Sezione II civile; sentenza 16 dicembre 1961, n. 2811; Pres. Caruso P., Est. Maio, P. M. Trotta(concl. conf.); Istituto suore compassioniste serve di Maria (Avv. Sponziello, De Pace) c. Moretto(Avv. Pascali, Tondo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 37/38-41/42Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151960 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non basta da sola, a far venir meno il fondamento della
competenza del pretore o del conciliatore ad emettere
provvedimenti provvisori, com'è dimostrato dagli art. 659
e 669 cod. proc. civ. (occupazione di immobili, quale contro
prestazione di rapporti di lavoro). Nel caso di specie, l'intimante agiva per finita locazione
di una casa, fondandosi su prova scritta, ipotesi rientrante
nella piena competenza del giudice non specializzato. L'intimato, a torto o a ragione, eccepiva, senza darne
prova scritta, che il rapporto, in origine di locazione, era
stato trasformato in colonia parziaria, contratto agrario
soggetto a proroga. Non si trattava, quindi, come si è
precisato innanzi di un'eccezione tratta dallo stesso titolo
posto a base dell'intimazione, e lie non esigeva una parti colare prova, perchè il potere del giudice, di provvedere con ordinanza venisse meno : ad un titolo si intendeva sosti
tuirne altro. Il Pretore non poteva certo decidere sulla
sussistenza o meno del contratto agrario, ma poteva accer
tare se l'eccezione fosse fondata su prova scritta, al fine
di esercitare il potere di ordinare in via provvisoria il rila
scio della casa, che restava, fra l'altro, l'unico oggetto del
l'intimazione, non facendosi nella licenza comunque parola di fondi rustici, rinviando, come doveva, la eccezione del
convenuto.
Questo provvedimento preso con ordinanza, vale ap
punto come ordinanza in conformità alla giurisprudenza di
questa Corte, e quindi non è impugnabile con regolamento di competenza, questo rimedio essendo dato soltanto contro
le sentenze. Diverso sarebbe stato il caso se l'ordinanza non
avesse contenuto espressa riserva delle eccezioni del con
venuto : ma non è questa l'ipotesi che ricorre.
Per questi motivi, dichiara inammissibile, ecc.
CORTE SOPBEMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile; sentenza 16 dicembre^ 1961, n. 2811; Pres. Caruso P., Est. Maio, P. M. Tkotta (conci,
conf.) ; Istituto suore compassioniate serve di Maria
(Avv. Sponziello, De Pace) c. Moretto (Avv. Pascali,
Tondo).
{Conferma App. Lecce 23 luglio 1959)
Donazione — Donazione a favore di ente ecclesia
stico — Morie del donante prima dell'autorizza -
zione per l'accettazione — Inefficacia dell'offerta
di donazione (L. 27 maggio 1929 n. 848, sugli enti
ecclesiastici e amministrazioni civili dei patrimoni de
stinati a fini di culto, art. 11 ; cod. civ., art. 782).
La donazione ad un ente pubblico (nella specie trattavasi di
ente ecclesiastico) non si perfeziona se il donante muore
prima dell'accettazione dell'ente, ancorché la morte del
donante sia avvenuta dopo la notifica della domanda diretta ad ottenere dall'autorità governativa l'autorizzazione. (1)
La Corte, ecc. — Con l'unico complesso motivo l'Isti
tuto delle suore compassioniste denuncia violazione degli art. 782, 1326, 1329, 1333 cod. civ. e 11 legge 27 maggio 1929 n. 848. Sostanzialmente si sostiene :
a) che la donazione a persone giuridiche si perfe
(1) La sentenza 23 luglio 1959 della Corte d'appello di
Lecce, ora confermata, leggesi in Foro it., 1960, I, 1647, con nota di richiami, cui adde, in senso conforme, per quanto con cerne l'applicabilità dell'ult. comma dell'art. 782 cod. civ. agli enti ecclesiastici, Torrente, La donazione, Milano, 1956, pag. 56, 450 ; Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, pag. 475.
