Sezione II civile; sentenza 16 dicembre 1980, n. 6513; Pres. Tamburrino, Est. Rebuffat, P.M.Ferraiuolo (concl. conf.); Abbate (Avv. Aversa, Perrone, Capano) c. Monachese Aveta (Avv.Lanzara). Conferma App. Napoli 20 giugno 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 4 (APRILE 1981), pp. 1073/1074-1077/1078Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172848 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto notifi
cato il 10 novembre 1975, Maria Fabrizio citava Mario Di Palma
e Nicola Di Landò a comparire davanti al Tribunale di Vasto, ed assumendo che essi erano rimasti inadempienti alle obbliga zioni assunte con l'atto di permuta immobiliare, di cui alla scrit
tura privata del 27 febbraio 1974, chiedeva che per la loro ina
dempienza il contratto di permuta fosse dichiarato risolto, con
la condanna degli stessi al pagamento, per danni, della pattuita
somma, di lire 5 milioni.
I convenuti, resistendo alla domanda, ne chiedono il rigetto. Con sentenza 6 - 25 giugno 1977, l'adito tribunale accoglieva la
domanda.
Su appello però dei convenuti seccombenti, la Corte d'appello de L'Aquila con sentenza 11 novembre 1978 dichiarava la ine
sistenza giuridica dell'impugnata sentenza del tribunale, e riman
dava pertanto le parti dinanzi al Tribunale di Vasto.
•Rilevava, cioè, il giudice di appello che, in base al certificato
16 gennaio 1978 del cancelliere del Tribunale di Vasto, era in
contestabilmente accertato che il dott. Domenico Marino, presi dente estensore dell'impugnata sentenza, aveva preso possesso del
suo nuovo ufficio di procuratore della Repubblica presso il Tri
bunale di Vasto sin dal 25 novembre 1976.
Considerava, quindi, il giudice di appello che alla data dell'8
gennaio 1977, quando la sentenza era stata decisa, il magistrato Marino non faceva più parte del collegio davanti al quale la
causa era stata radicata, e dal quale la causa stessa era stata ri
servata per la decisione all'udienza collegiale del 5 novembre
1976. Riteneva, pertanto, la corte d'appello che, trattandosi di un
caso di inesistenza giuridica della sentenza, la causa non pote va essere trattenuta per la decisione, e doveva essere rimessa al
primo giudice per il combinato disposto degli art. 353 e 354 cod.
proc. civile.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cas
sazione il Di Palma e il Di Landò. Resiste mediante contro
ricorso la Fabrizio. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo i ricorrenti de
ducono violazione e falsa applicazione degli art. 353 e 354 cod.
proc. civ., 156 e 161 stesso codice, per avere il giudice di ap
pello ritenuto esistente nella specie un'ipotesi di rimessione della
causa al primo giudice. La censura non è fondata. La giurisprudenza di questa Corte
suprema, in tema di nullità della sentenza, è consolidata nel
senso che, nel caso di sentenza soggetta ad appello od a ricorso
per cassazione, le nullità possono essere fatte valere solo nei li
miti e secondo le regole proprie dei detti mezzi di impugnazione, nel mentre sono rilevabili di ufficio in qualsiasi stato e grado del
processo quei vizi che concernono gli elementi essenziali ed in
dispensabili perché la sentenza produca gli effetti che le sono
propri, e che integrano quindi ipotesi di inesistenza.
Più in particolare nella detta seconda ipotesi soccorre il prin
cipio che l'inesistenza giuridica di una sentenza, oltre ad essere
deducibile con l'attr» di impugnazione, è rilevabile anche di uf
ficio nel corso del giudizio di gravame, e può essere: inoltre fatta
valere anche dopo il passaggio della decisione in giudicato for
male, mediante un'azione di accertamento negativo ovvero in
sede di opposizione alla esecuzione forzata; e da ciò la regola che il giudice di appello, rilevata anche di ufficio la inesistenza
della sentenza, e dichiarando la stessa, deve rimettere la causa
al primo giudice. Nella specie, la nullità addebitata alla sentenza di primo gra
do ne era causa di giuridica inesistenza, essendosi nel collegio
intromesso, come presidente, magistrato estraneo all'ufficio e non
giudicante, e così essendo mancato uno dei requisiti essenziali
del processo formativo della deliberazione.
