sezione II civile; sentenza 17 giugno 2004, n. 11347; Pres. Vella, Est. Colarusso, P.M. Carestia(concl. parz. diff.); Lopardi (Avv. Di Paolo) c. Asl 4 L'Aquila (Avv. Leone). Cassa App. L'Aquila 6marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 12 (DICEMBRE 2004), pp. 3397/3398-3401/3402Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200148 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
circoscritta dalla normativa di portata sostanziale di cui al pre cedente art. 2 legge cit. va letta, infatti, in modo assolutamente
coerente con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della convenzione, nel senso della sua riferibilità a
quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giu dice tributario, che siano riferibili:
a) alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del con
tribuente che non investano la determinazione del tributo ma
solo aspetti a questa consequenziali, come nel caso, ad esempio, del giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributa
rio ex art. 70 d.leg. 546/92 od in quello (anch'esso di competen za di quel giudice come rammentato da sez. un. 18208/03, non
massimata) di giudizio vertente sull'individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza;
b) alla materia penale, intesa quest'ultima — secondo la
«nozione autonoma» elaborata anche per tale profilo dalla giuris
prudenza della Cedu, di cui il giudice nazionale deve tener
conto — come comprensiva anche delle controversie relative
all'applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano com
mutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro «gravità», assimilabili sul piano dell'afflittività ad una sanction pénale (v. sentenza Janosevic c. Suede del 23 luglio 2002).
4. - Priva di concreto rilievo è, a questo punto, anche l'argo mentazione della ricorrente, per cui nulla impediva al legislatore nazionale di ampliare l'ambito di tutela predisposto dalla con
venzione, estendendo l'equa riparazione anche alle procedure tributarie in senso stretto.
Quel che vincola l'interprete è, infatti, non ciò che il legisla tore avrebbe in astratto potuto ma ciò che effettivamente esso ha
in concreto voluto disporre. Ed il legislatore del 2001 (come
inequivocabilmente si è visto emergere dalla lettera, dalla ratio,
dal sistema e dalle finalità della 1. n. 89) ha inteso propriamente, ed esclusivamente, far coincidere l'area di operatività dell'equa
riparazione con quella (di violazione) delle garanzie assicurate
dalla Cedu.
5. - Né la 1. 89/01 — così come interpretata in correlazione e
piena sintonia con l'art. 6, par. 1, della convenzione — autoriz
za il dubbio, adombrato dal p.g. in udienza, di un suo possibile contrasto con il novellato art. 111 Cost, che, nel tutelare a sua
volta la ragionevole durata come elemento del giusto processo, fa riferimento ad ogni tipologia di processo, non escluso quello tributario.
Una siffatta questione di legittimità costituzionale sarebbe in
fatti, per definizione, inammissibile con riguardo ai limiti istitu
zionali della funzione sindacatoria della Corte costituzionale in
rapporto alla funzione legislativa, non essendo richiedibile a
quella corte un intervento volto ad elevare il tasso di costituzio
nalità di norme che siano (come si prospetta per quelle in esa
me) non integralmente attuative o comunque non pienamente in
sintonia con il precetto costituzionale.
In tal caso, invero, resta in premessa escluso alcun vulnus alla
Costituzione e la possibile correzione migliorativa della norma — in direzione di una integrale o più completa realizzazione del
valore costituzionale — resta di esclusiva competenza del legis latore (Corte cost. 188/95, id., 1996, I, 464).
6. - In conclusione, deve escludersi, in relazione all'oggetto del processo a quo (involgente l'imposizione tributaria) che fos
se in relazione alla durata dello stesso proponibile domanda di
equa riparazione ex art. 2 1. 89/01.
Dal che l'accoglimento del ricorso del ministero con la con
seguente cassazione senza rinvio del decreto impugnato. 7. - Ai sensi ed in applicazione del novellato art. 384 c.p.c., la
causa può decidersi nel merito, conseguendo direttamente —
alla rilevata estraneità della domanda al quadro normativo di
tutela della citata 1. 89/01 — il rigetto della stessa.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 17 giu gno 2004, n. 11347; Pres. Vella, Est. Colarusso, P.M. Ca
restia (conci, parz. diff.); Lopardi (Avv. Di Paolo) c. Asl 4
L'Aquila (Avv. Leone). Cassa App. L'Aquila 6 marzo 2001.
