Sezione II civile; sentenza 16 aprile 1981, n. 2305; Pres. Moscone, Est. Lo Coco, P. M. Valente(concl. conf.); Magistretti (Avv. G. Romanelli, Cottino) c. Provincia italiana dell'istituto dellepiccole suore dei poveri (Avv. Cavalieri, Bondaz, Giusiana). Cassa App. Torino 5 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2447/2448-2453/2454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172931 .
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2447 PARTE PRIMA 2448
stanza del Galeone, mentre non incontra alcun ostacolo nella natura del provvedimento cosi impugnato, non può trovare ulte riore ingresso per carenza della principale condizione ex art. 39
cod. proc. civ. per la invocata litispendenza: la diversità dei
giudici dinanzi a cui penda la stessa causa.
Orbene, in relazione al primo profilo, è d'uopo precisare che la tesi svolta dal procuratore generale sulla base di un lontano arresto giurisprudenziale (v. Cass. 8 giugno 1965, n. 1132, Foro
it., Rep. 1965, voce Competenza civile, nn. 345, 409), per cui si era ritenuto che l'ordinanza, con la quale, come nel'la specie, il giudice respinga l'eccezione di litispendenza per mancanza « allo stato » dei relativi presupposti, ha natura solo ordinatoria dell'ulteriore corso della causa e, pertanto, non sia impugnabile con regolamento di competenza, trova smentita sia nella debita
rilevazione che la pronuncia « allo stato », che si è impugnata dal Galeone, pur con di riferimento alla fase in cui si trovava la causa precedente era sostanzialmente denegativa dell'applica zione dell'istituto della litispendenza e di conseguenza veniva ad incidere in senso positivo sulla competenza dell'adito giudice, affermandone il potere di cognizione in ordine alla controversia reiterata dal Gasparro contro il Galeone, sia nella correlativa considerazione di quell'orma! consolidata corrente giurispruden ziale (v. Cass. 19 aprile 1966, n. 1002, id., Rep. 1966, voce
cit., n. 405; 19 maggio 1965, n. 973, id., Rep. 1965, voce cit., n. 430), la quale ha individuato nei provvedimenti che risolvano
questioni relative alla litispendenza delle vere e proprie pro nunce sulla competenza, per cui trovano applicazione i mezzi
di impugnazione ex art. 42 segg. cod. proc. civile.
Per contro, come si è preannunciato, l'istanza del Galeone in
corre nella sanzione di inammissibilità per la spiccante conside
razione della mancanza della preliminare condizione per l'ap
plicabilità della litispendenza, emergendo dall'esame degli atti
processuali che, al momento della pronuncia dell'impugnata or
dinanza del Pretore di Ceglie Messapico, la prima causa (in
prevenzione rispetto a quella del provvedimento in esame) pen deva ancora davanti allo stesso pretore, pur avendo questi pro nunciato il dispositivo della sentenza di rigetto della domanda
del Gasparro.
Invero, in proposito va per primo puntualizzato come costi
tuisca ius receptum (v. Cass. 8 maggio 1979, n. 2625, id., Rep. 1979, voce cit., n. 158; 27 luglio 1967, n. 1997, id., 1967, I, 2324; 10 aprile 1965, n. 643, id., Rep. 1965, voce Cosa giudicata civile,
n. 52) che per il principio dell'unità del rapporto processuale la
litispendenza, apertasi con la domanda giudiziale, perdura finché
11 rapporto processuale non sia chiuso con sentenza passata in
cosa giudicata a norma dell'art. 324 cod. proc. civile.
Correlativamente, deve osservarsi che nella causa per prima instaurata dal Gasparro contro il Galeone, trattandosi di giudi zio disciplinato dalla legge n. 392 del 1978, trovava applicazione a norma dell'art. 45 di tale legge il rito prescritto per le contro
versie di lavoro (art. 409 segg. cod. proc. civ.), con la conse
guenza che la sola pronuncia del dispositivo con la sua lettura
in udienza a norma dell'art. 429 cod. proc. civ., in mancanza
del deposito della motivazione della sentenza ai termini del
l'art. 430 cod. proc. civ., non comportava l'esistenza giuridica del provvedimento nella sua interezza ai fini della sua impu
gnazione — salva l'eccezione prevista dal 2° comma dell'art.
433 cod. proc. civ.: qui non invocata, né provata — (v.
Cass. 10 luglio 1978, n. 3449, id., Rep. 1978, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 302; 2 luglio 1977, n. 2896, id.,
1977, I, 1631). Quindi ne derivava non soltanto la formazione
ancora in itinere della pronuncia giudiziale definitiva del giu dizio e cosi con la non ancora iniziata decorrenza dei relativi
termini d'impugnazione l'ovvio mancato passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale de qua, ma benanco — ai fini che ne
interessa — quella contemporanea perdurante pendenza della
prima causa — nella fase del subprocedimento per la sua deci
sione delineato dagli art. 429 e 430 cod. proc. civ. — davanti a
quello stesso Pretore di Ceglie Messapico, adito successivamente
ed autore del provvedimento impugnato, che costituisce condi
zione ostativa all'applicazione dell'invocato istituto della litis
pendenza, dovendosi tenere per fermo che in tal caso, essendo
unico l'organo giudicante delle due cause, non può ricorrere
questione di competenza per litispendenza e quindi possibilità di esperire i relativi mezzi di impugnazione ex art. 42 e segg. cod. proc. civ., bensì soltanto questione di eventuale riunione
delle due cause contemporaneamente in corso dinanzi allo stesso
giudice alla stregua della disciplina degli art. 273 e 274 cod.
proc. civ. (v. Cass. 14 aprile 1980, n. 2394, id., Rep. 1980, voce Procedimento civile, n. 116; 16 giugno 1978, n. 3002 e 5 giugno 1978, n. 2818, id., Rep. 1978, voce cit., n. 134, 133).