A torto, quindi, i ricorrenti che non contestano la circostanza
di fatto determinante della nullità, e non censurano la qualifica zione di inesistenza, ad essa data dal giudice di appello, sosten
gono poi che egli abbia errato con il rimettere la causa al primo
giudice, anziché trattenerla e deciderla nel merito, in osservan
za del principio della tassatività delle ipotesi di remissione pre
viste dagli art. 353 e 354 cod. proc. civile.
Non considerando i ricorrenti che, fuoriuscendo la fattispecie
dai casi di rimessibilità previsti dalle predette norme, ma non va
lendo per essa, in quanto causa di inesistenza giuridica della
sentenza, la regola della conversione dei motivi di nullità in
id., 1973, I, 733, con osservazioni di Salmè. Cfr. infine Cass. 12
giugno 1975, n. 2344, id., Rep. 1975, voce Appello civile, n. 142, secondo la quale la pronuncia sulle spese del primo grado sarebbe
consentita quando il giudice d'appello ritenga di avere elementi suf
ficienti per stabilire a quale delle parti debba addebitarsi l'irregola rità verificatasi nel procedimento di prima istanza.
gravame, la quale si ispira ad una esigenza del giudizio di ap
pello, guardato sotto un suo carattere rescissorio, non poteva ve
rificarsi se non l'altra alternativa, quella cioè di una pronuncia soltanto rescindente, come peraltro dispone lo stesso art. 354 cod.
proc. civ. per il caso, da esso previsto, di mancata sottoscri zione della sentenza (art. 161 cod. proc. civ.), il quale viene qua lificato come di giuridica inesistenza dell'atto.
Nella specie, peraltro, la congenita deformità dell'organo, inca
pace di giudicare, coinvolgeva anche la sottoscrizione della sen
tenza, la quale ne manca, se sottoscritta da persona estranea al
l'ufficio.
Con il secondo mezzo i ricorrenti deducono violazione degli art. 91 e 92 cod. proc. civ., per avere il giudice di appello di
chiarato compensate per intero tra le parti le spese del doppio grado, senza una giustificazione all'uopo idonea.
Il mezzo non merita accoglimento, stante il potere discrezio nale riconosciuto al giudice del merito in materia di compensa zione delle spese, nella specie peraltro non arbitrariamente eser
citato, con opportuno riguardo al comportamento delle parti, sotto il profilo della imputabilità del fatto controverso.
Per le esposte osservazioni, il ricorso, nei suoi due mezzi non
fondato, deve essere rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 16 di cembre 1980, n. 6513; Pres. Tamburrino, Est. Rebuffat, P.M. Ferraiuolo (conci, conf.); Abbate (Avv. A versa, Perrone, Capa
no) c. Monachese Aveta (Avv. Lanzara). Conferma App. Na
poli 20 giugno 1977.
Impugnazioni civili in genere — Cause scindibili e inscindibili —
Intervento in causa e litisconsorzio — Intervento per ordine del giudice — Scindibilità delle cause — Fattispecie {Cod. proc. civ., art. 107, 331, 332).
L'intervento di un terzo per ordine del giudice non dà sempre luogo a inscindibilità delle cause in sede d'impugnazione: non è necessaria l'integrazione del contraddittorio allorché l'attore, affermatosi creditore del convenuto e dell'interventore, abbia
proposto l'impugnazione soltanto nei confronti del primo, as solto nel precedente grado di giudizio, e non anche del secon
do, dichiarato soccombente. (1)
(1) La motivazione della sentenza si segnala per l'analisi diretta ad individuare la posizione assunta in giudizio dal terzo intervenuto in giudizio per ordine del giudice; nel senso che l'intervento di un terzo iussu iudicis rende inscindibili le cause in sede d'impugnazione, con conseguente applicazione dell'art. 331 cod. proc. civ., ma senza le specificazioni contenute nella decisione in epigrafe, v. Cass. 10 marzo 1980, n. 1581, 18 febbraio 1980, n. 1191, Foro it., Mass., 307, 228; 9 ottobre 197®, n. 4484, id., Rep. 1978, voce Impugna zioni civili, n. 123; 11 febbraio 1976, n. 457, id., 1971, I, 1536; 1°
luglio 1975, n. 2572, id., Rep. 1975, voce cit., n. 88; 21 febbraio
1975, n. 663, ibid., n. 92; 6 novembre 1973, n. 2892, id., Rep. 1973, voce cit., n. 73; 18 marzo 1971, n. 779, id., 1971, I, 1213 e 1972, I, 486, con nota di A. Cerri; 10 gennaio 1968, n. 53, id., 1968, I, 1593, con nota di richiami ed osservazioni di Andrioli.
