sezione II civile; sentenza 18 aprile 1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (concl. conf.);Comune di Mazara del Vallo (Avv. Piano) c. Parrocchia di S. Pietro in Trasmazzaro di Mazara delVallo. Conferma App. Palermo 23 aprile 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 6 (GIUGNO 1987), pp. 1727/1728-1733/1734Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178611 .
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1727 PARTE PRIMA 1728
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 aprile
1987, n. 3872; Pres. ed est. Lo Coco, P.M. Leo (conci, conf.); Comune di Mazara del Vallo (Avv. Piano) c. Parrocchia di
S. Pietro in Trasmazzaro di Mazara del Vallo. Conferma App. Palermo 23 aprile 1983.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione senza tito
lo — Azione risarcitoria — Prescrizione — Decorrenza (Cost., art. 42; cod. civ., art. 550, 822, 824, 834, 922, 936, 938, 948,
1070, 1104, 2947; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul conten
zioso amministrativo, art. 4).
La prescrizione dell'azione di risarcimento del danno subito dal
proprietario dell'area che l'amministrazione abbia occupato senza titolo e su cui abbia costruito un'opera pubblica, non inizia a decorrere dal compimento di questa, non produttivo dell'e
stinzione del diritto di proprietà. (1)
(1) La sentenza della sezione II della Cassazione rimette in discussione l'orientamento giurisprudenziale che sembrava ormai consolidato, circa la soluzione da dare ai numerosi casi nei quali l'amministrazione occupa un fondo di proprietà privata e lo trasforma mediante la costruzione del
l'opera pubblica, in difetto di provvedimento che trasferisca tale proprie tà. Questo orientamento si basa sulla sentenza delle sezioni unite 26 febbraio
1983, n. 1464, Foro it., 1983, I, 626, con nota di Oriani (annotata an
che, tra gli altri, da Annunziata, in Giust. civ., 1983, I, 1740, e in Giur.
it., 1983, I, 1, 1629; Pallottino, in Riv. amm., 1983, n. 338; in dottrina, tra gli altri numerosi scritti, Comporti, in Riv. giur. edilizia, 1985, II, 3). La giurisprudenza successiva, in particolare delle sezioni singole della
Cassazione, è conforme: sent. 5 aprile 1984, n. 2203, Foro it., 1984, I, 1530, con nota di richiami di molte pronunce già allineate; e, ancora
successivamente, con indicazioni che vengono date a puro titolo esempli ficativo, considerato il grande numero di sentenze conformi, 17, 23 e 26 gennaio 1985, nn. 110, 121, 280 e 383, id., Rep. 1985, voce Espropria zione per p.i., nn. 281, 124, 279, 294; 4 marzo 1985, n. 1799, ibid., n. 293; ecc. Nella giurisprudenza amministrativa, T.A.R. Piemonte, sez.
II, 14 marzo 1985, n. 128, ibid., n. 295 (annotata da Fantigrossi, in
Regioni, 1985, 607), ha aderito alla tesi della Cassazione, affermando l'irrilevanza del decreto di esproprio tardivo, mentre contrario su questo punto si è manifestato T.A.R. Basilicata 25 luglio 1984, n. 142, Foro
it., Rep. 1985, voce cit., n. 214. Anche il Tribunale superiore delle acque, dopo una iniziale oscillazione (13 settembre 1985, n. 64, ibid., n. 283), si è allineato costantemente: 28 agosto 1985, n. 53, ibid., nn. 284, 291; 22 novembre e 24 dicembre 1985, nn. 81, 98, 100, Cons. Stato, 1985, II, 1630, 1849, ecc.
Il richiamato orientamento giurisprudenziale, anche secondo la sintesi che ne ha fatto la sentenza ora riportata soprattutto in riferimento a Cass. n. 1464/83, si basa sull'affermazione che la realizzazione di un'o
pera pubblica su fondo di proprietà privata, trasformandolo radicalmen
te, ne produce l'acquisto da parte dell'amministrazione, a causa di un fatto (e non di un atto) illecito; con due implicazioni: la prescrizione dell'azione dell'(ex) proprietario, perciò a carattere risarcitorio, è quin quennale; e che il decreto di espropriazione che intervenisse dopo l'acqui sizione in tal modo da parte dell'amministrazione dell'area già (ex) privata, è del tutto irrilevante.