Peraltro, per completezza è doveroso aggiungere che tale con clusione non trova smentita all'atto della presente decisione in
sopravvenute circostanze relative al diverso atteggiarsi del rap porto processuale de quo (v. Cass. 14 febbraio 1975, n. 577, id., Rep. 1975, voce Competenza civile, n. 197; 8 ottobre 1969, n. 3213, id., Rep. 1969, voce cit., n. 342), essendo mancata la necessaria dimostrazione di esse dalla parte ricorrente, che alle
gando la situazione di litispendenza era onerata della produzione dei documenti che permettessero un siffatto esame (v. Cass. 4
aprile 1970, n. 913, id., Rep. 1970, voce cit., n. 242).
Pertanto, in conseguenza dei precisati rilievi l'istanza per regolamento di competenza proposta dal Galeone va dichiarata inammissibile. (Omissis).
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 16 aprile 1981, n. 2305; Pres. Moscone, Est. Lo Coco, P. M. Valente (conci, conf.); Magistretti (Avv. G. Romanelli, Cottino) c. Provincia italiana dell'istituto delle piccole suore dei poveri (Avv. Cavalieri, Bondaz, Giusiana). Cassa App. Torino 5
maggio 1979.
Successione ereditaria — Successione aperta anteriormente alla riforma del diritto di famiglia — Usufrutto uxorio — Facoltà di commutazione — Persistenza (Cod. civ., art. 547; legge 19
maggio 1975 n. 151, riforma del diritto di famiglia, art. 181). Successione ereditaria — Usufrutto uxorio — Facoltà di com
mutazione — Spettanza a tutti gli eredi (Cod. civ., art. 547). Successione ereditaria — Usufrutto uxorio — Disposizione
testamentaria meramente ricognitiva dell'attribuzione legale — Facoltà di commutazione — Sussistenza (Cod. civ., art. 547).
Successione ereditaria — Usufrutto uxorio — Liquidazione ai fini della commutazione — Partecipazioni azionarie — Crite rio di liquidazione.
Nelle successioni apertesi anteriormente all'entrata in vigore del la riforma del diritto di famiglia continua ad essere applicabile l'art. 547 cod. civ. (abrogato dall'art. 181 legge 151/1975), che riconosce agli eredi la facoltà di commutazione dell'usu frutto su una quota de! patrimonio ereditano attribuito dalla legge al coniuge superstite. (1)
(1) Nella specie, la facoltà di commutazione (che — avverte la Cassazione — « non si esercita necessariamente a mezzo della sen tenza, la quale non opera essa stessa il mutamento della situazione giuridica, ma contiene la verifica dei contestati requisiti per la com mutazione, oltre che la soluzione della controversia tra le parti sull'ammontare della rendita che si sostituisce all'usufrutto ») era stata esercitata anteriormente alla riforma del diritto di famiglia, e pure le sentenze di primo e secondo grado che avevano pronunciato in merito erano intervenute in data anteriore. Ma la Cassazione ha intenzionalmente ed esplicitamente affermato il principio riferito nella massima, del quale ha visto conferma nell'assenza di discus sione che ha finora accompagnato l'applicazione ultrattiva dell'art. 547: v. in proposito, richiamate in motivazione, Cass. 23 aprile 1976, n. 1464, Foro it., Rep. 1976, voce Successione ereditaria, nn. 86, 89, 90 (che ha anche dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 547 per violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost, ribadendo la risoluzione già adottata da Corte cost. 27 marzo 1974, n. 84, id., 1974, I, 1288); 3 gennaio 1977, n. 8, id., Rep. 1977, voce cit., n. 60; 7 gen naio 1980, n. 101, e 10 marzo 1980, n. 1594, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 55, 56.
Per la più generale affermazione di principio, secondo cui le innovazioni introdotte in materia di successioni mortis causa dalla legge 19 maggio 1975 n. 151 non operano per le successioni apertesi prima dell'entrata in vigore di detta legge, per le quali, pertanto, de ve trovare applicazione, relativamente al coniuge superstite, la disci plina del codice civile nella sua originaria formulazione, cfr. Cass. 10 novembre 1980, n. 6040, ibid., n. 54.
In dottrina, in tema di successione di leggi nel tempo relativa mente alla legge 151/1975, v. A. Finocchiaro, Su alcune questioni di diritto intertemporale in tema di riforma del diritto di famiglia, in Giust. civ., 1976, I, 1470, con ampi cenni alla teoria dei c. d. diritti quesiti, cui la sentenza riportata fa riferimento in motiva zione. Per altri esempi giurisprudenziali in materia, cfr. Cass. 9 agosto 1977, n. 3641, Foro it., 1977, I, 2453; 6 novembre 1976, n. 4044, id., 1977, I, 412.
