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sezione II civile; sentenza 18 aprile 1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (concl. conf.);...

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sezione II civile; sentenza 18 aprile 1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (concl. conf.); Comune di Mazara del Vallo (Avv. Piano) c. Parrocchia di S. Pietro in Trasmazzaro di Mazara del Vallo. Conferma App. Palermo 23 aprile 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1727/1728-1733/1734 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178611 . Accessed: 28/06/2014 18:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.29 on Sat, 28 Jun 2014 18:57:37 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 18 aprile 1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (concl. conf.);Comune di Mazara del Vallo (Avv. Piano) c. Parrocchia di S. Pietro in Trasmazzaro di Mazara delVallo. Conferma App. Palermo 23 aprile 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1727/1728-1733/1734Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178611 .

Accessed: 28/06/2014 18:57

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1727 PARTE PRIMA 1728

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 aprile

1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (conci, conf.); Comune di Mazara del Vallo (Avv. Piano) c. Parrocchia di

S. Pietro in Trasmazzaro di Mazara del Vallo. Conferma App. Palermo 23 aprile 1983.

Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione senza tito

lo — Azione risarcitoria — Prescrizione — Decorrenza (Cost., art. 42; cod. civ., art. 550, 822, 824, 834, 922, 936, 938, 948,

1070, 1104, 2947; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul conten

zioso amministrativo, art. 4).

La prescrizione dell'azione di risarcimento del danno subito dal

proprietario dell'area che l'amministrazione abbia occupato senza titolo e su cui abbia costruito un'opera pubblica, non inizia a decorrere dal compimento di questa, non produttivo dell'e

stinzione del diritto di proprietà. (1)

(1) La sentenza della sezione II della Cassazione rimette in discussione l'orientamento giurisprudenziale che sembrava ormai consolidato, circa la soluzione da dare ai numerosi casi nei quali l'amministrazione occupa un fondo di proprietà privata e lo trasforma mediante la costruzione del

l'opera pubblica, in difetto di provvedimento che trasferisca tale proprie tà. Questo orientamento si basa sulla sentenza delle sezioni unite 26 febbraio

1983, n. 1464, Foro it., 1983, I, 626, con nota di Oriani (annotata an

che, tra gli altri, da Annunziata, in Giust. civ., 1983, I, 1740, e in Giur.

it., 1983, I, 1, 1629; Pallottino, in Riv. amm., 1983, n. 338; in dottrina, tra gli altri numerosi scritti, Comporti, in Riv. giur. edilizia, 1985, II, 3). La giurisprudenza successiva, in particolare delle sezioni singole della

Cassazione, è conforme: sent. 5 aprile 1984, n. 2203, Foro it., 1984, I, 1530, con nota di richiami di molte pronunce già allineate; e, ancora

successivamente, con indicazioni che vengono date a puro titolo esempli ficativo, considerato il grande numero di sentenze conformi, 17, 23 e 26 gennaio 1985, nn. 110, 121, 280 e 383, id., Rep. 1985, voce Espropria zione per p.i., nn. 281, 124, 279, 294; 4 marzo 1985, n. 1799, ibid., n. 293; ecc. Nella giurisprudenza amministrativa, T.A.R. Piemonte, sez.

II, 14 marzo 1985, n. 128, ibid., n. 295 (annotata da Fantigrossi, in

Regioni, 1985, 607), ha aderito alla tesi della Cassazione, affermando l'irrilevanza del decreto di esproprio tardivo, mentre contrario su questo punto si è manifestato T.A.R. Basilicata 25 luglio 1984, n. 142, Foro

it., Rep. 1985, voce cit., n. 214. Anche il Tribunale superiore delle acque, dopo una iniziale oscillazione (13 settembre 1985, n. 64, ibid., n. 283), si è allineato costantemente: 28 agosto 1985, n. 53, ibid., nn. 284, 291; 22 novembre e 24 dicembre 1985, nn. 81, 98, 100, Cons. Stato, 1985, II, 1630, 1849, ecc.

Il richiamato orientamento giurisprudenziale, anche secondo la sintesi che ne ha fatto la sentenza ora riportata soprattutto in riferimento a Cass. n. 1464/83, si basa sull'affermazione che la realizzazione di un'o

pera pubblica su fondo di proprietà privata, trasformandolo radicalmen

te, ne produce l'acquisto da parte dell'amministrazione, a causa di un fatto (e non di un atto) illecito; con due implicazioni: la prescrizione dell'azione dell'(ex) proprietario, perciò a carattere risarcitorio, è quin quennale; e che il decreto di espropriazione che intervenisse dopo l'acqui sizione in tal modo da parte dell'amministrazione dell'area già (ex) privata, è del tutto irrilevante.

