sezione II civile; sentenza 17 maggio 2002, n. 7257; Pres. De Julio, Est. Goldoni, P.M. Russo(concl. parz. diff.); Amoroso (Avv. D'Ajello) c. Campopiano (Avv. Maranella, Zarone). ConfermaApp. Napoli 28 dicembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 9 (SETTEMBRE 2002), pp. 2339/2340-2343/2344Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197782 .
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2339 PARTE PRIMA 2340
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 17
maggio 2002, n. 7257; Pres. De Julio, Est. Goldoni, P.M.
Russo (conci, parz. diff.); Amoroso (Avv. D'Ajello) c. Cam
popiano (Avv. Maranella, Zarone). Conferma App. Napoli 28 dicembre 1998.
Cassazione civile — Produzione documentale — Piano re
golatore e certificazione di destinazione urbanistica di zo
na (Cod. proc. civ., art. 372). Cassazione civile — Motivo di ricorso —
Disciplina urbani
stica locale meno rigorosa — Questione di fatto — Inam
missibilità (Cod. proc. civ., art. 360, 372). Cassazione civile — Ricorso incidentale —
Esposizione sommaria dei fatti — Richiamo generico ad altre fonti —
Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 366, 371).
Nel giudizio di cassazione, mentre va considerata ammissibile
la produzione documentale contenente il piano regolatore per la sua peculiare natura regolamentare, va, al contrario, con
siderata preclusa ex art. 372 c.p.c. quella afferente a certifi cazioni attinenti alla tipologia urbanistica di una zona, in
quanto non può estendersi a documentazione volta a suffra
gare elementi di fatto. ( 1 ) E inammissibile il motivo di ricorso con cui, per la prima volta
in sede di legittimità, si propone la questione della sopravve nienza di una disciplina urbanistica locale, meno rigorosa di
quella vigente, qualora tale questione si risolva in accerta
menti di fatto incompatibili con il giudizio per cassazione
(nella specie, era stata contestata la violazione e la falsa ap
plicazione dì norme di diritto sulla base di una disciplina ur
banistica locale, anteriore nel tempo all'instaurazione del
giudizio, meno rigorosa di quella che era vigente al momento
della realizzazione delle costruzioni di cui si chiedeva la de
molizione per violazione delle distanze tra le costruzioni, per la mancata valutazione della destinazione urbanistica del ter
ritorio). (2)
(1-2) 1. - Il principio sancito nella prima parte della massima, sul l'ammissibilità ex art. 372 c.p.c. della produzione, anche per la prima volta, in sede di cassazione di documentazione normativa, fa parte di un indirizzo minoritario nella giurisprudenza della corte e si discosta, in
vece, dall'orientamento dominate in materia (nello stesso senso di cui alla massima, v. Cass. 16 gennaio 1987, n. 290, Foro it., Rep. 1987, voce Procedimento civile, n. 29; 18 febbraio 1985, n. 1388, id., Rep. 1985, voce Edilizia e urbanistica, n. 253; inoltre, cfr. Cass. 26 giugno 2001, n. 8742, id., Mass., 755; 26 aprile 1983, n. 2852, id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 143).
Il problema dell'ammissibilità, anche per la prima volta in sede di
legittimità, della produzione di documentazione contenente piani rego latori od altra documentazione a carattere regolamentare, secondo la
giurisprudenza minoritaria, poggia sulla natura secondaria delle norme
urbanistiche; essendo il giudice sottoposto soltanto alla legge, e non avendo le norme in questione veste formale di legge ordinaria bensì di atti amministrativi, consegue che in capo al giudice non sussista alcun
obbligo giuridico di conoscere ex officio le norme in questione. Tale indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, non disconosce la natura
normativa, sebbene secondaria, di tali disposizioni; da un lato, infatti, permette di ammetterne la produzione, anche per la prima volta, in sede di legittimità in ragione che il divieto di nuovi documenti ex art. 372
c.p.c. riguarda solo i documenti in senso proprio, che rivestono natura di mezzi di prova; e, dall'altro, di poter contestare la sentenza per vio lazione e falsa applicazione di norme di diritto; a tale riguardo, affinché il motivo di ricorso possa essere accolto, e purché non involga questio ni di fatto, spetta al ricorrente allegare la norma violata.
