Sezione II civile; sentenza 15 luglio 1964, n. 1900; Pres. Civiletti P., Est. Albano, P. M. Trotta(concl. conf.); Bernacchi e altri (Avv. Bosio, Balzano, Ferro, Piaggio) c. Citon-Sorimanavigazione recuperi e salvataggi (Avv. Magrone, Raggi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 7 (1964), pp. 1337/1338-1351/1352Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23154496 .
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1337 GtUmSPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1338
prima di deliberare sull'opportunità di esperire l'azione
giudiziaria, e corre quindi un minor rischio di soccombenza.
Un ritardo dell'istituto nel pronunziarsi sulla domanda
nella prima fase del procedimento non è senza rimedi,
perchè, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione
(10 dicembre 1957, n. 4654, Foro it., Eep. 1957, voce
Previdenza sociale, nn. 615-617), esso è vincibile mediante
una diffida a provvedere sull'istanza amministrativa, in
applicazione di noti principi di diritto.
Si sostiene altresì che, nella specie, un pregiudizio alla tutela giurisdizionale viene a determinarsi perchè le norme denunciate prevedono, per ricorrere al comitato
esecutivo, un termine la cui inutile decorrenza fa decadere
dall'azione giudiziaria ; e, per giunta, un termine che, es
sendo di novanta giorni, è assai breve al confronto di quello
quinquennale stabilito per l'esperimento di quell'azione,
dopo che se ne è conservato l'esercizio.
Deve però ritenersi che la fissazione del termine con
testato ha la funzione di assicurare il rispetto del prin
cipio di obbligatorietà del procedimento amministrativo
anche nella fase di riesame del provvedimento negativo dell'istituto ; e così è pure della sanzione di decadenza
comminata per la inosservanza di quel termine. Sono nu
merose le situazioni soggettive che l'ordinamento sotto
pone ad un regime di decadenza, per il mancato esercizio
entro un breve termine dei poteri che attribuisce, o per il mancato compimento di un determinato atto. Con l'ap
plicare tale regime alla prestazione di previdenza, la legge ha soltanto ritenuto che pure riguardo a questa era oppor tuno eliminare nel più breve tempo l'incertezza nel diritto
a conseguirla. Sarebbe assurdo intendere che l'art. 113
della Costituzione assicura « sempre » la tutela giurisdi
zionale, per affermare la perpetuità, che vorrebbe dire per
proclamare la perennità di ogni diritto soggettivo e l'im
possibilità di assoggettarlo a decadenza o a prescrizione :
non è utile nell'attuale sede decidere se la decadenza com
minata dalle norme denunciate comporti soltanto l'estin
zione della efficacia della domanda di prestazione, come
sostiene l'Istituto nazionale della previdenza sociale, o la
preclusione dell'azione giudiziaria.
Quanto al termine stabilito per il ricorso al comitato
esecutivo, esso era di trenta giorni in base al testo origi nario dell'art. 98 del r. decreto legge 4 ottobre 1935 n. 1827 ;
fu portato a novanta giorni con l'art. 1 della legge 5 febbraio
1957 n. 18, per rendere meglio possibile al titolare, come
spiega la relazione che accompagnò la proposta, un ponde rato esame delle ragioni opposte dall'istituto contro la do
manda. Il termine di novanta giorni è superiore a quello ge neralmente previsto per il ricorso al Consiglio di Stato, e
non può essere pertanto ritenuto incongruo alle esigenze della
difesa amministrativa del creditore della prestazione ; spe cie perchè la giurisprudenza afferma che l'Istituto nazionale
della previdenza sociale deve accertare con completezza
gli elementi che possono giustificare la pretesa alla presta
zione, indipendentemente cioè da ogni impulso probatorio dell'interessato. Non ha importanza opporre che si è repu tato opportuno di concedere un maggior tempo di cinque
anni per la proposizione dell'azione giudiziaria, ove anche
il comitato esecutivo respinga il ricorso. Cotesto termine
quinquennale è di prescrizione, e non è possibile saggiare sulla sua misura la congruità di quello trimestrale, che è
di decadenza ; incide, nella specie, sulla durata di un pro
cedimento, che per giunta, è di natura amministrativa,
e soddisfa alla necessità di non ritardare, nel concorrente
interesse del creditore, gli accertamenti di riesame neces
sari ad una migliore valutazione della domanda di presta
zione.
Altra ragione di pregiudizio alla tutela giurisdizionale
si avrebbe perchè la materia del procedimento amministra
tivo limita quella del processo giudiziario, e il giudice resta
perciò vincolato agli accertamenti compiuti nella sede an
teriore.
Non risulta però da alcuna delle norme del r. decreto
legge 4 ottobre 1935 n. 1827, che il giudice debba formare
il suo convincimento soltanto sulla base delle prove rac
colte nella sede amministrativa. Lo ha escluso quella giu
II Poro Italiano — Volume LXXXVII — Parte 7-85.
risprudenza della quale si è già fatto cenno, per cui il pro cedimento giurisdizionale non ha a suo scopo l'impugna zione della decisione del comitato esecutivo dell'istituto, ma tende direttamente all'accertamento del diritto alla,
prestazione. Lo esclude, del resto, il codice di procedura civile, il quale, all'art. 463, stabilisce che, nei processi rela tivi a domande di prestazioni previdenziali, il giudice è normalmente assistito da consulenti tecnici, e all'art. 465, 2° comma, che, nei procedimenti di appello seguiti a deci sioni fondate su accertamenti compiuti da consulenti tec
nici, obbliga alla no mi an di un consulente : entrambe le due disposizioni non avrebbero senso se il processo giuri sdizionale dovesse svolgersi sul solo fondamento degli accertamenti compiuti nella fase amministrativa. È vero esclusivamente che il giudice trova ristretto il petitum e la causa petendi dell'azione giudiziaria dal petitum e dalla causa petendi del procedimento preliminare. Ma ciò accade,
perchè soltanto su ciò che fu domandato in sede ammini
strativa, e in relazione al titolo dedottovi, si è ottemperato all'onere legale, e questa ragione riduce la portata della
obiezione, dovendosi il principio da essa richiamato ricon
nettere al divieto generale di dilatare la res iudicanda fuori dai confini segnati dagli atti processuali ai quali la
legge conferisce la forza di determinare i limiti del deci
dere ; e pertanto in tale principio l'obiezione stessa trova
l'ambito delle sue conseguenze. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dello
art. 460 cod. proc. civ. e dell'art. 97, 4° comma, del r. de
creto legge 4 ottobre 1935 n. 1827, sul perfezionamento e
il coordinamento legislativo della previdenza sociale, pro
posta dalla Corte di appello di Torino con la sua ordinanza
4 aprile 1963, in riferimento all'art. 113 della Costituzione.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 15 luglio 1964, n. 1900 ; Pres.
Civiletti P., Est. Albano, P. M. Trotta (conci,
conf.) ; Bernacchie altri (Avv. Bosio, Balzano, Ferro,
Piaggio) c. Citon-Sorima navigazione recuperi e sal
vataggi (Avv. Magrone, Raggi).
(Cassa A/pp. Genova 28 maggio 1962)
Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero «li
relitti in alto mare — Personale addetto -— Na
tura del rapporto (Cod. civ., art. 2082, 2094, 2195 ; cod. nav., art. 115, 136, 265, 316, 327, 503).
Lavoro (in materia di navigazione) — Contratto col
lettivo 21 marzo 1931 — Rapporto di lavoro ma
rittimo — Coesistenza con rapporto comune d'im
piego •—- Requisiti lormali — Mezzi di prova —
Fattispecie. Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero di
relitti -— Rirezione tecnica delle operazioni — Di
rezione dell'impresa — Prevalenza.
Lavoro (rapporto) — Dirigente — Estremi — Titolo
di studio o grado di cultura — Irrilevanza (Cod.
civ., art. 2095). Lavoro (in materia di navigazione) — Contratto col
lettivo 21 marzo 1931 — Rapporto di lavoro ma
rittimo — Dirigenza aziendale — Coesistenza —
Coniigurabilità. Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero di
relitti — Preposto alla direzione tecnica — Con
testuale rapporto di dirigenza aziendale — Con
tratto collettivo 28 ottobre 1937 per i dirigenti — Applicabilità.
Lavoro (in materia di navigazione) — Recupero di
relitti — Premi di recupero — Computo nella
retribuzione — Estremi (Cod. civ., art. 2121).
