrina pre valenti. In proposito, v. Cass. 17 giugno 1958, n. 2082, id., Rep. 1958, voce ciL., n. 3 ; 13 novembre 1957, n. 4375, id., Rep. 1957, voce cit., n. 24 ; 31 maggio 1957, n. 1840, ibid., n. 28 ; 11 gen naio 1957, n. 44, ibid., n. 10 ; 19 gennaio 1956, n. 139, id., Rep. 1956, voce cit., n. 5 ; 23 luglio 1953, n. 2484, id., Rep. 1953, voce
cit., n. 6 ; 18 giugno 1953, n. 1843, n. 4, ibid., n. 4 ; 21 agosto 1952, n. 2715, id., 1953, I, 333. In dottrina, diffusamente, vedi: Mira
belli, I c. d. atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoja, Bologna, 1953, III, pag. 353 e segg. ; De Gre
gorio, Gli atti di amministrazione nelle società per azioni e a respon sabilità limitata, in Foro it., 1954, I, 1271 ; Cicu, La filiazione, Torino, 1954, pag. 324 ; Messineo, Manuale di diritto civile e
commerciale, Milano, 1950, I, pag. 245 ; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, pag. 302 ; Cariota-Ferrara, Il negozio giuridico, Napoli, 1948, pag. 625; Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1957, pag. 199.
L'autorizzazione del giudice tutelare è necessaria solo nel caso in cui il minore assuma la veste di attore, e non quando sia convenuto : Cass. 14 ottobre 1959, n. 2846, Foro it., Rep. 1959, voce cit.? n. 5 ; 8 agosto 1957, n. 3355, id., Rep. 1957, voce cit., n. 21 ; e 16 agosto 1955, n. 2540, id., Rep. 1955, voce
cit., n. 8. L'esercizio di un'azione giudiziaria può costituire atto di
ordinaria o straordinaria amministrazione in relazione al rap porto giuridico su cui verte la lite : Cass. 22 ottobre 1959, n.
3065, id., Rep. 1959, voce cit., n. 6 ; 23 gennaio 1959, n. 176, ibid., n. 7 ; App. Napoli 26 agosto 1957, id., Rep. 1958, voce
cit., n. 15.
(4) Non risultano precedenti giurisprudenziali. In dottrina, sull'incidenza dell'annullamento del matri
monio sulla donazione obnuziale : Amendola, Le donazioni obnuziali e Vannullamento del matrimonio, in Foro it., 1956, IV, 153. Recentemente : Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, pag. 810 e seg. ; Azzariti-Martinez, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1959, pag. 737 e seg. ; Torrente, La dona
zione, Milano, 1956, pag. 463 e segg ; nonché, sulla donazione obnuziale nel campo della riforma agraria, Corte cost. 18 maggio 1960, n. 31, Foro it., I960, I, 1641, con nota di richiami.
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1931 PARTE PRIMA 1932
I
la nullità della sentenza impugnata perchè non pronunciata nei confronti di tutte le parti in causa, donde violazione o
erronea applicazione degli art. 101, 102, 110, 330, 331,
350, 291 e segg. cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, stesso codice.
Partendo dall'incontrastato presupposto di fatto clie
eredi di Palma de Talleyrand sono tutte le persone alle
quali è stato notificato il presente ricorso, la Volpi sostiene
che la sentenza della Corte d'appello, anziché in confronto
di tutti gli eredi, è stata pronunciata solo in confronto di
quelli di essi che si erano costituiti nel giudizio d'appello, e cioè gli attuali controricorrenti Alessandro Edmondo
Ruspoli e Virginia Patrizi, ved. Ruspoli, in proprio e per i
figli minori, poiché questi sono gli unici menzionati nel
l'intestazione della sentenza : essa muove quindi alla Corte
d'appello l'addehito di aver omesso la identificazione degli eredi della defunta principessa, e di non aver successiva
mente dichiarato la contumacia di quelli di essi che non
erano comparsi. Pur dovendosi riconoscere che la sentenza impugnata
non è formalmente impeccabile, devesi escludere la sussi
stenza della denunciata nullità.