Sul tema delle innovazioni apportate alla disciplina dei diritti successori del coniuge superstite dalla legge di riforma del diritto di famiglia, cfr. S. Ferrari, Appunti sugli aspetti successori della riforma del diritto di famiglia, in Dir. famiglia, 1978, 1353.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ai sensi dell'art. 547 cod. civ., la facoltà di commutazione del
l'usufrutto uxorio spetta ad ogni erede, e non ai soli legitti mari. (2)
La facoltà di commutazione dell'usufrutto attribuito dalla legge al coniuge superstite anteriormente alla riforma del diritto di famiglia non è esclusa dalla presenza di una clausola testa mentaria che abbia carattere meramente ricognitivo dell'attri buzione operata dalla legge e non esprima una volontà del te statore di attribuire egli stesso un legato al coniuge. (3)
In sede di liquidazione dell'usufrutto uxorio, ai fini della com mutazione di cui all'art. 547 cod. civ. ultrattivamente applica bile dopo l'abrogazione ad opera dell'art. 181 legge 151/1975, l'usufrutto su partecipazioni azionarie non va calcolato in base al solo dividendo annuo distribuito agli azionisti, ma, nell'ipo tesi di azioni non quotate in borsa, tenendo altresì conto di tutti gli elementi della società che contribuiscono a stabilire il valore dell'azione (cioè di quegli stessi elementi che, nel caso di azioni quotate in borsa, si riflettono normalmente sui valori di listino). (4)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione del 12 maggio 1971 la Provincia italiana dell'istituto delle piccole suore dei poveri, quale ente titolare del rifugio dei poveri di
Aosta, conveniva avanti al tribunale della stessa città Alessandra
Magistretti ved. Bérard, esponendo che con testamenti olografi 11 gennaio 1960 e 19 luglio 1961 il defunto Germano Bérard ave va nominato lo stesso rifugio dei poveri suo erede universale con riserva di usufrutto uxorio a favore del coniuge superstite, la
predetta Alessandra Magistretti. Accettata, previa autorizzazione amministrativa, l'eredità con
beneficio di inventario ed alienati, previa autorizzazione giudi ziaria, alcuni beni immobili ed attività mobiliari per provvedere al saldo di passività ereditarie, l'istituto, poiché le reiterate sue istanze rivolte al coniuge superstite per addivenire alla commu tazione dell'usufrutto uxorio non avevano avuto esito favorevo
le, ed intendendo peraltro avvalersi della facoltà concessagli dal l'art. 547 cod. civ., chiedeva in via principale la commutazione dell'usufrutto a favore del coniuge superstite, previa ammissione di consulenza tecnica diretta ad accertare l'entità dell'asse eredi tario ed il corrispettivo usufrutto dovuto, predisponendosi altresì un progetto di commutazione in relazione alle ipotesi previste dal l'art. 547 cod. civile.
In via suordinata chiedeva ordinarsi lo scioglimento della co munione ereditaria di godimento con concentrazione dell'usufrutto su singoli beni.
La Magistretti si opponeva alla domanda principale, sostenen do trattarsi di successione testamentaria, nulla esprimendo, in
proposito, il fatto che l'usufrutto, riservato al coniuge superstite, si identificasse con la quota riservata ex lege; non si opponeva invece alla domanda subordinata, chiedendo disporsi consulenze tecniche contabili per l'accertamento della consistenza effettiva dei beni caduti nell'eredità beneficiata.
Con sentenza 18-26 maggio 1973 il Tribunale di Aosta dichia rava che l'attore aveva facoltà, quale erede di Germano Bérard,
(2) Conformi, nel senso di ritenere la facoltà di commutazione di cui all'art. 547 cod. civ. spettante a tutti gli eredi legittimi e testa mentari, anche se estranei alla famiglia del de cuius: Messineo, Ma nuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1962, VI, 313; L. Ferri, Dei legittimari, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, 1971, 60; Mengoni, Successione necessaria, in Trattato, diretto da Cicu-Messineq, 1967, 200.
(3) In termini, App. Lecce 16 aprile 1959, Foro it., Rep. 1959, voce Successione, n. 79.
Nel senso che la facoltà di commutazione ex art. 547 cod. civ. non possa essere esercitata dagli eredi qualora al coniuge sia stato lasciato dal de cuius un legato su determinati beni ereditari, anche se il loro valore è pari alla quota di usufrutto uxorio riservata dalla legge, cfr. Cass. 11 maggio 1967, n. 980, id., 1967, I, 1475, con nota di richiami.
Più in generale, circa l'affermazione, costantemente ribadita sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui la commutazione può essere esercitata solo nei confronti del coniuge usufruttuario ex lege, e non anche nei confronti di quello usufruttuario per testamento, cfr. Cass. 7 agosto 1972, n. 2650, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 26; App. Cagliari 8 maggio 1963, id., Rep. 1964, voce cit., n. 98; Cass. 8 novembre 1955, n. 3677, id., Rep. 1955, voce cit., n. 88.
(4) Non constano precisi precedenti editi. In generale, in tema di criteri per la liquidazione dell'usufrutto
del coniuge superstite, cfr. Trib. Genova 18 maggio 1957, Foro it., 1958, I, 130; Cass. 12 aprile 1956, n. 1097, id., 1956, I, 1308.