In dottrina, nel senso che sono inscindibili le cause « nelle quali, su istanza di parte o per ordine del giudice, sia intervenuto un terzo », v. Andrioli, Diritto processuale civile, 1979, I, 797; S. Costa, Intervento coatto « iussu iudicis » e inscindibilità dell'impugnazione, in Giur. it., 1968, I, 1, 559.
Sulle conseguenze della violazione dell'ordine del giudice di chia mare un terzo in causa e sulla riassunzione del processo cancellato dal ruolo ai sensi dell'art. 270, 2° comma, cod. proc. civ., v. Cass. 4 novembre 1978, n. 5007, Foro it., 1980, I, 458, con nota di richiami.
Nel senso che l'ordine di chiamare un terzo in causa ex art. 107
cod. proc. civ. è insindacabile in sede d'impugnazione, v. Cass. 3
giugno 1980, n. 3611, id., Mass., 720; 29 gennaio 1980, n. 693, ibid.,
134, per la quale l'ordine de quo, « se dà sempre luogo ad un litis
consorzio necessario di carattere processuale, determinato da esi
genze di economia processuale valutate dal giudice di primo grado sotto il profilo della opportunità », qualora non sia osservato e
l'inosservanza non sia sanzionata dal giudice di primo grado con la
cancellazione della causa dal ruolo ex art. 270 cod. proc. civ., non
impone al giudice di appello di rimettere la causa al primo giudice ex art. 354, 1° comma, cod. proc. civ.; nello stesso senso, v. Cass.
27 luglio 1979, n. 4432, id., Rep. 1979, voce Intervento in causa, n. 48; ancora per la insindacabilità dell'ordine ex art. 107 cod.
proc. civ., v. Cass. 11 ottobre 1978, n. 4548, id., Rep. 1978, voce
cit-, n. 66; 23 gennaio 1978, n. 292, ibid., n. 67; 4 novembre 1978,
n. 5011, ibid., n. 68. Nel senso, tuttavia, che non è ammesso l'in
tervento di un terzo per ordine del giudice per finalità meramente
Il Foro Italiano — 1981 — Parte I- 69.
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1075 PARTE PRIMA 1076
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Giovanni Abba
te ha chiesto in giudizio la condanna solidale di Francesco Mo
nachese Aveta, convenuto innanzi al Tribunale di Napoli con citazione notificata il 20 febbraio 1970, e di Alberto Calvo, chiamato in causa iussu iudicis il 3 aprile 1970, a pagargli lire
1.050.000 a saldo del prezzo di mobili forniti e del corrispettivo di prestazioni artigianali effettuate in occasione dell'arredamento, curato dal Calvo, di un esercizio commerciale del Monachese
Aveta.
La domanda, completamente respinta in primo grado (sentenza del 29 dicembre 1971), in secondo cure (sentenza del 20 giugno 1977 della Corte d'appello di Napoli) è stata accolta nei con
fronti del Calvo mentre ne è stato confermato il rigetto nei ri
guardi del convenuto originario. A quest'ultimo proposito, la corte
ha osservato, tra i motivi: a) doversi escludere che nei rapporti de
dotti in giudizio il Calvo agi in nome e per conto del Monachese
Aveta; b) il Monachese Aveta si limitò, su invito e autorizza
zione del Calvo, a corrispondere all'Abbate talvolta degli asse
gni, che vennero poi conteggiati a suo favore dal Calvo; c) non
vi fu alcun rapporto diretto tra il Monachese Aveta e l'Abbate, né mai, come risulta dagli stessi documenti esibiti dall'attore
(copia del preventivo lavori e conferma della commissione per la costruzione dei mobili), questi ebbe ragionevole motivo per fare affidamento su una circostanza apparente diversa da quella
reale, cioè che committente fosse, invece del Calvo, il Mona
chese Aveta.
