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sezione II civile; sentenza 17 giugno 2004, n. 11347; Pres. Vella, Est. Colarusso, P.M. Carestia...

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sezione II civile; sentenza 17 giugno 2004, n. 11347; Pres. Vella, Est. Colarusso, P.M. Carestia (concl. parz. diff.); Lopardi (Avv. Di Paolo) c. Asl 4 L'Aquila (Avv. Leone). Cassa App. L'Aquila 6 marzo 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 12 (DICEMBRE 2004), pp. 3397/3398-3401/3402 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200148 . Accessed: 28/06/2014 07:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.195 on Sat, 28 Jun 2014 07:43:00 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 17 giugno 2004, n. 11347; Pres. Vella, Est. Colarusso, P.M. Carestia(concl. parz. diff.); Lopardi (Avv. Di Paolo) c. Asl 4 L'Aquila (Avv. Leone). Cassa App. L'Aquila 6marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 12 (DICEMBRE 2004), pp. 3397/3398-3401/3402Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200148 .

Accessed: 28/06/2014 07:43

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

circoscritta dalla normativa di portata sostanziale di cui al pre cedente art. 2 legge cit. va letta, infatti, in modo assolutamente

coerente con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della convenzione, nel senso della sua riferibilità a

quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giu dice tributario, che siano riferibili:

a) alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del con

tribuente che non investano la determinazione del tributo ma

solo aspetti a questa consequenziali, come nel caso, ad esempio, del giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributa

rio ex art. 70 d.leg. 546/92 od in quello (anch'esso di competen za di quel giudice come rammentato da sez. un. 18208/03, non

massimata) di giudizio vertente sull'individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza;

b) alla materia penale, intesa quest'ultima — secondo la

«nozione autonoma» elaborata anche per tale profilo dalla giuris

prudenza della Cedu, di cui il giudice nazionale deve tener

conto — come comprensiva anche delle controversie relative

all'applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano com

mutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro «gravità», assimilabili sul piano dell'afflittività ad una sanction pénale (v. sentenza Janosevic c. Suede del 23 luglio 2002).

4. - Priva di concreto rilievo è, a questo punto, anche l'argo mentazione della ricorrente, per cui nulla impediva al legislatore nazionale di ampliare l'ambito di tutela predisposto dalla con

venzione, estendendo l'equa riparazione anche alle procedure tributarie in senso stretto.

Quel che vincola l'interprete è, infatti, non ciò che il legisla tore avrebbe in astratto potuto ma ciò che effettivamente esso ha

in concreto voluto disporre. Ed il legislatore del 2001 (come

inequivocabilmente si è visto emergere dalla lettera, dalla ratio,

dal sistema e dalle finalità della 1. n. 89) ha inteso propriamente, ed esclusivamente, far coincidere l'area di operatività dell'equa

riparazione con quella (di violazione) delle garanzie assicurate

dalla Cedu.

5. - Né la 1. 89/01 — così come interpretata in correlazione e

piena sintonia con l'art. 6, par. 1, della convenzione — autoriz

za il dubbio, adombrato dal p.g. in udienza, di un suo possibile contrasto con il novellato art. 111 Cost, che, nel tutelare a sua

volta la ragionevole durata come elemento del giusto processo, fa riferimento ad ogni tipologia di processo, non escluso quello tributario.

Una siffatta questione di legittimità costituzionale sarebbe in

fatti, per definizione, inammissibile con riguardo ai limiti istitu

zionali della funzione sindacatoria della Corte costituzionale in

rapporto alla funzione legislativa, non essendo richiedibile a

quella corte un intervento volto ad elevare il tasso di costituzio

nalità di norme che siano (come si prospetta per quelle in esa

me) non integralmente attuative o comunque non pienamente in

sintonia con il precetto costituzionale.