Avvocato — Tariffa forense — Causa avanti al giudice am
ministrativo — Udienza di trattazione — Conciliazione
della lite — Onorario — Esclusione (D.m. 24 novembre
1990 n. 392, regolamento recante approvazione della delibera
del Consiglio nazionale forense in data 30 marzo 1990, che
stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei di
ritti e delle indennità spettanti agli avvocati ed ai procuratori
per le prestazioni giudiziali in materia civile e penale e stra
giudiziali, art. 5). Avvocato — Tariffa forense — «Tassa di opinamento» sulla
parcella — Rimborsabilità dalla controparte — Esclusio
ne — Limiti (L. 13 giugno 1942 n. 794, onorari di avvocato e
di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, art.
25; d.leg.lgt. 23 novembre 1944 n. 382, norme sui consigli
degli ordini e collegi e sulle commissioni centrali professio nali, art. 7; d.m. 24 novembre 1990 n. 392, art. 4).
Per le cause davanti agli organi di giustizia amministrativa di
primo grado, non spettano gli onorari per l'udienza di tratta
zione e per la conciliazione della lite in quanto non previsti dalla tariffa professionale. (1)
Il rimborso della c.d. tassa di opinamento sulla parcella profes sionale dell'avvocato è dovuto nei soli casi di superamento dei massimi tariffari o di riduzione al di sotto dei minimi, con
la conseguenza che, in caso contrario, la spesa inerente alla
richiesta del parere non può essere ripetuta dalla controparte che ad essa non ha dato causa. (2)
Svolgimento del processo. — Con la sentenza n. 275 del 1998
il Tribunale de L'Aquila condannava la gestione liquidatoria dell'azienda unità sanitaria locale n. 4, a fronte della pretesa somma di lire 94.715.260, al pagamento, in favore dell'avv.
Riccardo Lopardi della minor somma di lire 40.694.400, con gli interessi dal 15 ottobre 1993, a titolo di spettanze professionali. Il professionista aveva difeso l'ente innanzi al Tar Abruzzo in
ventinove distinti giudizi in materia di pubblico impiego ed
aventi ad oggetto l'inquadramento dei ricorrenti ed il connesso
adeguamento retributivo. Tali giudizi, di identico tenore, erano
stati separatamente trattati, sia in sede di sospensiva che in sede
di merito, ed erano stati definiti per transazione.
Con la sentenza in data 12 dicembre 2000 - 6 marzo 2001, la
Corte d'appello de L'Aquila ha respinto sia l'appello principale
proposto dal Lopardi sia quello incidentale dalla gestione liqui datoria osservando, quanto all'appello principale e per quel che
ancora interessa: — che correttamente il tribunale aveva fatto applicazione
dell'art. 5, 4° comma, della tariffa professionale approvata con
d.m. 24 novembre 1990 n. 392 in considerazione dell'identità
delle questioni trattate in tutti i giudizi; — che la disposizione applicata ed il principio di conteni
mento dei compensi in essa contenuto non risultavano essere
(1-2) Con riferimento alla prima massima non constano precedenti. La riportata decisione, anche se riferita alla tariffa forense approvata con d.m. 24 novembre 1990 n. 392, è però «attuale» in quanto anche la
recente nuova tariffa forense approvata con d.m. 8 aprile 2004 n. 127
non prevede (tabella A, nn. 22-31), per le cause avanti agli organi di
giustizia amministrativa di primo grado, alcun compenso per l'udienza
di trattazione e per l'attività di conciliazione della lite.
Con riferimento alla seconda massima, in ordine al soggetto cui fa
carico la c.d. tassa di opinamento della parcella, oltre alla giurispruden za citata in motivazione, Cass. 12 maggio 2004, Velia, Foro it., 2004,
II, 474, con nota di richiami (ed in cui si afferma che la c.d. tassa di
opinamento sulla parcella, pagata dal difensore al consiglio dell'ordine
per ottenere l'obbligatorio parere preventivo ai fini della liquidazione del compenso professionale a norma dell'art. 82 d.p.r. n. 115 del 2002.
è ripetibile nei confronti dell'erario). Nel senso che il mancato o ritardato pagamento al consiglio dell'or
dine della tassa parere (o c.d. tassa di opinamento) per la liquidazione
degli onorari, costituisce illecito disciplinare sanzionato dagli art. 15 e
24 del codice deontologico forense, Cass., sez. un., 10 luglio 2003, n.
10842, id., 2003,1, 2985.