Costituisce oggetto di contratto di lavoro marittimo il lavoro
di chi è assunto per dirigere Vattività tecnica di recupero
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1539 PARTE PRIMA 1340
di relitti in alto mare a bordo di nave per tale attività spe
cificatamente armata ed equipaggiata. (1) Ai sensi dell'art. 65 del contratto collettivo nazionale di ar
ruolamento per navi superiori a cinquecento tonnellate di
stazza lorda del 21 marzo 1931, mentre la disciplina col
lettiva del rapporto di lavoro nautico contemplato in detto
contratto è esclusiva, salva la sussistenza di particolari contratti collettivi per speciali categorie o la deroga risul
tante da un contratto individuale scritto, la coesistenza del
rapporto di lavoro nautico con un rapporto di impiego comune può essere provata con ogni mezzo, potendosi anche argomentare dal contenuto di una procura. (2)
Ai fini dell'applicabilità dell'art. 65, capov., del contratto
collettivo nazionale di arruolamento per navi superiori a cinquecento tonnellate di stazza lorda del 21 marzo 1931,
è da presumere che l'attività dirigenziale di una impresa di recupero di relitti in alto mare sia prevalente rispetto a quella di direzione tecnica delle operazioni di recupero dedotta in un coesistente contratto di arruolamento marit
timo. (3) Perchè si abbia un rapporto di dirigenza aziendale non è
necessario il possesso nè di un titolo di studio adeguato ne
di un elevato grado di cultura. (4) L'art. 65 del contratto collettivo di arruolamento per navi
superiori a cinquecento tonnellate di stazza lorda del 21
marzo 1931 ipotizza la coesistenza di un rapporto di la
voro marittimo con un rapporto comune d'impiego in senso
largo comprensivo del rapporto di dirigenza aziendale. (5) Il contratto collettivo corporativo stipulato per i dirigenti
d'azienda il 28 ottobre 1937 è applicabile, nell'ipotesi di
coesistenza del rapporto di lavoro marittimo con un rap
porto di impiego ordinario, al lavoratore marittimo pre
posto all'attività di recupero di relitti in alto mare. (6) I premi di recupero annualmente goduti dal marittimo pre
posto a detta attività vanno computati, come parte della
retribuzione, ai fini delle indennità di fine rapporto e
conseguenziali quando la loro elevatezza intrinsecamente
attesta dell'obbligatorietà della corresponsione, mentre, sotto
il profilo della determinazione o della determinabilità del
compenso, le variazioni del premio di anno in anno deb
bono attribuirsi alla circostanza che questa erogazione è
ragguagliata al valore dei materiali recuperati nel periodo di riferimento. (7)
(1) La sentenza App. Genova 28 maggio 1962, ora par zialmente cassata, è pubblicata in Foro it., 1962, I, 1888, con
nota di richiami dottrinali, ai quali adde Torrente e Mila
nese, Lavoro nella navigazione, voce del Novissimo digesto it. ;
Torrente, Arruolamento (contr. di), voce dell 'Enciclopedia del
diritto, nonché Longobardi, in Mass. giur. lav., 1963, 74 ; in
nota alla stessa sentenza, Della Terza, in Dir. mariti., 1962, 342 ; Longobardi, in Mass. giur. lav., 1962, 458.
(2-3) Non constano precedenti. (4) Sui criteri rilevanti per la identificazione del dirigente,
v. da ultimo Cass. 9 agosto 1963, n. 2254, retro, 111, con nota
di richiami.
(5-6) Non constano precedenti. (7) Non risultano precedenti specifici. La giurisprudenza è
ormai consolidata nel senso che ogni corresponsione operata dal
datore di lavoro a titolo obbligatorio, continuativamente, deter
minata o determinabile nel suo ammontare rientra nella retri
buzione in senso largo e del principio si fa ormai una appli cazione amplissima ; v., in tal senso, Cass. 4 luglio 1963, n. 1801, Foro it., Rep. 1963, voce Lavoro (rapp.), n. 727 ; 2 aprile 1963,
n. 825, ibid., n. 725 ; Trib. Roma 27 marzo 1963, ibid., n. 729 ; Pret. Napoli 7 marzo 1963, ibid., nn. 731, 732 ; Cass. 24 luglio
1962, n. 2069, id., Rep. 1962, voce cit., n. 741 ; 9 marzo 1962, n. 478, ibid., n. 736 ; Trib. Roma 13 luglio 1961, ibid., n. 730 ;
Cass. 4 maggio 1961, n. 1003, id., 1961, I, 1119, e 13 maggio
1960, n. 1149, ibid., 103, con note di richiami.
Per la natura retributiva dei premi di produzione, v. Pret.
Vigevano 2 luglio 1960, id., Rep. 1960, voce cit., n. 365 ; Pret.
Roma 22 marzo 1959, ibid., nn. 367, 368 ; Trib. Roma 21 giugno
1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 343 ; App. Bologna 11 marzo
1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 412 ; Pret. Roma 22 marzo
1957, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 316, 317 ; Trib. Saluzzo 10
febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 428, 429.
Per la natura retributiva del premio c. d. di liberalità, v.
App. Bologna 18 febbraio 1958, id., Rep. 1960, voce cit., n. 357.
La Corte, eco. — È opportuno trattare insieme i primi due mezzi del ricorso.
Con il primo mezzo, le ricorrenti, denunciando la viola
zione degli art. 92, 115, 136, 265 e segg., 292 e segg., 295,
298, 313, 316, 321, 322, 323 e segg., 327, 501 e segg. cod. nav., deducono che la corte d'appello avrebbe errato nel ritenere
clie il rapporto di lavoro intercorso tra il Eaffaelli e la So
rima potesse qualificarsi, in relazione alla natura obiettiva
e sostanziale delle prestazioni rese, come rapporto di la
voro marittimo. Nè, infatti, l'impresa di recupero di relitti
in alto mare può dirsi impresa di navigazione (perchè in
tal modo si confonderebbe il fatto della navigazione con
gli scopi della stessa e la navigazione verrebbe ad essere
un tutt'uno con l'attività di recupero, mentre sono, invece, attività economiche diverse e distinte), nè poteva mai con
siderarsi come « arruolato » sulla nave chi, come il Eaffaelli
aveva il potere di dare ordini allo stesso comandante della
nave : anzi, e questo sarebbe ancora più importante per escludere la configurabilità di un rapporto di lavoro ma
rittimo, di dare ordini simultaneamente ai comandanti delle
varie navi impegnate insieme nell'operazione di recupero. Era così evidente che l'attività del Eaffaelli non solo
aveva una finalità completamente diversa dalla naviga
zione, ma si esplicava non nell'àmbito di una sola nave, ma
contemporaneamente su più navi.
La corte d'appello avrebbe addotto in proposito una
motivazione del tutto illogica e insufficiente, ignorando, in
particolare, il fatto della contemporaneità con cui più navi
della Sorima erano rimaste assoggettate ai poteri direttivi
del Eaffaelli, nonché la circostanza che la stessa Sorima
aveva attribuito al Eaffaelli in numerosissimi documenti
(esibiti in giudizio) la qualifica di « direttore tecnico ».
Con il secondo motivo, le ricorrenti, lamentando la vio
lazione degli art. 118, 123, 170, 321, 323 segg., 328 e 332
cod. nav., 242, 253 regol. maritt., e art. 360, nn. 3 e 5, cod.
proc. civ., sostengono che parimenti la corte d'appello avrebbe errato nel ritenere sussistenti nella specie i requi siti formali del contratto di arruolamento, requisiti che
invece dovevano considerarsi mancanti perchè :
a) il Eaffaelli, anziché essere iscritto nelle matricole
della gente di mare previste dall'art. 118 cod. nav. in rela
zione alle mansioni cui sarebbe stato adibito, era stato
iscritto come semplice « padrone marittimo » ;
b) tali mansioni avrebbero dovuto essere indicate nel
contratto di arruolamento, mentre invece, in esso si par lava genericamente di « primo ufficiale » ;
c) indicativo era il fatto che il Eaffaelli fosse iscritto
come ufficiale in soprannumero : tale qualifica, infatti, stava chiaramente a significare che le sue mansioni non
riguardavano la nave, ma avevano un carattere a sè stante
e particolare. Le censure propongono al Supremo collegio il problema
relativo alla determinazione del concetto di rapporto di
lavoro marittimo, nonché dell'àmbito entro il quale tale
rapporto deve essere delimitato e circoscritto.
Per una esatta impostazione e risoluzione del problema, occorre partire dalla premessa che il rapporto di lavoro in
genere ha assunto, com'è noto, nell'ordinamento giuridico attuale, una fisionomia propria e ben distinta rispetto ad
altre categorie di rapporti giuridici. Esso è certamente un rapporto di scambio tra la presta
zione di facere del lavoratore e la controprestazione del
l'imprenditore, ma il suo contenuto non si esaurisce in tale
scambio, in quanto, come risulta testualmente dall'art.