La sentenza è stata dall'Abbate impugnata per cassazione nei
soli confronti del Monachese Aveta con ricorso notificato al solo
intimato il 18 settembre 1978 e affidato a un motivo di censura.
Il Monachese Aveta ha resistito con controricorso. Il ricorrente
ha presentato memoria illustrativa.
Motivi della decisione. — Prima di vagliare la fondatezza del
ricorso per cassazione, occorre occuparsi della denuncia d'inam
missibilità dell'impugnazione, formulata dal resistente. Si assume
dal Monachese che l'avere l'Abbate proposto ricorso per cassa
zione soltanto nei suoi confronti e non anche del Calvo — chia
mato in causa iussu iudicis in primo grado e convenuto in ap
pello dall'attuale ricorrente — si traduce in acquiescenza alla
pronuncia di seconde cure la quale, accogliendo la domanda nei
confronti del Calvo, ha escluso la pretesa solidarietà passiva dei
convenuti. Per altro verso, si aggiunge dal Monachese, quel
l'accoglimento ha fatto venir meno l'interesse dell'Abbate a pro
seguire il giudizio nei suoi confronti.
La denuncia non ha fondamento. La proposizione del rimedio
del ricorso per cassazione avverso la sentenza esclude necessaria
mente l'ipotesi dell'acquiescenza della parte ricorrente, nei con
fronti dei punti di decisione investiti dall'impugnazione. L'affer
mazione è di tutta evidenza, non potendo nemmeno ipotizzarsi il difetto della volontà di impugnare una sentenza nella parte
che, all'opposto, la impugna. Nemmeno è ravvisabile nella vicenda la prospettata carenza
sopravvenuta di interesse all'impugnazione. Quando sono dedotte in giudizio obbligazioni solidali — cosi'
com'è avvenuto nella lite in considerazione — il preteso credi
istruttorie, v. Cass. 9 aprile 1980, n. 2271, id., Mass., 450; e nel senso che è inammissibile l'intervento iussu iudicis dell'usufruttuario nel giudizio intentato dal nudo proprietario contro l'affittuario, v. Cass. 18 luglio 1972, n. 2467, id., 1973, I, 1897.
Nel senso che il terzo intervenuto per ordine del giudice acquista comunque la qualità di parte ed è quindi legittimato alla impugna zione incidentale tardiva, v. Cass. 21 febbraio 1978, n. 4247, id., 1978, I, 2728, in motivazione.
In dottrina, nel senso che il terzo intervenuto in giudizio per or
dine del giudice acquista la qualità di parte, v. E. T. Liebman, Ma
nuale di diritto processuale civile, 1980, I, 102; Andrioli, Diritto
processuale civile, cit., 619; G. Verde, Profili del processo civile,
1978, 229; C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, 1978,
I2, 264 s.; A. Cerri, Intervento « iussu iudicis » e legittimazione ad agire e a contraddire, in Foro it., 1972, I, 486; nel senso che i
poteri del terzo sono analoghi a quelli dell'interveniente adesivo di
pendente ex art. 105, 2° comma, cod. proc. civ. qualora egli sia le
gittimato a tale specie d'intervento, S. Satta, Diritto processuale ci
vile9, a cura di C. Punzi, 1981, 160; A. Proto Pisani, Dell'esercizio
dell'azione, in Commentario del cod. proc. civ., diretto da Allorio,
1973, I, 2, 1198; nel senso che l'adempimento dell'ordine del giu dice di chiamare un terzo in causa ha l'effetto di una mera denun
tiatio litis e, quindi, che il terzo chiamato non acquista la qualità di parte, v., sulla scia delle opinioni di E. Redenti e di P. Calaman
drei, S. Costa, Diritto processuale civile5, 1980, 194; Id., Intervento
(dir. proc. civ.), voce dell'Enciclopedia del diritto, 1972, XXII, 469 s.
In genere sulla inscindibilità delle cause in sede d'impugnazione e
sul cumulo necessario (o litisconsorzio necessario processuale) v.