Secondo il Torrente, op. cit., pag. 450, poiché la notifica della domanda di autorizzazione per l'accettazione provoca la stessa situazione della proposta a fermo (art. 1329 cod. civ.), la morte e l'incapacità del donante non producono l'estinzione dell'offerta di donazione se sopraggiungono durante l'anno dalla notificazione della domanda diretta ad ottenere l'autorizzazione.
ziona con l'accettazione del donatario, debitamente auto
rizzata, anche quando la medesima intervenga dopo la morte del donante, cui sia stata, come nel caso, notificata la domanda diretta ad ottenere l'autorizzazione ad accet tare ;
b) che, quando donatario sia un ente ecclesiastico, la
semplice presentazione della domanda di autorizzazione, diretta ai competenti organi amministrativi, rende irrevo cabile la dichiarazione del donante, che assume pertanto carattere definitivo, in virtù dell'art. 11 legge 27 maggio 1929 n. 848.
La censura non ha fondamento giuridico. Come è noto, la donazione è un vero e proprio contratto,
e tale era considerata dalla prevalente dottrina anche sotto
l'impero del codice del 1865, pur nella diversa formulazione dell'art. 1050, che usava lo stesso equivoco termine (atto) del codice Napoleone (Rei. del Guardasigilli, n. 372).
Consegue che ad essa è anzitutto applicabile la dottrina
generale del contratto, con quelle deroghe e deviazioni stabilite dalla legge per la donazione, a cui si richiama la stessa Relazione, la quale ammette che la disciplina della donazione « presenta sensibili deviazioni rispetto alla nor male regolamentazione dei rapporti contrattuali ».
Nè la tradizionale sistemazione fuori della sede dei con tratti può influire sulla sua struttura : contratto essa è formalmente definita dal codice (art. 769), e, pertanto, ad
operare l'attribuzione patrimoniale occorre l'accordo del donante e del donatario ; deve cioè alla dichiarazione del
primo corrispondere l'accettazione del secondo. E ove l'accettazione avvenga con atto separato, la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l'atto di accettazione è notificato al donante (art. 782, 2° comma, cod. civ.) : il che significa che il donante può revocare la proposta fino a quando gli venga notificata l'accettaz'one da parte del
donatario, cui compete analoga facoltà (art. 782, 3° comma). Una prima deroga è posta nel caso di donazione fatta
a persona giuridica, in cui il donante non può esercitare il c. d. ius poenitendi, e cioè revocare la sua dichiarazione,
dopo che gli è stata notificata la domanda diretta ad otte nere dalla autorità governativa l'autorizzazione ad accet tare. Trascorso, però, un anno dalla notificazione, senza
che l'autorizzazione sia stata concessa, egli può revocare la dichiarazione (art. 782, 4° comma).
La limitazione temporale dell'irrevocabilità sembra obbedisca a finalità di ordine pubblico : una proposta che vincolasse per sempre il proponente provocherebbe una
situazione di perenne incertezza sulla sorte dei beni, che con
trasta con le esigenze della loro circolazione. Dal principio, poi, che l'accettazione deve essere noti
ficata al donante, deriva la conseguenza che, se essa sia
fatta e notificata dopo la morte del donante, donazione non
può aversi, perchè è mancato l'incontro delle due volontà
attuali, indispensabile qui, come in ogni altro contratto.
A tali sostanziali principi si è uniformata la impugnata sentenza, la quale rettamente ha osservato non avere al
cuna rilevanza l'avvenuto decesso della Conte nelle more del periodo, in cui la proposta era irrevocabile : l'irrevoca bilità postula che il proponente non possa annullare le pro
spettive dell'ente durante il tempo in cui questo deve neces
sariamente attuare la pratica per ottenere l'autorizzazione
ad accettare, e non già che l'ente destinatario della libera
lità possa dispensarsi dall'accettare la donazione e dal por tare a conoscenza del proponente la propria volontà.
'Come anche di recente si è autorevolmente ribadito, in
un sistema come il nostro, dominato dal principio della
cognizione, occorre che il proponente abbia non solo notizia
dell'avvenuta richiesta di autorizzazione, ma altresì « cono
scenza della sopravvenuta efficacia dell'accettazione, che
chiude il periodo di pendenza o di incertezza » : situazione
irrimediabilmente bloccata, nella specie, per il decesso della
Conte (11 agosto 1952), prima ancora che intervenisse il
decreto presidenziale di autorizzazione (1 dicembre 1952),
che, come già per il codice abrogato (art. 1057, 2° com
ma), ha ostacolato la formazione dell'i» idem placilum, con
sensus.
Si assume in atti che l'accettazione da parte dell'Isti
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39 PARTE PRIMA 40
tuto avvenne regolarmente, nel febbraio 1953 ; ma ciò
non lia alcuna rilevanza giuridica, per essere già mancata
ai vivi la proponente, cui l'accettazione doveva essere no
tificata.