Giova premettere, in linea generale, che, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata in
testazione della sentenza a taluna delle parti non determina
la nullità della sentenza stessa, qualora le parti risultino
indicate con sufficiente chiarezza nel contesto della deci
sione : si tratta in tal caso di una semplice omissione ma
teriale, suscettibile di correzione nelle forme dettate dalla
legge. Parimenti devesi considerare che l'omissione della for
male dichiarazione di contumacia non importa irregolarità del contraddittorio o altra conseguenza sul rituale svolgi mento del processo, ove risulti che in realtà il contraddit
torio è stato regolarmente instaurato.
Ciò porta immediatamente ad escludere che le due
omissioni, che secondo la ricorrente viziano la sentenza
impugnata, abbiano, di per sè, la portata e gli effetti da
essa asseriti.
A questo riguardo devesi riflettere alla peculiarità del
caso concreto e tener conto che, essendo la coattrice Palma
de Talleyrand deceduta nelle more tra la notificazione del
l'appello, questo è stato proposto in forma collettiva ed
impersonale nei confronti di tutti gli eredi della parte de
funta. Ora siilla ritualità di questa notificazione, espressa mente prevista dall'art. 330, 2° comma, cod. proc. civ., non possono sorgere dubbi, nè avrebbe interesse a solle
varne proprio l'attuale ricorrente, che si è avvalsa di detta
forma di notificazione per instaurare il giudizio d'impugna zione avverso la sfavorevole sentenza del Tribunale.
Ma, se l'appello è stato validamente proposto con la
notifica collettiva ed impersonale agli eredi di Palma de
Talleyrand, deve per ciò stesso escludersi che fin da quel momento il contraddittorio è stato regolarmente instaurato
nei confronti di tutti gli eredi della defunta, che, come tali, dovevano necessariamente partecipare al giudizio di secondo
grado, verificandosi nei loro riguardi un'ipotesi di litiscon
sorzio necessario. Ed è appena il caso di aggiungere che, non essendosi gli appellanti costituiti alla prima udienza, il Consigliere istruttore dichiarò senz'altro la loro contu
macia, onde non è nemmeno esatto quanto denuncia a tal
proposito la ricorrente.
Ad avviso di questa, la notifica collettiva ed imperso nale agli eredi della parte defunta non esimerebbe, per altro, il giudice dall'obbligo di procedere successivamente
alla individuazione di ognuno di essi, in modo che, tanto
nell'intestazione quanto nella parte espositiva della sen
tenza, sia fatta menzione di ciascuno di detti eredi : l'os
servanza di queste formalità costituirebbe, quindi, requi sito indispensabile, perchè la sentenza, emessa a conclu
sione di quel giudizio, sia valida e possa essere produttiva
degli effetti che le sono propri. Simile assunto appare in netto contrasto con il sistema
della legge, onde non lo si può condividere. Invero, tanto
nell'ipotesi di interruzione del processo per morte della
parte (art. 303, 2° comma), quanto in quella di morte della
parte dopo la notificazione della sentenza (art. 330, 2°
comma), il legislatore lia consentito all'altra parte, che in
tende procedere alla riassunzione del processo o impugnare la sentenza, di effettuare la notificazione dell'atto riassun
tivo nel primo caso, dell'atto d'impugnazione nel secondo,
agli eredi del defunto in forma impersonale e collettiva.
La ratio di entrambe le norme è identica : quella di
agevolare la parte nella prosecuzione del giudizio già in
staurato o nell'esercizio del diritto d'impugnazione, senza
costringerla a previamente identificare gli eredi, legittimi o testamentari, del defunto con ricerche che, normalmente, esulano dalla sua sfera d'azione.
Con l'evocazione collettiva ed impersonale degli eredi, mentre non si pregiudicano gli interessi di questi, giacche
l'agevolazione, nel caso di interruzione del processo, opera entro un ristretto limite di tempo e, in entrambe le ipotesi, la notificazione deve avvenire in luogo (ultimo domicilio o
domicilio eletto del defunto), ove più facilmente gli eredi
possono venir a conoscenza del giudizio, si evita che nel
corso di questo se ne debba inserire un altro, avente per
oggetto l'accertamento della qualità di erede del defunto nei
soggetti singolarmente evocati in causa in tale veste.
