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Sezione II civile; sentenza 15 luglio 1964, n. 1900; Pres. Civiletti P., Est. Albano, P. M. Trotta...

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Sezione II civile; sentenza 15 luglio 1964, n. 1900; Pres. Civiletti P., Est. Albano, P. M. Trotta (concl. conf.); Bernacchi e altri (Avv. Bosio, Balzano, Ferro, Piaggio) c. Citon-Sorima navigazione recuperi e salvataggi (Avv. Magrone, Raggi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 7 (1964), pp. 1337/1338-1351/1352 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23154496 . Accessed: 28/06/2014 12:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.97 on Sat, 28 Jun 2014 12:28:25 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 15 luglio 1964, n. 1900; Pres. Civiletti P., Est. Albano, P. M. Trotta(concl. conf.); Bernacchi e altri (Avv. Bosio, Balzano, Ferro, Piaggio) c. Citon-Sorimanavigazione recuperi e salvataggi (Avv. Magrone, Raggi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 7 (1964), pp. 1337/1338-1351/1352Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23154496 .

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1337 GtUmSPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1338

prima di deliberare sull'opportunità di esperire l'azione

giudiziaria, e corre quindi un minor rischio di soccombenza.

Un ritardo dell'istituto nel pronunziarsi sulla domanda

nella prima fase del procedimento non è senza rimedi,

perchè, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione

(10 dicembre 1957, n. 4654, Foro it., Eep. 1957, voce

Previdenza sociale, nn. 615-617), esso è vincibile mediante

una diffida a provvedere sull'istanza amministrativa, in

applicazione di noti principi di diritto.

Si sostiene altresì che, nella specie, un pregiudizio alla tutela giurisdizionale viene a determinarsi perchè le norme denunciate prevedono, per ricorrere al comitato

esecutivo, un termine la cui inutile decorrenza fa decadere

dall'azione giudiziaria ; e, per giunta, un termine che, es

sendo di novanta giorni, è assai breve al confronto di quello

quinquennale stabilito per l'esperimento di quell'azione,

dopo che se ne è conservato l'esercizio.

Deve però ritenersi che la fissazione del termine con

testato ha la funzione di assicurare il rispetto del prin

cipio di obbligatorietà del procedimento amministrativo

anche nella fase di riesame del provvedimento negativo dell'istituto ; e così è pure della sanzione di decadenza

comminata per la inosservanza di quel termine. Sono nu

merose le situazioni soggettive che l'ordinamento sotto

pone ad un regime di decadenza, per il mancato esercizio

entro un breve termine dei poteri che attribuisce, o per il mancato compimento di un determinato atto. Con l'ap

plicare tale regime alla prestazione di previdenza, la legge ha soltanto ritenuto che pure riguardo a questa era oppor tuno eliminare nel più breve tempo l'incertezza nel diritto

a conseguirla. Sarebbe assurdo intendere che l'art. 113

della Costituzione assicura « sempre » la tutela giurisdi

zionale, per affermare la perpetuità, che vorrebbe dire per

proclamare la perennità di ogni diritto soggettivo e l'im

possibilità di assoggettarlo a decadenza o a prescrizione :

non è utile nell'attuale sede decidere se la decadenza com

minata dalle norme denunciate comporti soltanto l'estin

zione della efficacia della domanda di prestazione, come

sostiene l'Istituto nazionale della previdenza sociale, o la

preclusione dell'azione giudiziaria.

Quanto al termine stabilito per il ricorso al comitato

esecutivo, esso era di trenta giorni in base al testo origi nario dell'art. 98 del r. decreto legge 4 ottobre 1935 n. 1827 ;

fu portato a novanta giorni con l'art. 1 della legge 5 febbraio

1957 n. 18, per rendere meglio possibile al titolare, come

spiega la relazione che accompagnò la proposta, un ponde rato esame delle ragioni opposte dall'istituto contro la do

manda. Il termine di novanta giorni è superiore a quello ge neralmente previsto per il ricorso al Consiglio di Stato, e

non può essere pertanto ritenuto incongruo alle esigenze della

difesa amministrativa del creditore della prestazione ; spe cie perchè la giurisprudenza afferma che l'Istituto nazionale

della previdenza sociale deve accertare con completezza

gli elementi che possono giustificare la pretesa alla presta

zione, indipendentemente cioè da ogni impulso probatorio dell'interessato. Non ha importanza opporre che si è repu tato opportuno di concedere un maggior tempo di cinque

anni per la proposizione dell'azione giudiziaria, ove anche

il comitato esecutivo respinga il ricorso. Cotesto termine

quinquennale è di prescrizione, e non è possibile saggiare sulla sua misura la congruità di quello trimestrale, che è

di decadenza ; incide, nella specie, sulla durata di un pro

cedimento, che per giunta, è di natura amministrativa,

e soddisfa alla necessità di non ritardare, nel concorrente

interesse del creditore, gli accertamenti di riesame neces

sari ad una migliore valutazione della domanda di presta

zione.

Altra ragione di pregiudizio alla tutela giurisdizionale

si avrebbe perchè la materia del procedimento amministra

tivo limita quella del processo giudiziario, e il giudice resta

perciò vincolato agli accertamenti compiuti nella sede an

teriore.

Non risulta però da alcuna delle norme del r. decreto

legge 4 ottobre 1935 n. 1827, che il giudice debba formare

il suo convincimento soltanto sulla base delle prove rac

colte nella sede amministrativa. Lo ha escluso quella giu

II Poro Italiano — Volume LXXXVII — Parte 7-85.

risprudenza della quale si è già fatto cenno, per cui il pro cedimento giurisdizionale non ha a suo scopo l'impugna zione della decisione del comitato esecutivo dell'istituto, ma tende direttamente all'accertamento del diritto alla,

prestazione. Lo esclude, del resto, il codice di procedura civile, il quale, all'art. 463, stabilisce che, nei processi rela tivi a domande di prestazioni previdenziali, il giudice è normalmente assistito da consulenti tecnici, e all'art. 465, 2° comma, che, nei procedimenti di appello seguiti a deci sioni fondate su accertamenti compiuti da consulenti tec

nici, obbliga alla no mi an di un consulente : entrambe le due disposizioni non avrebbero senso se il processo giuri sdizionale dovesse svolgersi sul solo fondamento degli accertamenti compiuti nella fase amministrativa. È vero esclusivamente che il giudice trova ristretto il petitum e la causa petendi dell'azione giudiziaria dal petitum e dalla causa petendi del procedimento preliminare. Ma ciò accade,

perchè soltanto su ciò che fu domandato in sede ammini

strativa, e in relazione al titolo dedottovi, si è ottemperato all'onere legale, e questa ragione riduce la portata della

obiezione, dovendosi il principio da essa richiamato ricon

nettere al divieto generale di dilatare la res iudicanda fuori dai confini segnati dagli atti processuali ai quali la

legge conferisce la forza di determinare i limiti del deci

dere ; e pertanto in tale principio l'obiezione stessa trova

l'ambito delle sue conseguenze. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non

fondata la questione di legittimità costituzionale dello

art. 460 cod. proc. civ. e dell'art. 97, 4° comma, del r. de

creto legge 4 ottobre 1935 n. 1827, sul perfezionamento e

il coordinamento legislativo della previdenza sociale, pro

posta dalla Corte di appello di Torino con la sua ordinanza

4 aprile 1963, in riferimento all'art. 113 della Costituzione.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 15 luglio 1964, n. 1900 ; Pres.

Civiletti P., Est. Albano, P. M. Trotta (conci,

conf.) ; Bernacchie altri (Avv. Bosio, Balzano, Ferro,

Piaggio) c. Citon-Sorima navigazione recuperi e sal

vataggi (Avv. Magrone, Raggi).

(Cassa A/pp. Genova 28 maggio 1962)

Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero «li

relitti in alto mare — Personale addetto -— Na

tura del rapporto (Cod. civ., art. 2082, 2094, 2195 ; cod. nav., art. 115, 136, 265, 316, 327, 503).

Lavoro (in materia di navigazione) — Contratto col

lettivo 21 marzo 1931 — Rapporto di lavoro ma

rittimo — Coesistenza con rapporto comune d'im

piego •—- Requisiti lormali — Mezzi di prova —

Fattispecie. Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero di

relitti -— Rirezione tecnica delle operazioni — Di

rezione dell'impresa — Prevalenza.

Lavoro (rapporto) — Dirigente — Estremi — Titolo

di studio o grado di cultura — Irrilevanza (Cod.

civ., art. 2095). Lavoro (in materia di navigazione) — Contratto col

lettivo 21 marzo 1931 — Rapporto di lavoro ma

rittimo — Dirigenza aziendale — Coesistenza —

Coniigurabilità. Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero di

relitti — Preposto alla direzione tecnica — Con

testuale rapporto di dirigenza aziendale — Con

tratto collettivo 28 ottobre 1937 per i dirigenti — Applicabilità.

Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero di

relitti — Premi di recupero — Computo nella

retribuzione — Estremi (Cod. civ., art. 2121).

Costituisce oggetto di contratto di lavoro marittimo il lavoro

di chi è assunto per dirigere Vattività tecnica di recupero

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1539 PARTE PRIMA 1340

di relitti in alto mare a bordo di nave per tale attività spe

cificatamente armata ed equipaggiata. (1) Ai sensi dell'art. 65 del contratto collettivo nazionale di ar

ruolamento per navi superiori a cinquecento tonnellate di

stazza lorda del 21 marzo 1931, mentre la disciplina col

lettiva del rapporto di lavoro nautico contemplato in detto

contratto è esclusiva, salva la sussistenza di particolari contratti collettivi per speciali categorie o la deroga risul

tante da un contratto individuale scritto, la coesistenza del

rapporto di lavoro nautico con un rapporto di impiego comune può essere provata con ogni mezzo, potendosi anche argomentare dal contenuto di una procura. (2)

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 65, capov., del contratto

collettivo nazionale di arruolamento per navi superiori a cinquecento tonnellate di stazza lorda del 21 marzo 1931,

è da presumere che l'attività dirigenziale di una impresa di recupero di relitti in alto mare sia prevalente rispetto a quella di direzione tecnica delle operazioni di recupero dedotta in un coesistente contratto di arruolamento marit

timo. (3) Perchè si abbia un rapporto di dirigenza aziendale non è

necessario il possesso nè di un titolo di studio adeguato ne

di un elevato grado di cultura. (4) L'art. 65 del contratto collettivo di arruolamento per navi

superiori a cinquecento tonnellate di stazza lorda del 21

marzo 1931 ipotizza la coesistenza di un rapporto di la

voro marittimo con un rapporto comune d'impiego in senso

largo comprensivo del rapporto di dirigenza aziendale. (5) Il contratto collettivo corporativo stipulato per i dirigenti

d'azienda il 28 ottobre 1937 è applicabile, nell'ipotesi di

coesistenza del rapporto di lavoro marittimo con un rap

porto di impiego ordinario, al lavoratore marittimo pre

posto all'attività di recupero di relitti in alto mare. (6) I premi di recupero annualmente goduti dal marittimo pre

posto a detta attività vanno computati, come parte della

retribuzione, ai fini delle indennità di fine rapporto e

conseguenziali quando la loro elevatezza intrinsecamente

attesta dell'obbligatorietà della corresponsione, mentre, sotto

il profilo della determinazione o della determinabilità del

compenso, le variazioni del premio di anno in anno deb

bono attribuirsi alla circostanza che questa erogazione è

ragguagliata al valore dei materiali recuperati nel periodo di riferimento. (7)

(1) La sentenza App. Genova 28 maggio 1962, ora par zialmente cassata, è pubblicata in Foro it., 1962, I, 1888, con

nota di richiami dottrinali, ai quali adde Torrente e Mila

nese, Lavoro nella navigazione, voce del Novissimo digesto it. ;

Torrente, Arruolamento (contr. di), voce dell 'Enciclopedia del

diritto, nonché Longobardi, in Mass. giur. lav., 1963, 74 ; in

nota alla stessa sentenza, Della Terza, in Dir. mariti., 1962, 342 ; Longobardi, in Mass. giur. lav., 1962, 458.

(2-3) Non constano precedenti. (4) Sui criteri rilevanti per la identificazione del dirigente,

v. da ultimo Cass. 9 agosto 1963, n. 2254, retro, 111, con nota

di richiami.

(5-6) Non constano precedenti. (7) Non risultano precedenti specifici. La giurisprudenza è

ormai consolidata nel senso che ogni corresponsione operata dal

datore di lavoro a titolo obbligatorio, continuativamente, deter

minata o determinabile nel suo ammontare rientra nella retri

buzione in senso largo e del principio si fa ormai una appli cazione amplissima ; v., in tal senso, Cass. 4 luglio 1963, n. 1801, Foro it., Rep. 1963, voce Lavoro (rapp.), n. 727 ; 2 aprile 1963,

n. 825, ibid., n. 725 ; Trib. Roma 27 marzo 1963, ibid., n. 729 ; Pret. Napoli 7 marzo 1963, ibid., nn. 731, 732 ; Cass. 24 luglio

1962, n. 2069, id., Rep. 1962, voce cit., n. 741 ; 9 marzo 1962, n. 478, ibid., n. 736 ; Trib. Roma 13 luglio 1961, ibid., n. 730 ;

Cass. 4 maggio 1961, n. 1003, id., 1961, I, 1119, e 13 maggio

1960, n. 1149, ibid., 103, con note di richiami.

Per la natura retributiva dei premi di produzione, v. Pret.

Vigevano 2 luglio 1960, id., Rep. 1960, voce cit., n. 365 ; Pret.

Roma 22 marzo 1959, ibid., nn. 367, 368 ; Trib. Roma 21 giugno

1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 343 ; App. Bologna 11 marzo

1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 412 ; Pret. Roma 22 marzo

1957, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 316, 317 ; Trib. Saluzzo 10

febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 428, 429.

Per la natura retributiva del premio c. d. di liberalità, v.

App. Bologna 18 febbraio 1958, id., Rep. 1960, voce cit., n. 357.

La Corte, eco. — È opportuno trattare insieme i primi due mezzi del ricorso.

Con il primo mezzo, le ricorrenti, denunciando la viola

zione degli art. 92, 115, 136, 265 e segg., 292 e segg., 295,

298, 313, 316, 321, 322, 323 e segg., 327, 501 e segg. cod. nav., deducono che la corte d'appello avrebbe errato nel ritenere

clie il rapporto di lavoro intercorso tra il Eaffaelli e la So

rima potesse qualificarsi, in relazione alla natura obiettiva

e sostanziale delle prestazioni rese, come rapporto di la

voro marittimo. Nè, infatti, l'impresa di recupero di relitti

in alto mare può dirsi impresa di navigazione (perchè in

tal modo si confonderebbe il fatto della navigazione con

gli scopi della stessa e la navigazione verrebbe ad essere

un tutt'uno con l'attività di recupero, mentre sono, invece, attività economiche diverse e distinte), nè poteva mai con

siderarsi come « arruolato » sulla nave chi, come il Eaffaelli

aveva il potere di dare ordini allo stesso comandante della

nave : anzi, e questo sarebbe ancora più importante per escludere la configurabilità di un rapporto di lavoro ma

rittimo, di dare ordini simultaneamente ai comandanti delle

varie navi impegnate insieme nell'operazione di recupero. Era così evidente che l'attività del Eaffaelli non solo

aveva una finalità completamente diversa dalla naviga

zione, ma si esplicava non nell'àmbito di una sola nave, ma

contemporaneamente su più navi.

La corte d'appello avrebbe addotto in proposito una

motivazione del tutto illogica e insufficiente, ignorando, in

particolare, il fatto della contemporaneità con cui più navi

della Sorima erano rimaste assoggettate ai poteri direttivi

del Eaffaelli, nonché la circostanza che la stessa Sorima

aveva attribuito al Eaffaelli in numerosissimi documenti

(esibiti in giudizio) la qualifica di « direttore tecnico ».

Con il secondo motivo, le ricorrenti, lamentando la vio

lazione degli art. 118, 123, 170, 321, 323 segg., 328 e 332

cod. nav., 242, 253 regol. maritt., e art. 360, nn. 3 e 5, cod.

proc. civ., sostengono che parimenti la corte d'appello avrebbe errato nel ritenere sussistenti nella specie i requi siti formali del contratto di arruolamento, requisiti che

invece dovevano considerarsi mancanti perchè :

a) il Eaffaelli, anziché essere iscritto nelle matricole

della gente di mare previste dall'art. 118 cod. nav. in rela

zione alle mansioni cui sarebbe stato adibito, era stato

iscritto come semplice « padrone marittimo » ;

b) tali mansioni avrebbero dovuto essere indicate nel

contratto di arruolamento, mentre invece, in esso si par lava genericamente di « primo ufficiale » ;

c) indicativo era il fatto che il Eaffaelli fosse iscritto

come ufficiale in soprannumero : tale qualifica, infatti, stava chiaramente a significare che le sue mansioni non

riguardavano la nave, ma avevano un carattere a sè stante

e particolare. Le censure propongono al Supremo collegio il problema

relativo alla determinazione del concetto di rapporto di

lavoro marittimo, nonché dell'àmbito entro il quale tale

rapporto deve essere delimitato e circoscritto.

Per una esatta impostazione e risoluzione del problema, occorre partire dalla premessa che il rapporto di lavoro in

genere ha assunto, com'è noto, nell'ordinamento giuridico attuale, una fisionomia propria e ben distinta rispetto ad

altre categorie di rapporti giuridici. Esso è certamente un rapporto di scambio tra la presta

zione di facere del lavoratore e la controprestazione del

l'imprenditore, ma il suo contenuto non si esaurisce in tale

scambio, in quanto, come risulta testualmente dall'art.

