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Sezione II civile; sentenza 16 dicembre 1961, n. 2811; Pres. Caruso P., Est. Maio, P. M. Trotta...

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Sezione II civile; sentenza 16 dicembre 1961, n. 2811; Pres. Caruso P., Est. Maio, P. M. Trotta (concl. conf.); Istituto suore compassioniste serve di Maria (Avv. Sponziello, De Pace) c. Moretto (Avv. Pascali, Tondo) Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 37/38-41/42 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151960 . Accessed: 28/06/2014 09:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.31 on Sat, 28 Jun 2014 09:00:27 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 16 dicembre 1961, n. 2811; Pres. Caruso P., Est. Maio, P. M. Trotta(concl. conf.); Istituto suore compassioniste serve di Maria (Avv. Sponziello, De Pace) c. Moretto(Avv. Pascali, Tondo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 37/38-41/42Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151960 .

Accessed: 28/06/2014 09:00

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

non basta da sola, a far venir meno il fondamento della

competenza del pretore o del conciliatore ad emettere

provvedimenti provvisori, com'è dimostrato dagli art. 659

e 669 cod. proc. civ. (occupazione di immobili, quale contro

prestazione di rapporti di lavoro). Nel caso di specie, l'intimante agiva per finita locazione

di una casa, fondandosi su prova scritta, ipotesi rientrante

nella piena competenza del giudice non specializzato. L'intimato, a torto o a ragione, eccepiva, senza darne

prova scritta, che il rapporto, in origine di locazione, era

stato trasformato in colonia parziaria, contratto agrario

soggetto a proroga. Non si trattava, quindi, come si è

precisato innanzi di un'eccezione tratta dallo stesso titolo

posto a base dell'intimazione, e lie non esigeva una parti colare prova, perchè il potere del giudice, di provvedere con ordinanza venisse meno : ad un titolo si intendeva sosti

tuirne altro. Il Pretore non poteva certo decidere sulla

sussistenza o meno del contratto agrario, ma poteva accer

tare se l'eccezione fosse fondata su prova scritta, al fine

di esercitare il potere di ordinare in via provvisoria il rila

scio della casa, che restava, fra l'altro, l'unico oggetto del

l'intimazione, non facendosi nella licenza comunque parola di fondi rustici, rinviando, come doveva, la eccezione del

convenuto.

Questo provvedimento preso con ordinanza, vale ap

punto come ordinanza in conformità alla giurisprudenza di

questa Corte, e quindi non è impugnabile con regolamento di competenza, questo rimedio essendo dato soltanto contro

le sentenze. Diverso sarebbe stato il caso se l'ordinanza non

avesse contenuto espressa riserva delle eccezioni del con

venuto : ma non è questa l'ipotesi che ricorre.

Per questi motivi, dichiara inammissibile, ecc.

CORTE SOPBEMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile; sentenza 16 dicembre^ 1961, n. 2811; Pres. Caruso P., Est. Maio, P. M. Tkotta (conci,

conf.) ; Istituto suore compassioniate serve di Maria

(Avv. Sponziello, De Pace) c. Moretto (Avv. Pascali,

Tondo).

{Conferma App. Lecce 23 luglio 1959)

Donazione — Donazione a favore di ente ecclesia

stico — Morie del donante prima dell'autorizza -

zione per l'accettazione — Inefficacia dell'offerta

di donazione (L. 27 maggio 1929 n. 848, sugli enti

ecclesiastici e amministrazioni civili dei patrimoni de

stinati a fini di culto, art. 11 ; cod. civ., art. 782).

La donazione ad un ente pubblico (nella specie trattavasi di

ente ecclesiastico) non si perfeziona se il donante muore

prima dell'accettazione dell'ente, ancorché la morte del

donante sia avvenuta dopo la notifica della domanda diretta ad ottenere dall'autorità governativa l'autorizzazione. (1)

La Corte, ecc. — Con l'unico complesso motivo l'Isti

tuto delle suore compassioniste denuncia violazione degli art. 782, 1326, 1329, 1333 cod. civ. e 11 legge 27 maggio 1929 n. 848. Sostanzialmente si sostiene :

a) che la donazione a persone giuridiche si perfe

(1) La sentenza 23 luglio 1959 della Corte d'appello di

Lecce, ora confermata, leggesi in Foro it., 1960, I, 1647, con nota di richiami, cui adde, in senso conforme, per quanto con cerne l'applicabilità dell'ult. comma dell'art. 782 cod. civ. agli enti ecclesiastici, Torrente, La donazione, Milano, 1956, pag. 56, 450 ; Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, pag. 475.