In particolare nel senso che, per ritenere la natura retribu tiva del compenso periodico, è necessario che esso sia a priori determinabile nel suo ammontare, v. Trib. Roma 30 dicembre
1954, id., Rep. 1955, voce cit., n. 709. In dottrina, oltre gli autori citati in nota alle due sentenze
della Cassazione pubblicata per esteso in questa rivista, v. Fer rara, Indennità di anzianità e compensi integrativi variabili, in Giast. civ., 1961, I, 874. In senso critico rispetto al prevalente indirizzo giurisprudenziale, v. il recente studio di Hernandez, Indagine critica sulla nozione di retribuzione elaborata dalla giuris prudenza, in Riv. dir. lav., 1963, I, 150.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
2094 cod. civ., comporta soprattutto l'inserzione della pre stazione del lavoratore nel quadro di un'organizzazione produttiva, ossia l'inserimento del lavoratore in un com
plesso di persone e di mezzi preordinato a finalità produt tive (cosiddetta collaborazione del lavoratore nell'impresa).
Approfondendo la natura dell'organizzazione in cui la
prestazione di lavoro si svolge, un'autorevole dottrina ha
posto in evidenza la necessità di distinguere però il fine im mediato e diretto per cui l'organizzazione stessa è costituita da quello che è lo scopo di lucro, che l'imprenditore si pre figge, e che ha invece solo carattere mediato e indiretto : ora lo scopo diretto ed immediato di questa organizza zione è il risultato tecnico che l'imprenditore si propone di
conseguire sia pure poi all'ulteriore fine di realizzare un lucro. A tale differenziazione di finalità si ricollega in so stanza la incisiva distinzione elaborata nella dottrina te desca tra Unternehmen, organizzazione predisposta a fi nalità economiche, e Betrieb, organizzazione che ha finalità
meramente tecniche : le due organizzazioni possono coin cidere come nel caso dell'impresa costituita da una sola
fabbrica, e possono non coincidere, quando l'unica attività economica si scinde in varie fabbriche, vari stabilimenti, ecc.
Questa distinzione tra organizzazione economica e or
ganizzazione tecnica acquista particolare rilevanza proprio nel campo della navigazione. L'essenza di questa consi
ste nel trasporto autarchico, cioè nel trasferimento di uo mini e cose da un luogo ad un altro, per mare o per aria, mediante appositi veicoli : navi ed aeromobili. Ora ciascuno di tali veicoli, e cioè ogni nave, ogni aeromobile, ha un
proprio specifico scopo tecnico, il compimento di un viaggio con determinate modalità di destinazione, di tempo, di
luogo, di itinerario, ecc., il quale si diversifica da quello proprio di altre navi o di altri aeromobili ed anche dallo
scopo più remoto (di lucro, di svago, ecc.) che l'armatore
persegue. In relazione a ciascuna di queste entità, navi od
aeromobili, si forma una particolare organizzazione che
riguarda il lavoro a bordo e si costituisce così quella co
munità di uomini, che è l'equipaggio, destinata appunto al servizio della nave o dell'aeromobile.
Caratteristica fondamentale dei rapporti di lavoro nel
campo della navigazione è pertanto questa, che essi si in centrano nella minore entità costituita dalla nave o dall'ae
romobile, anziché in quella maggiore, che è propria dell'im
presa, come avviene nel lavoro comune. E in relazione a ciò si è posto pure il problema se l'esercizio della nave o dello aeromobile (e cioè l'utilizzazione, l'impiego del veicolo per uno o più viaggi) dia luogo ad una figura particolare, l'im
presa di navigazione, diversa e distinta dall'impresa com
merciale,- quale prevista dagli art. 2082 e 2195 cod. civ. :
problema risolto dalla più autorevole dottrina nel senso che
l'esercizio della nave o dell'aeromobile non dà luogo per sè stesso alla figura dell'impresa, ma è comunque intera
mente regolato dal codice della navigazione con una disci
plina valida ed operante (art. 265 segg. cod. nav.) e che a
tale disciplina può aggiungersi, se nell'attività organizzata, relativa alla nave o all'aeromobile o ad una pluralità di navi od aeromobili, si riscontrano gli elementi dell'impresa commerciale (esercizio professionale : art. 2082 cod. civ.), la normativa posta dal codice civile per la impresa commer
ciale. Quindi pur negandosi che ogni nave (od aeromobile) assuma sul piano economico, e precisamente sotto l'aspetto
dell'organizzazione a fini produttivi, un'autonomia tale da
costituire un'impresa, è tuttavia certo che l'organizza zione di persone e di cose che ha come proprio centro la
nave (o l'aeromobile) ha una propria autonomia sul piano tecnico.
Ora posto per fermo che ogni nave ed ogni aeromobile
realizzano un proprio e determinato servizio tecnico, costi
tuendo, come è stato ben detto, un organismo elementare
dell'impresa di navigazione, derivano da ciò due conse
guenze fondamentali, che cioè l'organizzazione in cui si
inserisce il contratto di lavoro di bordo ha sempre il suo
centro nella nave (o nell'aeromobile) e che l'organizzazione di bordo è completamente distinta, separata ed autonoma
da quella dell'impresa a terra.
Va da sè che il distacco della collaborazione dell'arruo
lato dall'impresa ed il correlativo collegamento all'esercizio della nave si delineano anche nel caso di impresa con plu ralità di navi e quindi con pluralità di esercizio : in tal
caso, come s'è già accennato, ogni nave costituisce un nucleo
autonomo, innestato nel più vasto organismo dell'impresa e quindi l'organizzazione di bordo relativa a ciascuna nave avrà carattere autonomo e distinto rispetto a quella di cia scuna altra nave.
In sostanza il lavoro a bordo di ogni singola nave non
può che riferirsi che a quella singola nave, avente un proprio scopo tecnico, una propria destinazione, un proprio com
plesso di modalità di esercizio, un proprio rischio. Fatte queste premesse di carattere generale e passando
ad analizzare direttamente il problema centrale di questa causa, quali siano cioè e debbano essere l'oggetto del rap porto di lavoro marittimo ed i suoi limiti e se possa, per tanto, considerarsi avente oggettivamente natura di lavoro marittimo l'attività svolta dal Kaffaelli a bordo delle navi di ricupero della Sorima, sulle quali era imbarcato in qua lità di ufficiale con le funzioni di dirigente le operazioni di
ricupero in alto mare dei relitti, di cui si occupava la nave,
appositamente attrezzata e equipaggiata a tale scopo, oc corre prendere le mosse da quella che è la disciplina po sitiva contenuta nel codice della navigazione, relativa alla
determinazione oggettiva del contenuto del rapporto di
lavoro marittimo.
Posto che l'organizzazione di lavoro a bordo si incentra
nell'equipaggio, la norma fondamentale della disciplina è
l'art. 316 cod. nav., il quale concerne appunto la forma
zione dell'equipaggio : esso precisa che « l'equipaggio della
nave marittima è costituito dal comandante, dagli ufficiali
e da tutte le altre persone arruolate per il servizio della
nave». Nella relazione (n. 178) si precisa che a differenza
dell'art. 521 cod. comm. abr., il quale « comprendeva nel
l'equipaggio solamente le persone addette al servizio tecnico
della navigazione e non pure quelle addette ai servizi com
plementari di bordo », la nuova disciplina comprende nel
l'equipaggio « tutte le persone arruolate per il servizio
della nave » e « quindi anche il personale adibito a servizi
complementari, che secondo la disciplina disposta dal codice
è assunto con contratto di arruolamento ». Parallelamente
l'art. 115 cod. nav. include espressamente nella «gente di
mare » il personale di stato maggiore e di bassa forza ad
detto ai « servizi di coperta, di macchina e, in genere, ai
servizi tecnici di bordo » e « il personale addetto ai servizi
complementari di bordo ».
Alla stregua di tali disposizioni due sono gli elementi che
caratterizzano pertanto la partecipazione del marittimo
all'equipaggio di una nave : la destinazione dello stesso
marittimo al servizio della nave e la sua assunzione con
contratto di arruolamento.
Per poter meglio delineare il concetto di « servizio della
nave », occorre soffermarsi brevemente sul concetto di
« nave ».
Secondo l'art. 136 cod. nav. « per nave s'intende qual siasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche
a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo ».
Nella relazione (n. 89) si sottolinea che la definizione del
l'art. 136 è stata dettata « facendo leva sul concetto di tra
sporto inteso non nel significato ristretto di trasferimento
di persone o di cose da un luogo ad un altro, bensì in un
significato più ampio quale è usato dalla dottrina, di spo stamento in un determinato spazio di un qualsiasi corpo per
qualsiasi fine. In tal modo trasporto su acqua coincide con
navigazione e la nave si può definire come mezzo di tra
sporto per acqua a qualsiasi scopo ». Si è poi aggiunto che
sono stati menzionati « gli scopi principali, oltre quello del
trasferimento di cose o persone (trasporto in senso stretto),
in via di esempio (rimorchio, pesca, diporto), aggiungen dosi poi l'indicazione generale « o ad altro scopo ». Così non
si può dubitare che è nave anche quella adibita a spedizione
esplorative o talassografiche o alla posa dei cavi ».