In particolare nel senso che, per ritenere la natura retribu tiva del compenso periodico, è necessario che esso sia a priori determinabile nel suo ammontare, v. Trib. Roma 30 dicembre

1954, id., Rep. 1955, voce cit., n. 709. In dottrina, oltre gli autori citati in nota alle due sentenze

della Cassazione pubblicata per esteso in questa rivista, v. Fer rara, Indennità di anzianità e compensi integrativi variabili, in Giast. civ., 1961, I, 874. In senso critico rispetto al prevalente indirizzo giurisprudenziale, v. il recente studio di Hernandez, Indagine critica sulla nozione di retribuzione elaborata dalla giuris prudenza, in Riv. dir. lav., 1963, I, 150.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

2094 cod. civ., comporta soprattutto l'inserzione della pre stazione del lavoratore nel quadro di un'organizzazione produttiva, ossia l'inserimento del lavoratore in un com

plesso di persone e di mezzi preordinato a finalità produt tive (cosiddetta collaborazione del lavoratore nell'impresa).

Approfondendo la natura dell'organizzazione in cui la

prestazione di lavoro si svolge, un'autorevole dottrina ha

posto in evidenza la necessità di distinguere però il fine im mediato e diretto per cui l'organizzazione stessa è costituita da quello che è lo scopo di lucro, che l'imprenditore si pre figge, e che ha invece solo carattere mediato e indiretto : ora lo scopo diretto ed immediato di questa organizza zione è il risultato tecnico che l'imprenditore si propone di

conseguire sia pure poi all'ulteriore fine di realizzare un lucro. A tale differenziazione di finalità si ricollega in so stanza la incisiva distinzione elaborata nella dottrina te desca tra Unternehmen, organizzazione predisposta a fi nalità economiche, e Betrieb, organizzazione che ha finalità

meramente tecniche : le due organizzazioni possono coin cidere come nel caso dell'impresa costituita da una sola

fabbrica, e possono non coincidere, quando l'unica attività economica si scinde in varie fabbriche, vari stabilimenti, ecc.

Questa distinzione tra organizzazione economica e or

ganizzazione tecnica acquista particolare rilevanza proprio nel campo della navigazione. L'essenza di questa consi

ste nel trasporto autarchico, cioè nel trasferimento di uo mini e cose da un luogo ad un altro, per mare o per aria, mediante appositi veicoli : navi ed aeromobili. Ora ciascuno di tali veicoli, e cioè ogni nave, ogni aeromobile, ha un

proprio specifico scopo tecnico, il compimento di un viaggio con determinate modalità di destinazione, di tempo, di

luogo, di itinerario, ecc., il quale si diversifica da quello proprio di altre navi o di altri aeromobili ed anche dallo

scopo più remoto (di lucro, di svago, ecc.) che l'armatore

persegue. In relazione a ciascuna di queste entità, navi od

aeromobili, si forma una particolare organizzazione che

riguarda il lavoro a bordo e si costituisce così quella co

munità di uomini, che è l'equipaggio, destinata appunto al servizio della nave o dell'aeromobile.

Caratteristica fondamentale dei rapporti di lavoro nel

campo della navigazione è pertanto questa, che essi si in centrano nella minore entità costituita dalla nave o dall'ae

romobile, anziché in quella maggiore, che è propria dell'im

presa, come avviene nel lavoro comune. E in relazione a ciò si è posto pure il problema se l'esercizio della nave o dello aeromobile (e cioè l'utilizzazione, l'impiego del veicolo per uno o più viaggi) dia luogo ad una figura particolare, l'im

presa di navigazione, diversa e distinta dall'impresa com

merciale,- quale prevista dagli art. 2082 e 2195 cod. civ. :

problema risolto dalla più autorevole dottrina nel senso che

l'esercizio della nave o dell'aeromobile non dà luogo per sè stesso alla figura dell'impresa, ma è comunque intera

mente regolato dal codice della navigazione con una disci

plina valida ed operante (art. 265 segg. cod. nav.) e che a

tale disciplina può aggiungersi, se nell'attività organizzata, relativa alla nave o all'aeromobile o ad una pluralità di navi od aeromobili, si riscontrano gli elementi dell'impresa commerciale (esercizio professionale : art. 2082 cod. civ.), la normativa posta dal codice civile per la impresa commer

ciale. Quindi pur negandosi che ogni nave (od aeromobile) assuma sul piano economico, e precisamente sotto l'aspetto

dell'organizzazione a fini produttivi, un'autonomia tale da

costituire un'impresa, è tuttavia certo che l'organizza zione di persone e di cose che ha come proprio centro la

nave (o l'aeromobile) ha una propria autonomia sul piano tecnico.

Ora posto per fermo che ogni nave ed ogni aeromobile

realizzano un proprio e determinato servizio tecnico, costi

tuendo, come è stato ben detto, un organismo elementare

dell'impresa di navigazione, derivano da ciò due conse

guenze fondamentali, che cioè l'organizzazione in cui si

inserisce il contratto di lavoro di bordo ha sempre il suo

centro nella nave (o nell'aeromobile) e che l'organizzazione di bordo è completamente distinta, separata ed autonoma

da quella dell'impresa a terra.

Va da sè che il distacco della collaborazione dell'arruo

lato dall'impresa ed il correlativo collegamento all'esercizio della nave si delineano anche nel caso di impresa con plu ralità di navi e quindi con pluralità di esercizio : in tal

caso, come s'è già accennato, ogni nave costituisce un nucleo

autonomo, innestato nel più vasto organismo dell'impresa e quindi l'organizzazione di bordo relativa a ciascuna nave avrà carattere autonomo e distinto rispetto a quella di cia scuna altra nave.

In sostanza il lavoro a bordo di ogni singola nave non

può che riferirsi che a quella singola nave, avente un proprio scopo tecnico, una propria destinazione, un proprio com

plesso di modalità di esercizio, un proprio rischio. Fatte queste premesse di carattere generale e passando

ad analizzare direttamente il problema centrale di questa causa, quali siano cioè e debbano essere l'oggetto del rap porto di lavoro marittimo ed i suoi limiti e se possa, per tanto, considerarsi avente oggettivamente natura di lavoro marittimo l'attività svolta dal Kaffaelli a bordo delle navi di ricupero della Sorima, sulle quali era imbarcato in qua lità di ufficiale con le funzioni di dirigente le operazioni di

ricupero in alto mare dei relitti, di cui si occupava la nave,

appositamente attrezzata e equipaggiata a tale scopo, oc corre prendere le mosse da quella che è la disciplina po sitiva contenuta nel codice della navigazione, relativa alla

determinazione oggettiva del contenuto del rapporto di

lavoro marittimo.

Posto che l'organizzazione di lavoro a bordo si incentra

nell'equipaggio, la norma fondamentale della disciplina è

l'art. 316 cod. nav., il quale concerne appunto la forma

zione dell'equipaggio : esso precisa che « l'equipaggio della

nave marittima è costituito dal comandante, dagli ufficiali

e da tutte le altre persone arruolate per il servizio della

nave». Nella relazione (n. 178) si precisa che a differenza

dell'art. 521 cod. comm. abr., il quale « comprendeva nel

l'equipaggio solamente le persone addette al servizio tecnico

della navigazione e non pure quelle addette ai servizi com

plementari di bordo », la nuova disciplina comprende nel

l'equipaggio « tutte le persone arruolate per il servizio

della nave » e « quindi anche il personale adibito a servizi

complementari, che secondo la disciplina disposta dal codice

è assunto con contratto di arruolamento ». Parallelamente

l'art. 115 cod. nav. include espressamente nella «gente di

mare » il personale di stato maggiore e di bassa forza ad

detto ai « servizi di coperta, di macchina e, in genere, ai

servizi tecnici di bordo » e « il personale addetto ai servizi

complementari di bordo ».

Alla stregua di tali disposizioni due sono gli elementi che

caratterizzano pertanto la partecipazione del marittimo

all'equipaggio di una nave : la destinazione dello stesso

marittimo al servizio della nave e la sua assunzione con

contratto di arruolamento.

Per poter meglio delineare il concetto di « servizio della

nave », occorre soffermarsi brevemente sul concetto di

« nave ».

Secondo l'art. 136 cod. nav. « per nave s'intende qual siasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche

a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo ».