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3399 PARTE PRIMA 3400
stati dichiarati illegittimi dalla sentenza 170/96 del Tar Lazio
(Foro it., Rep. 1996, voce Avvocato, n. 62); — che non era applicabile nella specie il principio del cu
mulo (oggettivo) delle domande; — che non spettavano i compensi richiesti per l'udienza di
trattazione e per la conciliazione in quanto le relative voci non
erano previste nella tariffa per i giudizi svoltisi innanzi al giudi ce amministrativo;
— che la tassa di parere, pure richiesta, è ripetibile solo nel
caso in cui viene richiesta la liquidazione degli onorari in misu
ra superiore ai massimi; — che correttamente non era stato riconosciuto il risarci
mento del maggior danno per mancanza di prova al riguardo. Avverso detta sentenza l'avv. Riccardo Lopardi ha proposto
ricorso per cassazione con quattro motivi. La gestione liquidato ria dell'unità sanitaria locale n. 4 de L'Aquila ha resistito con
controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo si denunzia vio
lazione e falsa applicazione dell'art. 2233 c.c.; violazione del
giudicato amministrativo; insufficiente e contraddittoria moti
vazione su punto decisivo della controversia. Si assume dal ri
corrente che la sentenza 170/96 del Tar Lazio, cit., avrebbe pro nunziato l'annullamento dell'art. 5, 4° comma, della tariffa fo
rense approvata con d.m. 24 novembre 1990 n. 392 nella parte in cui prevede che, nei casi di rappresentanza ed assistenza di
più parti aventi la stessa posizione processuale, anche se non
interviene la riunione delle cause, la parcella unica può essere
liquidata per ogni parte, fino a un massimo di dieci, del venti
per cento. Tale pronunzia, avente efficacia erga omnes, era pas sata in giudicato di tal che la norma in questione non avrebbe
potuto essere applicata per la liquidazione richiesta nel caso di
specie in cui, perciò, gli onorari dovevano essere liquidati per ciascuna causa.
La censura è fondata.
La tariffa forense, deliberata dal Consiglio nazionale forense
ed approvata con decreto del ministro della giustizia, è atto di
natura regolamentare (Cass. 28 novembre 1987, n. 8865, id.,
1988, I, 1602; 14 maggio 1983, n. 3320, id., Rep. 1983, voce cit., n. 119; 20 novembre 1998 n. 11736, id.. Rep. 1999, voce
cit., n. 179), espressione di una potestà normativa secondaria fi
nalizzata a disciplinare, con precetti aventi portata generale ed
astratta, determinati rapporti mediante una regolazione attuativa
o integrativa della legge (art. 64 r.d.l. 27 novembre 1933 n.
1578). Tale atto, quindi, per la sua natura, è assoggettato al controllo
giurisdizionale di legittimità da parte del giudice amministrati
vo.
Nella specie, l'art. 5 d.m. 24 novembre 1990 n. 392, che ha
adottato il regolamento che approva la deliberazione del Consi
glio nazionale forense relativa ai compensi per la determinazio ne degli onorari difensivi e dei diritti di procuratore, è stata
sottoposta al vaglio di legittimità innanzi al Tar Lazio che, con
sentenza n. 170 del 1996, cit., ha dichiarato l'illegittimità ed an
nullato la disposizione. Tale sentenza è passata in giudicato, come risulta dalla certi
ficazione rilasciata dalla segreteria del Consiglio di Stato in data
14 novembre 1999.
Con l'intervento del giudicato l'atto amministrativo deve
considerarsi, per la parte annullata, tamquam non esset.
Ora, nella specie l'annullamento, sia pure nei limiti dedotti dal ricorrente, riguarda un atto amministrativo di natura gene rale o collettiva, quale è quello che approva la tariffa forense, e
come tale, a differenza degli atti a contenuto ed oggetto plurimi, è soggettivamente ed oggettivamente indivisibile rispetto alla
categoria dei soggetti e dei rapporti cui è rivolto (Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 1980, n. 30, id., Rep. 1980, voce Giustizia
amministrativa, n. 928; Cass. 2734/98, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 1000, e, con riguardo agli atti di natura regolamentare, Cass. 22 febbraio 2000, n. 1972, id., Rep. 2000, voce Demanio, n.