Cass. 4 giugno 1979, n. 3149 e 19 febbraio 1980, n. 1216, Foro it.,
1980, I, 772 e 2547, con note di richiami di G. Costantino.
tore, che consegue accoglimento della domanda solo nei con
fronti di alcuno dei pretesi debitori solidali, ha certamente inte
resse a impugnare limitatamente al rigetto parziale dell'avanzata istanza globale, perché il rimedio processuale mira al rafforza
mento della posizione giuridica creditoria mediante l'affermazio ne e la sanzione giurisdizionale delle obbligazioni ascritte ai
convenuti assolti dalla domanda. Siffatto interesse non viene a
mancare col passaggio in giudicato della sentenza nei punti non
investiti dall'impugnazione perché la definitività di alcuno dei
dedotti rapporti obbligatori non fa venir meno il vantaggio deri
vante al creditore dalla concorrenza degli altri, concernenti la
stessa prestazione. Le osservazioni che precedono non esauriscono la problema
tica scaturita dal modo con cui il ricorso per cassazione è stato
proposto. L'impugnazione non è stata notificata ad Alberto Calvo, chiamato nel giudizio iussu iudicis e nei cui confronti l'Abbate
estese vittoriosamente la condanna di domanda formulando l'ipo tesi della solidarietà passiva. La difesa del Monachese ha da ciò
tratto argomento per osservare che, in tal guisa, « il ricorrente
sembra aspirare ad una seconda pronuncia che riconosca la re
sponsabilità del Monachese senza escludere quella del Calvo, ossia pervenga all'affermazione della responsabilità solidale, che
la prima decisione ha escluso, fuori del contraddittorio di uno
dei due pretesi obbligati solidali». Tale risultato, si assume, «sa
rebbe processualmente illegittimo per la produzione di due giu dizi sulla stessa questione, in contrasto tra loro ».
L'obiezione, suggestiva, è fallace. L'ipotesi del contrasto di
giudicati non sussiste perché: a) nelle obbligazioni solidali i rap
porti creditore-debitore sono distinti per ciascuno dei condebitori
(tant'è che la sentenza pronunciata tra il creditore e uno dei de
bitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori, salvo a
costoro la facoltà di opporla al creditore se non fondata sopra
ragioni personali al condebitore: art. 1306 cod. civ.); b) nella
specie, in conseguenza del ricorso per cassazione, il giudicato si
è maturato in appello solo per quanto attiene al rapporto obbli
gatorio tra il Calvo e l'Abbate, non anche per l'esclusione del
debito solidale del Monachese verso lo stesso Abbate perché que sto capo di decisione è oggetto d'impugnazione; c) in ipotesi, il
giudicato di condanna del Monachese, in sede di rinvio, pur
comportando sanzione, tra le parti, della solidarietà (attesa l'iden
tità della prestazione), non contrasterebbe con quello precedente e ciò: 1) in conseguenza del difetto d'identità soggettiva; 2) per la segnalata propria individualità dei singoli rapporti obbligatori
rispettivamente interessati; nonché 3) per la compatibilità dei
due comandi, in fase cognitoria, nulla opponendosi a che il cre
ditore consegua separati giudicati di condanna per ognuno dei
debitori solidali.
Le osservazioni che precedono implicano la scindibilità, in
fase di impugnazione, della causa relativa al singolo debitore so
lidale chiamato iussu iudicis. Questa corte ha già altra volta av
vertito che la chiamata del terzo per ordine del giudice (art. 107
cod. proc. civ.) non determina il sorgere di un litisconsorzio di
natura sostanziale (v. sent. n. 3746 del 18 novembre 1969, Foro
it., Rep. 1970, voci Impugnazioni civili, n. 79, Intervento in
causa, n. 14). Questa puntualizzazione — pertinente nel caso in
esame, attesa la naturale scindibilità delle cause concernenti ob
bligazioni solidali (v. sent. n. 2522 del 25 settembre 1974, id.,
Rep. 1974, voce Impugnazioni civili, n. 116, fra le tanti confor
mi sul tema) — chiarisce i termini della rilevanza dell'ordine di
chiamata in causa, emesso dal giudice, sull'integrità essenziale
del contraddittorio nei gradi e nelle fasi ulteriori del processo. Quando il giudice accerti il venir meno della comunanza di causa
(ad es. disponendo l'estromissione del chiamato) o la mancanza — originaria o sopravvenuta — della dipendenza tra le liti, ov
vero separi, nella sostanza del giudizio conclusivo, i rapporti di
diritto sostanziale per suo ordine (soltanto) accomunati in causa
e tali statuizioni non siano oggetto d'impugnazione, concentran
dosi la controversia — nel prosieguo — su un rapporto indipen dente sul piano logico e giuridico, allora l'inscindibilità mera
mente processuale viene necessariamente a mancare, avendo esau
rito la sua funzione. Il provvedimento del giudice previsto nel
l'art. 107 cod. proc. civ., adottato « naturalmente » nella fase
iniziale del giudizio di primo grado, con delibazione sommaria,
realizza, sulla base di una valutazione di opportunità, una condi
zione processuale che un altro provvedimento giurisdizionale,
questa volta causa cognita, può eliminare quando non vi si oppon
gano persistenti ragioni di inscindibilità di diversa origine (per es.