Nella relazione (n. 89) si sottolinea che la definizione del

l'art. 136 è stata dettata « facendo leva sul concetto di tra

sporto inteso non nel significato ristretto di trasferimento

di persone o di cose da un luogo ad un altro, bensì in un

significato più ampio quale è usato dalla dottrina, di spo stamento in un determinato spazio di un qualsiasi corpo per

qualsiasi fine. In tal modo trasporto su acqua coincide con

navigazione e la nave si può definire come mezzo di tra

sporto per acqua a qualsiasi scopo ». Si è poi aggiunto che

sono stati menzionati « gli scopi principali, oltre quello del

trasferimento di cose o persone (trasporto in senso stretto),

in via di esempio (rimorchio, pesca, diporto), aggiungen dosi poi l'indicazione generale « o ad altro scopo ». Così non

si può dubitare che è nave anche quella adibita a spedizione

esplorative o talassografiche o alla posa dei cavi ».

In base a tale definizione, può concordarsi perciò con

la più autorevole dottrina che il trasporto, che il nuovo

codice assume come elemento per qualificare il veicolo

come nave, deve essere inteso nel senso più ampio, come

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1343 PAHTE PRIMA 1344

ogni movimento per acqua di un mezzo galleggiante adi

bito a svolgere, con le persone o le cose destinate all'uopo, una qualsiasi attività.

L'ampiezza del concetto di « nave », così come ora deli

neato, riverbera i suoi effetti anche sul concetto di « ser

vizio della nave », che, come si è detto, è alla base della

nozione di equipaggio e quindi dell'organizzazione del la

voro a bordo nonché dell'oggetto di ogni singolo rapporto di lavoro.

Ora per « servizio della nave », tenuto conto di quanto

prima s'è detto, bisogna intendere ogni attività rivolta

non solo alla navigazione in sè e per sè della nave ma anche

al suo impiego in quel determinato viaggio, per un determi

nato scopo tecnico, avuto riguardo alle caratteristiche par ticolari della stessa nave. In sostanza è al servizio della

nave ogni marittimo imbarcato con contratto di arruola

mento che svolga, con vincolo di subordinazione verso

l'armatore, un'attività lavorativa diretta al raggiungimento dello scopo tecnico cui la nave è destinata.

Deriva da ciò che ogni nave, attese la sua struttura, la sua entità, la sua destinazione tecnica e la sua utilizza

zione specifica, ha una propria particolare composizione di equipaggio diversa da quella di ogni altra nave e specie da quella delle navi aventi diversa destinazione ed utiliz

zazione. In sostanza l'equipaggio ad es. di una nave tra

sporto passeggeri comprende personale (camerieri, bar

mans, orchestrali, ecc.) che non fa parte dell'equipaggio di una nave da carico e questo, a sua volta, comprende per sonale che non si trova nell'equipaggio delle navi passeg

geri (ad es. ufficiali macchinisti addetti alle macchine fri

gorifere, elettricisti per azionamento impianti elettrici spe ciali, ecc.).

Quello che è essenziale, e che costituisce per così dire

il denominatore comune di ogni rapporto di lavoro a bordo, è che l'attività, costituente l'oggetto del rapporto di la

voro, si inserisca nell'organizzazione di bordo di quella

particolare unità (nave), contribuendo all'utilizzazione e al

l'impiego tecnico di essa in quel determinato viaggio. Non sembra perciò esatto l'assunto delle ricorrenti

secondo cui, invece, l'attività che potrebbe formare og

getto dei rapporti di lavoro a bordo sarebbe soltanto quella

navigatoria, intesa come attinente alla navigazione in sè

e per sè della nave, e non già pure quella che attiene agli

scopi che con quel mezzo si intendono raggiungere, siano

essi industriali (pesca, ricupero, ecc.) o di altro genere (di

porto, attività scientifica, ecc.).

Seguendosi l'assunto delle ricorrenti si arriverebbe così

all'assurda conseguenza che farebbero parte dell'equipaggio soltanto le persone addette al compito di far navigare la

nave, con esclusione di ogni altra ; il che è resistito, oltre che dalle disposizioni di legge che si sono ricordate, anche dai contratti collettivi di arruolamento relativi ai vari tipi di nave.

In realtà, quando si dice che il criterio informatore del

raggruppamento unitario delle varie categorie della gente di mare è da connettersi alla attività navigatoria dei sog getti che vi sono compresi (relazione al codice, n. 80), per « attività navigatoria » bisogna intendere il fatto che tutti i soggetti, appartenenti a tali categorie, per compiere il loro lavoro navigano (anche se non sono addetti a far na

vigare) : diversamente non dovrebbero far parte della

gente di mare, e quindi dell'equipaggio, il personale ad detto ai servizi complementari di bordo (ad es. camerieri ed altro personale delle navi passeggeri) (art. 115, n. 3, cod. nav.) o il personale addetto a particolari servizi tecnici di bordo (ad es. ufficiali addetti ai frigoriferi in certe navi da carico) (art. 115, n. 2), personale codesto, il quale non è

addetto certo al compito di « far navigare la nave », ma invece all'attività di trasporto di passeggeri o all'attività di trasporto di carico e cioè all'utilizzazione della nave per scopi tecnici determinati.

Alla stregua delle considerazioni che precedono deriva che costituisce lavoro oggettivamente marittimo anche il lavoro di chi è addetto all'attività tecnica di ricupero in alto mare a bordo di nave armata proprio allo scopo di

compiere recuperi, come esattamente ha ritenuto la sen

tenza impugnata. Infatti anche il personale addetto all'attività di recu

pero su una nave armata a tal fine fa parte dell'organiz zazione di bordo e partecipa al lavoro di bordo, essendo ad

detto ad uno specifico servizio tecnico di bordo. Questo per sonale lavora sulla nave e la sua attività tende al raggiun

gimento dello scopo tecnico a cui la stessa è destinata, è

posta cioè al servizio della nave.

Un argomento testuale a fondamento di questa tesi

può trarsi dalla stessa disciplina positiva del ricupero ed in

particolare dall'art. 503, in cui si parla di « nave armata ed

equipaggiata allo scopo di operare ricuperi ».

Alla stregua di questa norma, il legislatore comprende nell'ambito dell'equipaggio di una nave di tal genere tutto

il personale assunto (sempre che con contratto di arruola

mento) con il compito specifico di provvedere alle opera zioni di recupero : operazioni che costituiscono cioè la

destinazione e lo scopo della nave. Ne consegue che come

è lavoro marittimo quello del palombaro che scende sul

fondo marino, così è ugualmente lavoro marittimo quello dell'ufficiale che dirige e sovraintende le operazioni di ricu

pero. Così risolto il problema fondamentale posto con i primi

due mezzi del ricorso, appare evidente l'infondatezza delle

censure rivolte con tali mezzi alla sentenza impugnata.

Infatti, avuto riguardo alla natura oggettiva dell'atti

vità svolta dal Raffaelli a bordo di ciascuna delle navi

della società ora resistente, attività che consisteva sostan

zialmente nella direzione tecnica delle operazioni di recu

pero che venivano compiute di volta in volta con ciascuna

di quelle navi, appositamente attrezzate, esattamente la

corte ha ritenuto che tale attività avesse contenuto og

gettivo di lavoro marittimo, essendo rivolta al servizio

della nave cui il Raffaelli stesso di volta in volta era de

stinato.

La tesi contraria svolta dalle ricorrenti, secondo cui

l'attività del Raffaelli, non essendo destinata a far navigare la nave ma solamente a realizzare il suo impiego commer

ciale, non costituiva attività al servizio della nave e quindi

oggettivamente lavoro marittimo, è stata già esauriente

mente confutata con le precedenti considerazioni, e per tanto non occorre ora aggiungere altro.

Ugualmente destituito di fondamento è pure l'altro

rilievo svolto dalle ricorrenti secondo cui sarebbe in con

trasto con la esistenza di un lavoro marittimo la circo

stanza che il Raffaelli esplicasse la sua attività non in rela

zione ad una sola nave, bensì in relazione alle varie navi

ricupero della soc. Sorima.

In confutazione di tale rilievo è agevole infatti osservare

che l'art. 327 cod. nav. riconosce espressamente che il con

tratto di arruolamento può riguardare servizi su più navi

dello stesso armatore, purché essi avvengano successiva

mente, e nella specie, come è risultato chiaramente docu

mentato dai vari ruoli di equipaggio esibiti, il Raffaelli è

stato sì imbarcato su diverse navi della Sorima, ma i vari

servizi sulle diverse navi si sono svolti successivamente

l'uno all'altro, con esclusione cioè di un servizio contempo raneo su più navi.

Quanto poi ai rilievi concernenti due particolari circo

stanze e cioè che il Raffaelli rivolgeva ordini ed istruzioni

ai comandanti della sua nave e di altre navi impegnate nei

lavori di ricupero e che egli dirigeva e sovraintendeva come

direttore tecnico tutte le operazioni di ricupero affidate

alla soc. Sorima, di essi si discuterà specificamente in or

dine al terzo mezzo, relativo alla ammissibilità di una coe

sistenza di un rapporto di lavoro marittimo insieme con un

rapporto di lavoro comune ed ai relativi effetti.