In base a tale definizione, può concordarsi perciò con
la più autorevole dottrina che il trasporto, che il nuovo
codice assume come elemento per qualificare il veicolo
come nave, deve essere inteso nel senso più ampio, come
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1343 PAHTE PRIMA 1344
ogni movimento per acqua di un mezzo galleggiante adi
bito a svolgere, con le persone o le cose destinate all'uopo, una qualsiasi attività.
L'ampiezza del concetto di « nave », così come ora deli
neato, riverbera i suoi effetti anche sul concetto di « ser
vizio della nave », che, come si è detto, è alla base della
nozione di equipaggio e quindi dell'organizzazione del la
voro a bordo nonché dell'oggetto di ogni singolo rapporto di lavoro.
Ora per « servizio della nave », tenuto conto di quanto
prima s'è detto, bisogna intendere ogni attività rivolta
non solo alla navigazione in sè e per sè della nave ma anche
al suo impiego in quel determinato viaggio, per un determi
nato scopo tecnico, avuto riguardo alle caratteristiche par ticolari della stessa nave. In sostanza è al servizio della
nave ogni marittimo imbarcato con contratto di arruola
mento che svolga, con vincolo di subordinazione verso
l'armatore, un'attività lavorativa diretta al raggiungimento dello scopo tecnico cui la nave è destinata.
Deriva da ciò che ogni nave, attese la sua struttura, la sua entità, la sua destinazione tecnica e la sua utilizza
zione specifica, ha una propria particolare composizione di equipaggio diversa da quella di ogni altra nave e specie da quella delle navi aventi diversa destinazione ed utiliz
zazione. In sostanza l'equipaggio ad es. di una nave tra
sporto passeggeri comprende personale (camerieri, bar
mans, orchestrali, ecc.) che non fa parte dell'equipaggio di una nave da carico e questo, a sua volta, comprende per sonale che non si trova nell'equipaggio delle navi passeg
geri (ad es. ufficiali macchinisti addetti alle macchine fri
gorifere, elettricisti per azionamento impianti elettrici spe ciali, ecc.).
Quello che è essenziale, e che costituisce per così dire
il denominatore comune di ogni rapporto di lavoro a bordo, è che l'attività, costituente l'oggetto del rapporto di la
voro, si inserisca nell'organizzazione di bordo di quella
particolare unità (nave), contribuendo all'utilizzazione e al
l'impiego tecnico di essa in quel determinato viaggio. Non sembra perciò esatto l'assunto delle ricorrenti
secondo cui, invece, l'attività che potrebbe formare og
getto dei rapporti di lavoro a bordo sarebbe soltanto quella
navigatoria, intesa come attinente alla navigazione in sè
e per sè della nave, e non già pure quella che attiene agli
scopi che con quel mezzo si intendono raggiungere, siano
essi industriali (pesca, ricupero, ecc.) o di altro genere (di
porto, attività scientifica, ecc.).
Seguendosi l'assunto delle ricorrenti si arriverebbe così
all'assurda conseguenza che farebbero parte dell'equipaggio soltanto le persone addette al compito di far navigare la
nave, con esclusione di ogni altra ; il che è resistito, oltre che dalle disposizioni di legge che si sono ricordate, anche dai contratti collettivi di arruolamento relativi ai vari tipi di nave.
In realtà, quando si dice che il criterio informatore del
raggruppamento unitario delle varie categorie della gente di mare è da connettersi alla attività navigatoria dei sog getti che vi sono compresi (relazione al codice, n. 80), per « attività navigatoria » bisogna intendere il fatto che tutti i soggetti, appartenenti a tali categorie, per compiere il loro lavoro navigano (anche se non sono addetti a far na
vigare) : diversamente non dovrebbero far parte della
gente di mare, e quindi dell'equipaggio, il personale ad detto ai servizi complementari di bordo (ad es. camerieri ed altro personale delle navi passeggeri) (art. 115, n. 3, cod. nav.) o il personale addetto a particolari servizi tecnici di bordo (ad es. ufficiali addetti ai frigoriferi in certe navi da carico) (art. 115, n. 2), personale codesto, il quale non è
addetto certo al compito di « far navigare la nave », ma invece all'attività di trasporto di passeggeri o all'attività di trasporto di carico e cioè all'utilizzazione della nave per scopi tecnici determinati.
Alla stregua delle considerazioni che precedono deriva che costituisce lavoro oggettivamente marittimo anche il lavoro di chi è addetto all'attività tecnica di ricupero in alto mare a bordo di nave armata proprio allo scopo di
compiere recuperi, come esattamente ha ritenuto la sen
tenza impugnata. Infatti anche il personale addetto all'attività di recu
pero su una nave armata a tal fine fa parte dell'organiz zazione di bordo e partecipa al lavoro di bordo, essendo ad
detto ad uno specifico servizio tecnico di bordo. Questo per sonale lavora sulla nave e la sua attività tende al raggiun
gimento dello scopo tecnico a cui la stessa è destinata, è
posta cioè al servizio della nave.
Un argomento testuale a fondamento di questa tesi
può trarsi dalla stessa disciplina positiva del ricupero ed in
particolare dall'art. 503, in cui si parla di « nave armata ed
equipaggiata allo scopo di operare ricuperi ».
Alla stregua di questa norma, il legislatore comprende nell'ambito dell'equipaggio di una nave di tal genere tutto
il personale assunto (sempre che con contratto di arruola
mento) con il compito specifico di provvedere alle opera zioni di recupero : operazioni che costituiscono cioè la
destinazione e lo scopo della nave. Ne consegue che come
è lavoro marittimo quello del palombaro che scende sul
fondo marino, così è ugualmente lavoro marittimo quello dell'ufficiale che dirige e sovraintende le operazioni di ricu
pero. Così risolto il problema fondamentale posto con i primi
due mezzi del ricorso, appare evidente l'infondatezza delle
censure rivolte con tali mezzi alla sentenza impugnata.
Infatti, avuto riguardo alla natura oggettiva dell'atti
vità svolta dal Raffaelli a bordo di ciascuna delle navi
della società ora resistente, attività che consisteva sostan
zialmente nella direzione tecnica delle operazioni di recu
pero che venivano compiute di volta in volta con ciascuna
di quelle navi, appositamente attrezzate, esattamente la
corte ha ritenuto che tale attività avesse contenuto og
gettivo di lavoro marittimo, essendo rivolta al servizio
della nave cui il Raffaelli stesso di volta in volta era de
stinato.
La tesi contraria svolta dalle ricorrenti, secondo cui
l'attività del Raffaelli, non essendo destinata a far navigare la nave ma solamente a realizzare il suo impiego commer
ciale, non costituiva attività al servizio della nave e quindi
oggettivamente lavoro marittimo, è stata già esauriente
mente confutata con le precedenti considerazioni, e per tanto non occorre ora aggiungere altro.
Ugualmente destituito di fondamento è pure l'altro
rilievo svolto dalle ricorrenti secondo cui sarebbe in con
trasto con la esistenza di un lavoro marittimo la circo
stanza che il Raffaelli esplicasse la sua attività non in rela
zione ad una sola nave, bensì in relazione alle varie navi
ricupero della soc. Sorima.
In confutazione di tale rilievo è agevole infatti osservare
che l'art. 327 cod. nav. riconosce espressamente che il con
tratto di arruolamento può riguardare servizi su più navi
dello stesso armatore, purché essi avvengano successiva
mente, e nella specie, come è risultato chiaramente docu
mentato dai vari ruoli di equipaggio esibiti, il Raffaelli è
stato sì imbarcato su diverse navi della Sorima, ma i vari
servizi sulle diverse navi si sono svolti successivamente
l'uno all'altro, con esclusione cioè di un servizio contempo raneo su più navi.
Quanto poi ai rilievi concernenti due particolari circo
stanze e cioè che il Raffaelli rivolgeva ordini ed istruzioni
ai comandanti della sua nave e di altre navi impegnate nei
lavori di ricupero e che egli dirigeva e sovraintendeva come
direttore tecnico tutte le operazioni di ricupero affidate
alla soc. Sorima, di essi si discuterà specificamente in or
dine al terzo mezzo, relativo alla ammissibilità di una coe
sistenza di un rapporto di lavoro marittimo insieme con un
rapporto di lavoro comune ed ai relativi effetti.
Ugualmente non hanno fondamento i rilievi svolti dalle
ricorrenti nel secondo mezzo di ricorso e che si appuntano contro quella parte della sentenza in cui si è ritenuta l'esi
stenza nella specie anche di tutti i requisiti soggettivi e
formali di un regolare rapporto di arruolamento tra la
Sorima e il Raffaelli, avendo la Sorima la qualifica di arma
tore e risultando il Raffaelli regolarmente iscritto nelle
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1345 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1346
matricole della gente di mare (eon la qualifica di padrone marittimo) ed assunto con regolari convenzioni di arruo
lamento a tempo indeterminato.