16). Ne deriva che il giudicato costitutivo di annullamento ha
un'efficacia soggettiva identica a quella dell'atto caducato per cui estende i suoi effetti oltre i limiti previsti dall'art. 2909 c.c. ed ha efficacia erga omnes, incidendo su tutti i soggetti ricon
ducibili alla previsione della norma caducata, così che l'assetto
dei rapporti da essa previsti non potrà più essere regolato dalla
Il Foro Italiano — 2004.
disposizione cancellata, salvo che si tratti di rapporti esauriti
ovvero che su di essi sia intervenuta una decisione giurisdizio nale coperta da diverso giudicato.
Nella specie, la corte d'appello, avendo ritenuto che la pro nunzia di annullamento della disposizione di cui all'art. 5, 4°
comma, d.m. 392/90, non avesse comunque intaccato il «princi
pio di contenimento dei compensi nel caso di più cause identi
che», è incorsa in errore non solo perché, una volta annullata la
disposizione tariffaria che prevede la liquidazione degli onorari
nel caso di difesa di più parti aventi la stessa posizione proces suale, non è dato rinvenire alcuna disposizione, o complesso di
disposizioni, da cui trarre il menzionato principio, ma, soprat tutto. per la decisiva ragione che la corte stessa ha ritenuto cor
retta «la liquidazione degli onorari spettanti all'appellante, con
riferimento alla tariffa forense approvata con d.m. 24 novembre
1990 n. 392, più in particolare con riferimento all'art. 5, 4°
comma, della tariffa detta», di cui ha fatto applicazione specifi ca, ignorando il giudicato di annullamento, eccepito e docu
mentalmente provato, in sede di merito, dall'appellante. Col secondo motivo si denunzia violazione e falsa applica
zione dell'art. 25 1. 13 giugno 1942 n. 794, come modificata
dalla 1. 19 dicembre 1949 n. 957. La corte d'appello erronea
mente aveva negato la spettanza degli onorari per l'udienza di
trattazione e la conciliazione in quanto non previsti nelle cause
davanti al giudice amministrativo. Deduce il ricorrente che, in
base all'art. 25 1. 794/42 la mancata previsione delle relative
voci non autorizzava ad escluderne il compenso, che andava li
quidato o secondo la legge suddetta oppure con riferimento a
casi simili o materie analoghe. Il motivo non è fondato.
Le disposizioni tariffarie (d.m. 392/90) prevedono gli onorari
per le cause davanti agli organi di giustizia amministrativa di
primo grado. Nell'elencazione, specifica ed accurata, non sono
compresi gli onorari per l'udienza di trattazione e per la conci
liazione della lite e ciò, ad avviso del collegio, è indice della
volontà di escludere il compenso per tali attività, considerate,
per lo meno, non appropriate rispetto al tipo di procedimento
(come, in parte, lo stesso ricorrente riconosce). L'art. 25 1. 794/42 (la cui applicazione il ricorrente reclama)
prevede che quando gli onorari e i diritti non possono essere
determinati in virtù di una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni contenute nella stessa legge o nelle tabelle che
regolano casi singoli o materie analoghe. Ebbene, la norma si riferisce alla impossibilità di «determina
re» gli onorari e non ali'«individuazione» dei compensi spet tanti e non consente di integrare le voci tariffarie relative ai sin
goli giudizi, quando esse siano compiutamente previste e deter
minate, con quelle dei giudizi di altro tipo. Essa è applicabile ai
casi in cui l'attività svolta dall'avvocato in favore del cliente,
pur dovendo essere remunerata, non sia affatto contemplata nella tariffa professionale, con esclusione dei casi in cui la nor
mazione tariffaria abbia previsto, in maniera organica e com
piuta in relazione ad un determinato tipo di giudizio, le voci
spettanti, elencando specificamente le prestazioni peculiari di
ciascuno di essi.