In tali termini è la giurisprudenza di questa Suprema
corte, la quale ha anche precisato che la mancata notifica
dell'accettazione si riflette, non solo nei riguardi del do
nante, che non resta vincolato dalla sua dichiarazione e
può revocarla sia espressamente, sia tacitamente, dispo nendo della cosa donata, ma anche nei confronti dei terzi, i quali possono eccepire l'inesistenza dell'atto, rilevabile
da chiunque vi abbia interesse (Cass. 31 gennaio 1958, n. 269, Foro it., Rep. 1958, voce Donazione, n. 34). Ciò vale
anche ove trattisi di donazione a favore di enti ecclesia
stici, pur essi soggetti, per autorevole dottrina, alla disci
plina dell'ultimo comma del ripetuto art. 782, « manifestante
una volontà innovatrice rispetto alla norma particolare dettata dall'art. 11 legge 27 maggio 1929 n. 848, allo scopo di eliminare le incongruenze, avvertite proprio in relazione
al regime stabilito per gli enti ecclesiastici......
Non vale obiettare che a tanto osterebbero le norme del
Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, perchè con l'art. 30
dello stesso Concordato lo Stato italiano, mentre « riconosce
agli istituti ecclesiastici ed alle associazioni religiose la ca
pacità di acquistare beni », fa « salve le disposizioni delle
leggi civili concernenti gli acquisti degli enti morali ».
Ad analoghi principi appare ispirata anche la sentenza
n. 261 del 1948 (Foro it., 1948, I, 944) peraltro emessa in
fattispecie diversa ed erroneamente citata dal ricorrente a
sostegno della propria tesi. Premesso che l'art. 786 cod.
civ. introduce una speciale inefficacia o decadenza per le
donazioni ad ente non riconosciuto, ove entro un anno non
sia notificata al donante l'istanza per ottenere il riconosci
mento, la Corte regolatrice richiama le norme basilari che
sorreggono l'istituto delle donazioni, e che nel nuovo codice
civile sono consacrate nell'art. 782, secondo il quale, come già secondo il codice abrogato (art. 1057), la donazione si per feziona con l'accettazione del donatario. E testualmente
soggiunge : « dal quale principio, stante la natura contrat
tuale della donazione, discende che anche per il nuovo co
dice, deceduto il donante, prima che la donazione sia stata
accettata, la perfezione non può aver luogo, non potendo
più aversi l'incontro dei due consensi, indispensabili per dar vita alla donazione ».
È pur vero che la stessa sentenza contiene, tra paren tesi, un inciso, nel senso che « la notificazione dell'istanza
per ottenere il riconoscimento produce gli effetti dell'accet
tazione » ; ma da esso ovviamente non può desumersi una
chiara affermazione di principio, peraltro estraneo, allora, al thema decidendum (vertendosi in ipotesi di mancata no tifica al donante, prima della sua morte, della domanda di riconoscimento dell'ente) e, comunque, tutt'altro che ac
cettabile, anche in difetto di una congrua giustificazione. Ne è conferma la successiva sentenza 14 gennaio 1956, n. 65 (Foro it., 1956, I, 165), che, mentre ribadisce i canoni fondamentali che dominano il procedimento di formazione dei contratti, in generale, e di quelli di dona
zione, in particolare (principio della cognizione), esclude che possa essere stata riaffermata una tesi, solo incidental mente enunciata e contrastante con la migliore dottrina.
È un errore logico e giuridico, infatti, volere sostanzial mente equiparare all'accettazione la notifica fatta al do nante della richiesta di autorizzazione, diretta alla compe tente autorità governativa.