II. - Secondo la giurisprudenza dominante, invece, il problema del
l'ammissibilità, anche per la prima volta in sede di legittimità, della
produzione di documentazione contenente piani regolatori od altra do cumentazione a carattere normativo poggia sul principio generale pro cessualcivilistico iura novit curia, ed involge la presunzione di cono scibilità da parte del giudice delle norme giuridiche (in generale, per quanto attiene alla produzione in sede di legittimità di norme giuridi che, v. Cass. 8 maggio 2001, n. 6396, id., Mass., 556; 20 gennaio 1979, n. 442, id., Rep. 1979, voce cit., n. 252).
Nonostante i piani regolatori ed i regolamenti edilizi, formalmente, siano atti amministrativi, sostanzialmente, ancorché di natura seconda
ria, sono norme giuridiche e pertanto il giudice è tenuto a conoscerle d'ufficio senza che rilevi un onere di allegazione per le parti che ne in vocano l'applicazione anche per la prima volta in sede di legittimità (sulla natura normativa e la conoscibilità d'ufficio da parte del giudice dei piani regolatori, v. Cass. 15 giugno 2001, n. 8144, id., Mass., 710; 2
agosto 2001, n. 10561, ibid., 899; 3 febbraio 1998, n. 1047, id., Rep.
Il Foro Italiano — 2002.
La carenza, nel ricorso incidentale per cassazione, dell 'esposi zione sommaria dei fatti di causa lo rende inammissibile,
malgrado il richiamo generico ad altre fonti (nella specie, nel
ricorso incidentale contro la sentenza che aveva accolto una
domanda riconvenzionale, era stato fatto il puro e semplice
riferimento al contenuto della sentenza impugnata e alla nar
rativa del ricorso principale). (3)
1998, voce Edilizia e urbanìstica, n. 375; 16 giugno 1992, n. 7367, id.,
Rep. 1992, voce Procedimento civile, n. 110. Mentre per l'applicazione dello stesso principio relativamente ai regolamenti edilizi, v. Cass. 2
agosto 2001, n. 10561, cit.; 14 aprile 2000, n. 4823, id., Rep. 2000, vo ce Cassazione civile, n. 259; 3 febbraio 1998, n. 1047, cit.; 2 maggio 1997, n. 3820, id., Rep. 1997, voce Edilizia e urbanistica, n. 360; 25 novembre 1996, n. 10450, id., Rep. 1996, voce cit., n. 328; 23 febbraio
1981, n. 1102, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 232, e Giur.
it., 1982,1, 1, 390, con nota di D. Spiazzi, Sul divieto di nuove eccezioni nel giudizio di rinvio, e sulla produzione in sede di cassazione, con il
conseguente esame, dì documento — mai prima esibito — contenente un regolamento edilizio).
11 punto di contatto che consente l'applicabilità del principio iura novit curia alle norme dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi, ed in particolare per quanto attiene alla disciplina sulla distanze tra costru zioni di cui all'art. 873 c.c., poggia sulla loro natura integrativa della
disciplina dettata dal codice (Cass. 28 ottobre 1994, n. 8895, Foro it., Rep. 1994, voce Edilizia e urbanistica, n. 271); in tal modo la norma
secondaria, accedendo alla norma di rango superiore, completandola e
rafforzandola, vive della sua efficacia ed assume a tutti gli effetti natura di disposizione immediatamente applicabile e doverosamente conosci bile dal giudice, anche di legittimità.
Non tutte le norme dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi, tut
tavia, presentano natura integrativa delle norme di cui alle distanze tra
costruzioni; a tal riguardo la giurisprudenza pone come criterio distinti vo lo scopo della norma: qualora la stessa detta prescrizioni puntuali e
particolari nelle materie di cui all'art. 873 deve ritenersi integrativa; qualora, invece, enuncia disposizioni a carattere programmatico e gene rale che abbisognano di ulteriori specifiche istruzioni deve ritenersi non
integrativa (v., per tutte, Cass. 6 dicembre 1984, n. 6410, id., 1985, 1, 725; più recentemente, Cass. 27 ottobre 1997, n. 10558, id., Rep. 1997, voce cit., n. 358; 16 febbraio 1995, n. 1673, id., Rep. 1996, voce Di stanze legali, n. 15; 23 giugno 1995, n. 7154, id., Rep. 1995, voce Edi lizia e urbanistica, n. 336; 15 dicembre 1994, n. 10775, id., Rep. 1994, voce cit., n. 173; 7 giugno 1994, n. 5508, ibid., n. 265; 2 novembre
1990, n. 10554, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 248; 5 novembre 1990, n.