Ora le ricorrenti non contestano nè la qualità di arma
tore della Sorima nè l'iscrizione del Raffaelli nelle matricole
della gente di mare nè tanto meno la stipulazione delle
convenzioni di arruolamento, ma lamentano soltanto che
la corte non abbia ritenuto viziato il rapporto di arruola
mento per il fatto che nelle matricole della gente di mare il
Raffaelli non fosse indicato con una qualifica relativa alla
attività di recupero e che neppure nei contratti di arruola
mento fosse indicata una qualità di tal genere, ma la qua lifica di « primo ufficiale in soprannumero ».
In confutazione della doglianza è facile rilevare che, mancando nella legge e nei contratti collettivi la determi
nazione specifica del titolo professionale idoneo per l'eser
cizio delle funzioni di direzione tecnica delle operazioni di
recupero e la qualifica specifica da doversi attribuire al
l'ufficiale investito di tali funzioni, non merita alcuna cen
sura la decisione impugnata la quale ha ritenuto, con ap
prezzamento di fatto, la congruità del titolo posseduto dal
Raffaelli (padrone marittimo) nonché della qualifica a lui
attribuita (primo ufficiale in soprannumero). In ogni caso è poi da osservare che le eventuali deficienze
del titolo o della qualifica atterrebbero tutt'al più alla va
lidità del contratto o dei contratti di arruolamento, stipu lati dal Raffaelli, questione questa che non forma oggetto del presente giudizio ed alla quale le attuali ricorrenti non
avrebbero neppure interesse, ma non varrebbero certo a
trasformare il rapporto di lavoro marittimo de quo in un
rapporto di lavoro comune.
Passando quindi all'esame del terzo mezzo, con esso
le ricorrenti investono quella parte della sentenza impugnata nella quale la corte ha ritenuto di escludere la coesistenza, accanto al rapporto di lavoro marittimo di cui si è parlato, di un autonomo e distinto rapporto di lavoro comune di
carattere dirigenziale ed ha ritenuto altresì di escludere
l'applicabilità della seconda parte dell'art. 65 del contratto
collettivo 21 marzo 1931 relativo all'arruolamento degli
equipaggi delle navi da carico superiori a 500 tonnellate
di stazza lorda, che prevede per il caso di coesistenza dei
due rapporti la prevalenza delle norme regolatrici del rap
porto di impiego privato. Le ricorrenti, in particolare, denunciando la violazione
degli art. 1350, 2118, 2120, 2121, 2702 e segg., 2094 cod.
civ., 323 e segg., 328 cod. nav., 65 contratto collettivo
cit. 21 marzo 1931 per l'arruolamento degli equipaggi delle
navi da carico, 1 r. decreto legge 26 dicembre 1936 n. 2164
e 360, nn. 3 e 5, e 471 cod. proc. civ., rilevano che la corte
d'appello avrebbe errato nel ritenere l'applicabilità del
l'art. 65 del citato contratto collettivo del 1931, in ogni caso condizionata all'esistenza di un formale contratto
scritto di impiego. A tale uopo la corte avrebbe omesso di
considerare che il predetto art. 65 distingue l'ipotesi del
contratto unico di lavoro marittimo da quella di coesi
stenza di due contratti distinti (quello di impiego e quello di lavoro marittimo) e che, in ordine a quest'ultima ipo
tesi, nessuna formalità è richiesta per l'accertamento del
l'esistenza del rapporto di lavoro comune, essendo esplici tamente riconosciuto nel testo stesso del medesimo art. 65
che tale rapporto possa essere « comunque costituito ».
Inoltre sarebbe erroneo e gratuito asserire come ha
fatto l'impugnata sentenza, che un rapporto di lavoro
comune non possa coesistere con un rapporto di lavoro
marittimo a meno che non risulti per iscritto.
Le ricorrenti lamentano altresì che la corte d'appello
abbia, con motivazione errata in diritto, illogica e insuffi
ciente, negato l'esistenza di un siffatto scritto : scritto che,
invece, era costituito dalla procura notarile rilasciata nel
1942 dalla Sorima al Raffaelli e con cui venivano a quest'ul timo affidate mansioni estranee al rapporto nautico (e
incompatibili addirittura con la subordinazione al coman
dante, postulato fondamentale del contratto di arruola
mento) e veniva attribuita al Raffaelli la qualifica di
« direttore tecnico », estranea al contratto di arruolamento
e tipica del contratto di lavoro subordinato comune. La
corte di merito avrebbe altresì omesso di esaminare i nu
merosissimi documenti scritti, esibiti dalle attrici, tutti
confermanti il contenuto e il significato della summenzio
nata procura. Del pari illogica e insufficiente sarebbe la motivazione
addotta nell'impugnata sentenza al fine di escludere la
natura direttiva dell'attività svolta dal Raffaelli : l'unico
argomento addotto dalla corte al riguardo (l'essere cioè il Raffaelli sfornito di un adeguato titolo di studio) non
sarebbe altro che un pregiudizio, smentito dalla realtà
(essendo notorio cbe molti capitani della moderna industria non avevano un titolo di studio adeguato), mentre tante altre circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio e
tutte univoche nel far ritenere che il Raffaelli « dirigeva »
(nel senso più ampio della parola) la campagna di recuperi della Sorima, con autonomia di poteri, sarebbero state
arbitrariamente trascurate dalla corte d'appello. Questa complessa censura è sostanzialmente fondata.
Invero la corte d'appello ha ritenuto che l'esercizio al
ternato o coevo, con mansioni proprie del rapporto di ar
ruolamento, di mansioni tipiche del rapporto di lavoro
comune non può far sì che si applichi, in mancanza di un
contratto scritto, sia individuale sia collettivo, la disciplina
propria del lavoro comune, come risulterebbe dall'art. 65
del contratto collettivo citato del 1931. Nella specie un contratto individuale del genere non era mai stato stipulato tra le parti (una procura conferita nel 1942 dalla Sorima al
Raffaelli non poteva ritenersi costituire il contratto scritto
necessario per integrare un rapporto d'impiego privato) nè
aveva rilevanza che il Raffaelli avesse esercitato mansioni
di lavoro comune (organizzazione a terra e direzione del
lavoro tecnico di recupero) trattandosi di mansioni sal
tuarie ed accessorie rispetto al rapporto di lavoro marittimo
e che rimanevano perciò assorbite in questo, tanto più che esso Raffaelli, sfornito di titolo di istruzione e privo di
un elevato grado di cultura generale, mancava di quello che è il presupposto per una collaborazione di carattere
spiccatamente intellettuale, quale quella dirigenziale, e
per l'esercizio di un potere generale di coordinamento della
organizzazione aziendale.
Ma così giudicando la sentenza è incorsa in gravi er
rori di diritto e in non meno gravi difetti di motivazione.
Il primo errore riguarda l'interpretazione dell'art. 65
del contratto collettivo nazionale di arruolamento per navi superiori a 500 tonnellate di stazza lorda del 21
marzo 1931 : errore rilevabile in questa sede ai sensi del
l'art. 471 cod. proc. civ., siccome relativo all'interpreta zione di un contratto collettivo corporativo, avente cioè
carattere normativo.
Dispone testualmente l'art. 65 : « Col presente contratto
collettivo le parti contraenti dichiarano di aver voluto re
golare in ogni sua parte il rapporto di lavoro di tutte le
categorie di personale a cui esso si riferisce, quale rapporto di arruolamento a carattere non impiegatizio, e con esclu
sione in via assoluta di ogni applicazione degli usi e delle consuetudini esistenti, salvo che il detto rapporto risulti
da un regolare contratto collettivo per determinate cate
gorie di personale e di aziende, ovvero da regolare con
tratto individuale di impiego, stipulato per iscritto.
« Nella ipotesi di coesistenza di un rapporto di arruola
mento e di un rapporto di impiego, comunque costituito,
quest'ultimo, in quanto più favorevole nel suo complesso, sarà assorbente e sostitutivo del primo nelle parti che disci
plinano le medesime provvidenze (ad es. periodo di prova, modalità di risoluzione del rapporto, ferie o licenze, inden
nità in caso di decesso, ecc.) ».
Ora, stando al testo della disposizione, appare evidente
che essa disciplina due ipotesi diverse, la prima nel 1° comma
e la seconda nel capoverso. Nel 1° comma la norma fa l'ipotesi del rapporto unico
di lavoro ; nel capoverso l'ipotesi della coesistenza di un
rapporto di lavoro marittimo e di un rapporto di lavoro
comune.