Ora è di tutta evidenza che con la tesi sostenuta dalla
ricorrente permarrebbero proprio quegli inconvenienti, che
con le norme sovraesaminate si sono voluti evitare : in
definitiva si avrebbe soltanto mi differimento nel tempo, in
quanto quelle indagini e quegli accertamenti, che non si
sono fatti prima della riassunzione e dell'impugnazione, si dovrebbero necessariamente fare a giudizio riassunto od instaurato.
Il che porterebbe a configurare una vocatio in iws sot
toposta a condizione, nel senso cioè che l'evocazione col lettiva ed impersonale degli eredi sarebbe inizialmente
valida, onde, ad es., il giudizio d'impugnazione sarebbe
regolarmente instaurato con tutte le conseguenze ad esso
inerenti, prima tra esse l'impedimento al passaggio in giu dicato della sentenza impugnata, ma l'efficacia di quella vocatio in ius sarebbe subordinata alla successiva identi
ficazione degli eredi.
In tal modo la finalità della norma in esame viene irri
mediabilmente frustrata, senza contare che non si com
prende quali provvedimenti dovrebbe in concreto adottare il giudice ad avvenuta identificazione degli eredi, non po tendo ovviamente disporre un'integrazione del contraddit torio nei confronti di quelli di essi che non fossero comparsi, quando per effetto della notifica impersonale e collettiva tutti gli eredi devono intendersi già evocati in giudizio.
Indubbiamente, qualora, a seguito della citazione in forma collettiva ed impersonale degli eredi della parte de
funta, taluno si costituisca in causa in tale qualità, il giudice è tenuto a verificare se effettivamente egli abbia tale veste,
poiché questa è l'unica a legittimare la sua partecipazione al giudizio, e la sentenza non può essere pronunciata che nei confronti di chi è legittimato a proporre la domanda o a resistervi.
Ma un simile problema nella specie non si è mai posto, poiché non si è mai contestato che Alessandro Edmondo
Ruspoli ed i figli minori di Marescotti Ruspoli siano ef fettivamente eredi dell'originaria attrice, l'uno perchè figlio gli altri perchè nipoti in rappresentazione del defunto padre : non occorreva quindi alcun specifico formale accertamento, da parte del giudice.
E non s'è neppure dubitato che vi siano altri eredi oltre quelli, giacché, costituendosi in appello con l'identico
patrocinio dell'originario attore Mario Euspoli, i predetti elencarono dettagliatamente nella loro comparsa di risposta tutti gli eredi della defunta Palma de Talleyrand, e a quel l'elencazione, che doveva ritenersi pacifica in difetto di
ogni contestazione da parte dell'appellante, ha fatto evi dentemente riferimento la sentenza impugnata, quando dà atto che, notificato l'atto di appello agli eredi di Palma de Talleyrand, « di costoro si costituirono in causa, per resi stere al gravame unitamente all'originario attore Mario
Ruspoli, Alessandro Edmondo Ruspoli e Virginia Patrizi vedova Ruspoli, quest'ultima pei sè ed in nome e per conto dei figli minori Eugenio e Patrizia ».
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ciò dimostra quindi come il Giudice d'appello abbia inteso pronunciare la sentenza non nei soli confronti degli eredi costituiti, ma di tutti gli eredi della defunta attrice, così come gli eredi stessi erano stati evocati nel giudizio di impugnazione, onde non tanno ragion d'essere i dubbi
prospettati dalla ricorrente, la quale a torto profila l'ipo tesi della sentenza « soggettivamente indeterminata », giac ché questa è stata emessa nei confronti di soggetti ben in
dividuati, attraverso la loro qualità di eredi della defunta
attrice.
Rimane quindi soltanto l'incompletezza della inte
stazione della sentenza, cbe non menziona, a fianco dei
tre eredi costituiti, ancbe gli altri con generico richiamo
alla veste nella quale erano stati chiamati in giudizio, ma, come si è in precedenza dimostrato, si tratta di ima menda
puramente formale, la quale non esclude che la sentenza
sia stata pronunciata nei confronti di tutti gli eredi della
originaria attrice Palma de Talleyrand. Con il secondo motivo, nel quale si denuncia la viola
zione degli art. 100 e 75 cod. proc. civ. e320cod. civ., nonché
violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia, la ricorrente prospetta ima questione che attiene specifi camente alla posizione di Virginia Patrizi, la quale si è
costituita non solo quale legale rappresentante dei figli minori, ma anche in proprio.