Sulla valutazione dei titoli azionari non quotati in borsa, cfr. Cass. 10 settembre 1974, n. 2454, id., Rep. 1974, voce Società, n. 388, e 14 febbraio 1963, n. 325, id., 1963, I, 937, con ampia nota di ri chiami.
di soddisfare le ragioni del coniuge del de cuius mediante l'assi curazione a costui di una rendita vitalizia, e, per l'effetto, determi nava l'ammontare della rendita annua spettante alla Magistretti, quale usufruttuaria ex lege dei due terzi dei beni morendo dismes si da! di lei marito, in lire 7.114.607.
Disponeva la commutazione di tale diritto di usufrutto in una rendita vitalizia del suddetto ammontare di lire 7.114.607, che l'Istituto delle piccole suore dei poveri avrebbe dovuto assicu rare — a sua scelta discrezionale — alla Magistretti o con l'acqui sto dei titoli garantiti dallo Stato per un capitale producente un interesse annuo di tale importo, titoli sottoposti al vincolo di usufrutto in favore della stessa Magistretti vita naturai durante, oppure con la stipulazione di un reddito vitalizio di tale ammon tare a favore della Magistretti presso un idoneo istituto, da sce gliersi possibilmente previ accordi con la convenuta se costei non accampasse pretese insostenibili, e salva qualsiasi altra soluzione che le parti potessero scegliere di comune accordo ai sensi dell'art. 547 cod. civile.
Appellava la Magistretti chiedendo, con la riforma della sen tenza, che fosse dichiarato non potersi far luogo alla commuta zione del diritto di usufrutto né soddisfarsi le ragioni del co niuge ex art. 547 cod. civ.; in ipotesi, disporsi nuova consu lenza tecnica diretta ad accertare l'effettivo reddito e la produtti vità dei beni soprattutto nei riflessi futuri, e che si soddisfaces sero le ragioni del coniuge assegnando allo stesso il reddito di capitali caduti in successione, soprattutto attraverso l'esame di un possibile accordo fra le parti ed in maniera da evitare futuro depauperamento della rendita.
La Provincia italiana dell'istituto delle piccole suore dei po veri resisteva, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza non definitiva 26 aprile-2 giugno 1974 la corte confermava la sentenza appellata sul punto relativo alla facoltà in capo alla Provincia italiana dell'istituto delle piccole suore dei poveri, quale erede di Germano Bérard, di soddisfare le ragioni del coniuge supersite ex art. 547 cod. civ., e con coeva ordi nanza rimetteva le parti in causa avanti all'istruttore per l'esple tamento di consulenza tecnica diretta ad accertare e stimare, con valori attuali e previa individuazione e determinazione, tutti i cespiti e beni ereditari del defunto Germano Bérard e a deter minare altresì il valore degli stessi per la quota di due terzi.
Condotto a termine l'incombente istruttorio e depositata dal consulente di ufficio la relazione peritale, con altra ordinanza la corte disponeva un supplemento di indagini peritali, espletato il quale determinava l'ammontare della rendita annua in lire 15.000.000 da assicurare mediante stipulazione di una rendita vitalizia presso idoneo istituto, da scegliersi d'accordo fra le parti, oppure presso l'I.n.a.
Nella motivazione della prima sentenza la corte, interpretando la volontà testamentaria espressa dal Bérard in due schede olo grafe, ritiene che il testatore non abbia attribuito un legato alla moglie, lasciando alla legge di determinarne la misura, ma abbia voluto dare atto che egli non aveva disposto di quella determi nata quota di reddito che la legge riserva alla moglie, e che le clausole del testamento relative all'usufrutto uxorio rappresentano un semplice riconoscimento dei limiti imposti dalla legge alla li bertà del testatore.
La corte prosegue confutando le tesi contrarie sul punto pro spettate dall'appellante. Passa indi a dimostrare la legittimazione dell'istituto a chiedere la commutazione dell'usufrutto, disatten dendo la tesi della Magistretti, che sosteneva essere attribuito questo diritto solo agli eredi legittimari.
La corte ritiene nella sentenza definitiva inaccettabile la ri chiesta (alternativa) della Magistretti di una forma mista di com mutazione (parte rendita, parte frutti e capitali ereditari) e ri tiene che le parti hanno sostanzialmente raggiunto un accordo per la costituzione di una rendita vitalizia.
Sulla determinazione della rendita la corte non concorda con le conclusioni del c. t. u., le quali traggono il loro fondamento non dagli utili risultanti dai bilanci approvati, ossia dal red dito delle partecipazioni azionarie, bensì dal reddito di im presa, osservando che il proprietario e l'usufruttuario di azioni hanno diritto verso l'ente sociale solo in ordine al pagamento dell'utile netto risultante dal bilancio (c. d. « dividendo »), con esclusione di qualsiasi pretesa o richiesta su altre somme sia pure indicate in bilancio, delle quali pertanto non si può tener conto nel calcolo della rendita; altrimenti la commutazione dell'usu frutto potrebbe configurarsi come un fatto di liquidazione di quota al socio uscente nelle società personali.
Sulla base di questo criterio, e utilizzando i dati riportati nella relazione del c. t. u., la corte calcola la media dei dividendi at tribuiti agli eredi Bérard negli ultimi tre anni dalle due società Banco Bérard e immobiliare S. Gabriele, applicandovi poi la
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2451 PARTE PRIMA 2452
riduzione di due vitalizi (Coquillard e Ottavio), per cui perviene
alla determinazione in lire 10.829.555 dell'usufrutto annuo spet
tante alla Magistretti. Considera poi la corte che occorre tener conto della svaluta
zione monetaria dal tempo delle indagini del c. t. u., e pertanto
rivaluta detta somma del 50 % circa, determinando quindi la
cifra finale, per arrotondamento, in lire 15.000.000.