In tal caso, invero, resta in premessa escluso alcun vulnus alla

Costituzione e la possibile correzione migliorativa della norma — in direzione di una integrale o più completa realizzazione del

valore costituzionale — resta di esclusiva competenza del legis latore (Corte cost. 188/95, id., 1996, I, 464).

6. - In conclusione, deve escludersi, in relazione all'oggetto del processo a quo (involgente l'imposizione tributaria) che fos

se in relazione alla durata dello stesso proponibile domanda di

equa riparazione ex art. 2 1. 89/01.

Dal che l'accoglimento del ricorso del ministero con la con

seguente cassazione senza rinvio del decreto impugnato. 7. - Ai sensi ed in applicazione del novellato art. 384 c.p.c., la

causa può decidersi nel merito, conseguendo direttamente —

alla rilevata estraneità della domanda al quadro normativo di

tutela della citata 1. 89/01 — il rigetto della stessa.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 17 giu gno 2004, n. 11347; Pres. Vella, Est. Colarusso, P.M. Ca

restia (conci, parz. diff.); Lopardi (Avv. Di Paolo) c. Asl 4

L'Aquila (Avv. Leone). Cassa App. L'Aquila 6 marzo 2001.

Avvocato — Tariffa forense — Causa avanti al giudice am

ministrativo — Udienza di trattazione — Conciliazione

della lite — Onorario — Esclusione (D.m. 24 novembre

1990 n. 392, regolamento recante approvazione della delibera

del Consiglio nazionale forense in data 30 marzo 1990, che

stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei di

ritti e delle indennità spettanti agli avvocati ed ai procuratori

per le prestazioni giudiziali in materia civile e penale e stra

giudiziali, art. 5). Avvocato — Tariffa forense — «Tassa di opinamento» sulla

parcella — Rimborsabilità dalla controparte — Esclusio

ne — Limiti (L. 13 giugno 1942 n. 794, onorari di avvocato e

di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, art.

25; d.leg.lgt. 23 novembre 1944 n. 382, norme sui consigli

degli ordini e collegi e sulle commissioni centrali professio nali, art. 7; d.m. 24 novembre 1990 n. 392, art. 4).

Per le cause davanti agli organi di giustizia amministrativa di

primo grado, non spettano gli onorari per l'udienza di tratta

zione e per la conciliazione della lite in quanto non previsti dalla tariffa professionale. (1)

Il rimborso della c.d. tassa di opinamento sulla parcella profes sionale dell'avvocato è dovuto nei soli casi di superamento dei massimi tariffari o di riduzione al di sotto dei minimi, con

la conseguenza che, in caso contrario, la spesa inerente alla

richiesta del parere non può essere ripetuta dalla controparte che ad essa non ha dato causa. (2)

Svolgimento del processo. — Con la sentenza n. 275 del 1998

il Tribunale de L'Aquila condannava la gestione liquidatoria dell'azienda unità sanitaria locale n. 4, a fronte della pretesa somma di lire 94.715.260, al pagamento, in favore dell'avv.

Riccardo Lopardi della minor somma di lire 40.694.400, con gli interessi dal 15 ottobre 1993, a titolo di spettanze professionali. Il professionista aveva difeso l'ente innanzi al Tar Abruzzo in

ventinove distinti giudizi in materia di pubblico impiego ed

aventi ad oggetto l'inquadramento dei ricorrenti ed il connesso

adeguamento retributivo. Tali giudizi, di identico tenore, erano

stati separatamente trattati, sia in sede di sospensiva che in sede

di merito, ed erano stati definiti per transazione.