La sentenza ora riportata attacca il suddetto orientamento nel suo pas saggio fondamentale: la costruzione dell'opera pubblica su area di pro prietà privata fa comunque acquisire l'area all'amministrazione; e lo critica nella sua argomentazione più delicata: che sia configurabile una sorta di accessione c.d. invertita, per giunta come effetto di un fatto che ver rebbe qualificato pacificamente come illecito. Di qui l'affermazione che tale costruzione sarebbe inaccettabile, perché incompatibile con l'art. 42

Cost., che riconosce e garantisce la proprietà privata, e demanda al legis latore ordinario la determinazione dei modi di acquisto della proprietà, e i casi nei quali essa può essere espropriata; con l'art. 922 c.c., che

prevede i modi di acquisto della proprietà, tra i quali non potrebbe trova re posto quello ipotizzato dalla criticata giurisprudenza; con l'art. 834

c.c., che condiziona la perdita della proprietà, in caso di espropriazione, alla sussistenza di una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata e al pagamento di una giusta indennità; e, infine, con l'art. 822, 2° com

ma, c.c., che si riferisce ai beni del demanio c.d. accidentale, subordinan doli al relativo regime solo in quanto di proprietà dello Stato (o di un ente territoriale), e quindi ammettendo che essi possano anche essere, alternativamente, di proprietà privata.

La sentenza doveva risolvere solo la circoscritta questione del momento di decorrenza della prescrizione dell'azione del proprietario dell'area oc

cupata. Perciò, una volta negata, a tal fine, che la costruzione dell'impre sa comportasse di per sé il trasferimento della proprietà, non ha ritenuto di contrapporre alla giurisprudenza che sembrava consolidata, una com

pleta costruzione alternativa dell'ipotesi tanto spesso ricorrente, né, tanto meno, di esplorarne tutte le possibili implicazioni. Però di soluzioni alter native ne ha fatta intravedere più d'una. In chiave di unificazione del la proprietà dell'area con quella dell'opera pubblica costruita sopra

Il Foro Italiano — 1987.

Svolgimento del processo. — Il parroco della chiesa di San

Pietro in Trasmazzano di Mazara del Vallo convenne davanti al

Tribunale di Marsala con citazione del 12 novembre 1977 il co

mune di Mazara del Vallo per ottenere il risarcimento del danno

patito dalla parrocchia per effetto della occupazione senza titolo

da parte del comune convenuto, che vi aveva realizzato delle stra

de urbane, di 2113 mq. di terreno di proprietà della parrocchia in contrada «Banna Tonnarella» di quel comune.

Il tribunale accolse la domanda e condannò il comune conve

nuto a pagare alla parrocchia la somma di lire 120.120.000, oltre

la svalutazione monetaria dal 24 ottobre 1978, gli interessi e le

spese. In parziale accoglimento del gravame del comune, la Corte d'ap

pello di Palermo, con sentenza depositata il 23 aprile 1983, di

chiarò «prescritto fino al 12 novembre 1972 il diritto della

parrocchia ... al risarcimento del danno, limitatamente, alla ma

cata utilizzazione di mq. 2002 di terreno» confermando per il

resto l'impugnata sentenza.

La corte ritenne fra l'altro che la pretesa risarcitoria non potes se essere in contrasto con l'onere del proprietario, previsto dal

l'art. 24 della legge urbanistica (17 agosto 1942 n. 1150) di cedere, a scomputo del contributo di miglioria, l'area di sua proprietà su cui vennero realizzate le opere di urbanizzazione primaria, non

risultando «... procedimento in corso tra le parti diretto a con

cretizzare la menzionata norma, o tanto meno un valido atto di

cessione volontaria». Ritenne altresì che la eccezione di prescri zione avanzata dal comune con riferimento a tutti i diritti posti a base delle domande della parrocchia, potesse essere accolta li

mitatamente alla perdita dei frutti per il periodo precedente al

quinquennio anteriore alla data della citazione, e cioè per il pe riodo dal 1962, data nella quale aveva avuto luogo l'occupazio

ne, al 1972, essendo stata notificata la citazione nel 1977.

Per quanto invece riguarda la perdita del bene la corte di Pa

lermo si adeguò all'orientamento indicato dalle sezioni unite di

questa corte nella sentenza 13 febbraio 1980, n. 1016 (Foro it.,

1981, I, 2516), espressamente citata, secondo cui la costruzione

dell'opera pubblica non può segnare il momento della decorrenza

del termine prescrizionale, in quanto la destinazione del fondo

illegittimamente occupato e incorporato nell'opera pubblica ne

impedisce la restituzione al proprietario, ma non fa venire meno

la illiceità dell'occupazione, che ha natura permanente e importa,

perciò, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno

comincia a decorrere solo dal momento in cui cessa la condotta

antigiuridica; il che potrebbe aver luogo — in conseguenza della

imprescrittibilità del diritto di proprietà — solo con l'acquisto della proprietà da parte della p.a. in uno dei modi previsti dalla

legge. Ricorre a questa corte il comune, esponendo tra motivi di cas

sazione. La parrocchia non si è costituita.