Contro le due sentenze propone ricorso a questa corte la Ma
gistretti con tre motivi di cassazione. Resiste con controricorso
la Provincia italiana.
Motivi della decisione. — Il primo motivo di ricorso sottopone
a questa corte un problema non trattato nel giudizio di merito.
Si sostiene che la commutazione dell'usufrutto uxorio richiesta
dall'istituto attore non sia più possibile dopo che l'art. 181 legge
19 maggio 1975 n. 151 ha abrogato espressamente l'art. 547 cod.
civ., relativo a! soddisfacimento delle ragioni del coniuge super
stite, e che pertanto la pronuncia della corte torinese, emessa
dopo tale abrogazione, abbia violato e falsamente applicato quel
le disposizioni di legge. Il motivo, sicuramente ammissibile (perché, sebbene prospetti
un problema nuovo, tuttavia non introduce un nuovo tema di
indagini, mantenendosi entro l'ambito della mera applicazione
della legge ai fatti accertati), svolge una tesi inaccettabile.
È certamente vero che, in forza del disposto del 2° comma del
l'art. 547 citato, per il quale il coniuge conserva i propri di
ritti di usufrutto su tutti i beni ereditari fino a che non sia
soddisfatto delle sue ragioni, la commutazione dell'usufrutto del
la Magistretti, chiesta dall'istituto attore, non si era ancora per
fezionata nel momento in cui è intervenuta l'abrogazione della
norma che lo prevede e lo disciplina. Ma è altresì vero che la
pendenza della lite, quando l'abrogazione è intervenuta, non
comporta che alla commutazione richiesta dall'attore non si possa
più far luogo.
Costituisce principio generale che i diritti derivanti da suc
cessione ereditaria sono disciplinati dalle norme vigenti al tempo
dell'apertura della successione, perché è questo il momento in
cui i diritti stessi vengono ad esistenza. A questo principio si è
certamente ispirata la legge di riforma, posto che, quando nelle
disposizioni transitorie l'efficacia di alcune delle nuove disposi
zioni viene estesa nel tempo oltre il limite insito nelle altre dispo
sizioni, si è fatto riferimento alle successioni apertesi prima della
entrata in vigore della legge stessa (art. 237 e 238). Dal che si de
duce che l'estensione della nuova disciplina alle successioni aper
tesi prima ha carattere eccezionale, e che pertanto, per potere
ritenere una tale estensione, occorre che vi sia una norma espli
cita in tale senso. Il legislatore ha mostrato in tal modo di vo
lere, in questa materia, rispettare, salvo le eccezioni espressa
mente previste, i diritti quesiti.
Ciò premesso, va detto che l'abrogazione dell'art. 547 cod. civ.
deve ritenersi correlativa alla huova posizione che la riforma del
diritto di famiglia del 1975 assicura al coniuge superstite nella
successione; trattandosi infatti non più di un usufruttuario ex
lege, ma di un erede, ed anzi di un legittimario, avente diritto
a una quota di eredità (art. 536, 540 nel nuovo testo), manca
nella nuova disciplina il presupposto stesso perché di commuta
zione dell'usufrutto possa parlarsi.
Deve perciò ritenersi che l'abrogazione riguarda soltanto le
successioni apertesi dopo l'entrata in vigore della riforma del di
diritto di famiglia, non già quelle apertesi in tempo anteriore, per
le quali la disciplina non può essere che quella vigente al mo
mento della loro appertura; con la conseguenza, fra l'altro, che
la facoltà concessa all'erede nei confronti del coniuge superstite
dall'art. 547 cod. civ., una volta entrata a far parte del patrimo
nio dell'erede, resta insensibile alla successiva abrogazione della
norma che la prevede, in quanto legata, questa abrogazione, a
una nuova disciplina delle successioni, applicabile soltanto alle
successioni apertesi posteriormente all'entrata in vigore della ri
forma.
Sebbene il problema non sia stato affrontato e risolto esplicita
mente, tuttavia la giurisprudenza di questa corte, per il fatto
stesso che ha continuato ad applicare l'art. 547 cod. civ. anche
dopo la sua abrogazione, si è orientata implicitamente nel senso
ora espresso (sent. 23 aprile 1976, n. 1464, Foro it., Rep. 1976,
voce Successione ereditaria, nn. 86, 89, 90; 3 gennaio 1977, n.
8, id., Rep. 1977, voce cit., n. 60; 7 gennaio 1980, n. 101, e 10
marzo 1980, n. 1594, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 55, 56). Anzi,
il carattere implicito di questa soluzione non può che essere se
gno della mancanza di dubbi o aspetti problematici relativamente
alla soluzione stessa.