10615, id.. Rep. 1990, voce Proprietà, n. 21; 30 luglio 1984, n. 4519, id., Rep. 1984, voce Edilizia e urbanistica, n. 254).
Per quanto attiene ai rapporti tra il principio iura novit curia rispetto alle norme in questione ed il principio della domanda, v. Cass. 20 mar zo 1998, n. 2965, id., Rep. 1998, voce cit., n. 403; 7 marzo 1997, n.
2031, id., Rep. 1997, voce cit., n. 381. III. - Il principio esposto nella seconda parte della prima massima,
sull'inammissibilità della produzione di certificazioni nel giudizio di
legittimità, inerisce, invece, alla natura del giudizio di cassazione. Tale regola, peraltro conforme ad entrambi gli orientamenti sopra
enunciati, che rappresenta il limite oltre il quale non può ritenersi am missibile la produzione documentale di norme giuridiche ancorché se
condarie, deve essere letta necessariamente in correlazione con la se conda massima che ne costituisce, appunto, un corollario.
La produzione documentale di norme, afferma la corte, è ammissibi
le, anche per la prima volta in Cassazione, qualora sia rivolta a conte stare la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, ma non
apprezzamenti di fatto demandati al giudice di merito. Nel caso di specie, la produzione normativa, rivolta a contestare la
violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, non atteneva alle
prescrizioni normative del piano regolatore bensì alla destinazione ur banistica della zona; tale circostanza involgendo una situazione di fatto, che doveva essere oggetto di opportuna istruttoria in fase di merito, rende inammissibile sia la produzione documentale che il motivo di ri corso. Da un lato, infatti, la documentazione è inammissibile ai sensi dell'art. 372 c.p.c. in quanto riguarda documenti aventi valore di mezzi
istruttori; dall'altro, conseguentemente, è inammissibile anche il relati vo motivo di ricorso in quanto inerente una questione di fatto: in so stanza non si può affermare che il giudice abbia violato una legge qua lora tale asserita violazione inerisca ad aspetti della stessa che involgo no elementi di fatto (nello stesso senso, v. Cass. 5 luglio 2000, n. 8954, id., Rep. 2000, voce cit., n. 349; mentre più in generale, v., per tutte, Cass. 5 marzo 1982, n. 1384, id., 1983, 1, 1704; più recentemente, Cass. 6 luglio 1999, n. 6993, id.. Rep. 1999, voce Cassazione civile, n. 78; 23 dicembre 1998, n. 12843, id., Rep. 1998, voce cit., n. 81; 22 gennaio 1998, n. 570, ibid., n. 235; 26 settembre 1996, n. 8499, id., Rep. 1996, voce cit., n. 185; 11 dicembre 1993, n. 12217, id., Rep. 1993, voce cit., n. 88; 5 marzo 1982, n. 1384, id., 1983,1, 1704).
(3) Nello stesso senso di cui in massima, limitatamente all'autono mia del ricorso incidentale, non si rinvengono precedenti in materia.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con citazione del 24 luglio
1986, Elisa Campopiano, proprietaria di un appezzamento di
terreno con annesso fabbricato in Vairano Patenora, conveniva
dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i propri vicini
Michele e Giuseppe Amoroso e, assumendo che il primo aveva
edificato un fabbricato in cemento armato al confine con il fon
do di sua proprietà e alcune stalle da cui esalavano cattivi odori
e che aveva inquinato un pozzo appartenente ad essa istante, mentre il secondo aveva anch'egli realizzato un fabbricato a di
stanza non legale dal confine e teneva le stalle al confine con il
fondo di proprietà di essa istante, chiedeva che i convenuti ve
nissero condannati ad abbattere quanto ciascuno di essi aveva
illegittimamente costniito, oltre al risarcimento del danno, non
ché, nei confronti del solo Michele Amoroso, che venisse anche
condannato al risarcimento del danno conseguente all'inquina mento del pozzo.