La sentenza ora riportata attacca il suddetto orientamento nel suo pas saggio fondamentale: la costruzione dell'opera pubblica su area di pro prietà privata fa comunque acquisire l'area all'amministrazione; e lo critica nella sua argomentazione più delicata: che sia configurabile una sorta di accessione c.d. invertita, per giunta come effetto di un fatto che ver rebbe qualificato pacificamente come illecito. Di qui l'affermazione che tale costruzione sarebbe inaccettabile, perché incompatibile con l'art. 42
Cost., che riconosce e garantisce la proprietà privata, e demanda al legis latore ordinario la determinazione dei modi di acquisto della proprietà, e i casi nei quali essa può essere espropriata; con l'art. 922 c.c., che
prevede i modi di acquisto della proprietà, tra i quali non potrebbe trova re posto quello ipotizzato dalla criticata giurisprudenza; con l'art. 834
c.c., che condiziona la perdita della proprietà, in caso di espropriazione, alla sussistenza di una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata e al pagamento di una giusta indennità; e, infine, con l'art. 822, 2° com
ma, c.c., che si riferisce ai beni del demanio c.d. accidentale, subordinan doli al relativo regime solo in quanto di proprietà dello Stato (o di un ente territoriale), e quindi ammettendo che essi possano anche essere, alternativamente, di proprietà privata.
La sentenza doveva risolvere solo la circoscritta questione del momento di decorrenza della prescrizione dell'azione del proprietario dell'area oc
cupata. Perciò, una volta negata, a tal fine, che la costruzione dell'impre sa comportasse di per sé il trasferimento della proprietà, non ha ritenuto di contrapporre alla giurisprudenza che sembrava consolidata, una com
pleta costruzione alternativa dell'ipotesi tanto spesso ricorrente, né, tanto meno, di esplorarne tutte le possibili implicazioni. Però di soluzioni alter native ne ha fatta intravedere più d'una. In chiave di unificazione del la proprietà dell'area con quella dell'opera pubblica costruita sopra
Il Foro Italiano — 1987.
Svolgimento del processo. — Il parroco della chiesa di San
Pietro in Trasmazzano di Mazara del Vallo convenne davanti al
Tribunale di Marsala con citazione del 12 novembre 1977 il co
mune di Mazara del Vallo per ottenere il risarcimento del danno
patito dalla parrocchia per effetto della occupazione senza titolo
da parte del comune convenuto, che vi aveva realizzato delle stra
de urbane, di 2113 mq. di terreno di proprietà della parrocchia in contrada «Banna Tonnarella» di quel comune.
Il tribunale accolse la domanda e condannò il comune conve
nuto a pagare alla parrocchia la somma di lire 120.120.000, oltre
la svalutazione monetaria dal 24 ottobre 1978, gli interessi e le
spese. In parziale accoglimento del gravame del comune, la Corte d'ap
pello di Palermo, con sentenza depositata il 23 aprile 1983, di
chiarò «prescritto fino al 12 novembre 1972 il diritto della
parrocchia ... al risarcimento del danno, limitatamente, alla ma
cata utilizzazione di mq. 2002 di terreno» confermando per il
resto l'impugnata sentenza.
La corte ritenne fra l'altro che la pretesa risarcitoria non potes se essere in contrasto con l'onere del proprietario, previsto dal
l'art. 24 della legge urbanistica (17 agosto 1942 n. 1150) di cedere, a scomputo del contributo di miglioria, l'area di sua proprietà su cui vennero realizzate le opere di urbanizzazione primaria, non
risultando «... procedimento in corso tra le parti diretto a con
cretizzare la menzionata norma, o tanto meno un valido atto di
cessione volontaria». Ritenne altresì che la eccezione di prescri zione avanzata dal comune con riferimento a tutti i diritti posti a base delle domande della parrocchia, potesse essere accolta li
mitatamente alla perdita dei frutti per il periodo precedente al
quinquennio anteriore alla data della citazione, e cioè per il pe riodo dal 1962, data nella quale aveva avuto luogo l'occupazio
ne, al 1972, essendo stata notificata la citazione nel 1977.