Motivi della decisione. — Il comune ricorrente, denunciando

col primo motivo violazione e falsa applicazione degli art. 24 e

28 1. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modificazioni, nonché

omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo, ripro

pone la tesi, respinta dalla corte del merito, della infondatezza

della pretesa risarcitoria della parrocchia per effetto dell'onere

di essa, e, quindi, sotto questo profilo, in armonia con la giurisprudenza suddetta, la più innovativa è quella che comporterebbe l'acquisto da par te del privato dell'opera stessa: secondo i principi della accessione per cosi dire normale, che nell'ipotesi sarebbe consentita nei casi di demanio solo accidentale, secondo il già richiamato art. 822, 2° comma, c.c. Nella medesima chiave, sarebbe pure profilabile la concentrazione di ambedue le proprietà nell'amministrazione, che acquisterebbe cosi anche l'area; ma non per il solo fatto (illecito) della costruzione dell'opera: ma per una sorta di consenso-rinuncia del proprietario, quando la esprima, e, per cosi dire, la oggettivi, nella richiesta di risarcimento di un danno che

quantifichi in riferimento al valore integrale del bene occupato. Rimar rebbe da valutare la possibilità di mantenere divise le due proprietà: il

proprietario potrebbe allora chiedere il risarcimento del danno per la in

disponibilità di un bene che rimarrebbe comunque suo; risarcimento che, perciò, non potrebbe mai arrivare al pieno valore di questo.

Vedremo se la giurisprudenza consolidata manterrà le sue posizioni; o, altrimenti, quale soluzione alternativa preferirà, tra queste già ipotiz zate, o, magari, tra altre da prospettare; nella speranza che essa non

ripiombi nella confusione anteriore alla sentenza n. 1464/83, che almeno, il merito di dare un minimo di certezza al riguardo sicuramente lo ha avuto. [A. Romano]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di cessione di aree necessarie per le opere di urbanizzazione a

scomputo dei contributi di miglioria. La censura è manifestamente infondata perché il fatto che esi

stesse nell'ordinamento la possibilità per il comune di acquisire quelle aree lecitamente, non esclude affatto l'illiceità del suo ope rato e la conseguente sua responsabilità, che consiste appunto nel non avere fatto ricorso, per conseguire gli scopi di pubblica utilità che si proponeva, alle procedure legali all'uopo predispo ste. In particolare, per quanto riguarda l'art. 24 1. n. 1150 del

1942, nel testo vigente all'epoca del fatto (1962), il comune, per potere esercitare la facoltà di chiedere ai proprietari delle aree

latistanti di cedere il suolo corrispondente a metà della larghezza della via o piazza da formare, avrebbe dovuto prima istituire il

contributo di miglioria, e poi ottenere la cessione a scomputo di esse, ciò che, contrariamente a quanto in modo arbitrario af

ferma il ricorrente, non può certo avvenire in modo tacito. Non

risulta che il comune avesse istituito detto contributo, anzi dalle

sue difese si deve desumere con sicurezza il contrario.

Lasciando per ultimo il secondo motivo, che richiede una trat

tazione lunga, va rilevata la infondatezza del terzo motivo, con

il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 2056 e 1223 c.c. e omessa motivazione per la mancata applicazio ne del principio della compensatio lucri cum damno, in relazione

al fatto che le aree di proprietà della parrocchia avrebbero avuto

un incremento di valore determinato dalle opere di urbanizzazio

ne, sistemazione e costruzione delle strade. È invero sufficiente

rilevare che la questione non ha formato oggetto dei motivi d'ap

pello, e non può essere sollevata per la prima volta in questa sede di legittimità, richiedendo accertamenti e valutazioni di fatto

non chiesti né eseguiti in sede di merito. La pretesa peraltro si

porrebbe in netto contrasto con la costante giurisprudenza di questa corte sul punto (sent. 15 dicembre 1980, n. 6485, id., 1981, I,

2515; 13 settembre 1979, n. 4759, id., Rep. 1979, voce Espropria zione per p.i., n. 156; 20 maggio 1977, n. 2076, id., Rep. 1977, voce cit., n. 241; 10 marzo 1976, n. 822, id., Rep. 1976, voce

cit., n. 354). Con ciò si risponde anche all'ultima parte della censura del

primo mezzo, nella quale si addita una carenza di motivazione

per non essersi tenuto conto dell'indebito arricchimento del pro

prietario. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applica

zione degli art. 2935 e 2947 c.c. in relazione agli art. 2043, 2056

e 1223 dello stesso codice, e vizi logici di motivazione, per non

avere la corte ritenuto prescritto il diritto della parrocchia al ri

sarcimento del danno, posto che l'illecito consumato dal comune

si verifica con la realizzazione dell'opera pubblica, che determina

la perdita definitiva e irreversibile del bene, ragion per cui deve

ritenersi che si tratti di illecito istantaneo, con la conseguenza che doveva accogliersi la eccezione di prescrizione proposta dal

comune in relazione alla circostanza pacifica che l'illecito si era

verificato nel 1962 e la domanda era stata proposta nel 1977.