Si costituivano con atti distinti entrambi i convenuti eccepen do che le costruzioni erano state erette tutte negli anni 1962
1963 e, in particolare Michele Amoroso, che l'edificio in ce
mento armato posto al confine era stato soltanto ristrutturato,
mentre l'inquinamento del pozzo non era a lui addebitabile e
che, comunque, esso non era collocato a distanza legale dal con
fine e, pertanto, in via riconvenzionale, ne chiedeva l'elimina
zione. Dal suo canto Giuseppe Amoroso deduceva che l'attrice
aveva occupato una striscia di terreno di sua proprietà e che
convogliava le acque verso il suo fondo e spiegava, pertanto, ri
convenzionale in tali sensi.
L'adito tribunale, con sentenza del 16 maggio 1995, condan
nava entrambi i convenuti ad arretrare le loro fabbriche alla di
stanza di 15 m dal confine secondo le previsioni dello strumento
urbanistico vigente in riferimento alla zona in cui si trovavano
le costruzioni denunciate; rigettava la domanda della Campo
piano in ordine alle immissioni provocate dalla presenza delle
stalle lungo il confine, tenuto conto della normale tollerabilità
delle esalazioni che ne derivavano, trattandosi di zona agricola; in parziale accoglimento della riconvenzionale, condannava la
Campopiano a pavimentare la parte del proprio fondo al confine
con quella di Giuseppe Amoroso al fine di evitare lo scolo delle
acque verso di esso; compensava, infine, per la metà le spese di
lite, che poneva, per la restante metà, a carico dei convenuti.
Avverso questa sentenza hanno interposto appello gli Amoro
so.
La corte argomenta la sua decisione ritenendo che l'esposizione sommaria dei fatti di causa sia un requisito necessario in virtù dell'au
tonomia del ricorso incidentale. La corte, in motivazione, non è stata
molto esaustiva nell'enunciare la sua regola atteso che non appare agile stabilire a quale aspetto del ricorso, il carattere autonomo, si riferisca.
Dal senso della motivazione e dalla giurisprudenza citata, tuttavia, si
evince che l'autonomia del ricorso incidentale, cui la corte fa riferi
mento, si riferisca all'atto in sé e per sé e non al suo contenuto, ovvero
alle questioni in esso dibattute. 11 ricorso incidentale, infatti, ancorché mezzo di gravame successivo
rispetto al primo, costituisce il mezzo attraverso il quale si contesta la
sentenza resa facendo valere errores in iudicando e/o errores in proce dendo; rispetto al ricorso principale, il ricorso incidentale, ancorché ri
guardi una questione connessa al primo, è pur sempre una impugnazio ne, ovvero un atto con cui il soccombente contesta gli errores sopra in
dicati che hanno il loro referente negli accadimenti della vita reale e
nello svolgimento del processo. Sotto questo aspetto, l'esposizione sommaria dei fatti diventa il
punto il riferimento su cui trovano fondamento i motivi di impugnazio ne, ed in ragione di tale funzione non è possibile prescinderne atteso
che in mancanza il giudice non potrebbe valutare le doglianze di colui
che propone gravame. Sulla necessaria presenza dell'esposizione sommaria dei fatti ai fini
dell'ammissibilità del ricorso incidentale, v. Cass. 21 giugno 2001, n.
8476, Foro it., Mass., 728; 7 giugno 2000, n. 7707, id., Rep. 2000, voce
Cassazione civile, n. 230; 16 settembre 2000, n. 12256, ibid., voce Im
pugnazioni civili, n. 134; 13 febbraio 1998, n. 1513, id., Rep. 1998, vo
ce Cassazione civile, n. 264; 5 ottobre 1998, n. 9862, ibid., n. 265; 27
novembre 1998, n. 12039, ibid., n. 266; 6 aprile 1995, n. 4013, id., Rep. 1995, voce cit., n. 221; 5 aprile 1990, n. 2803, id., Rep. 1990, voce cit., n. 125; 27 giugno 1989, n. 3119, id., Rep. 1989, voce cit., n. 67; 16 di
cembre 1988, n. 6854, id., Rep. 1988, voce cit., n. 98; 6 marzo 1986, n.
1498, id., Rep. 1986, voce cit., n. 117; 27 aprile 1985, n. 2751, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 73; 17 giugno 1982, n. 3719, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 280; 4 aprile 1981, n. 1916, id., Rep. 1981, voce cit., n. 295. [N.
Andreoni]
li Foro Italiano — 2002.
Ricostituitosi il contraddittorio, la Campopiano aveva chiesto
il rigetto dell'appello e proposto appello incidentale.