Con la sentenza in data 12 dicembre 2000 - 6 marzo 2001, la

Corte d'appello de L'Aquila ha respinto sia l'appello principale

proposto dal Lopardi sia quello incidentale dalla gestione liqui datoria osservando, quanto all'appello principale e per quel che

ancora interessa: — che correttamente il tribunale aveva fatto applicazione

dell'art. 5, 4° comma, della tariffa professionale approvata con

d.m. 24 novembre 1990 n. 392 in considerazione dell'identità

delle questioni trattate in tutti i giudizi; — che la disposizione applicata ed il principio di conteni

mento dei compensi in essa contenuto non risultavano essere

(1-2) Con riferimento alla prima massima non constano precedenti. La riportata decisione, anche se riferita alla tariffa forense approvata con d.m. 24 novembre 1990 n. 392, è però «attuale» in quanto anche la

recente nuova tariffa forense approvata con d.m. 8 aprile 2004 n. 127

non prevede (tabella A, nn. 22-31), per le cause avanti agli organi di

giustizia amministrativa di primo grado, alcun compenso per l'udienza

di trattazione e per l'attività di conciliazione della lite.

Con riferimento alla seconda massima, in ordine al soggetto cui fa

carico la c.d. tassa di opinamento della parcella, oltre alla giurispruden za citata in motivazione, Cass. 12 maggio 2004, Velia, Foro it., 2004,

II, 474, con nota di richiami (ed in cui si afferma che la c.d. tassa di

opinamento sulla parcella, pagata dal difensore al consiglio dell'ordine

per ottenere l'obbligatorio parere preventivo ai fini della liquidazione del compenso professionale a norma dell'art. 82 d.p.r. n. 115 del 2002.

è ripetibile nei confronti dell'erario). Nel senso che il mancato o ritardato pagamento al consiglio dell'or

dine della tassa parere (o c.d. tassa di opinamento) per la liquidazione

degli onorari, costituisce illecito disciplinare sanzionato dagli art. 15 e

24 del codice deontologico forense, Cass., sez. un., 10 luglio 2003, n.

10842, id., 2003,1, 2985.

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3399 PARTE PRIMA 3400

stati dichiarati illegittimi dalla sentenza 170/96 del Tar Lazio

(Foro it., Rep. 1996, voce Avvocato, n. 62); — che non era applicabile nella specie il principio del cu

mulo (oggettivo) delle domande; — che non spettavano i compensi richiesti per l'udienza di

trattazione e per la conciliazione in quanto le relative voci non

erano previste nella tariffa per i giudizi svoltisi innanzi al giudi ce amministrativo;

— che la tassa di parere, pure richiesta, è ripetibile solo nel

caso in cui viene richiesta la liquidazione degli onorari in misu

ra superiore ai massimi; — che correttamente non era stato riconosciuto il risarci

mento del maggior danno per mancanza di prova al riguardo. Avverso detta sentenza l'avv. Riccardo Lopardi ha proposto

ricorso per cassazione con quattro motivi. La gestione liquidato ria dell'unità sanitaria locale n. 4 de L'Aquila ha resistito con

controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo si denunzia vio

lazione e falsa applicazione dell'art. 2233 c.c.; violazione del

giudicato amministrativo; insufficiente e contraddittoria moti

vazione su punto decisivo della controversia. Si assume dal ri

corrente che la sentenza 170/96 del Tar Lazio, cit., avrebbe pro nunziato l'annullamento dell'art. 5, 4° comma, della tariffa fo

rense approvata con d.m. 24 novembre 1990 n. 392 nella parte in cui prevede che, nei casi di rappresentanza ed assistenza di

più parti aventi la stessa posizione processuale, anche se non

interviene la riunione delle cause, la parcella unica può essere

liquidata per ogni parte, fino a un massimo di dieci, del venti

per cento. Tale pronunzia, avente efficacia erga omnes, era pas sata in giudicato di tal che la norma in questione non avrebbe

potuto essere applicata per la liquidazione richiesta nel caso di

specie in cui, perciò, gli onorari dovevano essere liquidati per ciascuna causa.

La censura è fondata.