Secondo il Torrente, op. cit., pag. 450, poiché la notifica della domanda di autorizzazione per l'accettazione provoca la stessa situazione della proposta a fermo (art. 1329 cod. civ.), la morte e l'incapacità del donante non producono l'estinzione dell'offerta di donazione se sopraggiungono durante l'anno dalla notificazione della domanda diretta ad ottenere l'autorizzazione.

ziona con l'accettazione del donatario, debitamente auto

rizzata, anche quando la medesima intervenga dopo la morte del donante, cui sia stata, come nel caso, notificata la domanda diretta ad ottenere l'autorizzazione ad accet tare ;

b) che, quando donatario sia un ente ecclesiastico, la

semplice presentazione della domanda di autorizzazione, diretta ai competenti organi amministrativi, rende irrevo cabile la dichiarazione del donante, che assume pertanto carattere definitivo, in virtù dell'art. 11 legge 27 maggio 1929 n. 848.

La censura non ha fondamento giuridico. Come è noto, la donazione è un vero e proprio contratto,

e tale era considerata dalla prevalente dottrina anche sotto

l'impero del codice del 1865, pur nella diversa formulazione dell'art. 1050, che usava lo stesso equivoco termine (atto) del codice Napoleone (Rei. del Guardasigilli, n. 372).

Consegue che ad essa è anzitutto applicabile la dottrina

generale del contratto, con quelle deroghe e deviazioni stabilite dalla legge per la donazione, a cui si richiama la stessa Relazione, la quale ammette che la disciplina della donazione « presenta sensibili deviazioni rispetto alla nor male regolamentazione dei rapporti contrattuali ».

Nè la tradizionale sistemazione fuori della sede dei con tratti può influire sulla sua struttura : contratto essa è formalmente definita dal codice (art. 769), e, pertanto, ad

operare l'attribuzione patrimoniale occorre l'accordo del donante e del donatario ; deve cioè alla dichiarazione del

primo corrispondere l'accettazione del secondo. E ove l'accettazione avvenga con atto separato, la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l'atto di accettazione è notificato al donante (art. 782, 2° comma, cod. civ.) : il che significa che il donante può revocare la proposta fino a quando gli venga notificata l'accettaz'one da parte del

donatario, cui compete analoga facoltà (art. 782, 3° comma). Una prima deroga è posta nel caso di donazione fatta

a persona giuridica, in cui il donante non può esercitare il c. d. ius poenitendi, e cioè revocare la sua dichiarazione,

dopo che gli è stata notificata la domanda diretta ad otte nere dalla autorità governativa l'autorizzazione ad accet tare. Trascorso, però, un anno dalla notificazione, senza

che l'autorizzazione sia stata concessa, egli può revocare la dichiarazione (art. 782, 4° comma).

La limitazione temporale dell'irrevocabilità sembra obbedisca a finalità di ordine pubblico : una proposta che vincolasse per sempre il proponente provocherebbe una

situazione di perenne incertezza sulla sorte dei beni, che con

trasta con le esigenze della loro circolazione. Dal principio, poi, che l'accettazione deve essere noti

ficata al donante, deriva la conseguenza che, se essa sia

fatta e notificata dopo la morte del donante, donazione non

può aversi, perchè è mancato l'incontro delle due volontà

attuali, indispensabile qui, come in ogni altro contratto.

A tali sostanziali principi si è uniformata la impugnata sentenza, la quale rettamente ha osservato non avere al

cuna rilevanza l'avvenuto decesso della Conte nelle more del periodo, in cui la proposta era irrevocabile : l'irrevoca bilità postula che il proponente non possa annullare le pro

spettive dell'ente durante il tempo in cui questo deve neces

sariamente attuare la pratica per ottenere l'autorizzazione

ad accettare, e non già che l'ente destinatario della libera

lità possa dispensarsi dall'accettare la donazione e dal por tare a conoscenza del proponente la propria volontà.

'Come anche di recente si è autorevolmente ribadito, in

un sistema come il nostro, dominato dal principio della

cognizione, occorre che il proponente abbia non solo notizia

dell'avvenuta richiesta di autorizzazione, ma altresì « cono

scenza della sopravvenuta efficacia dell'accettazione, che

chiude il periodo di pendenza o di incertezza » : situazione

irrimediabilmente bloccata, nella specie, per il decesso della

Conte (11 agosto 1952), prima ancora che intervenisse il

decreto presidenziale di autorizzazione (1 dicembre 1952),

che, come già per il codice abrogato (art. 1057, 2° com

ma), ha ostacolato la formazione dell'i» idem placilum, con

sensus.