Nella prima ipotesi, il rapporto è regolato dal contratto
collettivo in esame, a meno che non risulti regolato da
altro regolare contratto collettivo per determinate cate
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1347 PARTE PRIMA 1348
gorie di personale e di aziende ovvero da regolare contratto
individuaie di impiego stipulato per iscritto : casi nei quali si applicano appunto tali particolari discipline in sostitu
zione del contratto collettivo di arruolamento.
Nell'ipotesi, invece, ben diversa di coesistenza, accanto
al rapporto di lavoro marittimo, di un rapporto di lavoro
comune, per il quale ultimo rapporto non si richiedono
particolari formalità, dato che, come ammette la disposi
zione, può essere « comunque costituito », allora, se la di
sciplina di questo secondo rapporto sarà più favorevole nel
suo complesso, prevarrà sull'altra.
Pertanto è evidente l'errore in cui è incorsa la corte
d'appello, la quale ha unificato le due ipotesi (che sono
invece distinte) ed ha richiesto in ogni caso la sussistenza
di requisiti formali specifici (atto scritto) anche per il
contratto di lavoro comune. Viceversa la norma, soltanto
quando vi sia un solo rapporto di lavoro nautico richiede
che l'eventuale deroga al trattamento del contratto di ar
ruolamento risulti formalmente o da un altro contratto col
lettivo o da un contratto individuale scritto ; quando in
vece coesistono due diverse attività, configurabili come due
distinti rapporti, allora il rapporto d'impiego comune,
comunque costituito, se conterrà una disciplina più favo
revole al lavoratore prevarrà sull'altro rapporto, sosti
tuendone la disciplina stessa meno favorevole.
La ratio di siffatta disposizione, tenuto conto soprat tutto dell'epoca in cui venne emanata (1931), di poco cioè
successiva all'emanazione della legge fondamentale sull'im
piego privato del 1924 (la quale peraltro non richiedeva
neppure la forma scritta per la stipulazione del contratto
d'impiego), può trovarsi in ciò che si volle in sostanza, nel
caso l'arruolato svolgesse esclusivamente mansioni pret tamente nautiche, che egli non avesse diritto all'applica zione nò della legge sull'impiego privato nè degli usi esi
stenti, ma soltanto all'applicazione del contratto collettivo
nazionale, appositamente stipulato (salva l'ipotesi di carat
tere eccezionale di una deroga ad opera di altro contratto
collettivo o di contratto individuale redatto per iscritto) mentre nel caso di coesistenza di due rapporti, uno marittimo
e l'altro comune, questo ultimo comunque costituito (e per il rapporto di impiego la legge, come s'è detto, non prescri veva la forma scritta) non v'era ragione per non applicare ad entrambi i rapporti la legge di diritto comune, se più
favorevole, e, in mancanza di una disciplina particolare,
proprio la legge sull'impiego privato. Ciò posto, nessun ostacolo di ordine concettuale in
relazione alla particolare natura del rapporto di arruola
mento, che è permeato anche di elementi pubblicistici, si oppone neppure a che, in caso di effettiva coesistenza con
esso di un rapporto di lavoro comune, vada applicata uni
tariamente ad entrambi i rapporti la disciplina del rapporto di lavoro comune, se più favorevole al lavoratore, dato che
tale disciplina riguarda in sostanza soltanto gli aspetti
privatistici del rapporto tra armatore e lavoratore, senza
toccare i doveri pubblicistici che incombono a quest'ultimo
quale componente dell'equipaggio e che trovano la loro
fonte e la loro disciplina nella legge generale, e cioè nel
codice della navigazione. Altra grave deficienza della sentenza impugnata è quella
relativa alla esclusione che l'ampia procura conferita dalla
Sorima al Raffaelli nel 1942 possa costituire in ogni caso
la prova (scritta) del contratto di lavoro comune interce
duto tra di essi.
La motivazione adottata al riguardo dalla corte è asso
lutamente manchevole e i due rilievi da essa svolti per ne
gare a quell'atto ogni efficacia, e cioè che essendo stata
tale procura rilasciata nel 1942, dopo quindici anni dall'ini
zio del rapporto di lavoro marittimo, non poteva valere
a porre in essere la sostituzione dei diritti propri del con
tratto di lavoro marittimo con quelli del rapporto di im
piego privato, e che comunque la procura stessa poteva solo valere a dimostrare che il Raffaelli esercitava la rappre sentanza della società armatrice, non hanno assolutamente
carattere decisivo.
Quanto al primo rilievo, basterà infatti osservare che
la procura del 1942 non ebbe certo lo scopo di sostituire
alla disciplina propria del rapporto di arruolamento la
disciplina dell'impiego privato, ma se mai quello di creare, di costituire, accanto al rapporto di arruolamento, un nuovo
e distinto rapporto di lavoro comune e precisamente un
rapporto d'impiego privato con attribuzione di funzioni
di dirigente d'azienda.
Quanto al secondo rilievo, poi, può osservarsi che, se è
esatto clie la procura è atto che normalmente vale a confe
rire potere rappresentativo nei rapporti esterni, non è da
escludere tuttavia che essa possa anche valere a dimostrare, tenuto conto delle disposizioni in essa contenute e delle
espressioni usate e specie se in concorso pure con altri ele
menti probatori, il rapporto interno tra rappresentante e
rappresentato e specificamente l'esistenza di un rapporto di impiego.
La corte ha del tutto omesso infatti di considerare che
con quella procura al Raffaelli erano state assegnate man
sióni non inerenti al procuratore nautico in sè e pei- sè
considerato ed era stata a lui attribuita addirittura la
funzione di « direttore tecnico » della stessa società, fun
zione indubbiamente estranea al rapporto di arruolamento
e che invece ben poteva costituire l'oggetto di un nuovo e
distinto rapporto di impiego privato. La corte ha altresì omesso di prendere in esame tutti
i numerosi atti esibiti dalle attuali ricorrenti, per lo più lettere scritte dalla Sorima al Raffaelli, in cui questa oltre
a chiamare e qualificare lo stesso Raffaelli come direttore
tecnico di tutta l'impresa armatoriale gli confermava altresì
l'affidamento di funzioni dirigenziali. Si tratta anche qui di omesso esame di fatti decisivi.
Altra grave deficienza della sentenza, che si collega a
quelle ora esaminate, è quella relativa alla qualificazione in
ogni caso delle mansioni di lavoro comune del Raffaelli
(attività dirigenziale) come accessorie rispetto a quelle
(principali) proprie del rapporto di arruolamento, e come
tali da doversi considerare assorbite in quest'ultimo. Ora il vizio logico di siffatta valutazione è di tutta evi
denza, ove si consideri l'assoluta autonomia dell'attività
dirigenziale della società, e cioè dell'intera impresa svolta
dal Raffaelli rispetto a quella formante oggetto dei singoli
rapporti di arruolamento da lui espletati e ove anzi si tenga conto che l'attività svolta da esso Raffaelli come primo ufficiale ricuperatore a bordo di navi ricupero costituiva
in un certo senso mera esecuzione dei piani predisposti da
lui stesso come direttore tecnico della società e alter ego dell'armatore.
In altri termini, a ben vedere, sia sul piano concettuale
sia su quello pratico, non solo l'attività dirigenziale di una
impresa di ricupero non può qualificarsi accessoria rispetto a quella concernente il compimento di singoli ricuperi, ma
essa potrebbe avere addirittura carattere prevalente ri
spetto alla seconda, essendo questa in sostanza attività di
carattere esecutivo.
La corte ha nella specie del tutto omesso pure di consi
derare che le attuali ricorrenti avevano ampiamente de
dotto, dandone anche prova documentale, che i pieni po teri e la qualità di direttore tecnico della società erano
stati conferiti al Raffaelli in nome proprio e non quale ufficiale arruolato, e che, per effetto di tali poteri, egli
progettava la campagna recuperi di ogni anno e ne sta
biliva le date di apertura e di chiusura, decideva sul mo
vimento di tutte le navi e dava ai rispettivi comandanti
le opportune istruzioni e direttive, decideva per l'approvvi
gionamento di materiali, prendeva ogni decisione sul per nale, ecc., attività tutte codeste che non potevano certo
qualificarsi accessorie e assorbibili nel rapporto di arruo
lamento.
Ugualmente meritevole di censura deve infine consi derarsi anche l'ultimo argomento addotto dalla impugnata sentenza per negare l'esistenza di un rapporto di impiego con funzioni dirigenziali tra il Raffaelli e la Sorima, e cioè che egli non aveva in ogni caso titolo di studio adeguato e mancava di un elevato grado di cultura.
Infatti l'elevato grado di cultura generale e un adeguato titolo di studio, se pur costituiscono requisiti o presupposti normali per il conferimento delle funzioni di dirigente, non
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giìjrisprudenza costituzionale e CIVILE
sono tuttavia requisiti essenziali, ben potendo essere so stituiti da una capacità tecnica eccezionale o da altri requi siti particolari.