Nella memoria poi il ricorrente richiama le sentenze di questa corte 4 dicembre 1985, n. 6070 e 15 novembre 1985, n. 5597 (id.,

Rep. 1985, voce cit., nn. 296, 305), secondo le quali la irreversi

bile acquisizione del fondo per la realizzazione di opera pubblica da parte della p.a. che operi in regime di occupazione illegittima, o perché tale originariamente (come nella specie), o perché tale

divenuta a seguito della scadenza del periodo assegnato, compor ta non già l'esistenza di un illecito permanente, bensì' la sussisten

za di un illecito istantaneo, come tale suscettibile di determinare

l'estinzione del diritto dominicale del privato con la contestuale

acquisizione di esso a titolo originario in capo all'ente costruttore.

La compiuta esposizione delle ragioni che sorreggono tale orien

tamento si trova nella sentenza delle sezioni unite di questa corte

26 febbraio 1983, n. 1464 (id., 1983, I, 626), alla quale tutte le altre successive conformi — comprese quelle ora ricordate —

si richiamano.

Questo collegio ritiene di dovere prendere sulla questione una

posizione diversa in punti fondamentali da quella espressa dalle

sezioni unite in detta sentenza, e dopo di allora condivisa da nu

merose pronunce, tutte nello stesso senso (sent. 15 maggio 1986, n. 3201, 29 maggio 1986, n. 3629, id., Mass., 568 e 641, fra le più recenti).

In esse si afferma che la radicale trasformazione di un fondo

di proprietà privata — occupato dalla p.a. illegittimamente, per mancanza del provvedimento autorizzativo o per decorrenza dei

termini della occupazione legittima — irreversibilmente destinato

Il Foro Italiano — 1987 — Parte I-114.

alla realizzazione della opera pubblica, produce l'acquisto a tito

lo originario della proprietà da parte della p.a. e l'attribuzione

al privato del diritto al risarcimento del danno derivante dalla

perdita del diritto di proprietà. Corollario di tale affermazione — espresso nelle richiamate sentenze — è che l'azione spettante al privato contro la p.a. diretta ad ottenere il risarcimento del danno è soggetta alla prescrizione quinquennale prevista dall'art.

2947, 1° comma, c.c. con decorrenza dal giorno in cui la tras

formazione del bene rivela la sua irreversibile destinazione ad opera pubblica.

Queste conclusioni, che hanno mutato radicalmente il prece dente indirizzo largamente prevalente nella giurisprudenza di questa corte (indirizzo che, sia pure con conseguenze non uniformi nella

applicazione ai singoli casi, si manteneva legato al principio che il privato non perde la proprietà dell'immobile, nonostante la im

possibilità di recuperarne il possesso a seguito della esecuzione

dell'opera pubblica su di esso) poggiano sulle seguenti argomen tazioni: a) la asserita permanenza in vita del diritto di proprietà è inconciliabile con il totale svuotamento dei poteri del proprieta rio di godere della cosa, provocato dalla radicale trasformazione

del bene mediante la esecuzione dell'opera pubblica; b) la vicen da della occupazione illegittima dell'immobile di un privato per la costruzione su di esso di un'opera pubblica implicante la radi

cale trasformazione del bene si svolge al di fuori di qualsiasi pre visione normativa, onde è inevitabile il ricorso ai principi generali

dell'ordinamento; c) l'ordinamento vieta di ritenere possibile la

coesistenza di due diritti di proprietà, uno sul suolo in capo all'o

riginario titolare ed uno sulla costruzione in capo al costruttore;

d) le norme relative al conflitto tra l'originario proprietario della

cosa e il costruttore (o il trasformatore in genere) costituiscono

espressione di un principio generale in base al quale regola per la composizione del conflitto è l'attribuzione della proprietà sia

del suolo sia della costruzione al soggetto portatore dell'interesse

ritenuto prevalente, secondo una valutazione d'ordine economico

sociale correlata al livello di sviluppo della società civile; e) l'ope ra pubblica, una volta costruita, comprende ormai nella sua uni

tà funzionale anche il suolo, parte essenziale della sua struttura

fisica. Alla trasformazione materiale deve corrispondere la tras

formazione giuridica del bene privato e tale mutamento del suo

regime giuridico non può realizzarsi che in termini di acquisto a titolo originario della proprietà del suolo privato da parte del

soggetto autore della costruzione dell'opera pubblica, secondo un

meccanismo identico nella struttura rispetto a quello della acces

sione disciplinato dal codice civile per quanto attiene ai rapporti fra privati, dovendosi, in base al criterio dell'interesse prevalente, sacrificare l'interesse del privato proprietario del suolo e privile

giare quello dell'ente pubblico autore della costruzione.

Questo collegio non si attarderà certo a rilevare le gravi incon

gruenze, del resto ampiamente poste in evidenza dalla prevalente

dottrina, della tesi giuridica esposta, che comporta la creazione

di un nuovo modo di acquisto della proprietà, operante solo e

nel momento in cui la p.a. cade nell'illecito. Non si fermerà nep

pure, non essendo questo il suo compito, a valutare se l'adozione

di una soluzione cosi drastica dei gravi problemi suscitati dalla

vicenda in questione, purtroppo cosi frequente nella pratica, non

aggrovigli ancora di più questi problemi almeno in molti dei casi

che si presentano all'esame del giudice, con inconvenienti non

minori di quelli imputati all'indirizzo giurisprudenziale prevalen te prima della svolta del 1983. Per adempiere la propria funzione

di fare osservare la legge, ritiene la corte sufficiente dimostrare

la inaccettabilità, a suo giudizio, delle proposizioni sopra riporta te sub a) e sub b). È manifesto infatti che non si giustifica la

ricerca di una disciplina ricavabile dai principi generali dell'ordi

namento giuridico per un fatto che trova invece compiuta disci

plina in norme esplicite dell'ordinamento stesso. Ed è altrettanto

manifesto che è del tutto superfluo, una volta dimostrata l'esi

stenza di questa disciplina positiva, attardarsi nella pur agevole dimostrazione della inaccettabilità anche delle altre proposizioni

sopra elencate.