La tariffa forense, deliberata dal Consiglio nazionale forense

ed approvata con decreto del ministro della giustizia, è atto di

natura regolamentare (Cass. 28 novembre 1987, n. 8865, id.,

1988, I, 1602; 14 maggio 1983, n. 3320, id., Rep. 1983, voce cit., n. 119; 20 novembre 1998 n. 11736, id.. Rep. 1999, voce

cit., n. 179), espressione di una potestà normativa secondaria fi

nalizzata a disciplinare, con precetti aventi portata generale ed

astratta, determinati rapporti mediante una regolazione attuativa

o integrativa della legge (art. 64 r.d.l. 27 novembre 1933 n.

1578). Tale atto, quindi, per la sua natura, è assoggettato al controllo

giurisdizionale di legittimità da parte del giudice amministrati

vo.

Nella specie, l'art. 5 d.m. 24 novembre 1990 n. 392, che ha

adottato il regolamento che approva la deliberazione del Consi

glio nazionale forense relativa ai compensi per la determinazio ne degli onorari difensivi e dei diritti di procuratore, è stata

sottoposta al vaglio di legittimità innanzi al Tar Lazio che, con

sentenza n. 170 del 1996, cit., ha dichiarato l'illegittimità ed an

nullato la disposizione. Tale sentenza è passata in giudicato, come risulta dalla certi

ficazione rilasciata dalla segreteria del Consiglio di Stato in data

14 novembre 1999.

Con l'intervento del giudicato l'atto amministrativo deve

considerarsi, per la parte annullata, tamquam non esset.

Ora, nella specie l'annullamento, sia pure nei limiti dedotti dal ricorrente, riguarda un atto amministrativo di natura gene rale o collettiva, quale è quello che approva la tariffa forense, e

come tale, a differenza degli atti a contenuto ed oggetto plurimi, è soggettivamente ed oggettivamente indivisibile rispetto alla

categoria dei soggetti e dei rapporti cui è rivolto (Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 1980, n. 30, id., Rep. 1980, voce Giustizia

amministrativa, n. 928; Cass. 2734/98, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 1000, e, con riguardo agli atti di natura regolamentare, Cass. 22 febbraio 2000, n. 1972, id., Rep. 2000, voce Demanio, n.

16). Ne deriva che il giudicato costitutivo di annullamento ha

un'efficacia soggettiva identica a quella dell'atto caducato per cui estende i suoi effetti oltre i limiti previsti dall'art. 2909 c.c. ed ha efficacia erga omnes, incidendo su tutti i soggetti ricon

ducibili alla previsione della norma caducata, così che l'assetto

dei rapporti da essa previsti non potrà più essere regolato dalla

Il Foro Italiano — 2004.

disposizione cancellata, salvo che si tratti di rapporti esauriti

ovvero che su di essi sia intervenuta una decisione giurisdizio nale coperta da diverso giudicato.

Nella specie, la corte d'appello, avendo ritenuto che la pro nunzia di annullamento della disposizione di cui all'art. 5, 4°

comma, d.m. 392/90, non avesse comunque intaccato il «princi

pio di contenimento dei compensi nel caso di più cause identi

che», è incorsa in errore non solo perché, una volta annullata la

disposizione tariffaria che prevede la liquidazione degli onorari

nel caso di difesa di più parti aventi la stessa posizione proces suale, non è dato rinvenire alcuna disposizione, o complesso di

disposizioni, da cui trarre il menzionato principio, ma, soprat tutto. per la decisiva ragione che la corte stessa ha ritenuto cor

retta «la liquidazione degli onorari spettanti all'appellante, con

riferimento alla tariffa forense approvata con d.m. 24 novembre

1990 n. 392, più in particolare con riferimento all'art. 5, 4°

comma, della tariffa detta», di cui ha fatto applicazione specifi ca, ignorando il giudicato di annullamento, eccepito e docu

mentalmente provato, in sede di merito, dall'appellante. Col secondo motivo si denunzia violazione e falsa applica

zione dell'art. 25 1. 13 giugno 1942 n. 794, come modificata

dalla 1. 19 dicembre 1949 n. 957. La corte d'appello erronea

mente aveva negato la spettanza degli onorari per l'udienza di

trattazione e la conciliazione in quanto non previsti nelle cause

davanti al giudice amministrativo. Deduce il ricorrente che, in

base all'art. 25 1. 794/42 la mancata previsione delle relative

voci non autorizzava ad escluderne il compenso, che andava li

quidato o secondo la legge suddetta oppure con riferimento a

casi simili o materie analoghe. Il motivo non è fondato.