A maggior ragione si deve pervenire a questa conclusione ove
si consideri che non soltanto l'abrogazione della norma è di molti
anni posteriore all'apertura della successione di Germano Bérard,
ma la facoltà concessa all'erede dall'art. 547 cod. civ. è stata eser
citata dall'istituto attore molto tempo prima di detta abroga
zione, non rilevando che la lite, cui ha dato luogo l'esercizio di
questa facoltà, fosse ancora pendente quando è intervenuta l'abro
gazione. A prescindere da quanto si è detto sull'acquisizione al
patrimonio dell'istituto di questa facoltà, si può osservare che la
facoltà dell'erede non si esercita necessariamente a mezzo della
sentenza, la quale non opera essa stessa il mutamento della si
tuazione giuridica, ma contiene la verifica dei contestati requi siti per la commutazione, oltre che la soluzione della controver
sia tra le parti sull'ammontare della rendita che si sostituisce al
l'usufrutto. Né sotto questo profilo può avere rilievo quanto di
spone il ricordato 2° comma dell'art. 547 cod. civ., essendo chia
ro che si tratta di una cautela per il coniuge superstite, tanto è
vero che neanche la sentenza definitiva fa cessare l'usufrutto, che
viene meno solo dopo la completa esecuzione di quanto necessa
rio per il soddisfacimento delle ragioni del coniuge. Va ancora osservato che la sentenza di appello che ha affer
mato la legittimità dell'esercizio ad opera dell'istituto attore della
facoltà di commutazione dell'usufrutto della Magistretti è perfino essa anteriore all'abrogazione dell'art. 547, ciò che contribuisce
a portare fuori dal campo di ogni dubbio la definitiva acquisi zione di questa facoltà al patrimonio dell'istituto, e fuori dal
terreno su cui opera la disposta abrogazione. Con il secondo motivo la ricorrente torna a sostenere — in
linea ovviamente subordinata — che la facoltà di soddisfare le
ragioni del coniuge è accordata dalla norma non ad ogni erede,
bensì solo agli eredi legittimari e che pertanto la corte di To
rino, riconoscendola all'istituto attore, che certo legittimario non
è, ha violato l'art. 547 cod. civile. La tesi del ricorrente è stata
già disattesa dalla corte di Torino, la cui decisione sul punto non
può che essere condivisa.
La ricorrente, la quale riconosce che il testo della norma attri
buisce quella facoltà all'erede, senza altra aggiunta, invoca l'ar
gomento della sua collocazione nella sezione I capo X, intitolata
« dei diritti dei legittimari », nonché l'altro della ratio, che con
sisterebbe nel sacrifìcio degli interessi del coniuge a favore del
l'unità della famiglia e dei membri « non spurii » di essa (discen
denti o ascendenti), ma non a vantaggio di qualsiasi terzo. Questi
argomenti, già di per sé di scarso valore a fronte della nota pre
cisione del codice civile anche in tema di legittimari, perdono
ogni consistenza ove si consideri che la collocazione della norma
trova sufficiente spiegazione nel fatto che anche il coniuge (ora
e prima della riforma) è un legittimario e che la esposta ratio
non ha alcuna base e non trova nel sistema alcun appiglio. È
sufficiente ricordare il noto sfavore con il quale è vista la sepa
razione dal diritto di proprietà della facoltà di godimento del
bene e la necessità di sistemazione, per la chiarezza e facilità
dei rapporti giuridici, che comporta (o, meglio, comportava) un
usufrutto, da una parte, comprendente tutti i beni del patrimonio
ereditario e, dall'altra, limitato ad una quota ideale.
Nello stesso mezzo è contenuta una seconda censura; la ricor
rente si richiama alla presenza di una vocazione ereditaria, che
escluderebbe, come è pacifico, il diritto di commutazione (sent. 8
novembre 1955, n. 3677, id., Rep. 1955, voce cit., n. 88; 9 gen
naio 1967, n. 92, id., Rep. 1967, voce cit., n. 86). Secondo la ri
corrente il ragionamento della corte torinese sul punto sarebbe
arbitrario, perché le disposizioni testamentarie rimangono tali,
anche quando con esse non si intenda beneficiare una persona in
misura maggiore di quanto le spetterebbe per legge; i motivi per
i quali il testatore intende in tal modo limitare il beneficio ri
mangono estranei alla disposizione testamentaria.
Anche questa censura, che non investe l'interpretazione del te
stamento fatta dalla corte del merito, è infondata, perché si ri
solve nella mera affermazione dell'esistenza di una vocazione
testamentaria, che la corte ha invece escluso mediante una inter
pretazione non censurata del testamento di Germano Bérard.
Esaminando il testamento, invero, la corte ha attribuito alle espres
sioni riguardanti la moglie, Alessandra Magistretti, un contenuto
meramente ricognitivo dell'attribuzione ad essa riservata dalla
legge, aventi come unico scopo quello di salvare il testamento
da una sua impugnazione, ed ha escluso ogni contenuto di vo
lontà del testatore di attribuire egli stesso l'usufrutto uxorio.
Non censurandosi questa interpretazione, è vano affermare che
la disposizione testamentaria c'era.
Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione sotto
altro aspetto dello stesso art. 547 cod. civ., la ricorrente impugna
i criteri, a suo dire eccessivamente restrittivi, con i quali la corte
di Torino ha liquidato la rendita attribuitale. Sostiene, in primo
luogo, che si doveva scegliere una soluzione mista, attribuendole
in parte i redditi di azioni di società cadute in successione, e per
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il resto una rendita. Segnala poi come erronea l'opinione della
corte di limitare al solo dividendo annuo distribuito il reddito
delle partecipazioni azionarie.