Premesso che non si dubita àella,rJegitimatio ad causam
di Eugenio e Patrizia Euspoli, eredi, per rappresentazione, della defunta ava, si obietta, tuttavia, da parte della
ricorrente, che per la loro partecipazione al giudizio sa
rebbe occorsa l'autorizzazione del giudice tutelare.
È facile, peraltro, ribattere che l'autorizzazione sud
detta è necessaria per la proposizione di un giudizio, mentre
nella specie i minori Euspoli erano chiamati a resistere
all'impugnazione proposta contro una sentenza già emessa
a favore della loro dante causa, onde gli stessi avevano la
veste di convenuti così come l'hanno ora di resistenti.
D'altronde, come ha già affermato questa Corte (sent. 24 novembre 1956, n. 4299, Foro it-, Eep. 1956, voce Mi
nore civ., nn. 16, 17), l'autorizzazione del giudice tute
lare al genitore esercente la patria potestà è necessaria
soltanto per i giudizi relativi ad atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione, cioè a quelli che possono recare pregiu dizio o diminuzione del patrimonio del minore, e non anche
per quelli diretti al miglioramento e alla conservazione
dei beni, che fanno parte del patrimonio, e sotto tal pro filo è stata considerata esercitabile, in virtù soltanto dei
poteri di rappresentanza del genitore esercente la patria
potestà, l'azione di rivendica, in quanto questa tende alla
conservazione dell'integrità del patrimonio del minore : nella
specie quindi era evidente la non necessità della autorizza
zione del giudice tutelare, giacche con la proposta azione
si tendevano a far valere diritti su beni entrati a far parte,
pro quota, del patrimonio dei minori ed indebitamente trat
tenuti dall'attuale ricorrente.
Si assume poi dalla Volpi che Virginia Patrizi non aveva
comunque titolo per costituirsi in proprio, non essendo erede
della defunta suocera ; ma, se quest'ultimo rilievo è sicura
mente esatto, non lo è altrettanto la deduzione che la ricor
rente vuol trarne. Gli è che la Corte d'appello non ha af
fatto riconosciuto alla Patrizi la legittimazione a parte
cipare al giudizio in dipendenza di una sua qualità di erede
della defunta principessa : la sentenza non contiene nes
suna affermazione, esplicita od implicita, in tal senso, mentre è di tutta evidenza che la legittimazione della Pa
trizi è stata ricollegata al suo diritto, pacifico, di usufrutto
che le compete sui beni dei figli minori, diritto da cui di
scende il suo autonomo interesse a partecipare ad un giu
dizio, in cui si discute su beni che dovrebbero, pro quota, accrescere il patrimonio dei minori stessi e maggiorare di
conseguenza l'usufrutto da essa goduto. Il terzo ed il quarto motivo prendono entrambi lo
spunto dalla medesima circostanza e cioè dal fatto che, secondo le asserzioni della ricorrente, i gioielli in contesta
zione sarebbero attualmente in possesso della figlia Esme
ralda Euspoli. Sotto un profilo si afferma, infatti, con il terzo motivo,
nel quale si denuncia violazione od errata applicazione degli art. 330, 331, 100, 110 cod. proc. civ., anche in relazione al
l'art. 1253 e cod. civ., che, essendo divenuta Esmeralda
Ruspoli erede di Palma di Talleyrand in rappresentanza del
predefunto padre, sarebbe, per ciò stesso, venuta a cessare
la materia del contendere.