Per quanto invece riguarda la perdita del bene la corte di Pa
lermo si adeguò all'orientamento indicato dalle sezioni unite di
questa corte nella sentenza 13 febbraio 1980, n. 1016 (Foro it.,
1981, I, 2516), espressamente citata, secondo cui la costruzione
dell'opera pubblica non può segnare il momento della decorrenza
del termine prescrizionale, in quanto la destinazione del fondo
illegittimamente occupato e incorporato nell'opera pubblica ne
impedisce la restituzione al proprietario, ma non fa venire meno
la illiceità dell'occupazione, che ha natura permanente e importa,
perciò, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno
comincia a decorrere solo dal momento in cui cessa la condotta
antigiuridica; il che potrebbe aver luogo — in conseguenza della
imprescrittibilità del diritto di proprietà — solo con l'acquisto della proprietà da parte della p.a. in uno dei modi previsti dalla
legge. Ricorre a questa corte il comune, esponendo tra motivi di cas
sazione. La parrocchia non si è costituita.
Motivi della decisione. — Il comune ricorrente, denunciando
col primo motivo violazione e falsa applicazione degli art. 24 e
28 1. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modificazioni, nonché
omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo, ripro
pone la tesi, respinta dalla corte del merito, della infondatezza
della pretesa risarcitoria della parrocchia per effetto dell'onere
di essa, e, quindi, sotto questo profilo, in armonia con la giurisprudenza suddetta, la più innovativa è quella che comporterebbe l'acquisto da par te del privato dell'opera stessa: secondo i principi della accessione per cosi dire normale, che nell'ipotesi sarebbe consentita nei casi di demanio solo accidentale, secondo il già richiamato art. 822, 2° comma, c.c. Nella medesima chiave, sarebbe pure profilabile la concentrazione di ambedue le proprietà nell'amministrazione, che acquisterebbe cosi anche l'area; ma non per il solo fatto (illecito) della costruzione dell'opera: ma per una sorta di consenso-rinuncia del proprietario, quando la esprima, e, per cosi dire, la oggettivi, nella richiesta di risarcimento di un danno che
quantifichi in riferimento al valore integrale del bene occupato. Rimar rebbe da valutare la possibilità di mantenere divise le due proprietà: il
proprietario potrebbe allora chiedere il risarcimento del danno per la in
disponibilità di un bene che rimarrebbe comunque suo; risarcimento che, perciò, non potrebbe mai arrivare al pieno valore di questo.
Vedremo se la giurisprudenza consolidata manterrà le sue posizioni; o, altrimenti, quale soluzione alternativa preferirà, tra queste già ipotiz zate, o, magari, tra altre da prospettare; nella speranza che essa non
ripiombi nella confusione anteriore alla sentenza n. 1464/83, che almeno, il merito di dare un minimo di certezza al riguardo sicuramente lo ha avuto. [A. Romano]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di cessione di aree necessarie per le opere di urbanizzazione a
scomputo dei contributi di miglioria. La censura è manifestamente infondata perché il fatto che esi
stesse nell'ordinamento la possibilità per il comune di acquisire quelle aree lecitamente, non esclude affatto l'illiceità del suo ope rato e la conseguente sua responsabilità, che consiste appunto nel non avere fatto ricorso, per conseguire gli scopi di pubblica utilità che si proponeva, alle procedure legali all'uopo predispo ste. In particolare, per quanto riguarda l'art. 24 1. n. 1150 del
1942, nel testo vigente all'epoca del fatto (1962), il comune, per potere esercitare la facoltà di chiedere ai proprietari delle aree
latistanti di cedere il suolo corrispondente a metà della larghezza della via o piazza da formare, avrebbe dovuto prima istituire il
contributo di miglioria, e poi ottenere la cessione a scomputo di esse, ciò che, contrariamente a quanto in modo arbitrario af
ferma il ricorrente, non può certo avvenire in modo tacito. Non
risulta che il comune avesse istituito detto contributo, anzi dalle
sue difese si deve desumere con sicurezza il contrario.