Ugualmente non hanno fondamento i rilievi svolti dalle

ricorrenti nel secondo mezzo di ricorso e che si appuntano contro quella parte della sentenza in cui si è ritenuta l'esi

stenza nella specie anche di tutti i requisiti soggettivi e

formali di un regolare rapporto di arruolamento tra la

Sorima e il Raffaelli, avendo la Sorima la qualifica di arma

tore e risultando il Raffaelli regolarmente iscritto nelle

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1345 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1346

matricole della gente di mare (eon la qualifica di padrone marittimo) ed assunto con regolari convenzioni di arruo

lamento a tempo indeterminato.

Ora le ricorrenti non contestano nè la qualità di arma

tore della Sorima nè l'iscrizione del Raffaelli nelle matricole

della gente di mare nè tanto meno la stipulazione delle

convenzioni di arruolamento, ma lamentano soltanto che

la corte non abbia ritenuto viziato il rapporto di arruola

mento per il fatto che nelle matricole della gente di mare il

Raffaelli non fosse indicato con una qualifica relativa alla

attività di recupero e che neppure nei contratti di arruola

mento fosse indicata una qualità di tal genere, ma la qua lifica di « primo ufficiale in soprannumero ».

In confutazione della doglianza è facile rilevare che, mancando nella legge e nei contratti collettivi la determi

nazione specifica del titolo professionale idoneo per l'eser

cizio delle funzioni di direzione tecnica delle operazioni di

recupero e la qualifica specifica da doversi attribuire al

l'ufficiale investito di tali funzioni, non merita alcuna cen

sura la decisione impugnata la quale ha ritenuto, con ap

prezzamento di fatto, la congruità del titolo posseduto dal

Raffaelli (padrone marittimo) nonché della qualifica a lui

attribuita (primo ufficiale in soprannumero). In ogni caso è poi da osservare che le eventuali deficienze

del titolo o della qualifica atterrebbero tutt'al più alla va

lidità del contratto o dei contratti di arruolamento, stipu lati dal Raffaelli, questione questa che non forma oggetto del presente giudizio ed alla quale le attuali ricorrenti non

avrebbero neppure interesse, ma non varrebbero certo a

trasformare il rapporto di lavoro marittimo de quo in un

rapporto di lavoro comune.

Passando quindi all'esame del terzo mezzo, con esso

le ricorrenti investono quella parte della sentenza impugnata nella quale la corte ha ritenuto di escludere la coesistenza, accanto al rapporto di lavoro marittimo di cui si è parlato, di un autonomo e distinto rapporto di lavoro comune di

carattere dirigenziale ed ha ritenuto altresì di escludere

l'applicabilità della seconda parte dell'art. 65 del contratto

collettivo 21 marzo 1931 relativo all'arruolamento degli

equipaggi delle navi da carico superiori a 500 tonnellate

di stazza lorda, che prevede per il caso di coesistenza dei

due rapporti la prevalenza delle norme regolatrici del rap

porto di impiego privato. Le ricorrenti, in particolare, denunciando la violazione

degli art. 1350, 2118, 2120, 2121, 2702 e segg., 2094 cod.

civ., 323 e segg., 328 cod. nav., 65 contratto collettivo

cit. 21 marzo 1931 per l'arruolamento degli equipaggi delle

navi da carico, 1 r. decreto legge 26 dicembre 1936 n. 2164

e 360, nn. 3 e 5, e 471 cod. proc. civ., rilevano che la corte

d'appello avrebbe errato nel ritenere l'applicabilità del

l'art. 65 del citato contratto collettivo del 1931, in ogni caso condizionata all'esistenza di un formale contratto

scritto di impiego. A tale uopo la corte avrebbe omesso di

considerare che il predetto art. 65 distingue l'ipotesi del

contratto unico di lavoro marittimo da quella di coesi

stenza di due contratti distinti (quello di impiego e quello di lavoro marittimo) e che, in ordine a quest'ultima ipo

tesi, nessuna formalità è richiesta per l'accertamento del

l'esistenza del rapporto di lavoro comune, essendo esplici tamente riconosciuto nel testo stesso del medesimo art. 65

che tale rapporto possa essere « comunque costituito ».

Inoltre sarebbe erroneo e gratuito asserire come ha

fatto l'impugnata sentenza, che un rapporto di lavoro

comune non possa coesistere con un rapporto di lavoro

marittimo a meno che non risulti per iscritto.

Le ricorrenti lamentano altresì che la corte d'appello

abbia, con motivazione errata in diritto, illogica e insuffi

ciente, negato l'esistenza di un siffatto scritto : scritto che,

invece, era costituito dalla procura notarile rilasciata nel

1942 dalla Sorima al Raffaelli e con cui venivano a quest'ul timo affidate mansioni estranee al rapporto nautico (e

incompatibili addirittura con la subordinazione al coman

dante, postulato fondamentale del contratto di arruola

mento) e veniva attribuita al Raffaelli la qualifica di

« direttore tecnico », estranea al contratto di arruolamento

e tipica del contratto di lavoro subordinato comune. La

corte di merito avrebbe altresì omesso di esaminare i nu

merosissimi documenti scritti, esibiti dalle attrici, tutti

confermanti il contenuto e il significato della summenzio

nata procura. Del pari illogica e insufficiente sarebbe la motivazione

addotta nell'impugnata sentenza al fine di escludere la

natura direttiva dell'attività svolta dal Raffaelli : l'unico

argomento addotto dalla corte al riguardo (l'essere cioè il Raffaelli sfornito di un adeguato titolo di studio) non

sarebbe altro che un pregiudizio, smentito dalla realtà

(essendo notorio cbe molti capitani della moderna industria non avevano un titolo di studio adeguato), mentre tante altre circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio e

tutte univoche nel far ritenere che il Raffaelli « dirigeva »

(nel senso più ampio della parola) la campagna di recuperi della Sorima, con autonomia di poteri, sarebbero state

arbitrariamente trascurate dalla corte d'appello. Questa complessa censura è sostanzialmente fondata.

Invero la corte d'appello ha ritenuto che l'esercizio al

ternato o coevo, con mansioni proprie del rapporto di ar

ruolamento, di mansioni tipiche del rapporto di lavoro

comune non può far sì che si applichi, in mancanza di un

contratto scritto, sia individuale sia collettivo, la disciplina

propria del lavoro comune, come risulterebbe dall'art. 65

del contratto collettivo citato del 1931. Nella specie un contratto individuale del genere non era mai stato stipulato tra le parti (una procura conferita nel 1942 dalla Sorima al

Raffaelli non poteva ritenersi costituire il contratto scritto

necessario per integrare un rapporto d'impiego privato) nè

aveva rilevanza che il Raffaelli avesse esercitato mansioni

di lavoro comune (organizzazione a terra e direzione del

lavoro tecnico di recupero) trattandosi di mansioni sal

tuarie ed accessorie rispetto al rapporto di lavoro marittimo

e che rimanevano perciò assorbite in questo, tanto più che esso Raffaelli, sfornito di titolo di istruzione e privo di

un elevato grado di cultura generale, mancava di quello che è il presupposto per una collaborazione di carattere

spiccatamente intellettuale, quale quella dirigenziale, e

per l'esercizio di un potere generale di coordinamento della

organizzazione aziendale.

Ma così giudicando la sentenza è incorsa in gravi er

rori di diritto e in non meno gravi difetti di motivazione.

Il primo errore riguarda l'interpretazione dell'art. 65

del contratto collettivo nazionale di arruolamento per navi superiori a 500 tonnellate di stazza lorda del 21

marzo 1931 : errore rilevabile in questa sede ai sensi del

l'art. 471 cod. proc. civ., siccome relativo all'interpreta zione di un contratto collettivo corporativo, avente cioè

carattere normativo.

Dispone testualmente l'art. 65 : « Col presente contratto

collettivo le parti contraenti dichiarano di aver voluto re

golare in ogni sua parte il rapporto di lavoro di tutte le

categorie di personale a cui esso si riferisce, quale rapporto di arruolamento a carattere non impiegatizio, e con esclu

sione in via assoluta di ogni applicazione degli usi e delle consuetudini esistenti, salvo che il detto rapporto risulti

da un regolare contratto collettivo per determinate cate

gorie di personale e di aziende, ovvero da regolare con

tratto individuale di impiego, stipulato per iscritto.

« Nella ipotesi di coesistenza di un rapporto di arruola

mento e di un rapporto di impiego, comunque costituito,

quest'ultimo, in quanto più favorevole nel suo complesso, sarà assorbente e sostitutivo del primo nelle parti che disci

plinano le medesime provvidenze (ad es. periodo di prova, modalità di risoluzione del rapporto, ferie o licenze, inden

nità in caso di decesso, ecc.) ».