La prima delle proposizioni, quella sub a), trascura il noto prin

cipio della c.d. elasticità del diritto di proprietà, per cui esso è

capace di sopportare, senza estinguersi, le più gravi compressio ni. Si pensi a ciò che rimane del diritto di proprietà, in termini di godimento e di disposizione della cosa, nel dominio diretto

relativo a una enfiteusi; eppure nessuno dubita del permanere del diritto di proprietà in capo al titolare del dominio diretto

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1731 PARTE PRIMA 1732

con la conseguenza che la estinzione del dominio utile determina

senz'altro, ossia automaticamente, il riespandersi del diritto di

proprietà mediante il recupero da parte del titolare del dominio

diretto di tutte le facoltà di godimento diretto della cosa e di

disposizione della stessa. Se ciò è vero nel campo del lecito, a

maggior ragione lo è quando la privazione delle facoltà di godi mento e di disposizione avvengono per un fatto illecito subito

dal proprietario. Poiché non si può fare una graduazione, a que sti fini, fra i fatti illeciti, la situazione non può essere diversa

nel caso in cui il fatto illecito sia imputabile alla p.a. Per vero la particolarità in quest'ultimo caso è che, quando

sul fondo del privato sia stata eseguita un'opera pubblica, l'abla

zione di quelle facoltà assume — si ritiene — un aspetto di defi

nitività con il quale occorre fare i conti. Certamente non sarebbe

sufficiente spiegare il fenomeno come il risultato di una normati

va meramente processuale, quale è la limitazione dei poteri del

giudice di fronte agli atti della p.a. (art. 4 1. 20 marzo 1865 n.

2248, ali. E), essendo questo collegio ben convinto della inciden

za sui diritti sostanziali che hanno le regole del processo, nel qua le omne ius revertitur. Tuttavia proprio l'autorevole sentenza qui criticata contiene una ricognizione dell'indirizzo giurisprudenzia le volto a circoscrivere entro limiti sempre più ristretti la efficacia

del divieto, il quale non opererebbe quando l'utilizzazione (illeci

ta) del bene del privato, anche se per un fine istituzionale della

p.a., non si presenti come esercizio di un potere ablatorio, cioè

come frutto di un'effettiva valutazione dell'indispensabilità del

bene e della sua utilizzazione rispetto allo specifico fine persegui to nel caso concreto.

Ma è quell'aspetto di definitività che occorre verificare critica

mente — eventualmente anche in relazione alle conseguenze sulla

natura e sull'ammontare dei danni da riconoscere al proprietario — perché, per la ricordata caratteristica di elasticità del diritto

di proprietà, la sua compressione, per quanto portata fino ai li

miti estremi e per quanto protratta, non è sufficiente a sottrarre

al suo titolare il diritto di proprietà, come è comprovato dal fatto

che, in caso di perimento (non dell'intero fondo ma) della (sola)

opera pubblica, non occorre certo che il privato riacquisti il dirit

to di proprietà sul fondo che non ha mai perduto per essere reim

messo nell'esercizio delle normali facoltà di godimento e di

disposizione. Si può pensare senza difficoltà al caso (non fre

quente, ma non certo immaginario) della modifica del tracciato

di una nuova strada, con abbandono di quello anteriormente ese

guito. Si può aggiungere che il divieto di cui all'art. 4 1. 2248/1865, ali. E, è posto solo al giudice ordinario. Una volta che questo abbia accertato definitivamente la illiceità della situazione creata

dalla p.a. ben può il proprietario adire il giudice amministrativo

per il giudizio di ottemperanza. Sicché non sembra da condivide

re la affermazione, almeno nei termini generali e recisi in cui

viene enunciata, che la costruzione dell'opera pubblica determina

la perdita definitiva di ogni potere inerente al diritto di proprietà.

Queste considerazioni mostrano l'errore che si annida nella con

cezione qui avversata, che è quello di trascurare la comune nozio ne del diritto di proprietà, secondo la quale questo non si esaurisce

nella somma delle facoltà in esso contenute, ma le trascende per costituire una posizione giuridica sintesi e fonte (e non somma) di quelle facoltà, cosi come trascura di considerare che l'oggetto del diritto di proprietà è tutto ciò che si trova entro determinati

confini, onde è stato detto, sia pure impropriamente, che il dirit

to di proprietà (su immobili, occorre precisare, per tener conto

degli approfondimenti dottrinali circa il diverso contenuto di questo diritto a seconda del suo oggetto) ha per oggetto uno spazio. L'esattezza della intuizione è dimostrata dalle non superabili dif

ficoltà che si incontrano quando si pretende di identificare il suo

lo separatamente dal sottosuolo o dall'edificio su di esso eretto

e di dare ad essi una delimitazione fisica che non possono mai

avere.