Lasciando per ultimo il secondo motivo, che richiede una trat
tazione lunga, va rilevata la infondatezza del terzo motivo, con
il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 2056 e 1223 c.c. e omessa motivazione per la mancata applicazio ne del principio della compensatio lucri cum damno, in relazione
al fatto che le aree di proprietà della parrocchia avrebbero avuto
un incremento di valore determinato dalle opere di urbanizzazio
ne, sistemazione e costruzione delle strade. È invero sufficiente
rilevare che la questione non ha formato oggetto dei motivi d'ap
pello, e non può essere sollevata per la prima volta in questa sede di legittimità, richiedendo accertamenti e valutazioni di fatto
non chiesti né eseguiti in sede di merito. La pretesa peraltro si
porrebbe in netto contrasto con la costante giurisprudenza di questa corte sul punto (sent. 15 dicembre 1980, n. 6485, id., 1981, I,
2515; 13 settembre 1979, n. 4759, id., Rep. 1979, voce Espropria zione per p.i., n. 156; 20 maggio 1977, n. 2076, id., Rep. 1977, voce cit., n. 241; 10 marzo 1976, n. 822, id., Rep. 1976, voce
cit., n. 354). Con ciò si risponde anche all'ultima parte della censura del
primo mezzo, nella quale si addita una carenza di motivazione
per non essersi tenuto conto dell'indebito arricchimento del pro
prietario. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applica
zione degli art. 2935 e 2947 c.c. in relazione agli art. 2043, 2056
e 1223 dello stesso codice, e vizi logici di motivazione, per non
avere la corte ritenuto prescritto il diritto della parrocchia al ri
sarcimento del danno, posto che l'illecito consumato dal comune
si verifica con la realizzazione dell'opera pubblica, che determina
la perdita definitiva e irreversibile del bene, ragion per cui deve
ritenersi che si tratti di illecito istantaneo, con la conseguenza che doveva accogliersi la eccezione di prescrizione proposta dal
comune in relazione alla circostanza pacifica che l'illecito si era
verificato nel 1962 e la domanda era stata proposta nel 1977.
Nella memoria poi il ricorrente richiama le sentenze di questa corte 4 dicembre 1985, n. 6070 e 15 novembre 1985, n. 5597 (id.,
Rep. 1985, voce cit., nn. 296, 305), secondo le quali la irreversi
bile acquisizione del fondo per la realizzazione di opera pubblica da parte della p.a. che operi in regime di occupazione illegittima, o perché tale originariamente (come nella specie), o perché tale
divenuta a seguito della scadenza del periodo assegnato, compor ta non già l'esistenza di un illecito permanente, bensì' la sussisten
za di un illecito istantaneo, come tale suscettibile di determinare
l'estinzione del diritto dominicale del privato con la contestuale
acquisizione di esso a titolo originario in capo all'ente costruttore.
La compiuta esposizione delle ragioni che sorreggono tale orien
tamento si trova nella sentenza delle sezioni unite di questa corte
26 febbraio 1983, n. 1464 (id., 1983, I, 626), alla quale tutte le altre successive conformi — comprese quelle ora ricordate —
si richiamano.
Questo collegio ritiene di dovere prendere sulla questione una
posizione diversa in punti fondamentali da quella espressa dalle
sezioni unite in detta sentenza, e dopo di allora condivisa da nu
merose pronunce, tutte nello stesso senso (sent. 15 maggio 1986, n. 3201, 29 maggio 1986, n. 3629, id., Mass., 568 e 641, fra le più recenti).
In esse si afferma che la radicale trasformazione di un fondo
di proprietà privata — occupato dalla p.a. illegittimamente, per mancanza del provvedimento autorizzativo o per decorrenza dei
termini della occupazione legittima — irreversibilmente destinato
Il Foro Italiano — 1987 — Parte I-114.
alla realizzazione della opera pubblica, produce l'acquisto a tito
lo originario della proprietà da parte della p.a. e l'attribuzione
al privato del diritto al risarcimento del danno derivante dalla
perdita del diritto di proprietà. Corollario di tale affermazione — espresso nelle richiamate sentenze — è che l'azione spettante al privato contro la p.a. diretta ad ottenere il risarcimento del danno è soggetta alla prescrizione quinquennale prevista dall'art.