Si assume in atti che l'accettazione da parte dell'Isti

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39 PARTE PRIMA 40

tuto avvenne regolarmente, nel febbraio 1953 ; ma ciò

non lia alcuna rilevanza giuridica, per essere già mancata

ai vivi la proponente, cui l'accettazione doveva essere no

tificata.

In tali termini è la giurisprudenza di questa Suprema

corte, la quale ha anche precisato che la mancata notifica

dell'accettazione si riflette, non solo nei riguardi del do

nante, che non resta vincolato dalla sua dichiarazione e

può revocarla sia espressamente, sia tacitamente, dispo nendo della cosa donata, ma anche nei confronti dei terzi, i quali possono eccepire l'inesistenza dell'atto, rilevabile

da chiunque vi abbia interesse (Cass. 31 gennaio 1958, n. 269, Foro it., Rep. 1958, voce Donazione, n. 34). Ciò vale

anche ove trattisi di donazione a favore di enti ecclesia

stici, pur essi soggetti, per autorevole dottrina, alla disci

plina dell'ultimo comma del ripetuto art. 782, « manifestante

una volontà innovatrice rispetto alla norma particolare dettata dall'art. 11 legge 27 maggio 1929 n. 848, allo scopo di eliminare le incongruenze, avvertite proprio in relazione

al regime stabilito per gli enti ecclesiastici......

Non vale obiettare che a tanto osterebbero le norme del

Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, perchè con l'art. 30

dello stesso Concordato lo Stato italiano, mentre « riconosce

agli istituti ecclesiastici ed alle associazioni religiose la ca

pacità di acquistare beni », fa « salve le disposizioni delle

leggi civili concernenti gli acquisti degli enti morali ».

Ad analoghi principi appare ispirata anche la sentenza

n. 261 del 1948 (Foro it., 1948, I, 944) peraltro emessa in

fattispecie diversa ed erroneamente citata dal ricorrente a

sostegno della propria tesi. Premesso che l'art. 786 cod.

civ. introduce una speciale inefficacia o decadenza per le

donazioni ad ente non riconosciuto, ove entro un anno non

sia notificata al donante l'istanza per ottenere il riconosci

mento, la Corte regolatrice richiama le norme basilari che

sorreggono l'istituto delle donazioni, e che nel nuovo codice

civile sono consacrate nell'art. 782, secondo il quale, come già secondo il codice abrogato (art. 1057), la donazione si per feziona con l'accettazione del donatario. E testualmente

soggiunge : « dal quale principio, stante la natura contrat

tuale della donazione, discende che anche per il nuovo co

dice, deceduto il donante, prima che la donazione sia stata

accettata, la perfezione non può aver luogo, non potendo

più aversi l'incontro dei due consensi, indispensabili per dar vita alla donazione ».

È pur vero che la stessa sentenza contiene, tra paren tesi, un inciso, nel senso che « la notificazione dell'istanza

per ottenere il riconoscimento produce gli effetti dell'accet

tazione » ; ma da esso ovviamente non può desumersi una

chiara affermazione di principio, peraltro estraneo, allora, al thema decidendum (vertendosi in ipotesi di mancata no tifica al donante, prima della sua morte, della domanda di riconoscimento dell'ente) e, comunque, tutt'altro che ac

cettabile, anche in difetto di una congrua giustificazione. Ne è conferma la successiva sentenza 14 gennaio 1956, n. 65 (Foro it., 1956, I, 165), che, mentre ribadisce i canoni fondamentali che dominano il procedimento di formazione dei contratti, in generale, e di quelli di dona

zione, in particolare (principio della cognizione), esclude che possa essere stata riaffermata una tesi, solo incidental mente enunciata e contrastante con la migliore dottrina.

È un errore logico e giuridico, infatti, volere sostanzial mente equiparare all'accettazione la notifica fatta al do nante della richiesta di autorizzazione, diretta alla compe tente autorità governativa.