Dimostrata cosi che non può essere condivisa la affermazione

sub a) si può passare alla critica di quella sub b). Sembra alla corte che la non accettabilità di questa argomenta

zione, secondo la quale la vicenda in esame si svolgerebbe al di

fuori di qualsiasi previsione normativa, costituisca un errore di

logica giuridica, consistente nella pretesa che sia disciplinato in

negativo un fenomeno che trova già in positivo una compiuta e articolata disciplina.

In altri termini se è vero che la legge, sulla base dei precetti costituzionali (art. 42), i quali assicurano alla proprietà privata riconoscimento e garanzia e demandano al legislatore di stabilire i

Il Foro Italiano — 1987.

modi di acquisto della proprietà e i casi nei quali la proprietà

privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, contiene una compiuta disciplina dei modi di acquisto della pro

prietà indicati nell'art. 922 c.c.; se è vero che uno dei solenni

precetti di legge è che nessuno può essere privato in tutto o in

parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico

interesse, legalmente dichiarata e contro il pagamento di una in

dennità (art. 834 c.c.); se è vero che la legge contiene una artico

lata disciplina dei procedimenti di espropriazione dei beni di

proprietà privata, che certo non occorre immorare ad illustrare; se tutto ciò si colloca fuori dell'ambito del discutibile, risulta as

solutamente inaccettabile la fondamentale premessa logico-giuridica da cui muove la costruzione qui avversata, e cioè che «la vicenda

si svolge al di fuori di qualsiasi previsione normativa», con la

conseguenza di rendere «inevitabile il ricorso ai principi generali dell'ordinamento». Almeno una volontà di legge si ricava chiara

e perentoria da queste norme positive sommariamente richiama

te, ed è che la p.a. non acquista la proprietà del bene del privato se non nei modi previsti e disciplinati, volontà che esclude radi

calmente il contrario risultato cui, con costruzione logico-giuridica

inaccettabile, giunge l'indirizzo giurisprudenziale da cui questo

collegio intende discostarsi.

Il collegio ritiene pertanto che non si possa affermare l'acqui sto della proprietà del suolo del privato da parte della p.a. me

diante la costruzione dell'opera pubblica eseguita sull'immobile

illegittimamente occupato, senza violare l'art. 42 Cost., l'art. 834

e l'art. 922 c.c.

Per quanto ciò sia sufficiente — come già si è anticipato —

a impedire l'adesione alle conclusioni enunciate dalla sentenza delle

sezioni unite n. 1464 del 1983, non sembra inutile aggiungere che

la critica affermazione comporta anche la violazione degli art.

984 e 936 c.c., a norma dei quali qualunque costruzione esistente

sotto o sopra il suolo appartiene al proprietario di questo, e il

proprietario del suolo acquista la proprietà della costruzione ese

guita da un terzo con materiali propri. Soltanto negando l'antico e consolidato principio enunciato da

queste norme è possibile infatti impiantare la questione (sulla pre messa della impossibile coesistenza di un diritto sul suolo e di

un diritto sull'opera in esso eseguita) della scelta del portatore dell'interesse prevalente tra il privato proprietario del suolo e la

p.a. costruttrice dell'opera. Al qual riguardo si dà peraltro per scontato — per pervenire alla soluzione qui criticata — che il

privato debba in ogni caso soccombere di fronte all'ente pubblico in quanto questo ha agito per la soddisfazione di un interesse

non proprio, ma della collettività dei cittadini; concetto, questo, che dovrebbe ritenersi superato nell'attuale assetto politico, aven

te come valori fondamentali, fra gli altri, le garanzie per la liber

tà e gli averi del singolo cittadino nei confronti dei pubblici poteri. Non sono giustificate, a parere del collegio, le perplessità ma

nifestate riguardo al verificarsi dell'acquisto per accessione da una

parte della dottrina, restia ad ammettere la operatività del richia

mato principio a favore del privato nei confronti della p.a. Infat ti il 2° comma dell'art. 822 c.c. stabilisce — a differenza di quanto avviene per i beni del c.d. demanio necessario contemplati nel

1° comma dello stesso articolo — che solo se appartengono allo

Stato (e correlativamente, solo se appartengono ai comuni e alle

province: art. 824 c.c.) fanno parte del demanio pubblico le stra

de, le autostrade e le altre opere pubbliche ivi menzionate. Dal

che si deduce che tali opere sono suscettibili di proprietà privata; e pertanto non vi è alcun ostacolo all'applicazione del principio della accessione a favore del privato nei confronti della p.a.