2947, 1° comma, c.c. con decorrenza dal giorno in cui la tras
formazione del bene rivela la sua irreversibile destinazione ad opera pubblica.
Queste conclusioni, che hanno mutato radicalmente il prece dente indirizzo largamente prevalente nella giurisprudenza di questa corte (indirizzo che, sia pure con conseguenze non uniformi nella
applicazione ai singoli casi, si manteneva legato al principio che il privato non perde la proprietà dell'immobile, nonostante la im
possibilità di recuperarne il possesso a seguito della esecuzione
dell'opera pubblica su di esso) poggiano sulle seguenti argomen tazioni: a) la asserita permanenza in vita del diritto di proprietà è inconciliabile con il totale svuotamento dei poteri del proprieta rio di godere della cosa, provocato dalla radicale trasformazione
del bene mediante la esecuzione dell'opera pubblica; b) la vicen da della occupazione illegittima dell'immobile di un privato per la costruzione su di esso di un'opera pubblica implicante la radi
cale trasformazione del bene si svolge al di fuori di qualsiasi pre visione normativa, onde è inevitabile il ricorso ai principi generali
dell'ordinamento; c) l'ordinamento vieta di ritenere possibile la
coesistenza di due diritti di proprietà, uno sul suolo in capo all'o
riginario titolare ed uno sulla costruzione in capo al costruttore;
d) le norme relative al conflitto tra l'originario proprietario della
cosa e il costruttore (o il trasformatore in genere) costituiscono
espressione di un principio generale in base al quale regola per la composizione del conflitto è l'attribuzione della proprietà sia
del suolo sia della costruzione al soggetto portatore dell'interesse
ritenuto prevalente, secondo una valutazione d'ordine economico
sociale correlata al livello di sviluppo della società civile; e) l'ope ra pubblica, una volta costruita, comprende ormai nella sua uni
tà funzionale anche il suolo, parte essenziale della sua struttura
fisica. Alla trasformazione materiale deve corrispondere la tras
formazione giuridica del bene privato e tale mutamento del suo
regime giuridico non può realizzarsi che in termini di acquisto a titolo originario della proprietà del suolo privato da parte del
soggetto autore della costruzione dell'opera pubblica, secondo un
meccanismo identico nella struttura rispetto a quello della acces
sione disciplinato dal codice civile per quanto attiene ai rapporti fra privati, dovendosi, in base al criterio dell'interesse prevalente, sacrificare l'interesse del privato proprietario del suolo e privile
giare quello dell'ente pubblico autore della costruzione.
Questo collegio non si attarderà certo a rilevare le gravi incon
gruenze, del resto ampiamente poste in evidenza dalla prevalente
dottrina, della tesi giuridica esposta, che comporta la creazione
di un nuovo modo di acquisto della proprietà, operante solo e
nel momento in cui la p.a. cade nell'illecito. Non si fermerà nep
pure, non essendo questo il suo compito, a valutare se l'adozione
di una soluzione cosi drastica dei gravi problemi suscitati dalla
vicenda in questione, purtroppo cosi frequente nella pratica, non
aggrovigli ancora di più questi problemi almeno in molti dei casi
che si presentano all'esame del giudice, con inconvenienti non
minori di quelli imputati all'indirizzo giurisprudenziale prevalen te prima della svolta del 1983. Per adempiere la propria funzione
di fare osservare la legge, ritiene la corte sufficiente dimostrare
la inaccettabilità, a suo giudizio, delle proposizioni sopra riporta te sub a) e sub b). È manifesto infatti che non si giustifica la
ricerca di una disciplina ricavabile dai principi generali dell'ordi
namento giuridico per un fatto che trova invece compiuta disci
plina in norme esplicite dell'ordinamento stesso. Ed è altrettanto
manifesto che è del tutto superfluo, una volta dimostrata l'esi
stenza di questa disciplina positiva, attardarsi nella pur agevole dimostrazione della inaccettabilità anche delle altre proposizioni
sopra elencate.