A favore della compiutezza e della non integrabilità della ta
riffa per i giudizi amministrativi di primo grado militano sicuri elementi testuali:
a) innanzitutto il par. Ili della tariffa prevede i compensi per la cause davanti al tribunale, agli organi «equiparati» ed agli
«organi di giustizia tributaria» e, poi, al par. IV, prevede gli onorari per le cause «avanti agli organi di giustizia amministra tiva di primo grado», mostrando chiaramente che nessuna equi
parazione o integrazione si è intesa stabilire, diversamente che
per la giustizia tributaria, tra l'attività svolta innanzi ai tribunali
amministrativi e quella svolta innanzi ai tribunali ordinari;
b) che, al contrario, è stata stabilita l'equiparazione tra gli onorari per i giudizi innanzi al Consiglio di Stato e quelli innan zi alla Corte di cassazione (par. VII);
c) che, opinando alla stregua della tesi sostenuta dal ricor rente; 1) gli stessi onorari per i giudizi innanzi alla Corte di
cassazione (ed alle altre magistrature superiori) dovrebbero es
sere integrati, per le voci non previste (es. udienze di rinvio da
equiparare a quella — la sola prevista — di discussione), con le tariffe di cui al par. Ili (tribunali); 2) allo stesso modo dovrebbe
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
procedersi per gli onorari delle cause (all'epoca) avanti ai con
ciliatori, per le quali l'onorario è previsto forfetariamente per l'intero giudizio, a prescindere dalle singole attività in concreto
prestate. Nel terzo motivo, denunziandosi violazione e falsa applica
zione degli art. 91 e 92 c.p.c., si lamenta il mancato riconosci
mento del diritto a ripetere la tassa di parere che, secondo il ri
corrente, doveva essere sempre riconosciuto nel caso in cui, come nella specie, la liquidazione era stata richiesta a carico del
cliente e non nei confronti del soccombente.
Neppure tale censura è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa corte, coerente col dato
letterale delle disposizioni tariffarie (cfr. art. 4 della tariffa
1982, e 1985, 1990 e 1995), il rimborso della tassa c.d. di opi namento della parcella professionale dell'avvocato è dovuto nei
soli casi di superamento dei massimi tariffari o di riduzione al di
sotto dei minimi (Cass. 839/86, id., Rep. 1986, voce Avvocato, n. 75; 9935/90, id., Rep. 1991, voce Spese'giudiziali civili, n. 17; 12654/95, id., Rep. 1995, voce Ingiunzione (procedimento), n. 16; 1767/98, id.. Rep. 1998, voce Avvocato, n. 174), con la
conseguenza che, in caso contrario, la spesa inerente alla richie
sta del parere non può essere ripetuta dalla controparte che ad
essa non ha dato causa.
Col quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione
degli art. 1224, 2° comma, e 2967 c.c.; motivazione contraddit
toria ed insufficiente su punto decisivo della controversia. Il ri
corrente si duole del mancato riconoscimento del diritto al risar
cimento del maggior danno per mancanza di prova, sul rilievo
che, al contrario, dalla documentazione prodotta, emergeva il
pagamento di interessi bancari per un mutuo ipotecario da lui
contratto.
La doglianza è infondata.
La sentenza impugnata viene censurata sulla base di un gene rico riferimento alla documentazione prodotta. Questa atteste
rebbe che il ricorrente aveva contratto un mutuo ipotecario che
sarebbe stato estinto o almeno ridotto se egli avesse avuto a di
sposizione la somma. Ciò fa dedurre che il mutuo era prece dente al maturarsi del diritto e che, quindi, il ricorso al credito
non fu dovuto al mancato adempimento. 11 danno, tuttavia, viene, ora, ravvisato dal ricorrente nell'e
sborso degli interessi versati per la mancata estinzione o ridu
zione del mutuo sicché il motivo, così come formulato, deve es
sere rigettato per la sua genericità non risultando, dal tenore di
esso, in quali termini l'argomento era stato esposto, con l'impu
gnazione, a sostegno della pretesa risarcitoria né che il suo esa
me, nei termini di cui alla proposizione, era stato omesso dalla
corte d'appello. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo, la sen
tenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Pe
rugia.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 giu gno 2004, n. 10569; Pres. De Musis, Est. Marziale, P.M.
Palmieri (conci, diff.); Gerosi e altra (Avv. Buzzelli, Bo
notto) c. Banca di Roma (Avv. Janari). Cassa App. Roma 18
maggio 2000.
Procedimento civile — Giudizio di primo grado — Richieste istruttorie — Precisazione delle conclusioni — Mancata
reiterazione — Appello — Riproponibilità — Estremi (Cod. proc. civ., art. 189, 345).
In controversia soggetta alla disciplina anteriore alla l. 26 no
vembre 1990 n. 353, le richieste istruttorie formulate nel cor
so del giudizio di primo grado e, in difetto di pronuncia su di
esse da parte del giudice istruttore, non reiterate in sede di
precisazione delle conclusioni, non possono ritenersi, per ciò
solo, insuscettibili di riproposizione in appello. (1)
( 1 ) Sulla riproponibilità in appello delle pregresse istanze istrut torie.