Ora, stando al testo della disposizione, appare evidente

che essa disciplina due ipotesi diverse, la prima nel 1° comma

e la seconda nel capoverso. Nel 1° comma la norma fa l'ipotesi del rapporto unico

di lavoro ; nel capoverso l'ipotesi della coesistenza di un

rapporto di lavoro marittimo e di un rapporto di lavoro

comune.

Nella prima ipotesi, il rapporto è regolato dal contratto

collettivo in esame, a meno che non risulti regolato da

altro regolare contratto collettivo per determinate cate

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1347 PARTE PRIMA 1348

gorie di personale e di aziende ovvero da regolare contratto

individuaie di impiego stipulato per iscritto : casi nei quali si applicano appunto tali particolari discipline in sostitu

zione del contratto collettivo di arruolamento.

Nell'ipotesi, invece, ben diversa di coesistenza, accanto

al rapporto di lavoro marittimo, di un rapporto di lavoro

comune, per il quale ultimo rapporto non si richiedono

particolari formalità, dato che, come ammette la disposi

zione, può essere « comunque costituito », allora, se la di

sciplina di questo secondo rapporto sarà più favorevole nel

suo complesso, prevarrà sull'altra.

Pertanto è evidente l'errore in cui è incorsa la corte

d'appello, la quale ha unificato le due ipotesi (che sono

invece distinte) ed ha richiesto in ogni caso la sussistenza

di requisiti formali specifici (atto scritto) anche per il

contratto di lavoro comune. Viceversa la norma, soltanto

quando vi sia un solo rapporto di lavoro nautico richiede

che l'eventuale deroga al trattamento del contratto di ar

ruolamento risulti formalmente o da un altro contratto col

lettivo o da un contratto individuale scritto ; quando in

vece coesistono due diverse attività, configurabili come due

distinti rapporti, allora il rapporto d'impiego comune,

comunque costituito, se conterrà una disciplina più favo

revole al lavoratore prevarrà sull'altro rapporto, sosti

tuendone la disciplina stessa meno favorevole.

La ratio di siffatta disposizione, tenuto conto soprat tutto dell'epoca in cui venne emanata (1931), di poco cioè

successiva all'emanazione della legge fondamentale sull'im

piego privato del 1924 (la quale peraltro non richiedeva

neppure la forma scritta per la stipulazione del contratto

d'impiego), può trovarsi in ciò che si volle in sostanza, nel

caso l'arruolato svolgesse esclusivamente mansioni pret tamente nautiche, che egli non avesse diritto all'applica zione nò della legge sull'impiego privato nè degli usi esi

stenti, ma soltanto all'applicazione del contratto collettivo

nazionale, appositamente stipulato (salva l'ipotesi di carat

tere eccezionale di una deroga ad opera di altro contratto

collettivo o di contratto individuale redatto per iscritto) mentre nel caso di coesistenza di due rapporti, uno marittimo

e l'altro comune, questo ultimo comunque costituito (e per il rapporto di impiego la legge, come s'è detto, non prescri veva la forma scritta) non v'era ragione per non applicare ad entrambi i rapporti la legge di diritto comune, se più

favorevole, e, in mancanza di una disciplina particolare,

proprio la legge sull'impiego privato. Ciò posto, nessun ostacolo di ordine concettuale in

relazione alla particolare natura del rapporto di arruola

mento, che è permeato anche di elementi pubblicistici, si oppone neppure a che, in caso di effettiva coesistenza con

esso di un rapporto di lavoro comune, vada applicata uni

tariamente ad entrambi i rapporti la disciplina del rapporto di lavoro comune, se più favorevole al lavoratore, dato che

tale disciplina riguarda in sostanza soltanto gli aspetti

privatistici del rapporto tra armatore e lavoratore, senza

toccare i doveri pubblicistici che incombono a quest'ultimo

quale componente dell'equipaggio e che trovano la loro

fonte e la loro disciplina nella legge generale, e cioè nel

codice della navigazione. Altra grave deficienza della sentenza impugnata è quella

relativa alla esclusione che l'ampia procura conferita dalla

Sorima al Raffaelli nel 1942 possa costituire in ogni caso

la prova (scritta) del contratto di lavoro comune interce

duto tra di essi.

La motivazione adottata al riguardo dalla corte è asso

lutamente manchevole e i due rilievi da essa svolti per ne

gare a quell'atto ogni efficacia, e cioè che essendo stata

tale procura rilasciata nel 1942, dopo quindici anni dall'ini

zio del rapporto di lavoro marittimo, non poteva valere

a porre in essere la sostituzione dei diritti propri del con

tratto di lavoro marittimo con quelli del rapporto di im

piego privato, e che comunque la procura stessa poteva solo valere a dimostrare che il Raffaelli esercitava la rappre sentanza della società armatrice, non hanno assolutamente

carattere decisivo.

Quanto al primo rilievo, basterà infatti osservare che

la procura del 1942 non ebbe certo lo scopo di sostituire

alla disciplina propria del rapporto di arruolamento la

disciplina dell'impiego privato, ma se mai quello di creare, di costituire, accanto al rapporto di arruolamento, un nuovo

e distinto rapporto di lavoro comune e precisamente un

rapporto d'impiego privato con attribuzione di funzioni

di dirigente d'azienda.

Quanto al secondo rilievo, poi, può osservarsi che, se è

esatto clie la procura è atto che normalmente vale a confe

rire potere rappresentativo nei rapporti esterni, non è da

escludere tuttavia che essa possa anche valere a dimostrare, tenuto conto delle disposizioni in essa contenute e delle

espressioni usate e specie se in concorso pure con altri ele

menti probatori, il rapporto interno tra rappresentante e

rappresentato e specificamente l'esistenza di un rapporto di impiego.

La corte ha del tutto omesso infatti di considerare che

con quella procura al Raffaelli erano state assegnate man

sióni non inerenti al procuratore nautico in sè e pei- sè

considerato ed era stata a lui attribuita addirittura la

funzione di « direttore tecnico » della stessa società, fun

zione indubbiamente estranea al rapporto di arruolamento

e che invece ben poteva costituire l'oggetto di un nuovo e

distinto rapporto di impiego privato. La corte ha altresì omesso di prendere in esame tutti

i numerosi atti esibiti dalle attuali ricorrenti, per lo più lettere scritte dalla Sorima al Raffaelli, in cui questa oltre

a chiamare e qualificare lo stesso Raffaelli come direttore

tecnico di tutta l'impresa armatoriale gli confermava altresì

l'affidamento di funzioni dirigenziali. Si tratta anche qui di omesso esame di fatti decisivi.

Altra grave deficienza della sentenza, che si collega a

quelle ora esaminate, è quella relativa alla qualificazione in

ogni caso delle mansioni di lavoro comune del Raffaelli

(attività dirigenziale) come accessorie rispetto a quelle

(principali) proprie del rapporto di arruolamento, e come

tali da doversi considerare assorbite in quest'ultimo. Ora il vizio logico di siffatta valutazione è di tutta evi

denza, ove si consideri l'assoluta autonomia dell'attività

dirigenziale della società, e cioè dell'intera impresa svolta

dal Raffaelli rispetto a quella formante oggetto dei singoli

rapporti di arruolamento da lui espletati e ove anzi si tenga conto che l'attività svolta da esso Raffaelli come primo ufficiale ricuperatore a bordo di navi ricupero costituiva

in un certo senso mera esecuzione dei piani predisposti da

lui stesso come direttore tecnico della società e alter ego dell'armatore.

In altri termini, a ben vedere, sia sul piano concettuale

sia su quello pratico, non solo l'attività dirigenziale di una

impresa di ricupero non può qualificarsi accessoria rispetto a quella concernente il compimento di singoli ricuperi, ma

essa potrebbe avere addirittura carattere prevalente ri

spetto alla seconda, essendo questa in sostanza attività di

carattere esecutivo.

La corte ha nella specie del tutto omesso pure di consi

derare che le attuali ricorrenti avevano ampiamente de

dotto, dandone anche prova documentale, che i pieni po teri e la qualità di direttore tecnico della società erano

stati conferiti al Raffaelli in nome proprio e non quale ufficiale arruolato, e che, per effetto di tali poteri, egli

progettava la campagna recuperi di ogni anno e ne sta

biliva le date di apertura e di chiusura, decideva sul mo

vimento di tutte le navi e dava ai rispettivi comandanti

le opportune istruzioni e direttive, decideva per l'approvvi

gionamento di materiali, prendeva ogni decisione sul per nale, ecc., attività tutte codeste che non potevano certo

qualificarsi accessorie e assorbibili nel rapporto di arruo

lamento.

Ugualmente meritevole di censura deve infine consi derarsi anche l'ultimo argomento addotto dalla impugnata sentenza per negare l'esistenza di un rapporto di impiego con funzioni dirigenziali tra il Raffaelli e la Sorima, e cioè che egli non aveva in ogni caso titolo di studio adeguato e mancava di un elevato grado di cultura.