Le disposizioni tariffarie (d.m. 392/90) prevedono gli onorari

per le cause davanti agli organi di giustizia amministrativa di

primo grado. Nell'elencazione, specifica ed accurata, non sono

compresi gli onorari per l'udienza di trattazione e per la conci

liazione della lite e ciò, ad avviso del collegio, è indice della

volontà di escludere il compenso per tali attività, considerate,

per lo meno, non appropriate rispetto al tipo di procedimento

(come, in parte, lo stesso ricorrente riconosce). L'art. 25 1. 794/42 (la cui applicazione il ricorrente reclama)

prevede che quando gli onorari e i diritti non possono essere

determinati in virtù di una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni contenute nella stessa legge o nelle tabelle che

regolano casi singoli o materie analoghe. Ebbene, la norma si riferisce alla impossibilità di «determina

re» gli onorari e non ali'«individuazione» dei compensi spet tanti e non consente di integrare le voci tariffarie relative ai sin

goli giudizi, quando esse siano compiutamente previste e deter

minate, con quelle dei giudizi di altro tipo. Essa è applicabile ai

casi in cui l'attività svolta dall'avvocato in favore del cliente,

pur dovendo essere remunerata, non sia affatto contemplata nella tariffa professionale, con esclusione dei casi in cui la nor

mazione tariffaria abbia previsto, in maniera organica e com

piuta in relazione ad un determinato tipo di giudizio, le voci

spettanti, elencando specificamente le prestazioni peculiari di

ciascuno di essi.

A favore della compiutezza e della non integrabilità della ta

riffa per i giudizi amministrativi di primo grado militano sicuri elementi testuali:

a) innanzitutto il par. Ili della tariffa prevede i compensi per la cause davanti al tribunale, agli organi «equiparati» ed agli

«organi di giustizia tributaria» e, poi, al par. IV, prevede gli onorari per le cause «avanti agli organi di giustizia amministra tiva di primo grado», mostrando chiaramente che nessuna equi

parazione o integrazione si è intesa stabilire, diversamente che

per la giustizia tributaria, tra l'attività svolta innanzi ai tribunali

amministrativi e quella svolta innanzi ai tribunali ordinari;

b) che, al contrario, è stata stabilita l'equiparazione tra gli onorari per i giudizi innanzi al Consiglio di Stato e quelli innan zi alla Corte di cassazione (par. VII);

c) che, opinando alla stregua della tesi sostenuta dal ricor rente; 1) gli stessi onorari per i giudizi innanzi alla Corte di

cassazione (ed alle altre magistrature superiori) dovrebbero es

sere integrati, per le voci non previste (es. udienze di rinvio da

equiparare a quella — la sola prevista — di discussione), con le tariffe di cui al par. Ili (tribunali); 2) allo stesso modo dovrebbe

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

procedersi per gli onorari delle cause (all'epoca) avanti ai con

ciliatori, per le quali l'onorario è previsto forfetariamente per l'intero giudizio, a prescindere dalle singole attività in concreto

prestate. Nel terzo motivo, denunziandosi violazione e falsa applica

zione degli art. 91 e 92 c.p.c., si lamenta il mancato riconosci

mento del diritto a ripetere la tassa di parere che, secondo il ri

corrente, doveva essere sempre riconosciuto nel caso in cui, come nella specie, la liquidazione era stata richiesta a carico del

cliente e non nei confronti del soccombente.