derivanti dalla natura del rapporto sostanziale in lite) o di dipen renza di causa (per es. se la pronunzia sull'una costituisca il pre
supposto logico e giuridico della decisione dell'altra). In sostan
za, la fattispecie dell'art. 107 del codice di rito civile provoca una
situazione di inscindibilità processuale che non è di per sé ne
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cessariamente irreversibile nel prosieguo del giudizio e, se può essere a sua volta elemento di altre, più complesse, fattispecie di norme processuali (cosi di quella dell'art. 331 cod. proc. civ.),
queste ultime restano ontologicamente da essa distinte sicché di
versi sono gli effetti rispettivamente collegativi. Ciò deve essere
ribadito onde evitare l'imprecisione di assegnare a una situazio
ne processuale (il litisconsorzio scaturito ex art. 107 cod. proc. civ.) gli attributi propri di un'altra (per es., l'inscindibilità di cui
è ipotesi nell'art. 331 dello stesso codice): se è vero che la prima
genera la seconda quando questa non sia altrimenti determinata, non perciò quest'ultima le trasferisce i caratteri suoi propri tal
ché quel litisconsorzio, che, all'origine — non fondato sulla in
scindibilità logico-giuridica bensì sull'opportunità — sorge pura mente per provvedimento del giudice, assuma — una volta rea
lizzato — una sua autonoma giustificazione che lo sganci dalla
fonte, inaridendola, comprima la potestà giurisdizionale e sobbar
chi il processo di un fardello da trasportare vita naturai durante
anche quando inutilmente e persino se con danno sociale.
<Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 13 dicem
bre 1980, n. 6458; Pres. Sandulli, Est. Caturani, P. M. Morozzo
Della Rocca (conci, parz. diff.); Bar Galleria (Avv. Panariti,
Rainaldi) c. Banca nazionale del lavoro (Avv. Occorri, Ama
bile). Cassa Trib. Pisa 16 novembre 1977.
Titoli di credito — Tratte garantite mediante cessione di credito
da forniture — Fallimento del traente — Azione contro il
trattario — Onere di insinuazione del credito al passivo del
fallimento del traente — Rilevanza processuale (R. d. 21 set
tembre 1933 n. 1345, cambiale tratta garantita mediante ces
sione di crediti da forniture, art. 3).
Titoli di credito — Tratte garantite mediante cessione di credito
da forniture — Notificazione della cessione — Silenzio del
trattario — Successiva contestazione del credito — Onere della
prova (Cod. civ., art. 2697; r. d. 21 settembre 1933 n. 1345, art. 1, 2, 3).
L'azione contro il trattario del portatore di tratte garantite me
diante cessione di credito derivante da forniture di merci non
è improponibile per la mancata preventiva insinuazione del
credito al passivo del fallimento del traente, e può ritualmente
proseguire dopo l'insinuazione compiuta in corso di causa. (1)
(1) Questione nuova per il giudice di legittimità, che per la pri ma volta, come viene sottolineato nella motivazione, pronuncia sul
l'interpretazione, in termini generali, del r. d. 21 settembre 1933 n. 1345.