E ciò per varie considerazioni : sia perchè la richiesta di autorizzazione, assolutamente indispensabile ai fini della conclusione del contratto, ha un contenuto ben defi nito ed una obiettività non confondibile con la volontà di accettare ; sia perchè la richiesta di autorizzazione po trebbe essere denegata dall'autorità governativa o, se con

cessa, non essere utilizzata dall'ente, che sia successiva mente venuto nella determinazione di non accettare la do nazione (talché verrebbe a mancare l'accettazione neces saria per la esistenza della donazione) ; sia perchè in tal modo l'istanza di autorizzazione ad accettare annulle rebbe il limite temporale di un anno imposto dall'art. 782,

u. p., privando del tutto il donante del diritto di revoca ;

sia, infine, perchè l'accettazione anteriore alla autorizza

zione governativa sarebbe, per espresso disposto di legge

(art. 17 cod. civ.), priva di effetto giuridico. Inoltre, non giova al ricorrente l'invocato art. 1329

cod. civ., in tema di proposta irrevocabile, perchè tale

disposizione postula che il proponente si sia volontaria

mente e definitivamente obbligato a mantenere ferma la

proposta, mentre nei confronti di una persona giuridica, in

genere, e di un ente ecclesiastico, in specie, la sospensione a revocare la dichiarazione deriva dalla legge ed ha carat

tere temporaneo. È pur vero che nell'ipotesi di offerta c. d.

a fermo la proposta non perde efficacia per sopravvenuta morte o incapacità del proponente, ma la legge stessa fa

salvo il caso che ciò resti escluso dalla natura dell'affare

o da altre circostanze. E, come si è già osservato, la dot

trina più autorevole è concorde nel ritenere la donazione un

contratto intuitu personae, concluso cioè a favore di un

determinato soggetto, considerato meritevole di quello

spirito di liberalità da parte del benefattore, a soddisfazione

di alte esigenze della sua coscienza.

Neppure è decisivo il riferimento all'art. 1333 cod. civ., secondo cui « la proposta diretta a concludere un contratto, da cui derivino obbligazioni solo per il proponente, è irre

vocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata», poiché proprio in materia di donazioni, in

deroga a tale principio, si stabilisce che, ove l'accetta

zione sia fatta con atto posteriore, la donazione non è per fetta, se non dal momento in cui l'atto di accettazione

è notificato al donante ; e che, prima che la donazione sia

perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono re

vocare la loro dichiarazione.

Ora, « la sensibilissima deviazione alla regolamenta zione normale » si è, appunto, giustificata « in considera

zione dell'elemento soggettivo proprio dell'atto (animus

donandi) e della gravità delle conseguenze economiche, che

lo spirito di liberalità può avere per il patrimonio del do

nante ».

D'altra parte, è ovvio che il contratto unilaterale esige anch'esso una manifestazione di volontà da parte di en

trambi i contraenti ; ma nel dichiarare obbligatoria la pro messa, appena giunta a conoscenza dell'altro contraente, si è voluto logicamente significare che non debba supporsi un difetto di accettazione da parte di colui, che profitta della

stipulazione senza incontrare alcuna obbligazione ; onde

la legge dichiara perfetto il contratto, senza richiedere la

conforme dichiarazione espressa di volontà da parte dell'al

tro contraente, ritenuta necessaria, invece, nel caso di do

nazione, « in vista dello spirito di liberalità, che ne è

la causa, e del depauperamento del donante, che ne è l'ef

fetto economico ».

Ma, eccettuati i casi espressamente previsti, e con le

opportune riserve, dalla legge (art. 1329, 1330 cod. civ.), la dichiarazione, sia del donante sia del donatario, si caduca, e quindi la donazione non si perfeziona, se una delle parti muoia o sia divenuta incapace prima della perfezione del

l'atto di donazione. Questa conseguenza, sancita esplicita mente nell'art. 1057 cod. abr., è omessa nel vigente, perchè, come si desume dai lavori preparatori, si è ritenuta super flua, considerando appunto che la caduta della dichiarazione

per morte del dichiarante impedisce, secondo i principi

generali, la perfezione del contratto. La soppressione, nel

testo definitivo, dell'art. 409 del progetto preliminare fu

determinata dal fatto che, « se il donante muore prima che il

donatario abbia fatto l'accettazione, la donazione non può

perfezionarsi, in quanto essa è un negozio bilaterale e, come

tale, non può sussistere senza l'incontro della volontà

delle parti ».

Da ciò deriva che nè gli eredi del donatario possono accettare, nè gli eredi del donante sono tenuti a rispettare la dichiarazione del loro autore. Questa conclusione è avva lorata dal ribadito carattere strettamente personale (intuitu

personae) della donazione, nella quale rilevante è « l'ele mento soggettivo dello spirito di liberalità e, cioè, la co

scienza di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi costretti (animus donandi) ».