Secondo la Volpi l'azione diretta alla restituzione dei
gioielli non poteva proseguire contro la presunta obbligata
personale alla restituzione, una volta che la persona, la
quale aveva ricevuto i preziosi e ne era in possesso, era
venuta a trovarsi, sia pure con altri, nella posizione di colei
che aveva agito per la restituzione, e la Corte di Venezia sarebbe precisamente caduta nell'errore di non essersi ac
corta della nuova situazione creatasi nel giudizio d'appello. La censura non merita accoglimento. A parte che la questione, nei precisi termini in cui è
prospettata nel motivo, non è mai stata sottoposta al Giu
dice di merito, avanti al quale la circostanza, che i gioielli si trovassero a mani di Esmeralda Euspoli, venne fatta va
lere solo al fine di escludere la legittimazione passiva del
l'attuale ricorrente, è d'uopo considerare che la riunione
nella medesima persona della qualità di erede, pro quota,
dell'originaria attrice e di detentrice, in ipotesi, degli og
getti in contestazione non può esplicare effetti nell'attuale
processo. E ciò, non soltanto perchè i gioielli sono stati
congiuntamente richiesti da entrambi i coniugi Ruspoli, uno dei quali soltanto è defunto, ma, ed essenzialmente,
perchè secondo le stesse asserzioni della ricorrente la con
segna dei preziosi ad Esmeralda Euspoli sarebbe avvenuta
quando la medesima non era ancora erede dell'ava. Quale che sia stato il titolo in base al quale sia avvenuta quella
pretesa consegna, è certo quindi che la stessa non potè essere stata effettuata a titolo di restituzione, in conseguenza della nullità della donazione, vale a dire in base al titolo
fatto valere in questo giudizio : e questo basta per superare tutta l'argomentazione della ricorrente sull'indivisibilità
dell'obbligazione di restituzione e sulla liberazione del
debitore, che ha adempiuto la prestazione nei confronti di
uno dei creditori (art. 1317, 1319, 1202 cod. civile). Esattamente si rileva, invece, da parte dei resistenti che
l'asserita trasmissione dei gioielli ad Esmeralda Euspoli è circostanza che può interessare unicamente i particolari
rapporti tra madre e figlia, ma non riguarda affatto nè
l'originario attore Mario Euspoli, nè gli eredi di Palma de
Talleyrand, onde non sposta i termini della controversia, nè fa cessare la materia del contendere.
Sotto questo profilo si afferma poi con il quarto mo
tivo, nel quale si denuncia violazione degli art. 1068 cod.
civ. abr. e 785-948 cod. civ., e dei principi in materia di qua lificazione dell'azione e di legittimazione ad causam, che
Marina Volpi non sarebbe passivamente legittimata al
l'azione contro di lei proposta, giacché questa dovrebbe de
finirsi rivendica, e come tale sarebbe esperimentabile solo
contro colui che si trova in possesso del bene revindicato.
Questo aspetto della causa è stato ampiamente esa minato dal Giudice di merito, il quale ha disatteso le argo mentazioni della appellante con un ragionamento informato
ad esatti criteri giuridici, il quale resiste alla censura mos
sagli in questa sede.
Che dalla nullità della donazione obnuziale discenda il
diritto del donante di aver in restituzione i beni, costituenti
oggetto della donazione, non è dubbio ed in sostanza non
lo contesta nemmeno la ricorrente, la quale si limita a di
scutere la qualificazione dell'azione che compete al donante.
Al riguardo la legge tace, poiché l'art. 785 cod. civ. si li
mita a disporre che l'annullamento del matrimonio im
porta la nullità della donazione fatta in riguardo di esso, mentre l'art. 1068 cod. civ. disponeva che tale donazione
era senza effetto nella ipotesi di annullamento del matri
monio. Tutto ciò non vale tuttavia a qualificare come reale
l'azione del donante, che intenda riavere i beni donati, e
non consente di accedere all'assunto della ricorrente, che
la richiesta di restituzione debba fondarsi su norme e su
principi diversi da quelli sovramenzionati. Invero col
venir meno della donazione è caduto il titolo giustificativo del trasferimento del bene al donatario, onde sorge a carico
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1935 PARTE PRIMA 1936
di questo un obbligo, personale, di restituzione, ebe è
precisamente quello fatto valere dal donante.
Non bisogna dimenticare cbe, nonostante talune pecu liarità della sua disciplina, la donazione si configura come
un contratto, e regola generale in materia contrattuale è
cbe l'annullamento del contratto importa la restituzione
delle parti nelle rispettive posizioni, cbe esse avevano al
momento della sua stipulazione : uè si dubita cbe le azioni
al riguardo esercitate siano azioni personali, poicbè si
fondano sul rapporto cbe è intercorso tra i ccjgetti del
contratto.