E ciò per varie considerazioni : sia perchè la richiesta di autorizzazione, assolutamente indispensabile ai fini della conclusione del contratto, ha un contenuto ben defi nito ed una obiettività non confondibile con la volontà di accettare ; sia perchè la richiesta di autorizzazione po trebbe essere denegata dall'autorità governativa o, se con
cessa, non essere utilizzata dall'ente, che sia successiva mente venuto nella determinazione di non accettare la do nazione (talché verrebbe a mancare l'accettazione neces saria per la esistenza della donazione) ; sia perchè in tal modo l'istanza di autorizzazione ad accettare annulle rebbe il limite temporale di un anno imposto dall'art. 782,
u. p., privando del tutto il donante del diritto di revoca ;
sia, infine, perchè l'accettazione anteriore alla autorizza
zione governativa sarebbe, per espresso disposto di legge
(art. 17 cod. civ.), priva di effetto giuridico. Inoltre, non giova al ricorrente l'invocato art. 1329
cod. civ., in tema di proposta irrevocabile, perchè tale
disposizione postula che il proponente si sia volontaria
mente e definitivamente obbligato a mantenere ferma la
proposta, mentre nei confronti di una persona giuridica, in
genere, e di un ente ecclesiastico, in specie, la sospensione a revocare la dichiarazione deriva dalla legge ed ha carat
tere temporaneo. È pur vero che nell'ipotesi di offerta c. d.
a fermo la proposta non perde efficacia per sopravvenuta morte o incapacità del proponente, ma la legge stessa fa
salvo il caso che ciò resti escluso dalla natura dell'affare
o da altre circostanze. E, come si è già osservato, la dot
trina più autorevole è concorde nel ritenere la donazione un
contratto intuitu personae, concluso cioè a favore di un
determinato soggetto, considerato meritevole di quello
spirito di liberalità da parte del benefattore, a soddisfazione
di alte esigenze della sua coscienza.
Neppure è decisivo il riferimento all'art. 1333 cod. civ., secondo cui « la proposta diretta a concludere un contratto, da cui derivino obbligazioni solo per il proponente, è irre
vocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata», poiché proprio in materia di donazioni, in
deroga a tale principio, si stabilisce che, ove l'accetta
zione sia fatta con atto posteriore, la donazione non è per fetta, se non dal momento in cui l'atto di accettazione
è notificato al donante ; e che, prima che la donazione sia
perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono re
vocare la loro dichiarazione.
Ora, « la sensibilissima deviazione alla regolamenta zione normale » si è, appunto, giustificata « in considera
zione dell'elemento soggettivo proprio dell'atto (animus
donandi) e della gravità delle conseguenze economiche, che
lo spirito di liberalità può avere per il patrimonio del do
nante ».
D'altra parte, è ovvio che il contratto unilaterale esige anch'esso una manifestazione di volontà da parte di en
trambi i contraenti ; ma nel dichiarare obbligatoria la pro messa, appena giunta a conoscenza dell'altro contraente, si è voluto logicamente significare che non debba supporsi un difetto di accettazione da parte di colui, che profitta della
stipulazione senza incontrare alcuna obbligazione ; onde
la legge dichiara perfetto il contratto, senza richiedere la
conforme dichiarazione espressa di volontà da parte dell'al
tro contraente, ritenuta necessaria, invece, nel caso di do
nazione, « in vista dello spirito di liberalità, che ne è
la causa, e del depauperamento del donante, che ne è l'ef
fetto economico ».
Ma, eccettuati i casi espressamente previsti, e con le
opportune riserve, dalla legge (art. 1329, 1330 cod. civ.), la dichiarazione, sia del donante sia del donatario, si caduca, e quindi la donazione non si perfeziona, se una delle parti muoia o sia divenuta incapace prima della perfezione del
l'atto di donazione. Questa conseguenza, sancita esplicita mente nell'art. 1057 cod. abr., è omessa nel vigente, perchè, come si desume dai lavori preparatori, si è ritenuta super flua, considerando appunto che la caduta della dichiarazione
per morte del dichiarante impedisce, secondo i principi
generali, la perfezione del contratto. La soppressione, nel
testo definitivo, dell'art. 409 del progetto preliminare fu
determinata dal fatto che, « se il donante muore prima che il
donatario abbia fatto l'accettazione, la donazione non può
perfezionarsi, in quanto essa è un negozio bilaterale e, come
tale, non può sussistere senza l'incontro della volontà
delle parti ».
Da ciò deriva che nè gli eredi del donatario possono accettare, nè gli eredi del donante sono tenuti a rispettare la dichiarazione del loro autore. Questa conclusione è avva lorata dal ribadito carattere strettamente personale (intuitu
personae) della donazione, nella quale rilevante è « l'ele mento soggettivo dello spirito di liberalità e, cioè, la co
scienza di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi costretti (animus donandi) ».
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41 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 42
È chiaro che il donante vuole essere liberale verso de
terminate persone ; e se taluno vuole donare, non altret
tanto possono essere disposti a fare gli altri, e cioè gli eredi.