A sostegno della soluzione, riassunta nella massima, la (I sezione ci vile della) corte invoca, nella motivazione della riportata pronuncia, sei sentenze della stessa corte, che, ad avviso della medesima I sezione ci
vile, suffragherebbero la conclusione attinta nella specie. Senonché delle anzidette decisioni solo una, e precisamente sez. I 25
febbraio 2000, n. 2142, Foro it.. Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 192, si è occupata di questione in qualche modo concernente la ri
proposizione in appello di istanze istruttorie, anche se i termini della controversia esaminata dalla citata sent. n. 2142 del 2000 divergevano e
divergono da quelli della fattispecie decisa dalla pronuncia in rassegna, venendo in discussione nel 2000 la riproponibilità in secondo grado di
prova testimoniale (sostitutiva di quella dichiarata inammissibile in
prime cure), dedotta nell'atto introduttivo del processo di appello ma non reiterata in sede di precisazione delle relative conclusioni.
Le altre pronunzie richiamate attenevano ed attengono, invece, alla diversa problematica della riproponibilità in appello delle domande, ec
cezioni, deduzioni ed istanze (diverse però da quelle istruttorie), for mulate in primo grado ma non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni del corrispondente giudizio.
Ma le considerazioni articolate a conforto del riconoscimento del l'anzidetta riproponibilìtà (e abbastanza fedelmente riprodotte nella motivazione della riportata sentenza), contrariamente a quanto da que sta ritenuto, erano e sono inutilizzabili con riferimento alle istanze istruttorie. E ciò, perché, come esattamente avvertito nella motivazione di Cass., sez. Ili, 26 ottobre 2000, n. 14135 (id., 2002,1, 227, con nota di N. Rascio, Una (condivisibile) decisione circa la necessità di ripro porre in appello le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado), una cosa è la delimitazione del thema decidendum in appello [per una recente riconsiderazione della giurisprudenza sull'art. 346
c.p.c. (in cui si inserisce pure Cass. 26 aprile 2004, n. 7918, id., 2004,1, 2783, con osservazioni di C.M. Barone), cfr. Poli, in Riv. dir. proc., 2004, 332 ss.] altra cosa è l'individuazione del thema probandum nella medesima fase processuale.
Sempre ad avviso di Cass. n. 14135 del 2000, infatti, la necessità di tenere distinto il regime delle istanze istruttorie da quello delle domande e delle eccezioni trova conferma nell'art. 345 c.p.c., che, nel dettare la
disciplina dei nova in appello si riferisce, partitamente, alle domande, al le eccezioni e ai mezzi di prova. Di talché, le istanze istruttorie «non ac
colte» dal giudice di primo grado, non potendo ritenersi implicitamente riformulate in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle
quali erano state articolate, devono riproporsi — laddove, per il contenu to delle determinazioni del primo giudice (stante la necessità di distin
guere le istanze reputate assorbite, da quelle disattese, dichiarate inam
missibili, irrilevanti o infondate), non sia necessario uno specifico mez zo di gravame — nelle forme e nei termini previsti per il giudizio di
primo grado in virtù del richiamo contenuto nell'art. 359 c.p.c. Ed è appena il caso di avvertire che le or riprodotte enunciazioni di
sez. Ili 26 ottobre 2000, n. 14135, formulate con riguardo ad un proces so ordinario, non si rivelano del tutto in linea con le considerazioni di sez. lav. 5 luglio 1996, n. 6170 (Foro it., 1997, I, 2262, con nota di N.
Rascio, Sul riesame in appello delle istanze istruttorie disattese dal
giudice di primo grado), svolte in relazione a controversia di lavoro.
Ritenendo, infatti, che nel rito del lavoro l'appellante non ha l'onere di
riproporre le istanze istruttorie, ritualmente proposte in primo grado, sulle quali il giudice abbia omesso di provvedere per aver ritenuto di
versamente provate le circostanze di fatto allegate a fondamento della
domanda, con la conseguenza che il giudice di appello non può perve nire ad una valutazione diametralmente opposta se non dopo essersi
pronunciato sull'ammissibilità dei mezzi di prova richiesti nel prece dente grado di giudizio, la citata Cass. n. 6170 del 1996 non ha, co
munque, considerato, nella sua pure articolata motivazione, l'eventua
lità, giustamente evidenziata da Cass. n. 14135 del 2000, di dover pro
porre specifici mezzi d'impugnazione in materia istruttoria, allorché le
determinazioni del primo giudice, per il contenuto esibito, si siano ri
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