Con sentenza in data 28 ottobre - 28 dicembre 1998, la Corte
di appello di Napoli condannava Michele Amoroso ad arretrare
a 15 m dal confine del fondo della Campopiano la costruzione
ricoperta da lastrico in cemento armato indicata in planimetria
allegata alla relazione di consulenza tecnica in atti con la dicitu
ra terrazza di copertura di altezza pari a 2.20 m; rigettava nel re
sto l'appello principale e dichiarava assorbito l'appello inci
dentale.
Per quanto qui ancora interessa, osservava la corte adita come
poiché nella citazione introduttiva si faceva specifico riferi
mento ad un fabbricato in cemento armato posto al confine, mentre per le stalle le distanze dal confine venivano in rilievo
esclusivamente con riferimento alle immissioni moleste, si era
in grado di individuare, anche attraverso le fotografie esibite ed
altri documenti, che la fabbrica di cui la Campopiano ebbe a
dolersi perché costruita in dispregio delle norme urbanistiche,
era soltanto quella il cui tetto in cemento armato risultava rea
lizzata nel 1985. Per questa soltanto, dunque, si poneva la que
stione, sollevata dagli appellanti, circa la sua possibile preesi
stenza, avendo gli stessi (o meglio Michele Amoroso) ammesso
di aver proceduto ad una sua ristrutturazione in epoca recente ri
spetto all'atto di citazione della Campopiano. Si evinceva dalla documentazione hic et inde prodotta che
Michele Amoroso venne condannato dal Pretore di Teano, con
decreto penale notificatogli il 18 marzo 1986, per aver realiz
zato strutture in cemento armato senza aver previamente depo sitato presso l'ufficio del genio civile il progetto con i calcoli
relativi, fatto accertato nel maggio dell'anno 1985. Risultava,
altresì, che il sindaco di Vairano ebbe ad autorizzare, con prov vedimento del 24 febbraio 1985, Michele Amoroso a ristruttura
re una tettoia in legno. Da tali documenti era lecito dedurre che
quest'ultimo, in luogo di ripristinare la tettoia in legno, ebbe ad
edificare un locale magazzino in cemento armato, che, benché
non chiuso da muri perimetrali (come accertato dal c.t.u.) dove
va considerarsi costruzione del tutto diversa dall'area sotto
stante alla tettoia di legno preesistente e per la quale, dunque, doveva trovare applicazione la norma sulle distanze di cui allo
strumento urbanistico allora vigente (distanza di 15 m dal con
fine). Di altre costruzioni realizzate da Michele Amoroso al confine
o a distanza inferiore a quella legale cui confusamente faceva
cenno la Campopiano attraverso una caotica produzione docu
mentale che riguardava concessioni edilizie rilasciate negli anni
1975 (e, dunque, un decennio prima della proposizione della
citazione introduttiva) e 1991 (per fatti, dunque, posteriori a
quelli di causa) non doveva, perciò, tenersi alcun conto.
Per quanto riguardava la o le costruzioni realizzate da Giu
seppe Amoroso non meglio individuate dal c.t.u. se non nella
planimetria, dove si apprezzavano ben quattro fabbriche desti
nate a stalle e a fienile, del tutto fondata era la doglianza degli
appellanti stante non solo la mancata individuazione nella cita
zione introduttiva di quale delle fabbriche in questione si assu
messe costruita in dispregio delle distanze, ma anche la man
canza di qualsiasi prova in ordine al tempo della loro edifica
zione il cui onere pur gravava sulla Campopiano a fronte della
produzione di una licenza di costruzione, prodotta dagli stessi
appellanti e risalente agli anni sessanta.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, basato
su tre motivi Michele Amoroso; resiste con controricorso Elisa
Campopiano che ha proposto ricorso incidentale articolato su
due motivi ed illustrato anche con memoria.
Con ordinanza collegiale in data 22 dicembre 2000, questa corte disponeva la notifica a Giuseppe Amoroso del ricorso in
cidentale, indicando il termine.
Provvedutosi a tanto, si perviene all'odierna udienza.
Motivi della decisione. — I due ricorsi, principale ed inci
dentale, sono rivolti avverso la medesima sentenza e vanno
pertanto riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c. Venendo all'esame del ricorso principale, con il primo moti
vo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto
con riferimento all'art. 873 c.c. ed alla normativa urbanistica
vigente nel comune di Vairano Patenora.