La medesima situazione e le medesime conseguenze si
hanno nel caso di donazione ad enti non riconosciuti (Cass. 20 febbraio 1948, n. 261, cit.) ; la legge immobilizza la di
chiarazione del donante per un anno (art. 786) ; ma se en
tro l'anno il donante è morto, a nulla vale l'accettazione
entro l'anno, giacché con la morte cade la dichiarazione del
donante ; la immobilizzazione esclude la revoca, ma non
importa persistenza della volontà, la quale, ripetesi, cessa
con la morte del dichiarante.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 18 novembre 1961, n. 2703 ; Pres.
Torrente P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Toro
(conci, conf.) ; Montecatini soc. generale per l'industria
mineraria e chimica (Avv. Dedin, Redenti, Nicolò) c. Società meridionale di elettricità (Avv. Piccardi,
Graziami).
(Conferma A pp. Iloma 2 agosto 1900)
Arbitrato — Sentenza arbitrale d'equità — Impugna zione per violazione «li provvedimenti del C.i.p. — Inammissibilità (Cod. proe. civ., art. 829).
Poiché i provvedimenti emessi dal Gomitato interministeriale
dei prezzi sono atti amministrativi, la loro violazione non
può formare oggetto di domanda di nullità di una sentenza
arbitrale d'equità. (1)
La Corte, ecc. — (Omissis). Col primo motivo del suo
ricorso la Società Montecatini censura l'interpretazione che
della disposizione del Comitato interministeriale prezzi ha
dato il Collegio arbitrale ; e che è stata ritenuta esatta dalla
Corte di appello di Roma, e ripropone in questa sede l'in
terpretazione, secondo la quale, nel caso si tratti di con
tratto regolato dal 3° comma, § 3, cap. V del provvedimento n. 620, la determinazione del prezzo è completamente
svincolata dal prezzo minimo di cui al 1° comma (salvo
alle parti di chiedere una revisione del prezzo, cioè una
reductio ad aequitatem). È da premettere che, nel giudizio d'impugnazione del
lodo arbitrale, le parti concordemente considerarono il
provvedimento C.i.p. quale norma regolamentare ; e la
Corte di appello ritenne incontestabile tale definizione.
Partendo quindi dalla premessa che la disposizione in que
stione fosse una norma giuridica secondaria, la Corte me
desima rilevò che la censura suddetta prospettava un error
in indicando del Collegio arbitrale e che. quindi, come tale,
sarebbe stata in astratto inammissibile, avendo le parti autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità (art. 829,
ult. comma, cod. proc. civ.). Purtuttavia, nel caso concreto,
(1) La sentenza App. Iloma 2 agosto I960, confermata
nel dispositivo, è pubblicata in Foro it., 1960, I, 1572, con nota
di richiami. Sulla natura di atto amministrativo dei provvedimenti
C.i.p., v. Cass. 1 agosto 1960, n. 2260, id., Rep. 1960, voce
Calmiere, n. 7, e 8 febbraio 1958, n. 404 (id., 1958, I, 357, con
ampia nota di richiami, cui adde M. Giusti, in Giur. it., 1961,
I, 1, 63), che ha modificato la precedente giurisprudenza. Sulla insindacabilità in Cassazione dell'interpretazione di un
atto amministrativo, v. Cass. 1 agosto n. 2260, 4 marzo n. 402,
27 maggio n. 1366, 20 aprile n. 899 del 1960, Foro it., Rep. 1960,
voce Atto amministrativo, nn. 82-85 ; 7 giugno 1958, n. 1879,
id., Rep. 1959, voce cit., n. 37 ; 19 gennaio 1957, n. 126, id.,
1958, I, 1157, con nota di richiami.
Sull'interpretazione dell'art. 829, 2° comma, cod. proc. civ.,
v., da ultimo, Salv. Romano (Presidente della Corte d'appello di
Lecce), Equità ed « errores in indicando » nelle decisioni arbitrali,
in Corti Bari, Lecce e Potenza, 1961, IV, 203,
poiché, con il dedurre una errata interpretazione del prov vedimento le parti in definitiva deducevano la violazione, da parte del Collegio arbitrale, di norme inderogabili per volontà delle parti, la Corte ritenne ammissibile la censura, prospettata come denunziante una carenza assoluta di
potere, costituendo i principi di ordine pubblico limite invalicabile sia per la facoltà dispositiva delle parti (art. 806 cod. proc. civ.), sia, correlativamente, per la potestas decidendi degli arbitri.