Esattamente pertanto la Corte d'appello ba affermato
cbe obbligato alla restituzione dei beni donati è il dona
tario, onde bene contro di lui viene proposta l'azione da
parte del donante, il quale, appunto perchè esercita una
azione conseguente alla nullità della donazione, non è
tenuto a fornire prova diversa da quella di essere stato
egli il donante dei beni chiesti in restituzione.
Ciò pone in evidenza la distinzione tra quest'azione e
l'azione rivendicatoria, cbe ba carattere tipicamente reale,
esige la prova della proprietà del rivendicante e del possesso o della detenzione nel convenuto, e postula, perchè rimanga inalterata la sua essenza, che il convenuto stesso contesti
il diritto reale vantato dall'attore, anche se non si affermi
egli stesso titolare del diritto medesimo.
Nel caso concreto l'azione non poteva quindi proporsi che nei confronti di Marina Volpi, poiché è questa, e al
riguardo non v'è dubbio, che aveva ricevuto in dono i
gioielli e che doveva pertanto rispondere della loro resti
tuzione. È appena il caso di aggiungere che, nel qualificare
l'azione, il Giudice di appello si è riferito esclusivamente
al rapporto contrattuale, che si era istituito tra le parti
per effetto della donazione : se nella sentenza v'è un accenno
all'acquisto da parte degli attori dei preziosi, questo appare fatto non per dimostrare che gli attori intendessero far
valere un loro diritto di proprietà discendente dal detto
acquisto, bensì per dimostrare cbe essi, e non altri, erano
stati effettivamente i donanti dei preziosi stessi, e ciò per confutare un diverso assunto difensivo dell'appellante.
Nè può muoversi alla Corte l'appunto di essere caduta
in contraddizione con un riferimento all'art. 948, poiché detta norma non è mai menzionata nella sentenza : erano
stati soltanto gli appellanti a far rilevare che, quand'anche l'azione fosse stata configurata come rivendica, non per
questo sarebbe venuta meno la legittimazione passiva della Volpi, poicbè secondo il suo stesso assunto, la effettiva
consegna dei preziosi alla figlia sarebbe avvenuta nel 1949, all'atto in cui questa compiva la maggiore età, onde la
convenuta avrebbe cessato di possedere soltanto dopo l'instaurazione della lite, il che, a norma appunto del
l'art. 948, non esplica effetti sull'azione di rivendicazione
già proposta. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione I civile ; sentenza 12 ottobre 1960, n. 2678 ; Pres.
Lorizio P., Est. Akras, P. M. Pedote (conci, conf.) ; Finanze c. Società cooperativa Divin Padre (Avv. Scan
dale).
(Conferma App. Soma 12 novembre 1958)
Registro — Cooperativa agricola — Soci non colti
vatori diretti — Finanziamento dei soci — Fine
mutualistico — Sussistenza (D. 1. 14 dicembre 1947
ri. 1577, provvedimenti per la cooperazione, art. 26).
Hegistro — Società cooperativa non iscritta nel re
gistro prefettizio — Pendenza del termine per l'iscrizione — Agevolazioni tributarie — Spet tanza (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, legge del re
gistro, art. 65, 66 ; d. 1. 14 dicembre 1947 n. 1577, art. 13, 16).
Ai fini delle agevolazioni tributarie in favore delle operazioni delle società cooperative (nella specie, tassa fissa di registro su atti di acquisto di immobili da parte della, cooperativa che, dopo averli assoggettati a bonifica, li assegnava ai
soci), è da riconoscere fine mutualistico ad une, coopera tiva, costituita da soci non coltivatori diretti, per attuare
opere di bonifica e di trasformazione agraria, in effetti
compiute, anche se l'attività sociale sia stata finanziata dai soci medesimi. (1)
Le agevolazioni tributarie, in materia di imposta di registro,
competono anche alle cooperative non ancora iscritte nel
registro prefettizio e nello schedario generale del Mini
stero del lavoro, purché non sia ancora scaduto il termine
per provvedere alla relativa iscrizione. (2)
La Corte, ecc. — I due motivi si integrano a vicenda e
devono perciò essere insieme esaminati.