Infatti l'elevato grado di cultura generale e un adeguato titolo di studio, se pur costituiscono requisiti o presupposti normali per il conferimento delle funzioni di dirigente, non

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giìjrisprudenza costituzionale e CIVILE

sono tuttavia requisiti essenziali, ben potendo essere so stituiti da una capacità tecnica eccezionale o da altri requi siti particolari.

Quello che è essenziale perchè ad un prestatore d'opera sia riconosciuto la qualifica di dirigente d'azienda è che

all'attività da lui svolta, che può essere di ordine tecnico o

amministrativo, siano collegate ampia autonomia e libertà

di determinazione che gli consentano, nel quadro delle ge nerali direttive impartite dall'imprenditore e senza obbligo di dovere di volta in volta chiedere a quest'ultimo le neces

sarie istruzioni, di imporre i propri discrezionali poteri di di

sposizione, influenzando, in tal modo, con la sua opera, sia

quanto al contenuto sia quanto all'ampiezza, l'andamento

dell'impresa o di uno dei suoi più importanti rami (cfr., da ultimo, Cass. 19 gennaio 1963, n. 79, Foro it., Rep. 1963, voce Lavoro (rapp.), n. 275).

In conclusione, il terzo mezzo del ricorso va interamente

accolto, con conseguente annullamento sul punto della sen

tenza impugnata. Con il quarto mezzo le ricorrenti, denunciando viola

zione del contratto collettivo corporativo per i dirigenti in

dustriali del 28 ottobre 1937, dell'art. 65 del contratto col

lettivo corporativo 21 marzo 1931, per l'arruolamento degli

equipaggi su navi da carico superiori a 500 tonn., nonché

dell'art. 1411 cod. civ. in relazione all'art. 471 e 360, nn. 3

e 5, cod. proc. civ. lamentano che la corte di merito avrebbe

errato nell'escludere nella specie l'applicabilità dei contratti

postcorporativi per i dirigenti sul rilievo che le parti non

sarebbero state iscritte alle associazioni stipulanti. Infatti

l'iscrizione della Sorima alla associazione stipulante (arma tori liberi) era stata da essa stessa riconosciuta in giudizio

e, comunque, era stata dedotta a prova ; l'iscrizione del Raf

faeli^ d'altro canto, non era necessaria in quanto non ri

chiesta dall'art. 1 del contratto 26 luglio 1949 per i dirigenti amministrativi dell'armamento libero.

Parimenti la corte di merito avrebbe errato nell'esclu

dere nella specie l'applicabilità dei contratti corporativi in epigrafe menzionati. Se infatti è vero che il contratto

28 ottobre 1937 escludeva i comandanti di nave, è anche

vero (e pacifico) che il Raffaelli non aveva siffatta quali fica nè le mansioni ad essa corrispondenti. Infine, contraria

mente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, non vi

sarebbe alcuna ragione per ritenere che l'espressione « im

piego privato » contenuta nell'art. 65 del contratto collet

tivo corporativo del 21 marzo 1931 debba intendersi nel

senso che essa escluda i dirigenti. Anche questa censura deve ritenersi fondata.

La sentenza impugnata, invero, dopo avere escluso la

coesistenza di due distinti rapporti di lavoro tra il Raffaelli

e la Sorima, ha tuttavia considerato che anche a voler

ammettere in via ipotetica i due rapporti, non per questo avrebbero potuto trovare applicazione nella specie i con

tratti collettivi per dirigenti aziendali, richiamati dalle

eredi Raffaelli e precisamente :

a) non il contratto o i contratti postcorporativi, non

essendo le parti iscritte alle associazioni sindacali stipu lanti ;

b) non il contratto collettivo corporativo dei diri

genti 28 ottobre 1937, per la esclusione, nel contratto stesso

esplicitamente contenuta, dei dirigenti di aziende di navi

gazione interna e dei comandanti di navi, regolati da parti colari convenzioni.

In ogni caso, sempre secondo la sentenza impugnata, nella espressione « rapporto di impiego » usata dall'art. 65

del contratto collettivo del 1931 non sembrerebbe potersi

comprendere il rapporto di dirigenza. Esatte sono le censure rivolte dalle ricorrenti contro

questa parte della sentenza.

Cominciando dal prendere in esame preliminarmente

proprio l'ultimo rilievo, è da escludere che l'art. 65 già ri

cordato del contratto collettivo del 1931 abbia usato re

strittivamente l'espressione « rapporto di impiego » in

modo da lasciar fuori il rapporto di dirigenza, così come ha

ritenuto la corte.

In sostanza il dirigente d'azienda è stato sempre consi

derato, ed ora è anche specificamente e formalmente quali

ficato dalla legge (art. 2095 cod. civ.) un prestatore di la

voro subordinato, anche se appartenente ad una categoria superiore a quella dell'impiegato comune e pertanto, pur se è dotato di ampia autonomia e collabora direttamente con l'imprenditore, operando nel piano gerarchico più elevato, è pur sempre però un dipendente dello stesso im

prenditore, dovendo sottostare alle sue direttive generali, e quindi in definitiva un impiegato, sia pure inteso in senso lato.

Non bisogna d'altra parte dimenticare che allorché fu

stipulato il contratto collettivo del 1931 la categoria dei

dirigenti non appariva neppure ancora ben differenziata

rispetto a quella degli impiegati comuni (nella legge del 1924 sull'impiego privato vi era un accenno generico ad

essi, indicati come « procuratori, institori e . . . direttori tecnici e amministrativi ») e che comunque, attesa la ratio della disposizione in parola (applicazione del trattamento

più favorevole al prestatore d'opera in caso di coesistenza di due rapporti di lavoro), non v'era alcuna ragione per escludere da tale trattamento preferenziale proprio i diri

genti, e cioè i dipendenti di maggior prestigio e i più pre ziosi collaboratori di fiducia dell'imprenditore.

Passando quindi all'esame del rilievo sub b), anche qui deve ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa in

grave errore di interpretazione di norma giuridica, come tale censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 471 cod.

proc. civ., allorché ha ritenuto l'inapplicabilità nei confronti del Raffaelli del contratto collettivo 28 ottobre 1937 per i

dirigenti industriali.

Invero l'applicabilità di tale contratto è esclusa, se condo il testo di esso, soltanto nei confronti dei dirigenti di aziende di navigazione interna e dei comandanti di navi, « regolati da particolari convenzioni ».

Ora è pacifico che il Kaffaelli non era nè dirigente di azienda di navigazione interna, nè comandante di nave e comunque non risulta neppure che la categoria allaTquale

egli sarebbe appartenuto (dirigente tecnico di impresa ar

matrice marittima di recuperi) fosse regolata da una parti colare convenzione.

Applicandosi pertanto nella specie il ricordato contratto collettivo del 1937, deve ritenersi assorbita la questione relativa all'applicabilità dei contratti collettivi postcorpo rativi.

Passando quindi all'esame degli altri mezzi, deve ri tenersi pure assorbito il quinto mezzo, formulato condizio

natamente per la sola ipotesi che si fossero ritenute appli cabili alla specie soltanto le disposizioni relative al contratto di arruolamento.

Con il secondo mezzo poi, le ricorrenti, lamentando la

violazione degli art. 2099, 2121, 2697, 2727 cod. civ. e 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., deducono inoltre che completa mente errata in diritto sarebbe pure l'affermazione, ancorché fatta ad abundantiam dalla corte d'appello, secondo cui

anche in base al diritto comune i premi percepiti dal Raf faelli non potrebbero essere considerati per il difetto della

loro preventiva determinazione o determinabilità. Tale requisito, infatti, non sarebbe affatto necessario

ai fini del conteggio dei premi nel calcolo dell'indennità de

qua, essendo invece necessario e sufficiente chè essi, come nella specie, siano stati corrisposti dal datore di lavoro con

carattere di continuità e non per rimborso spese. Del tutto illogica e insufficiente sarebbe poi la motiva

zione addotta nell'impugnata sentenza per ritenere in via

presuntiva che i premi in questione non avessero avuto na tura retributiva bensì di mera liberalità da parte del datore

di lavoro.

Anche questa censura deve ritenersi sostanzialmente

fondata.

Invero, è principio costantemente affermato da questo

Supremo collegio (cfr., da ultimo, sentenza 10 giugno 1960, n. 1531, Foro it., Rep. 1960, voce Lavoro (rapp.), nn. 325

327), che perchè un'erogazione del datore di lavoro ai suoi

dipendenti, quale ne sia la denominazione, si debba consi

derare come facente parte della retribuzione, a norma e

per gli effetti di cui all'art. 2121 cod. civ., sul computo delle

indennità di preavviso e di anzianità, è necessario e suffi

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1351 PARTE PRIMA 1352

ciente : a) che essa abbia carattere continuativo ; b) elle sia

determinata o determinabile nel suo ammontare ; c) che

abbia carattere di compenso obbligatorio, salvo quando sia

stabilita in considerazione di un rendimento superiore al

normale, o di altri particolari meriti del lavoratore ovvero

dipenda dal mero arbitrio del datore di lavoro.