Neppure tale censura è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, coerente col dato

letterale delle disposizioni tariffarie (cfr. art. 4 della tariffa

1982, e 1985, 1990 e 1995), il rimborso della tassa c.d. di opi namento della parcella professionale dell'avvocato è dovuto nei

soli casi di superamento dei massimi tariffari o di riduzione al di

sotto dei minimi (Cass. 839/86, id., Rep. 1986, voce Avvocato, n. 75; 9935/90, id., Rep. 1991, voce Spese'giudiziali civili, n. 17; 12654/95, id., Rep. 1995, voce Ingiunzione (procedimento), n. 16; 1767/98, id.. Rep. 1998, voce Avvocato, n. 174), con la

conseguenza che, in caso contrario, la spesa inerente alla richie

sta del parere non può essere ripetuta dalla controparte che ad

essa non ha dato causa.

Col quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione

degli art. 1224, 2° comma, e 2967 c.c.; motivazione contraddit

toria ed insufficiente su punto decisivo della controversia. Il ri

corrente si duole del mancato riconoscimento del diritto al risar

cimento del maggior danno per mancanza di prova, sul rilievo

che, al contrario, dalla documentazione prodotta, emergeva il

pagamento di interessi bancari per un mutuo ipotecario da lui

contratto.

La doglianza è infondata.

La sentenza impugnata viene censurata sulla base di un gene rico riferimento alla documentazione prodotta. Questa atteste

rebbe che il ricorrente aveva contratto un mutuo ipotecario che

sarebbe stato estinto o almeno ridotto se egli avesse avuto a di

sposizione la somma. Ciò fa dedurre che il mutuo era prece dente al maturarsi del diritto e che, quindi, il ricorso al credito

non fu dovuto al mancato adempimento. 11 danno, tuttavia, viene, ora, ravvisato dal ricorrente nell'e

sborso degli interessi versati per la mancata estinzione o ridu

zione del mutuo sicché il motivo, così come formulato, deve es

sere rigettato per la sua genericità non risultando, dal tenore di

esso, in quali termini l'argomento era stato esposto, con l'impu

gnazione, a sostegno della pretesa risarcitoria né che il suo esa

me, nei termini di cui alla proposizione, era stato omesso dalla

corte d'appello. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo, la sen

tenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Pe

rugia.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 giu gno 2004, n. 10569; Pres. De Musis, Est. Marziale, P.M.

Palmieri (conci, diff.); Gerosi e altra (Avv. Buzzelli, Bo

notto) c. Banca di Roma (Avv. Janari). Cassa App. Roma 18

maggio 2000.

Procedimento civile — Giudizio di primo grado — Richieste istruttorie — Precisazione delle conclusioni — Mancata

reiterazione — Appello — Riproponibilità — Estremi (Cod. proc. civ., art. 189, 345).

In controversia soggetta alla disciplina anteriore alla l. 26 no

vembre 1990 n. 353, le richieste istruttorie formulate nel cor

so del giudizio di primo grado e, in difetto di pronuncia su di

esse da parte del giudice istruttore, non reiterate in sede di

precisazione delle conclusioni, non possono ritenersi, per ciò

solo, insuscettibili di riproposizione in appello. (1)

( 1 ) Sulla riproponibilità in appello delle pregresse istanze istrut torie.

A sostegno della soluzione, riassunta nella massima, la (I sezione ci vile della) corte invoca, nella motivazione della riportata pronuncia, sei sentenze della stessa corte, che, ad avviso della medesima I sezione ci

vile, suffragherebbero la conclusione attinta nella specie. Senonché delle anzidette decisioni solo una, e precisamente sez. I 25

febbraio 2000, n. 2142, Foro it.. Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 192, si è occupata di questione in qualche modo concernente la ri

proposizione in appello di istanze istruttorie, anche se i termini della controversia esaminata dalla citata sent. n. 2142 del 2000 divergevano e

divergono da quelli della fattispecie decisa dalla pronuncia in rassegna, venendo in discussione nel 2000 la riproponibilità in secondo grado di

prova testimoniale (sostitutiva di quella dichiarata inammissibile in

prime cure), dedotta nell'atto introduttivo del processo di appello ma non reiterata in sede di precisazione delle relative conclusioni.