Quello che è essenziale perchè ad un prestatore d'opera sia riconosciuto la qualifica di dirigente d'azienda è che
all'attività da lui svolta, che può essere di ordine tecnico o
amministrativo, siano collegate ampia autonomia e libertà
di determinazione che gli consentano, nel quadro delle ge nerali direttive impartite dall'imprenditore e senza obbligo di dovere di volta in volta chiedere a quest'ultimo le neces
sarie istruzioni, di imporre i propri discrezionali poteri di di
sposizione, influenzando, in tal modo, con la sua opera, sia
quanto al contenuto sia quanto all'ampiezza, l'andamento
dell'impresa o di uno dei suoi più importanti rami (cfr., da ultimo, Cass. 19 gennaio 1963, n. 79, Foro it., Rep. 1963, voce Lavoro (rapp.), n. 275).
In conclusione, il terzo mezzo del ricorso va interamente
accolto, con conseguente annullamento sul punto della sen
tenza impugnata. Con il quarto mezzo le ricorrenti, denunciando viola
zione del contratto collettivo corporativo per i dirigenti in
dustriali del 28 ottobre 1937, dell'art. 65 del contratto col
lettivo corporativo 21 marzo 1931, per l'arruolamento degli
equipaggi su navi da carico superiori a 500 tonn., nonché
dell'art. 1411 cod. civ. in relazione all'art. 471 e 360, nn. 3
e 5, cod. proc. civ. lamentano che la corte di merito avrebbe
errato nell'escludere nella specie l'applicabilità dei contratti
postcorporativi per i dirigenti sul rilievo che le parti non
sarebbero state iscritte alle associazioni stipulanti. Infatti
l'iscrizione della Sorima alla associazione stipulante (arma tori liberi) era stata da essa stessa riconosciuta in giudizio
e, comunque, era stata dedotta a prova ; l'iscrizione del Raf
faeli^ d'altro canto, non era necessaria in quanto non ri
chiesta dall'art. 1 del contratto 26 luglio 1949 per i dirigenti amministrativi dell'armamento libero.
Parimenti la corte di merito avrebbe errato nell'esclu
dere nella specie l'applicabilità dei contratti corporativi in epigrafe menzionati. Se infatti è vero che il contratto
28 ottobre 1937 escludeva i comandanti di nave, è anche
vero (e pacifico) che il Raffaelli non aveva siffatta quali fica nè le mansioni ad essa corrispondenti. Infine, contraria
mente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, non vi
sarebbe alcuna ragione per ritenere che l'espressione « im
piego privato » contenuta nell'art. 65 del contratto collet
tivo corporativo del 21 marzo 1931 debba intendersi nel
senso che essa escluda i dirigenti. Anche questa censura deve ritenersi fondata.
La sentenza impugnata, invero, dopo avere escluso la
coesistenza di due distinti rapporti di lavoro tra il Raffaelli
e la Sorima, ha tuttavia considerato che anche a voler
ammettere in via ipotetica i due rapporti, non per questo avrebbero potuto trovare applicazione nella specie i con
tratti collettivi per dirigenti aziendali, richiamati dalle
eredi Raffaelli e precisamente :
a) non il contratto o i contratti postcorporativi, non
essendo le parti iscritte alle associazioni sindacali stipu lanti ;
b) non il contratto collettivo corporativo dei diri
genti 28 ottobre 1937, per la esclusione, nel contratto stesso
esplicitamente contenuta, dei dirigenti di aziende di navi
gazione interna e dei comandanti di navi, regolati da parti colari convenzioni.
In ogni caso, sempre secondo la sentenza impugnata, nella espressione « rapporto di impiego » usata dall'art. 65
del contratto collettivo del 1931 non sembrerebbe potersi
comprendere il rapporto di dirigenza. Esatte sono le censure rivolte dalle ricorrenti contro
questa parte della sentenza.
Cominciando dal prendere in esame preliminarmente
proprio l'ultimo rilievo, è da escludere che l'art. 65 già ri
cordato del contratto collettivo del 1931 abbia usato re
strittivamente l'espressione « rapporto di impiego » in
modo da lasciar fuori il rapporto di dirigenza, così come ha
ritenuto la corte.
In sostanza il dirigente d'azienda è stato sempre consi
derato, ed ora è anche specificamente e formalmente quali
ficato dalla legge (art. 2095 cod. civ.) un prestatore di la
voro subordinato, anche se appartenente ad una categoria superiore a quella dell'impiegato comune e pertanto, pur se è dotato di ampia autonomia e collabora direttamente con l'imprenditore, operando nel piano gerarchico più elevato, è pur sempre però un dipendente dello stesso im
prenditore, dovendo sottostare alle sue direttive generali, e quindi in definitiva un impiegato, sia pure inteso in senso lato.
Non bisogna d'altra parte dimenticare che allorché fu
stipulato il contratto collettivo del 1931 la categoria dei
dirigenti non appariva neppure ancora ben differenziata
rispetto a quella degli impiegati comuni (nella legge del 1924 sull'impiego privato vi era un accenno generico ad
essi, indicati come « procuratori, institori e . . . direttori tecnici e amministrativi ») e che comunque, attesa la ratio della disposizione in parola (applicazione del trattamento
più favorevole al prestatore d'opera in caso di coesistenza di due rapporti di lavoro), non v'era alcuna ragione per escludere da tale trattamento preferenziale proprio i diri
genti, e cioè i dipendenti di maggior prestigio e i più pre ziosi collaboratori di fiducia dell'imprenditore.
Passando quindi all'esame del rilievo sub b), anche qui deve ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa in
grave errore di interpretazione di norma giuridica, come tale censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 471 cod.
proc. civ., allorché ha ritenuto l'inapplicabilità nei confronti del Raffaelli del contratto collettivo 28 ottobre 1937 per i
dirigenti industriali.
Invero l'applicabilità di tale contratto è esclusa, se condo il testo di esso, soltanto nei confronti dei dirigenti di aziende di navigazione interna e dei comandanti di navi, « regolati da particolari convenzioni ».
Ora è pacifico che il Kaffaelli non era nè dirigente di azienda di navigazione interna, nè comandante di nave e comunque non risulta neppure che la categoria allaTquale
egli sarebbe appartenuto (dirigente tecnico di impresa ar
matrice marittima di recuperi) fosse regolata da una parti colare convenzione.
Applicandosi pertanto nella specie il ricordato contratto collettivo del 1937, deve ritenersi assorbita la questione relativa all'applicabilità dei contratti collettivi postcorpo rativi.
Passando quindi all'esame degli altri mezzi, deve ri tenersi pure assorbito il quinto mezzo, formulato condizio
natamente per la sola ipotesi che si fossero ritenute appli cabili alla specie soltanto le disposizioni relative al contratto di arruolamento.
Con il secondo mezzo poi, le ricorrenti, lamentando la
violazione degli art. 2099, 2121, 2697, 2727 cod. civ. e 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., deducono inoltre che completa mente errata in diritto sarebbe pure l'affermazione, ancorché fatta ad abundantiam dalla corte d'appello, secondo cui
anche in base al diritto comune i premi percepiti dal Raf faelli non potrebbero essere considerati per il difetto della
loro preventiva determinazione o determinabilità. Tale requisito, infatti, non sarebbe affatto necessario
ai fini del conteggio dei premi nel calcolo dell'indennità de
qua, essendo invece necessario e sufficiente chè essi, come nella specie, siano stati corrisposti dal datore di lavoro con
carattere di continuità e non per rimborso spese. Del tutto illogica e insufficiente sarebbe poi la motiva
zione addotta nell'impugnata sentenza per ritenere in via
presuntiva che i premi in questione non avessero avuto na tura retributiva bensì di mera liberalità da parte del datore
di lavoro.
Anche questa censura deve ritenersi sostanzialmente
fondata.
Invero, è principio costantemente affermato da questo
Supremo collegio (cfr., da ultimo, sentenza 10 giugno 1960, n. 1531, Foro it., Rep. 1960, voce Lavoro (rapp.), nn. 325
327), che perchè un'erogazione del datore di lavoro ai suoi
dipendenti, quale ne sia la denominazione, si debba consi
derare come facente parte della retribuzione, a norma e
per gli effetti di cui all'art. 2121 cod. civ., sul computo delle
indennità di preavviso e di anzianità, è necessario e suffi
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1351 PARTE PRIMA 1352
ciente : a) che essa abbia carattere continuativo ; b) elle sia
determinata o determinabile nel suo ammontare ; c) che
abbia carattere di compenso obbligatorio, salvo quando sia
stabilita in considerazione di un rendimento superiore al
normale, o di altri particolari meriti del lavoratore ovvero
dipenda dal mero arbitrio del datore di lavoro.