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41 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 42

È chiaro che il donante vuole essere liberale verso de

terminate persone ; e se taluno vuole donare, non altret

tanto possono essere disposti a fare gli altri, e cioè gli eredi.

La medesima situazione e le medesime conseguenze si

hanno nel caso di donazione ad enti non riconosciuti (Cass. 20 febbraio 1948, n. 261, cit.) ; la legge immobilizza la di

chiarazione del donante per un anno (art. 786) ; ma se en

tro l'anno il donante è morto, a nulla vale l'accettazione

entro l'anno, giacché con la morte cade la dichiarazione del

donante ; la immobilizzazione esclude la revoca, ma non

importa persistenza della volontà, la quale, ripetesi, cessa

con la morte del dichiarante.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 18 novembre 1961, n. 2703 ; Pres.

Torrente P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Toro

(conci, conf.) ; Montecatini soc. generale per l'industria

mineraria e chimica (Avv. Dedin, Redenti, Nicolò) c. Società meridionale di elettricità (Avv. Piccardi,

Graziami).

(Conferma A pp. Iloma 2 agosto 1900)

Arbitrato — Sentenza arbitrale d'equità — Impugna zione per violazione «li provvedimenti del C.i.p. — Inammissibilità (Cod. proe. civ., art. 829).

Poiché i provvedimenti emessi dal Gomitato interministeriale

dei prezzi sono atti amministrativi, la loro violazione non

può formare oggetto di domanda di nullità di una sentenza

arbitrale d'equità. (1)

La Corte, ecc. — (Omissis). Col primo motivo del suo

ricorso la Società Montecatini censura l'interpretazione che

della disposizione del Comitato interministeriale prezzi ha

dato il Collegio arbitrale ; e che è stata ritenuta esatta dalla

Corte di appello di Roma, e ripropone in questa sede l'in

terpretazione, secondo la quale, nel caso si tratti di con

tratto regolato dal 3° comma, § 3, cap. V del provvedimento n. 620, la determinazione del prezzo è completamente

svincolata dal prezzo minimo di cui al 1° comma (salvo

alle parti di chiedere una revisione del prezzo, cioè una

reductio ad aequitatem). È da premettere che, nel giudizio d'impugnazione del

lodo arbitrale, le parti concordemente considerarono il

provvedimento C.i.p. quale norma regolamentare ; e la

Corte di appello ritenne incontestabile tale definizione.

Partendo quindi dalla premessa che la disposizione in que

stione fosse una norma giuridica secondaria, la Corte me

desima rilevò che la censura suddetta prospettava un error

in indicando del Collegio arbitrale e che. quindi, come tale,

sarebbe stata in astratto inammissibile, avendo le parti autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità (art. 829,

ult. comma, cod. proc. civ.). Purtuttavia, nel caso concreto,

(1) La sentenza App. Iloma 2 agosto I960, confermata

nel dispositivo, è pubblicata in Foro it., 1960, I, 1572, con nota

di richiami. Sulla natura di atto amministrativo dei provvedimenti

C.i.p., v. Cass. 1 agosto 1960, n. 2260, id., Rep. 1960, voce

Calmiere, n. 7, e 8 febbraio 1958, n. 404 (id., 1958, I, 357, con

ampia nota di richiami, cui adde M. Giusti, in Giur. it., 1961,

I, 1, 63), che ha modificato la precedente giurisprudenza. Sulla insindacabilità in Cassazione dell'interpretazione di un

atto amministrativo, v. Cass. 1 agosto n. 2260, 4 marzo n. 402,

27 maggio n. 1366, 20 aprile n. 899 del 1960, Foro it., Rep. 1960,

voce Atto amministrativo, nn. 82-85 ; 7 giugno 1958, n. 1879,

id., Rep. 1959, voce cit., n. 37 ; 19 gennaio 1957, n. 126, id.,

1958, I, 1157, con nota di richiami.

Sull'interpretazione dell'art. 829, 2° comma, cod. proc. civ.,

v., da ultimo, Salv. Romano (Presidente della Corte d'appello di

Lecce), Equità ed « errores in indicando » nelle decisioni arbitrali,

in Corti Bari, Lecce e Potenza, 1961, IV, 203,

poiché, con il dedurre una errata interpretazione del prov vedimento le parti in definitiva deducevano la violazione, da parte del Collegio arbitrale, di norme inderogabili per volontà delle parti, la Corte ritenne ammissibile la censura, prospettata come denunziante una carenza assoluta di

potere, costituendo i principi di ordine pubblico limite invalicabile sia per la facoltà dispositiva delle parti (art. 806 cod. proc. civ.), sia, correlativamente, per la potestas decidendi degli arbitri.