Le altre pronunzie richiamate attenevano ed attengono, invece, alla diversa problematica della riproponibilità in appello delle domande, ec

cezioni, deduzioni ed istanze (diverse però da quelle istruttorie), for mulate in primo grado ma non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni del corrispondente giudizio.

Ma le considerazioni articolate a conforto del riconoscimento del l'anzidetta riproponibilìtà (e abbastanza fedelmente riprodotte nella motivazione della riportata sentenza), contrariamente a quanto da que sta ritenuto, erano e sono inutilizzabili con riferimento alle istanze istruttorie. E ciò, perché, come esattamente avvertito nella motivazione di Cass., sez. Ili, 26 ottobre 2000, n. 14135 (id., 2002,1, 227, con nota di N. Rascio, Una (condivisibile) decisione circa la necessità di ripro porre in appello le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado), una cosa è la delimitazione del thema decidendum in appello [per una recente riconsiderazione della giurisprudenza sull'art. 346

c.p.c. (in cui si inserisce pure Cass. 26 aprile 2004, n. 7918, id., 2004,1, 2783, con osservazioni di C.M. Barone), cfr. Poli, in Riv. dir. proc., 2004, 332 ss.] altra cosa è l'individuazione del thema probandum nella medesima fase processuale.

Sempre ad avviso di Cass. n. 14135 del 2000, infatti, la necessità di tenere distinto il regime delle istanze istruttorie da quello delle domande e delle eccezioni trova conferma nell'art. 345 c.p.c., che, nel dettare la

disciplina dei nova in appello si riferisce, partitamente, alle domande, al le eccezioni e ai mezzi di prova. Di talché, le istanze istruttorie «non ac

colte» dal giudice di primo grado, non potendo ritenersi implicitamente riformulate in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle

quali erano state articolate, devono riproporsi — laddove, per il contenu to delle determinazioni del primo giudice (stante la necessità di distin

guere le istanze reputate assorbite, da quelle disattese, dichiarate inam

missibili, irrilevanti o infondate), non sia necessario uno specifico mez zo di gravame — nelle forme e nei termini previsti per il giudizio di

primo grado in virtù del richiamo contenuto nell'art. 359 c.p.c. Ed è appena il caso di avvertire che le or riprodotte enunciazioni di

sez. Ili 26 ottobre 2000, n. 14135, formulate con riguardo ad un proces so ordinario, non si rivelano del tutto in linea con le considerazioni di sez. lav. 5 luglio 1996, n. 6170 (Foro it., 1997, I, 2262, con nota di N.

Rascio, Sul riesame in appello delle istanze istruttorie disattese dal

giudice di primo grado), svolte in relazione a controversia di lavoro.

Ritenendo, infatti, che nel rito del lavoro l'appellante non ha l'onere di

riproporre le istanze istruttorie, ritualmente proposte in primo grado, sulle quali il giudice abbia omesso di provvedere per aver ritenuto di

versamente provate le circostanze di fatto allegate a fondamento della

domanda, con la conseguenza che il giudice di appello non può perve nire ad una valutazione diametralmente opposta se non dopo essersi

pronunciato sull'ammissibilità dei mezzi di prova richiesti nel prece dente grado di giudizio, la citata Cass. n. 6170 del 1996 non ha, co

munque, considerato, nella sua pure articolata motivazione, l'eventua

lità, giustamente evidenziata da Cass. n. 14135 del 2000, di dover pro

porre specifici mezzi d'impugnazione in materia istruttoria, allorché le

determinazioni del primo giudice, per il contenuto esibito, si siano ri

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