Va preliminarmente osservato che la parte ha prodotto in que sta sede documentazione contenente (in parte) il piano regolato re del suddetto comune nonché la certificazione attinente al
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2343 PARTE PRIMA 2344
fatto che la zona in cui sorgono i manufatti per cui è causa rica
de in zona di tipologia urbanistica E (agricola). Ora, tale produzione mentre va considerata ammissibile per
quanto attiene alla produzione del piano regolatore (v. Cass. n.
2087 del 1974, Foro it., Rep. 1974, voce Edilizia e urbanistica, n. 91, e n. 1388 del 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 253), va al contrario considerata preclusa ex art. 372 c.p.c. per quanto con
cerne le certificazioni, in quanto le ragioni esposte nella giuris
prudenza richiamata si basano solo sulla peculiare natura rego lamentare dei piani regolatori, ma non possono estendersi a do
cumentazione volta a suffragare elementi di fatto.
Ciò premesso, il motivo appare inammissibile, atteso che, per la prima volta in questa sede di legittimità, parte ricorrente pro
pone la questione della sopravvenienza (peraltro anteriore al
l'instaurazione del giudizio) di una disciplina urbanistica locale
meno rigorosa di quella vigente all'epoca della realizzazione dei
manufatti di cui si discute.
Va rilevato che tale questione potrebbe essere risolta sulla ba
se di accertamenti di fatto che sono incompatibili con il giudizio
per cassazione; segnatamente, non risulta affatto né certo né
comprovato che la zona de qua sia da qualificarsi agricola in
senso urbanistico.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applica zione dell'art. 31, lett. /), 1. n. 457 del 1978, nonché motivazione
carente, omessa e contraddittoria.
Si critica l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il magazzino come realizzato e non chiuso da mura
perimetrali e con la copertura in cemento sarebbe costruzione
diversa da quella preesistente, e da quella che doveva essere ri
strutturata.
La questione, posta in relazione alla pretesa violazione di
legge, non ha alcun pregio; per vero, spetta al giudice del meri
to, in base agli elementi acquisiti, stabilire se quanto realizzato
in concreto costituisca o meno nuova costruzione.
Ciò posto, la censura di vizio della motivazione è attinente ad
una quaestio facti e si risolve in una valutazione dei fatti diver
gente da quella adottata, motivatamente e con argomentazione immune da vizi logici o tecnici, dal giudice del merito, che ha
evidenziato la differenza strutturale tra i due manufatti.
Il vizio denunciato infatti non può consistere nella difformità
nell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice ri
spetto a quello preteso dalla parte in quanto spetta solo al giudi ce del merito individuare le fonti del proprio convincimento (v. Cass. 26 novembre 1988, n. 6380, id., Rep. 1988, voce Cassa
zione civile, n. 46). Anche tale motivo appare pertanto privo di pregio. Con il terzo ed ultimo motivo, il ricorrente principale si duole
di motivazione carente e contraddittoria; riesce arduo compren dere compiutamente il senso di tale censura, che si aggancia ad
una pretesa carenza argomentativa sul punto relativo all'indivi
duazione dell'oggetto della domanda attorea, che si sarebbe do vuto desumere dagli atti progettuali relativi alla ristrutturazione
eseguita nel 1985.
In realtà, l'argomentazione seguita dalla Corte di appello di
Napoli è puntuale al riguardo e non si fonda certamente sulla
c.t.u., come pare voglia sostenere parte ricorrente.
La doglianza appare in definitiva del tutto generica e va per tanto disattesa.
Venendo al ricorso incidentale, si pone il problema dell'am missibilità dello stesso in quanto non contiene l'esposizione dei
fatti di causa.
Tale carenza si pone in aperto contrasto con il requisito previ sto dall'art. 366, 1° comma, n. 3, c.p.c., applicabile al ricorso
incidentale ai sensi dell'art. 371, 2° comma, stesso codice, atte
so che la giurisprudenza di questa corte è consolidatamente
orientata nel senso di richiedere comunque l'autonomia di tale
atto, donde l'irritualità di richiamo generico ad altre fonti.