La prima di queste due censure è manifestamente infondata,
perché la corte torinese, anche se ha accennato ad una alterna
tiva legale fra le due forme di commutazione, che non consenti
rebbe una forma mista, tuttavia ha anche aggiunto le ragioni per le quali è nella specie preferibile la costituzione di una rendita;
si tratta di un apprezzamento di fatto non censurabile, e del resto
non censurato, che elimina ogni rilevanza dell'eventuale errore
segnalato. Ma la seconda è altrettanto manifestamente fondata, rimanendo
fuori da ogni possibile dubbio che l'usufrutto su partecipazioni azionarie non si esaurisce affatto, come erroneamente ha ritenuto
la corte del merito, nel dividendo distribuito annualmente agli azionisti.
Che l'usufruttuario dell'azione, così come del resto il socio, non
possa pretendere annualmente dalla società se non il dividendo
e gli altri utili di cui sia stata deliberata nelle forme di legge la
distribuzione è un ovvia verità, che però non risolve il problema. Dice la corte torinese che se si estendesse il diritto dell'usu
fruttuario all'intero utile sociale, anche a quella parte, cioè, che
non è stata distribuita, ma che è passata a riserva o che co
munque è stata accantonata, si darebbe come oggetto a quel l'usufrutto non l'azione, bensì l'azienda sociale, con la inevita
bile conseguenza, inaccettabile, che l'usufruttuario, per far pro
pri tutti gli utili, dovrebbe anche far fronte ai debiti derivanti
dalla gestione sociale.
L'incongruenza di queste ragioni è evidente. A parte l'osser
vazione che agli utili non si contrappongono i debiti, bensì le
perdite, e a parte l'incomprensibile contrapposizione dell'azienda
sociale alla società, è chiaro che le perdite gravano in ogni caso
non sul socio, ma sulla società, che, appunto perché società per
azioni, ha una propria personalità giuridica (art. 2331 cod. civile). La responsabilità per i debiti sociali non ha dunque a che vedere
con la questione in esame, per la soluzione della quale è suffi
ciente osservare che le ragioni esposte dalla corte di Torino ur
tano frontalmente contro il disposto dell'art. 2350 cod. civ. e
contro elementari concetti economici. Secondo questa norma, in
fatti, ogni azione attribuisce il diritto non soltanto a una parte
proporzionale degli utili netti, ma anche a una parte proporzio nale del patrimonio netto risultante dalla liquidazione; e davvero
non si riesce a comprendere perché mai di questo secondo diritto,
incorporato nell'azione, non si debba tener conto in sede di com
mutazione dell'usufruito, ove si tenga presente l'ovvio principio,
peraltro già affermato da questa corte, che nella commutazione
del diritto di usufrutto del coniuge superstite in rendita vitalizia
e nei frutti la determinazione fatta dal giudice in caso di disac
cordo delle parti è prevista dalla legge solo per attribuire al co
niuge quello che gli spetta, né può risolversi in un arricchimento
o in depauperamento del coniuge o degli eredi (sent. 19 maggio
1956, n. 1720, id., Rep. 1956, voce cit., n. 75). Del resto è principio del tutto pacifico che il diritto al divi
dendo annuo non esaurisce il contenuto dell'usufrutto sull'azio
ne; prescindendo infatti dal diritto di voto nelle assemblee (art.
2352 cod. civ.), la dottrina più autorevole è nel senso che, in
caso di distribuzione di azioni gratuite, l'usufrutto si estenda alle
azioni assegnate in proporzione di quelle precedenti e che spetti no comunque all'usufruttuario gli utili delle distribuzioni ordinarie.
Dal punto di vista economico è sufficiente osservare che, come
è di comune accezione, il valore dell'azione di società non è
proporzionale al dividendo annuo, oscillando in dipendenza di
numerosi fattori, fra i quali assume preminente rilevanza nor
malmente la situazione patrimoniale della società.
Non v'è dubbio che, se si trattasse di azioni quotate in borsa,
del loro valore di listino dovrebbe tenersi conto in sede di liqui dazione dell'usufrutto. Trattandosi di azioni non quotate in bor
sa è perciò legittima allo stesso fine l'indagine su tutti gli ele
menti della società che contribuiscono a stabilire il valore del
l'azione, elementi che nel caso di azioni quotate in borsa si ri
flettono normalmente nel valore di listino.
Deve essere dunque cassata, per questa parte, la sentenza im
pugnata che, attenendosi a criteri ingiustamente restrittivi, ha
violato nella commutazione dell'usufrutto della Magistretti le
norme di legge e i principi giuridici sopra richiamati. Ad essi
dovrà adeguarsi il giudice di rinvio.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 16 aprile
1981, n. 2295; Pres. Pedace, Est. Fiduccia, P. M. Cantagalli
(conci, conf.); Flora (Avv. Lama, Massari) c. Flora; Flora
(Aw. Ricci, Leurini) c. Flora. Conferma App. Trento 18
dicembre 1978.
Procedimento civile — Sospensione concordata — Termine di
riassunzione — Inosservanza — Conseguenze (Cod. proc. civ.,
art. 296, 297).
L'inosservanza del termine di dieci giorni, previsto nel 2° com
ma dell'art. 297 cod. proc. civ., per richiedere, in caso di
sospensione concordata, la fissazione della nuova udienza di
trattazione, non comporta l'estinzione del processo ma una
mera irregolarità (nella specie, il ricorso era stato depositato
dopo la scadenza del termine di dieci giorni ma prima della
scadenza dei quattro mesi). (1)
(1) È la prima volta che la Cassazione prende posizione sul pro blema relativo alla natura, perentoria od ordinatoria, del termine di dieci giorni previsto dal 2° comma dell'art. 297 cod. proc. civile.