Evidentemente, tale argomentazione è destinata a

cadere, ove venga meno la premessa che ne forma il fonda mento ; se cioè i provvedimenti del Comitato interministe riale prezzi si considerino, non come norme giuridiche se condarie (regolamenti), ma come atti amministrativi parti colari (e, precisamente, autorizzazioni amministrative). La

S.m.e. prospetta tale questione (nella memoria presentata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.) sotto il profilo che, nel caso si tratti di atto amministrativo, l'errata interpreta zione di esso non potrebbe essere dedotta quale motivo di

ricorso in Cassazione ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., risol vendosi l'interpretazione di un atto non normativo in una

valutazione di fatto del giudice di merito, non sindacabile in Cassazione. La tesi è esatta ; è infatti iws receptum nella

giurisprudenza di questa Corte suprema che l'interpreta zione degli atti amministrativi deve essere parificata a

quella dei contratti, sia per quanto riguarda le norme di

ermeneutica applicabili, sia perchè (non trattandosi di in

terpretazione di norme giuridiche) l'interpretazione degli atti amministrativi, risolvendosi in un giudizio di fatto, non è censurabile in Cassazione (cfr. da ultimo, le sentenze

4 marzo 1960, n. 402 e 1° agosto 1960, n. 2260, Foro it.,

Kep. 1960, voce Atto amministrativo, nn. 82, 83). D'altra,

parte, però, la eventuale configurazione del provvedimento

C.i.p. quale atto amministrativo, postula una ulteriore con

seguenza ; che, cioè, risolvendosi la censura, a suo tempo

proposta contro il lodo arbitrale, in una censura rivolta

contro un apprezzamento di fatto degli arbitri, la Corte

di appello non avrebbe potuto neanch'essa conoscere di

quella censura, essendo l'impugnazione della sentenza arbi

trale ammessa solo per inosservanza delle regole di diritto

(art. 829, ult. comma, cod. proc. civ., : eia formula, adope rata in tale disposizione, deve ritenersi perfettamente equi valente a quella dell'art. 360, n. 3 : cfr., in tal senso, da

ultimo, Cass. 8 agosto 1959, n. 2501, id., Rep. 1959, voce

Arbitrato, n. 95) : e, in tal caso, perdendo evidentemente

ogni valore l'argomentazione della Corte di appello che,

malgrado che gli arbitri fossero autorizzati a decidere se

condo equità, ritenne ammissibile l'impugnazione, trattan

dosi di interpretazione di (asserite) norme giuridiche cogenti.

Se, dunque, si dovesse ritenere che il provvedimento

C.i.p. n. 620 non costituisce atto di legislazione delegata, nè è stato emanato nell'esercizio di un potere regolamentare, ma ha natura e carattere di mero atto amministrativo, dovrebbe concludersi che la Corte romana prese in esame

un motivo di impugnazione del lodo arbitrale, che invece

avrebbe dovuto dichiarare inammissibile ; e pertanto la

sentenza impugnata (che rigettò l'impugnazione per nul

lità esaminando la censura, e confermando l'interpretazione data dagli arbitri) dovrebbe rimanere ferma, mutandosene

peraltro la motivazione ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. (con conseguente rigetto del ricorso).

E a tale conclusione deve senz'altro pervenirsi. La na

tura di atto amministrativo dei provvedimenti C.i.p. è

stata recentemente riconosciuta (oltre che dalla Corte costi

tuzionale con la decisione 8 luglio 1957, n. 103, Foro it.,

1957, I, 1139) dalle Sezioni unite di questa Corte suprema

(sentenza 8 febbraio 1958, n. 404, id., 1958, I, 357) ; nè

dalla Società ricorrente sono prospettati argomenti tali da

indurre a mutare il detto orientamento giurisprudenziale.

È, infatti, da ricordare come, con r. decreti legge 5 ottobre

1936 n. 1746 e 28 aprile 1937 n. 523, fu introdotto il blocco

dei prezzi e delle merci e dei servizi ; sistema ulteriormente

confermato, con parziali modifiche, da provvedimenti suc

cessivi, che previdero in alcuni casi l'intervento di organi dell'Amministrazione per possibilità di deroghe. In relazione

a tale disciplina, non poteva dubitarsi che i provvedimenti

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