Nella specie, pur risultando clie i cosiddetti premi di

ricupero venivano corrisposti ogni anno e non certo per

premiare un rendimento superiore al normale e clie negli ultimi tre anni erano stati corrisposti rispettivamente al

Raffaelli nella misura di lire quattro milioni, tre milioni

e due milioni, con una media (calcolata su tre anni) di lire

tre milioni per anno, la corte d'appello, con motivazione

certamente illogica ed erronea, ha escluso che tali gratifi cazioni costituissero parte integrante della retribuzione

sotto il profilo che sarebbe mancata una determinazione

o determinabilità preventiva, senza considerare invece che

il carattere della determinazione o determinabilità è del

tutto relativo specie quando, come nella specie, si tratti di

erogazioni ragguagliate al valore dei materiali ricuperati e perciò collegate con prestazioni di lavoro assolutamente

variabili nei risultati e in un certo senso anche aleatorie.

Quanto poi all'obbligatorietà dei detti compensi, la

corte ha ritenuto di escludere anche tale carattere con moti

vazione illogica e inadeguata e facendo ricorso a presunzioni,

peraltro non gravi, precise e concordanti, senza affatto

considerare invece che le attuali ricorrenti avevano de

dotto (e chiesto di provare) che si era instaurato un vero e

proprio uso contrattuale per la erogazione di tali premi, i

quali, ripetesi, erano ragguagliati al valore dei materiali

recuperati, come risultava anche implicitamente dalla no

tevole entità dei premi stessi, la quale mal si sarebbe con

ciliata con la non obbligatorietà di essa, dal che pertanto si sarebbe potuto desumere il carattere retributivo dei premi stessi.

Anche su questo punto la sentenza impugnata deve

essere perciò cassata. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile; sentenza 11 luglio 1964, n. 1855 ; Pres.

Marletta P., Est. Albano, P. M. Toro (conci, conf.) ; I.n.a.i.l. (Avv. Morelli) c. Comune di Brescia (Avv.

Flamini).

(Conferma App. Brescia 9 dicembre 1960)

Infortuni sul lavoro — Imposte di consumo — Ge

stione diretta — Agenti di vigilanza eon moto

cicli in dotazione — Obbligo dell'assicurazione —

Insussistenza (R. d. 17 agosto 1935 n. 1765, assicura

zione obbligatoria degli infortuni sul lavoro, art. 1, 6 ;

legge 1° giugno 1939 n. 1012, modificazioni al r. d. 17

agosto 1935 n. 1765, art. 1 ; legge 19 gennaio 1963 n. 15, modifiche e integrazioni al r. d. 17 agosto 1935 n. 1765, art. 1).

Prima delle recenti modifiche introdotte con la legge 19 gen naio 1963 n. 15 il comune, che ha istituito, in regime di

riscossione diretta delle imposte di consumo, un corpo di

agenti incaricati di curare, con l'uso di motocicli, il ser

vizio di vigilanza e di repressione, non era obbligato a

provvedere per detta attività all'assicurazione obbliga toria contro gli infortuni sul lavoro. (1)

(1) La sentenza di primo grado del Trib. Brescia 21 maggio 1959 pronunciata nel caso è massimata in Foro it., Bep. 1059, voce Infortuni, nn. 81, 82 ; v. le decisioni amministrative pronun ciate, sempre ne] caso, rispettivamente dall'Ispett. lav. Brescia 2 luglio 1957 e dal Min. lav. 16 maggio 1958, id., Bep. 1958, voce

cit., nn. 117, 118. Nel senso della ricorrenza dell'obbligo assi curativo nell'ipotesi ora risolta dalla Cassazione, v. anche Ispett. lav. Savona 12 luglio 1962, id., Bep. 1963, voce cit., n. 54.

La Corte, ecc. — È opportuno trattare insieme i due mezzi del ricorso.

Con il primo mezzo l'istituto ricorrente denuncia vio lazione ed errata applicazione dell'art. 1, n. 2, del r. decreto 17 agosto 1935 n. 1765, dell'art. 6 stesso r. decreto come mo dificato dalla legge 1° giugno 1939 n. 1012, dell'art. 2 del r. decreto 15 dicembre 1936 n. 2276, delle norme regola mentari a tali disposizioni relative, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Premesso clie la legge del 1935 non con sidera più l'infortunio come rischio dell'impresa, ma come rischio del lavoro, e rilevato che conseguentemente nessuna

incompatibilità concettuale sussiste tra obbligo dell'assicu razione e rapporto di dipendenza da una pubblica ammini

strazione, sostiene che la legge 1° giugno 1939 n. 1012, nella parte in cui espressamente stabilisce che vanno consi derati datori di lavoro, lo Stato, le province, i comuni, quando esercitano le attività previste dall'art. 1 del r. de creto del 1935, ha carattere interpretativo e non innovativo. L'istituto rileva, quindi, che con l'art. 1, n. 2, del r. de creto 17 agosto 1935 n. 1765 si volle offrire la più ampia protezione a tutti i lavoratori subordinati che fossero espo sti al pericolo di macchine mosse da agente inanimato, con la sola eccezione delle macchine usate soltanto per scopi domestici.

Con il secondo mezzo poi, il ricorrente, denuncia motiva zione insufficiente in ordine all'asserita esclusione dell'ap plicabilità al comune di Brescia dell'art. 1, n. 6, del r. decreto del 1935, relativo all'assicurazione obbligatoria degli ad detti ai lavori di trasporto : e ciò anche in relazione al ri lievo che uno dei principali oggetti della riforma del 1935 fu quello di eliminare ogni riferimento al concetto di impresa, sostituendolo con quello del lavoro e del rischio connesso, di per sè e direttamente considerati.

Le censure non possono ritenersi fondate. Occorre premettere che l'assicurazione infortuni sul

lavoro presenta elementi caratteristici propri rispetto alle altre forme di previdenza sociale. La necessità di risarcire

l'operaio del danno eventualmente subito in occasione della sua prestazione è divenuta particolarmente imperiosa con il sorgere e lo svilupparsi della grande industria ed essa è stata subito sentita come esigenza sociale incomprimibile,

In dottrina v. Moschini, in Osservatore trib., 1961, 99 ; Caldarulo, in Riv. trib. loc., 1961, 101.

Nel senso della non ricorrenza dell'obbligo assicurativo per gli autisti della pubblica amministrazione, in senso ampio, v. il parere del Cons. Stato 1° luglio 1953, n. 493, Foro it., Rep. 1955, voce cit., n. 99.

In generale, sui punti affrontati dalla Cassazione nella moti vazione, v. Richard, L'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in Trattato dir. lav. di Bobsi e Pergolesi, 1959, IV, prima parte, pag. 389 e segg. e pagg. 443-445.

La questione si è posta anche per gli agenti motociclisti delle imprese appaltatrici del servizio di riscossione delle imposte di consumo. Per la ricorrenza dell'obbligo assicurativo, v. Trib. Salerno 31 maggio 1963, Foro it., Rep. 1963, voce cit., rin. 52, 53 ; Cass. 26 marzo 1958, n. 999, id., Rep. 1958, voce cit., n. 97. Que st'ultima sentenza venne annotata da Pennino, in Temi nap., 1958, I, 471. In senso conforme, v. le decisioni degli Ispett. lav. Gorizia 26 settembre 1959, Porli 13 agosto 1959, Foro it., Rep. 1960, voce cit., nn. 68, 69 ; Ispett. lav. Massa Carrara 29 luglio 1959 e Venezia 3 febbraio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 78-80. Contra App. Napoli 8 giugno 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 84.

Nell'ipotesi da ultimo fatta si è escluso l'obbligo assicurativo in quanto gli agenti del servizio di vigilanza debbono qualifi carsi come impiegati : Trib. Pordenone 23 marzo 1962 e Trib. Gorizia 8 gennaio 1962, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 93-96.

Non ricorre l'obbligo assicurativo se il dipendente della ditta appaltatrice si avvale di proprio automezzo : Min lav. 20 novembre 1961, id., Rep. 1962, voce cit., n. 97.

Sulla nuova legge del gennaio 1963 clie modifica profonda mente la precedente disciplina dell'assicurazione obbligatoria v. gli studi di Cataldi, in Prev. soc. agr., 1963, 29 ; Rajani, in Dir. economia, 1963, 320 ; Ricciardi Pollini, in Difesa soc., 1963, I, 7, nonché il commento in Dir. lav., 1963, 320.

Gli atti parlamentari della legge sono pubblicati in Riv. in fortuni, 1963, I, 1 ; le relazioni parlamentari di maggioranza (Nuoci) e di minoranza (Venegoni e Bettoli) sono pubblicate su Le Leggi, 1963, 290 e 296.

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