Si dimostra cosi che l'affermazione dell'acquisto della proprie tà del suolo del privato da parte della p.a. mediante la costruzio

ne dell'opera pubblica in regime di occupazione abusiva costituisce

violazione anche del richiamato 2° comma dell'art. 822 c.c. Inve

ro se l'acquisto della proprietà è un presupposto perché l'opera entri a far parte del demanio pubblico, non si può, senza violare

la norma, affermare che la sua semplice costruzione ne determina

l'acquisto in proprietà in favore della p.a.

Quest'ultimo evento può ammettersi solo per i beni del dema

nio c.d. necessario, insuscettibili di proprietà privata (1° com

ma), ma non si può ammettere, perché la norma non lo consente,

per le opere pubbliche che del demanio c.d. necessario non fanno

parte. Non giova pertanto alla tesi qui criticata la insistenza nel rilie

vo che, una volta eseguita l'opera pubblica, questa costituisce nella sua unità funzionale un nuovo bene e che la costruzione di

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Page 5: sezione II civile; sentenza 18 aprile 1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (concl. conf.); Comune di Mazara del Vallo (Avv. Piano) c. Parrocchia di S. Pietro in Trasmazzaro

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

un'opera pubblica su un suolo illegittimamente occupato ne com

porta una trasformazione cosi totale da provocare la perdita dei

caratteri e della destinazione propria del fondo, il quale non sa

rebbe più quello di prima; dal che si dedurrebbe la conseguenza che il nuovo bene, anche se utilizza un preesistente bene privato, lo attrae nella propria disciplina giuridica, che sarebbe quella pro

pria dei beni del demanio pubblico. Per quanto riguarda infatti il fenomeno fisico si osserva in con

trario che esattamente lo stesso avviene nel caso di costruzione

di un edificio ad opera di un privato su suolo altrui, non poten dosi negare che, da questo punto di vista, l'edificio sia un bene

del tutto nuovo e diverso dal suolo utilizzato per la sua costruzio

ne, attratto nella unità funzionale dell'edificio. Eppure non si

è mai dubitato della applicazione, in queste ipotesi, del principio dell'accessione in favore del proprietario del suolo, per quanto

importante, imponente e preziosa sia la costruzione rispetto ai

pregi del suolo.

Per quanto riguarda l'aspetto giuridico del fenomeno si è già osservato che non si può ritenere il verificarsi dell'attrazione del

suolo nella disciplina giuridica propria dei beni del demanio pub blico senza violare il 2° comma dell'art. 822 c.c.

D'altro canto la costruzione giuridica qui criticata, mentre esclu

de esplicitamente la possibilità della coesistenza dei due distinti

diritti di proprietà, uno sul suolo e uno sull'opera pubblica in

esso costruita, non spiega la situazione giuridica di questi beni

per il periodo di tempo anteriore alla scadenza della occupazione

legittima; e poiché l'acquisto della proprietà del suolo in favore

della p.a. si verificherebbe (quando l'opera pubblica sia stata co

struita prima) soltanto allo scadere della occupazione legittima, sembra implicitamente ammettere per il periodo anteriore ciò che

in principio è negato, ossia la coesistenza fra i due diritti di pro

prietà. Pure un cenno merita l'argomento, che in favore della enuclea

zione di un supposto principio generale per l'attribuzione della

proprietà dello unicum al soggetto portatore dell'interesse ritenu

to prevalente, si pretende trarre dall'art. 938 c.c. L'argomento trascura infatti non solo la natura eccezionale della norma, co

munemente riconosciuta, rispetto al principio stabilito negli art.

934 e 936 ai quali invece si pretende di accostarla — e non solo

la necessità della presenza, per l'applicazione di essa, di determi

nati requisiti, che con la costruzione di un'opera pubblica su suo

lo del privato abusivamente occupato non hanno normalmente

nulla a che vedere, ma trascura soprattutto di considerare che

l'acquisto del suolo occupato non avviene in questa ipotesi in

favore del costruttore in forza della costruzione, ma in forza di

un provvedimento del giudice, di natura, secondo comune opi

nione, costitutiva e con efficacia traslativa della proprietà della

zona occupata, con esclusione quindi di un acquisto a titolo ori

ginario. Certamente con la opinione qui seguita si ripropone quel nodo

di gravi problemi, derivanti dalla coesistenza (entro gli stessi con

fini) dell'opera pubblica e della proprietà del privato, che la sen

tenza n. 1464 del 1983 passa in rassegna e che con la stessa sentenza

si ritiene di risolvere mediante il taglio netto rappresentato dal

l'acquisizione della proprietà da parte della p.a. occupante. Non

è questa la sede per dimostrare che, se alcuni problemi si tronca

no con la soluzione qui avversata, altri non meno gravi si pro

pongono. Sul punto il collegio ritiene sufficiente, ai fini di questa

decisione, osservare che per i motivi già esposti non ci può essere

alcun ostacolo concettuale per ritenere la permanenza della pro

prietà del privato nonostante la esecuzione sul suo suolo dell'ope

ra pubblica. Peraltro la sorte di questo diritto di proprietà non può rimane

re indenne da ogni effetto per il pagamento della aestimatio rei

da parte dell'amministrazione occupante. Sembra chiaro infatti che, quando il proprietario, esponendo