Evidentemente, tale argomentazione è destinata a
cadere, ove venga meno la premessa che ne forma il fonda mento ; se cioè i provvedimenti del Comitato interministe riale prezzi si considerino, non come norme giuridiche se condarie (regolamenti), ma come atti amministrativi parti colari (e, precisamente, autorizzazioni amministrative). La
S.m.e. prospetta tale questione (nella memoria presentata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.) sotto il profilo che, nel caso si tratti di atto amministrativo, l'errata interpreta zione di esso non potrebbe essere dedotta quale motivo di
ricorso in Cassazione ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., risol vendosi l'interpretazione di un atto non normativo in una
valutazione di fatto del giudice di merito, non sindacabile in Cassazione. La tesi è esatta ; è infatti iws receptum nella
giurisprudenza di questa Corte suprema che l'interpreta zione degli atti amministrativi deve essere parificata a
quella dei contratti, sia per quanto riguarda le norme di
ermeneutica applicabili, sia perchè (non trattandosi di in
terpretazione di norme giuridiche) l'interpretazione degli atti amministrativi, risolvendosi in un giudizio di fatto, non è censurabile in Cassazione (cfr. da ultimo, le sentenze
4 marzo 1960, n. 402 e 1° agosto 1960, n. 2260, Foro it.,
Kep. 1960, voce Atto amministrativo, nn. 82, 83). D'altra,
parte, però, la eventuale configurazione del provvedimento
C.i.p. quale atto amministrativo, postula una ulteriore con
seguenza ; che, cioè, risolvendosi la censura, a suo tempo
proposta contro il lodo arbitrale, in una censura rivolta
contro un apprezzamento di fatto degli arbitri, la Corte
di appello non avrebbe potuto neanch'essa conoscere di
quella censura, essendo l'impugnazione della sentenza arbi
trale ammessa solo per inosservanza delle regole di diritto
(art. 829, ult. comma, cod. proc. civ., : eia formula, adope rata in tale disposizione, deve ritenersi perfettamente equi valente a quella dell'art. 360, n. 3 : cfr., in tal senso, da
ultimo, Cass. 8 agosto 1959, n. 2501, id., Rep. 1959, voce
Arbitrato, n. 95) : e, in tal caso, perdendo evidentemente
ogni valore l'argomentazione della Corte di appello che,
malgrado che gli arbitri fossero autorizzati a decidere se
condo equità, ritenne ammissibile l'impugnazione, trattan
dosi di interpretazione di (asserite) norme giuridiche cogenti.
Se, dunque, si dovesse ritenere che il provvedimento
C.i.p. n. 620 non costituisce atto di legislazione delegata, nè è stato emanato nell'esercizio di un potere regolamentare, ma ha natura e carattere di mero atto amministrativo, dovrebbe concludersi che la Corte romana prese in esame
un motivo di impugnazione del lodo arbitrale, che invece
avrebbe dovuto dichiarare inammissibile ; e pertanto la
sentenza impugnata (che rigettò l'impugnazione per nul
lità esaminando la censura, e confermando l'interpretazione data dagli arbitri) dovrebbe rimanere ferma, mutandosene
peraltro la motivazione ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. (con conseguente rigetto del ricorso).
E a tale conclusione deve senz'altro pervenirsi. La na
tura di atto amministrativo dei provvedimenti C.i.p. è
stata recentemente riconosciuta (oltre che dalla Corte costi
tuzionale con la decisione 8 luglio 1957, n. 103, Foro it.,
1957, I, 1139) dalle Sezioni unite di questa Corte suprema
(sentenza 8 febbraio 1958, n. 404, id., 1958, I, 357) ; nè
dalla Società ricorrente sono prospettati argomenti tali da
indurre a mutare il detto orientamento giurisprudenziale.
È, infatti, da ricordare come, con r. decreti legge 5 ottobre
1936 n. 1746 e 28 aprile 1937 n. 523, fu introdotto il blocco
dei prezzi e delle merci e dei servizi ; sistema ulteriormente
confermato, con parziali modifiche, da provvedimenti suc
cessivi, che previdero in alcuni casi l'intervento di organi dell'Amministrazione per possibilità di deroghe. In relazione
a tale disciplina, non poteva dubitarsi che i provvedimenti
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