Per riferimenti sull'art. 3, 2° comma, legge cit., cfr., per la giu risprudenza di merito, App. Brescia 15 giugno 1960, Foro it., Rep. 1960, voce Titoli di credito, n. 80 (in extenso, in Banca, borsa, ecc., 1961, II, 387, con nota di De Maio), la quale ha ritenuto applica bile tale norma anche al caso in cui il traente sia stato sottoposto ad amministrazione controllata (in proposito Bianchi d'Espinosa, Le leggi cambiarie nell'interpretazione della giurisprudenza (1934 1960), Milano, 1961, 179, non manca di rilevare che l'istituto non esi steva all'epoca della legge sulla cessione della provvista), verifican
dosi, in tale ipotesi, gli stessi presupposti che nel caso di dichia razione di fallimento, salvo che il cessionario della provvista sia
stato incluso nell'elenco nominativo dei creditori allegato alla do manda di ammissione all'amministrazione controllata. Cass. 9 lu
glio 1976, n. 2597 (Foro it., Rep. 1976, voce cit., n. 40) si era limitata a constatare che il credito del cedente verso il debitore ce duto può risorgere a seguito del mancato pagamento, purché venga fornita la prova dell'infruttuosa escussione del debitore da parte del cessionario del titolo.
Sempre sul 2° comma dell'art. 3 r. d. 21 settembre 1933 n. 1345, cfr., in dottrina, Angeloni, La cambiale e il vaglia cambiario, Mi
lano, 1964, 691 seg.; De Semo, Trattato di diritto cambiario, Pa
dova, 1963, 470 seg.: l'autore giustifica la previa richiesta di am missione del credito cambiario al passivo del fallimento del traente
con il fatto che, trascorsi cinque giorni dalla notificazione anzidetta,
sorge fondata la presunzione che il traente, in caso di suo falli
mento, non farà fronte al pagamento, almeno per una parte della
somma cambiaria (pag. 483), aggiungendo (pag. 482) che la levata del protesto per mancato pagamento è, ai sensi dell'art. 3 della legge speciale, imposta come condizione per l'esercizio dei diritti derivan ti dalla cessione; De Majo, Cessione della provvista e amministra zione controllata, cit.: l'autore, che definisce «semplice» la richie sta al traente da parte del portatore della cambiale con cessione di
provvista, nel senso che prescinde del tutto sia dall'accertamento del
Il comportamento del trattario di cambiali garantite mediante cessione di credito derivante da forniture di merci, che all'atto della notifica della cessione non contesti le tratte né il rapporto sottostante, non esime il portatore delle tratte dall'onere di
provare, in caso di successiva notificazione, la sussistenza del credito ceduto. (2)
l'obbligo del traente, sia dalla esecuzione nei confronti del medesi mo (pag. 389), ritiene che il legislatore abbia previsto la forma del la domanda di ammissione del credito al passivo del fallimento del traente, poiché tale forma è l'unica consentita per poter far va lere un credito nei confronti di chi sia stato dichiarato fallito (pag. 390).
(2) Non constano precedenti in termini per quanto attiene alla
giurisprudenza di legittimità. Per quella di merito, invece, implicitamente d'accordo con la de
cisione che si riporta, App. Palermo 3 marzo 1969, Foro it., Rep. 1970, voce Titoli di credito, n. 50; App. Firenze 13 maggio 1967, id., Rep. 1967, voce cit., n. 62, e, per esteso, in Ciur. tose., 1967, 711 (la cui lettura integrale evidenzia che il caso riguardava si un « debitore ce duto », appunto il traente, ma non in via cambiaria, mentre la mas sima parla erroneamente di « debitore cambiario ceduto »), secondo cui non ha valore di una vera e propria confessione del debito il silenzio tenuto dal debitore ceduto, successivamente alla notifica del l'avvenuta cessione del credito; Trib. Bologna 23 luglio 1958 (Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 64 e in Banca borsa, ecc., 1959, II, 122, con nota di De Majo), che non ravvisa alcuna responsabilità con trattuale nel fatto del trattario che non risponda alla notifica della cessione eseguita dalla banca girataria della tratta.