Con essi l'Amministrazione delle finanze denuncia la
violazione dell'art. 8 legge di registro (r. decreto 30 dicembre
1923 n. 3269), in relazione all'art. 149 stessa legge, e la
violazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. e deduce che
la Corte di merito non ha sottoposto gli atti ad indagine critica per accertare, ai fini dell'applicazione dell'imposta, se la sostanza giuridica ed economica dei medesimi corri
spondeva alla forma assunta, avendo omesso l'esame delle
deduzioni dell'Amministrazione e della documentazione dalla
stessa offerta, da cui risultava : a) che i soci della Cooperativa non avevano la qualità di coltivatori agricoli, costante
mente richiesta dal Comitato centrale delle cooperative iscritte presso il Ministero del lavoro ; b) che i pseudo-soci
acquistavano la qualità di soci solo per procedere all'asse
gnazione e poi recedevano contemporaneamente all'avve
nuta assegnazione ; c) che nessuna opera di valorizzazione
agraria era stata compiuta, anche perchè i terreni erano
soggetti a locazione novennale, venuta a scadere dopo le
assegnazioni e la messa in liquidazione della Cooperativa ;
d) che la Cooperativa aveva svolto la sua attività, non attra
verso il capitale sociale, ma attraverso i finanziamenti dei
soci ; e) che la Cooperativa non aveva osservato le norme
di legge sulla cooperazione, perchè non risultava iscritta,
(1) Dallo «svolgimento del processo», esposto nella sentenza, dalla quale non sono state estratte massime «ufficiali» (Foro it., Mass., 591), risulta che la Cooperativa aveva acquistato immobili, che, dopo aver assoggettato a bonifica, assegnò ai
soci, con atti pubblici, su cui l'Ufficio tributario, dopo aver per cepito soltanto la tassa fissa, pretendeva, mediante ingiunzione, la tassa proporzionale.
Non risultano precedenti in termini. In genere, nel senso che il requisito della mutualità debba sussistere ed essere speci ficatamente accertato prima di ammettere la cooperativa alla
registrazione degli atti col beneficio della tassa fissa, vedi : Comm. centrale 1 febbraio 1057, n. 89181, id., Rep. 1958, voce
Registro, nn. 270, 271 ; 7 novembre 1956, n. 85944, id., Rep. 1957, voce cit., n. 104 ; 23 maggio 1952, n. 36668, id., Rep. 1953, voce cit., nn. 197, 198 ; Commiss. prov. imp. Mantova 15 dicembre 1950, id., Rep. 1951, voce cit., n. 156 ; Comm. centrale 24 marzo 1947, n. 88743, id., Rep. 1949, voce cit., n. 244.
In dottrina, per alcuni riferimenti, consulta Rastello, Società cooperative — Mutualità presunta e mutualità da indivi duare ai fini fiscali, in Riv. trib., 1953, 95 ; nonché, Oraziani, Società cooperativa e scopo mutualistico, in Riv. dir. comm., 1950, I, 276 ; Verrucoli, La società cooperativa, Milano, 1958, spec. 506.
(2) Non si rinvengono precedenti specifici del Supremo collegio.
In senso conforme alla sentenza riportata, vedi Commiss,
imp. Milano 20 ottobre 1958, Foro it., Rep. 1959, voce Registro, n. 223.
Nel senso, invece, che la mancata iscrizione della coopera tiva nel registro prefettizio e nello schedario generale del Mini stero del lavoro impedisce il godimento dei benefici fiscali anche
quando il termine per provvedervi non sia scaduto e sia stata
presentata la relativa domanda di iscrizione : cfr. Comm. cen trale 10 marzo 1958, n. 2828, ibid., nn. 219, 220 , 10 marzo 1958, n. 2868, ibid., n. 221 ; 21 giugno 1957, n. 95185, ibid., n. 222 ; 15 febbraio 1957, n. 78930, id., Rep. 1958, voce cit., n. 377 ; 26 maggio 1952, n. 36755, id., Rep. 1953, voce cit., n. 199,.
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