Anche nel ricorso incidentale per cassazione è richiesta a pe na d'inammissibilità a norma dell'art. 366, 1° comma, n. 3,
c.p.c., in relazione all'art. 371, 3° comma, stesso codice, l'espo sizione sia pure sommaria dei fatti di causa, non bastando il pu ro e semplice riferimento al contenuto della sentenza impugnata e alla narrativa del ricorso principale, che può considerarsi suf
ficiente solo ai fini dell'ammissibilità del controricorso (Cass. 6
aprile 1995, n. 4013, id., Rep. 1995, voce cit., n. 221). Tale orientamento è stato confermato dalla successiva senten
za delle sezioni unite di questa corte che, con pronuncia 13 feb
II Foro Italiano — 2002.
braio 1998, n. 1513 (id., Rep. 1998, voce cit., n. 264), hanno ri
tenuto che le norme di cui agli art. 366, n. 3, e 371 c.p.c. vanno
interpretate nel senso che il ricorso incidentale, al pari di quello
principale, debba contenere l'esposizione sommaria dei fatti
della causa, e sia, pertanto, inammissibile tutte le volte in cui si
limiti ad un mero rinvio all'esposizione del fatto contenuta nel
ricorso principale, potendo il requisito di cui all'art. 366, 1°
comma, c.p.c. ritenersi sussistente solo quando, nel contesto
dell'atto di impugnazione, si rinvengano gli elementi indispen sabili per una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posi zioni assunte dalle parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti.
Nello stesso senso si sono espresse Cass. 5 ottobre 1998, n.
9862 (ibid., n. 265), e 16 settembre 2000, n. 12256 (id., Rep. 2000, voce Impugnazioni civili, n. 134), poiché peraltro emerge necessariamente la necessità dell'ulteriore indagine volta a sta
bilire se nell'esposizione dei motivi i ricorsi in esame offrano, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente
chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonché delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato (v. Cass. 21 giugno 2001, n. 8476, id.,
Mass., 728). Preliminarmente, va osservato che la presente controversia,
come emerge dalla non breve esposizione degli elementi di fatto
che precedono la motivazione, è estremamente articolata e com
plessa; che le due sentenze di merito che l'hanno contrassegnata non sono conformi.
Ciò premesso, la lettura del ricorso incidentale, che contiene
anche il controricorso, nel complesso, non consente la ricostru
zione autonoma dei fatti di causa; solo la cognizione della sen
tenza impugnata (o del ricorso principale) offre il necessario
supporto per apprezzare senza incertezze i fatti che hanno origi nato la controversia, le vicende del processo e la specifica posi zione dei soggetti che vi hanno preso parte.
Ora se una esposizione del genere descritto può essere suffi
ciente ai fini dell'ammissibilità del controricorso, e ciò in ragio ne del fatto che un atto volto solo a contrastare le doglianze di
controparte può essere considerato ammissibile perché il ri
chiamo contenuto nell'art. 370 c.p.c. ai precedenti art. 365 e
366, pur operante, deve intendersi logicamente correlato agli atti
cui si riferisce e non nell'astratta sua valenza, sicché in una
ipotesi in cui l'autonomia dell'atto (controricorso) non è com
piutamente operante, diversa è la portata del ricorso incidentale
che va perciò considerato inammissibile, ove dal contesto glo bale dello stesso non sia possibile, come nella specie, ricavarne
una completa e sufficiente chiara ricostruzione dei fatti di causa
nelle articolazioni in cui si sono presentati (v. anche Cass. 7
giugno 2000, n. 7707, id., Rep. 2000, voce Cassazione civile, nn. 230, 264).
Va quindi dichiarata l'inammissibilità del ricorso incidentale; pur in presenza di una recente pronuncia in senso contrario (v. Cass. 21 novembre 2001, n. 14627, id., Mass., 1163) si ritiene
di poter aderire, per le ragioni già esposte, alle conclusioni rag
giunte dalla prevalente giurisprudenza (cfr. Cass. 7 giugno 2000, n. 7707, già ricordata a diversi fini; 15 dicembre 1999, n.
14070, id., Rep. 1999, voce cit., n. 260; 1° luglio 1998, n. 6418, id., Rep. 1998, voce cit., n. 254; 9 settembre 1997, n. 8746, id.,
Rep. 1997, voce cit., n. 202), cosa questa che consente di ritene
re inammissibile il controricorso.
In definitiva, il ricorso principale deve essere respinto; quello incidentale va dichiarato inammissibile.
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