questa vicenda, si fa avanti in giudizio a chiedere a titolo di risar

cimento del danno il valore integrale del bene occupato (il che

può fare soltanto dando per scontata la perdita definitiva del be

ne), esprime una volontà del tutto incompatibile — anche sul

piano pratico, come l'esperienza dimostra — con quella di man

tenere, nonostante il pagamento, la proprietà del bene stesso, si

tuazione questa, che può non verificarsi nel caso di pagamento

della aestimatio rei prevista dall'ultima parte del 2° comma del

l'art. 948 c.c. Si tratta di una disposizione chiaramente sanziona

toria a carico di qui dolo desiit possidere dopo la proposizione

contro di lui della rivendica, ossia dopo la manifestazione della

It Foro Italiano — 1987.

volontà del proprietario di recuperare il possesso del bene ogget to del suo diritto. Sembra a questa corte che nel caso dell'azione

di risarcimento contro la p.a. per la occupazione del bene del

privato e la costrizione in esso di un'opera pubblica sia enuclea

bile nella proposizione dell'azione stessa una chiara volontà del

privato di abbandonare il diritto di proprietà in favore dell'occu

pante, secondo schema uno ignoto all'ordinamento, trovando

espressione per es. nell'art. 1070 c.c., che prevede l'abbandono

del fondo servente mediante rinunzia alla proprietà a favore del

proprietario del fondo dominante, nell'art. 1104 c.c. che prevede l'abbandono del diritto del comunista sulla cosa comune a favore

degli altri partecipanti nell'art. 550 c.c. che prevede l'abbandono

della nuda proprietà della disponibile da parte del legittimario a favore del legatario.

Ai fini della decisione che questo collegio deve emettere sulla

censura contenuta nel mezzo di ricorso in esame si deve dunque osservare conclusivamente che appare corretta la statuizione della

corte del merito di rigetto della eccezione di prescrizione dell'a

zione di risarcimento del danno proposta dall'attore. A sostegno di tale rigetto non è necessario, a parere di questo collegio, affer

mare la natura reale dell'azione promossa dal proprietario contro

la p.a. occupante, essendo sufficiente osservare che, se è vero, come si è cercato di dimostrare, che nonostante l'esecuzione del

l'opera pubblica il privato rimane titolare del diritto di proprietà, non si può non riconoscere che la lesione di questo diritto, cagio nata dalla occupazione, è una lesione attuale, fino a quando que sto diritto non si estingua, perché in ogni momento, finché il

diritto è in vita, il proprietario può chiedere il ripristino delle

sue facoltà di godimento e di disposizione e dunque in ogni mo

mento, fino a quell'evento, opera l'ostacolo illecito che tale ripri stino impedisce.

Il collegio ritiene pertanto incoerenti le pronunce di questa cor

te anteriori alla svolta del 1983, che, senza affermare l'acquisizio ne del diritto di proprietà da parte della p.a. occupante, hanno

ritenuto che la prescrizione dell'azione de qua decorresse dall'ini

zio o, con diversa soluzione, dal compimento dell'opera pubbli ca. E ritiene quindi che la coerenza, per questa parte, si è raggiunta soltanto con l'affermazione — enunciata argomentatamente dalla

sentenza n. 1464 cit. — dell'acquisto a titolo originario della pro

prietà da parte della p.a. occupante mediante l'esecuzione dell'o

pera pubblica, ma a costo di sconvolgere — come si è visto —

ricevute e consolidate nozioni di diritto e con argomentazioni non

sostenibili sotto il profilo della logica giuridica. Poiché nella vicenda in esame il diritto di proprietà della par

rocchia sull'immobile occupato era ancora in vita al momento

in cui l'azione è stata proposta, bene la corte di Palermo ha riget tato l'eccezione di prescrizione opposta dal comune occupante.

In conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato.

0Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 aprile

1987, n. 3179; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Sensale,

P. M. Sgroi V. (conci, conf.); Soc. Delta (Avv. Piga, Ventu

rini) c. Moretti (Avv. Bruni) e Soc. Teleradio Orobica. Cassa

App. Brescia 10 giugno 1983.

Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Emittenti locali private — Difetto di autorizzazione — Interferenze ad opera di altra

stazione non autorizzata — Tutela petitoria e possessoria —

Ammissibilità (Cod. civ., art. 1168, 1170, 2598).

L'interesse di chi eserciti, in difetto di autorizzazione, un impian to televisivo locale è tutelabile, sia in sede possessoria sia in

sede petitoria, nei confronti di altra emittente, anch'essa sprov vista di autorizzazione, che provochi interferenze nelle bande

di frequenza utilizzate dal primo (sulla base di tale principio,

è stata cassata la sentenza di appello che aveva negato la possi

bilità di dedurre un illecito concorrenziale). (1)

(1) La pronuncia ora cassata (App. Brescia 10 giugno 1983, Foro it.,

Rep. 1984, voce Radiotelevisione, n. 40, che confermava Trib. Bergamo 14 aprile 1981, id., Rep. 1982, voce Concorrenza (disciplina), n. 10) s'in

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