In senso conforme v. App. Cagliari 6 dicembre 1963, Foro it.,
Rep. 1966, voce Procedimento civile, n. 388, e, in dottrina, S. Satta,
Commentario, 1966, II, 1, 396; Id., Diritto processuale civile9, ed.
aggiornata ed ampliata da Punzi, 1981, 391; Andrioli, Commento
al codice di procedura civile, 1960, II, 312; Calvosa, Sospensione del processo civile (di cognizione), voce del Novissimo digesto,
1970, XVII, 963; Costa, Manuale di diritto processuale civile5, 1980, 361. Ritengono, invece, che il termine di dieci giorni abbia natura
perentoria e che, quindi, la sua inosservanza comporti l'estinzione
del processo, App. Venezia 21 luglio 1948, Foro it., Rep. 1949, voce
cit., n. 280 bis-, Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano5,
1956, II, 107, 121; Zanzucchi, Diritto processuale civile5, ed. aggior nata a cura di Vocino, 1962, II, 144.
È considerato perentorio il termine di sospensione concesso dal
giudice istruttore su richiesta delle parti (comunemente quattro me
si); l'istanza di riassunzione va pertanto proposta prima della sua sca
denza, pena l'estinzione ai sensi dell'art. 307, 3° comma. Di diverso av
viso su quest'ultimo aspetto sembra Satta, Commentario, cit., II, 1, 396,
il quale afferma che « se la riassunzione non avviene, si avrà una
situazione anomala, alla quale si potrà applicare la disciplina stabi
lita per la cancellazione della causa dal ruolo ».
È opinione pressoché pacifica che la decadenza sia impedita dal
deposito del ricorso per la fissazione della nuova udienza di discus
sione nel termine previsto dalla legge, a nulla rilevando che lo
stesso ricorso venga poi notificato alle altre parti, unitamente al de
creto di fissazione, dopo la scadenza del termine anzidetto: Cass. 26
gennaio 1977, n. 391, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 225 (per la
quale non può imputarsi ad inattività della parte, che ha dato
tempestivo impulso per la ripresa del processo, l'ulteriore decorso
del tempo che dipende unicamente dall'attività del magistrato che
deve fissare la nuova udienza e il termine di notificazione degli atti);
App. Roma 25 maggio 1956, id., Rep. 1957, voce cit., n. 381; con
riferimento ad ipotesi di interruzione del processo, v. Cass. 17
aprile 1980, n. 2506, id., Rep. 1980, voce cit., n. 207; 25 gennaio
1980, n. 611, ibid., n. 209; 26 novembre 1979, n. 6184, id., Rep.
1979, voce cit., n. 254. In dottrina, v. Calvosa, Sospensione, cit.,
962; Bonsignori, Problemi dibattuti in tema di riassunzione del pro
cesso di cognizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 1080; A. Fi
nocchiaro, Lo scopo dell'atto di riassunzione del processo sospeso,
in Giust. civ., 1973, I, 657. Da ultimo v. Saletti, La riassunzione
del processo civile, 1981, 320 ss. ed ivi ulteriori ed ampie indicazioni
di dottrina e di giurisprudenza. Contra, anche se con riferimento ad
ipotesi di interruzione del processo, Cass. 29 gennaio 1960, n. 122,
Foro it., 1960, I, 884, con nota di richiami; Andrioli, Diritto proces
suale civile, 1979, I, 984.
Cass. 10 gennaio 1977, n. 66, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 222,
ha ritenuto valida la riassunzione del processo effettuata con atto
di citazione. Come è noto, l'istanza concorde di tutte le parti costituite non è
sufficiente di per sé a provocare la sospensione o ad obbligare il
giudice a disporla. Questi può (e non deve quindi) dichiararla dopo
aver valutato l'opportunità e la convenienza della stessa e dopo aver
accertato che essa non sia un espediente (per i procuratori) di tirare
i processi per le lunghe, anche se difficilmente potrà respingere
l'istanza; v. Carnelutti, Istituzioni, cit., II, 106; Redenti, Diritto
processuale civile?, 1957, II, 278 (che parla di facoltà discrezionale);
Satta, Commentario, cit., II, 394 s.; Id., Diritto, cit., 390; Liebman,
Manuale di diritto processuale civile, 1981, II, 194; Andrioli, Com
mento, cit., II, 310; Micheli, Sospensione, interruzione ed estinzione
del processo, in Riv. dir. proc. civ., 1942, I, 19; Id., Corso di diritto
processuale civile, 1960, II, 193; Costa, Manuale, cit., 1980, 360;
Mandrioli, Corso di diritto processuale civile2, 1978, II, 223 nota 2;
Calvosa, Sospensione, cit., 961; D'Onofrio, Commento al codice di
procedura civile, 1957, I, 609; Cass. 22 gennaio 1972, n. 161, Fo
ro it., Rep. 1972, voce cit., n. 257; 6 marzo 1970, n. 554, id., Rep.
1970, voce cit., n. 210; 31 luglio 1947, n. 1315, id., Rep. 1947, voce
cit., n. 184. Zanzucchi, Diritto, cit., II, 143; Rocco, Trattato di di
ritto processuale civile, 1966, III, 252, riconoscono al giudice soltanto
Il Foro Italiano — 19S1 — Parte I-157.
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