Nella specie, pur risultando clie i cosiddetti premi di
ricupero venivano corrisposti ogni anno e non certo per
premiare un rendimento superiore al normale e clie negli ultimi tre anni erano stati corrisposti rispettivamente al
Raffaelli nella misura di lire quattro milioni, tre milioni
e due milioni, con una media (calcolata su tre anni) di lire
tre milioni per anno, la corte d'appello, con motivazione
certamente illogica ed erronea, ha escluso che tali gratifi cazioni costituissero parte integrante della retribuzione
sotto il profilo che sarebbe mancata una determinazione
o determinabilità preventiva, senza considerare invece che
il carattere della determinazione o determinabilità è del
tutto relativo specie quando, come nella specie, si tratti di
erogazioni ragguagliate al valore dei materiali ricuperati e perciò collegate con prestazioni di lavoro assolutamente
variabili nei risultati e in un certo senso anche aleatorie.
Quanto poi all'obbligatorietà dei detti compensi, la
corte ha ritenuto di escludere anche tale carattere con moti
vazione illogica e inadeguata e facendo ricorso a presunzioni,
peraltro non gravi, precise e concordanti, senza affatto
considerare invece che le attuali ricorrenti avevano de
dotto (e chiesto di provare) che si era instaurato un vero e
proprio uso contrattuale per la erogazione di tali premi, i
quali, ripetesi, erano ragguagliati al valore dei materiali
recuperati, come risultava anche implicitamente dalla no
tevole entità dei premi stessi, la quale mal si sarebbe con
ciliata con la non obbligatorietà di essa, dal che pertanto si sarebbe potuto desumere il carattere retributivo dei premi stessi.
Anche su questo punto la sentenza impugnata deve
essere perciò cassata. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile; sentenza 11 luglio 1964, n. 1855 ; Pres.
Marletta P., Est. Albano, P. M. Toro (conci, conf.) ; I.n.a.i.l. (Avv. Morelli) c. Comune di Brescia (Avv.
Flamini).
(Conferma App. Brescia 9 dicembre 1960)
Infortuni sul lavoro — Imposte di consumo — Ge
stione diretta — Agenti di vigilanza eon moto
cicli in dotazione — Obbligo dell'assicurazione —
Insussistenza (R. d. 17 agosto 1935 n. 1765, assicura
zione obbligatoria degli infortuni sul lavoro, art. 1, 6 ;
legge 1° giugno 1939 n. 1012, modificazioni al r. d. 17
agosto 1935 n. 1765, art. 1 ; legge 19 gennaio 1963 n. 15, modifiche e integrazioni al r. d. 17 agosto 1935 n. 1765, art. 1).
Prima delle recenti modifiche introdotte con la legge 19 gen naio 1963 n. 15 il comune, che ha istituito, in regime di
riscossione diretta delle imposte di consumo, un corpo di
agenti incaricati di curare, con l'uso di motocicli, il ser
vizio di vigilanza e di repressione, non era obbligato a
provvedere per detta attività all'assicurazione obbliga toria contro gli infortuni sul lavoro. (1)
(1) La sentenza di primo grado del Trib. Brescia 21 maggio 1959 pronunciata nel caso è massimata in Foro it., Bep. 1059, voce Infortuni, nn. 81, 82 ; v. le decisioni amministrative pronun ciate, sempre ne] caso, rispettivamente dall'Ispett. lav. Brescia 2 luglio 1957 e dal Min. lav. 16 maggio 1958, id., Bep. 1958, voce
cit., nn. 117, 118. Nel senso della ricorrenza dell'obbligo assi curativo nell'ipotesi ora risolta dalla Cassazione, v. anche Ispett. lav. Savona 12 luglio 1962, id., Bep. 1963, voce cit., n. 54.
La Corte, ecc. — È opportuno trattare insieme i due mezzi del ricorso.
Con il primo mezzo l'istituto ricorrente denuncia vio lazione ed errata applicazione dell'art. 1, n. 2, del r. decreto 17 agosto 1935 n. 1765, dell'art. 6 stesso r. decreto come mo dificato dalla legge 1° giugno 1939 n. 1012, dell'art. 2 del r. decreto 15 dicembre 1936 n. 2276, delle norme regola mentari a tali disposizioni relative, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Premesso clie la legge del 1935 non con sidera più l'infortunio come rischio dell'impresa, ma come rischio del lavoro, e rilevato che conseguentemente nessuna
incompatibilità concettuale sussiste tra obbligo dell'assicu razione e rapporto di dipendenza da una pubblica ammini
strazione, sostiene che la legge 1° giugno 1939 n. 1012, nella parte in cui espressamente stabilisce che vanno consi derati datori di lavoro, lo Stato, le province, i comuni, quando esercitano le attività previste dall'art. 1 del r. de creto del 1935, ha carattere interpretativo e non innovativo. L'istituto rileva, quindi, che con l'art. 1, n. 2, del r. de creto 17 agosto 1935 n. 1765 si volle offrire la più ampia protezione a tutti i lavoratori subordinati che fossero espo sti al pericolo di macchine mosse da agente inanimato, con la sola eccezione delle macchine usate soltanto per scopi domestici.
Con il secondo mezzo poi, il ricorrente, denuncia motiva zione insufficiente in ordine all'asserita esclusione dell'ap plicabilità al comune di Brescia dell'art. 1, n. 6, del r. decreto del 1935, relativo all'assicurazione obbligatoria degli ad detti ai lavori di trasporto : e ciò anche in relazione al ri lievo che uno dei principali oggetti della riforma del 1935 fu quello di eliminare ogni riferimento al concetto di impresa, sostituendolo con quello del lavoro e del rischio connesso, di per sè e direttamente considerati.
Le censure non possono ritenersi fondate. Occorre premettere che l'assicurazione infortuni sul
lavoro presenta elementi caratteristici propri rispetto alle altre forme di previdenza sociale. La necessità di risarcire
l'operaio del danno eventualmente subito in occasione della sua prestazione è divenuta particolarmente imperiosa con il sorgere e lo svilupparsi della grande industria ed essa è stata subito sentita come esigenza sociale incomprimibile,
In dottrina v. Moschini, in Osservatore trib., 1961, 99 ; Caldarulo, in Riv. trib. loc., 1961, 101.
Nel senso della non ricorrenza dell'obbligo assicurativo per gli autisti della pubblica amministrazione, in senso ampio, v. il parere del Cons. Stato 1° luglio 1953, n. 493, Foro it., Rep. 1955, voce cit., n. 99.
In generale, sui punti affrontati dalla Cassazione nella moti vazione, v. Richard, L'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in Trattato dir. lav. di Bobsi e Pergolesi, 1959, IV, prima parte, pag. 389 e segg. e pagg. 443-445.
La questione si è posta anche per gli agenti motociclisti delle imprese appaltatrici del servizio di riscossione delle imposte di consumo. Per la ricorrenza dell'obbligo assicurativo, v. Trib. Salerno 31 maggio 1963, Foro it., Rep. 1963, voce cit., rin. 52, 53 ; Cass. 26 marzo 1958, n. 999, id., Rep. 1958, voce cit., n. 97. Que st'ultima sentenza venne annotata da Pennino, in Temi nap., 1958, I, 471. In senso conforme, v. le decisioni degli Ispett. lav. Gorizia 26 settembre 1959, Porli 13 agosto 1959, Foro it., Rep. 1960, voce cit., nn. 68, 69 ; Ispett. lav. Massa Carrara 29 luglio 1959 e Venezia 3 febbraio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 78-80. Contra App. Napoli 8 giugno 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 84.
Nell'ipotesi da ultimo fatta si è escluso l'obbligo assicurativo in quanto gli agenti del servizio di vigilanza debbono qualifi carsi come impiegati : Trib. Pordenone 23 marzo 1962 e Trib. Gorizia 8 gennaio 1962, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 93-96.
Non ricorre l'obbligo assicurativo se il dipendente della ditta appaltatrice si avvale di proprio automezzo : Min lav. 20 novembre 1961, id., Rep. 1962, voce cit., n. 97.
Sulla nuova legge del gennaio 1963 clie modifica profonda mente la precedente disciplina dell'assicurazione obbligatoria v. gli studi di Cataldi, in Prev. soc. agr., 1963, 29 ; Rajani, in Dir. economia, 1963, 320 ; Ricciardi Pollini, in Difesa soc., 1963, I, 7, nonché il commento in Dir. lav., 1963, 320.
Gli atti parlamentari della legge sono pubblicati in Riv. in fortuni, 1963, I, 1 ; le relazioni parlamentari di maggioranza (Nuoci) e di minoranza (Venegoni e Bettoli) sono pubblicate su Le Leggi, 1963, 290 e 296.
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