Contra, ma con la riserva che nel caso di specie sussisteva un fatto illecito del trattario (come acutamente rileva, in dottrina, De Majo, Mancata risposta del trattario alla notifica della cessione della provvista, cit., 131), il quale aveva ben dato al traente l'autorizza zione ad emettere tratte a proprio carico, nonostante l'inesistenza di un rapporto di provvista, cfr. App. Milano 7 maggio 1940, Foro it., Rep. 1940, voce Effetto cambiario, n. 148, secondo cui il silenzio del trattario indurrebbe il cessionario a ritenere sussistente la for nitura ed il relativo credito.
La Cassazione, comunque, si è pronunciata su casi analoghi: cfr. sent. 27 novembre 1975, n. 3965 (id., Rep. 1975, voce Titoli di credito, n. 26: la corte afferma, altresì, che la locuzione « merci », di cui all'art. 1 r. d. 1345/1933, fa riferimento non solo ad oggetti prodotti dalla na tura o dall'industria, ma eventualmente anche allo stesso comples so aziendale dell'alienante, anch'esso idoneo a realizzare la fun zione di garanzia della cessione), ad esempio, ritiene che per l'ef ficacia della cessione di un credito, che il traente vanta verso il trattario per fornitura di merci, non sia richiesta la preventiva au torizzazione ad emettere la tratta da parte del debitore ceduto; sent. 27 novembre 1973, n. 3230 (id., Rep. 1974, voce cit., n. 35), che
configura una responsabilità extracontrattuale del trattario, per omes sa comunicazione dell'inesistenza del credito ceduto, nei confronti del prenditore di cambiali tratte con cessione della provvista, su
bordinatamente, però, alla previa autorizzazione, da parte dello stes so traente, a negoziare i titoli cambiari (nel caso di specie, l'auto rizzazione non comprendeva l'anticipata facoltà di negoziare i titoli
per ottenere lo sconto in previsione di una futura fornitura). Sulla
responsabilità extracontrattuale del trattario in casi simili, vedi pure Pret. Firenze 26 maggio 1971 (id., Rep. 1971, voce cit-, n. 29), se condo cui, nel caso di sconto di tratta con cessione del credito, il
trattario ceduto, che niente deve al traente, se mantiene il silenzio
nonostante la notificazione dell'avvenuta cessione si rende compar
tecipe di un ricorso abusivo al credito in danno della banca scon tante.
Ed estraniandosi momentaneamente dalla legge speciale sulla cambia le tratta garantita mediante cessione della provvista derivante da forni
ture, cfr., nel senso che, perché possa essere ritenuta fondata una domanda proposta sulla base di una cessione del credito, in rela zione al quale si assume che siano state emesse tratte non accet
tate, non è sufficiente che siano esibite le tratte e sia data la prova della presentazione di queste al trattario, ma è necessario che sia
accertato che una cessione di credito abbia avuto luogo tra il traente
ed il giratario, e che tale cessione, avvenuta indipendentemente dal
la girata, sia stata notificata al debitore ceduto o da questo accet
tata, Cass. 20 novembre 1974, n. 3745, id., Rep. 1974, voce Ces
sione dei crediti, n. 2; 6 giugno 1968, n. 1709, id., Rep. 1968, voce
Titoli di credito, n. 56. E nel senso che siano opponibili al cessionario di un diritto in
corso di causa le eccezioni spettanti contro il cedente, se il trasfe
rimento del diritto, anche se collegato alle emissioni di cambiali, sia avvenuto nello schema della cessione di credito, v. Cass. 15 apri le 1978, n. 1791, id., 1978, I, 1936, con nota di A. Proto Pisani.
In tema di tratta garantita con cessione di crediti da forniture,
più volte la Cassazione si è soffermata sul problema se in un con
tratto di compravendita di bevande in bottiglia con obbligo del
l'acquirente di restituire i vuoti e di costituire una cauzione in de
naro pari al valore, rimborsabile all'atto della restituzione, il for
nitore possa cedere, quale provvista, di cui al r. d. 21 settembre 1933 n. 1345, il credito portato dalla tratta, che l'acquirente ha au torizzato per somma pari alla costituenda cauzione: sul punto, v. sent. 28 gennaio 1964, n. 227 e 22 ottobre 1963, n. 2800, id., 1964,
I, 495, con nota di richiami. In dottrina agli autori precedentemente indicati adde Favara,
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