La prima delle proposizioni, quella sub a), trascura il noto prin
cipio della c.d. elasticità del diritto di proprietà, per cui esso è
capace di sopportare, senza estinguersi, le più gravi compressio ni. Si pensi a ciò che rimane del diritto di proprietà, in termini di godimento e di disposizione della cosa, nel dominio diretto
relativo a una enfiteusi; eppure nessuno dubita del permanere del diritto di proprietà in capo al titolare del dominio diretto
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1731 PARTE PRIMA 1732
con la conseguenza che la estinzione del dominio utile determina
senz'altro, ossia automaticamente, il riespandersi del diritto di
proprietà mediante il recupero da parte del titolare del dominio
diretto di tutte le facoltà di godimento diretto della cosa e di
disposizione della stessa. Se ciò è vero nel campo del lecito, a
maggior ragione lo è quando la privazione delle facoltà di godi mento e di disposizione avvengono per un fatto illecito subito
dal proprietario. Poiché non si può fare una graduazione, a que sti fini, fra i fatti illeciti, la situazione non può essere diversa
nel caso in cui il fatto illecito sia imputabile alla p.a. Per vero la particolarità in quest'ultimo caso è che, quando
sul fondo del privato sia stata eseguita un'opera pubblica, l'abla
zione di quelle facoltà assume — si ritiene — un aspetto di defi
nitività con il quale occorre fare i conti. Certamente non sarebbe
sufficiente spiegare il fenomeno come il risultato di una normati
va meramente processuale, quale è la limitazione dei poteri del
giudice di fronte agli atti della p.a. (art. 4 1. 20 marzo 1865 n.
2248, ali. E), essendo questo collegio ben convinto della inciden
za sui diritti sostanziali che hanno le regole del processo, nel qua le omne ius revertitur. Tuttavia proprio l'autorevole sentenza qui criticata contiene una ricognizione dell'indirizzo giurisprudenzia le volto a circoscrivere entro limiti sempre più ristretti la efficacia
del divieto, il quale non opererebbe quando l'utilizzazione (illeci
ta) del bene del privato, anche se per un fine istituzionale della
p.a., non si presenti come esercizio di un potere ablatorio, cioè
come frutto di un'effettiva valutazione dell'indispensabilità del
bene e della sua utilizzazione rispetto allo specifico fine persegui to nel caso concreto.
Ma è quell'aspetto di definitività che occorre verificare critica
mente — eventualmente anche in relazione alle conseguenze sulla
natura e sull'ammontare dei danni da riconoscere al proprietario — perché, per la ricordata caratteristica di elasticità del diritto
di proprietà, la sua compressione, per quanto portata fino ai li
miti estremi e per quanto protratta, non è sufficiente a sottrarre
al suo titolare il diritto di proprietà, come è comprovato dal fatto
che, in caso di perimento (non dell'intero fondo ma) della (sola)
opera pubblica, non occorre certo che il privato riacquisti il dirit
to di proprietà sul fondo che non ha mai perduto per essere reim
messo nell'esercizio delle normali facoltà di godimento e di
disposizione. Si può pensare senza difficoltà al caso (non fre
quente, ma non certo immaginario) della modifica del tracciato
di una nuova strada, con abbandono di quello anteriormente ese
guito. Si può aggiungere che il divieto di cui all'art. 4 1. 2248/1865, ali. E, è posto solo al giudice ordinario. Una volta che questo abbia accertato definitivamente la illiceità della situazione creata
dalla p.a. ben può il proprietario adire il giudice amministrativo
per il giudizio di ottemperanza. Sicché non sembra da condivide
re la affermazione, almeno nei termini generali e recisi in cui
viene enunciata, che la costruzione dell'opera pubblica determina
la perdita definitiva di ogni potere inerente al diritto di proprietà.
Queste considerazioni mostrano l'errore che si annida nella con
cezione qui avversata, che è quello di trascurare la comune nozio ne del diritto di proprietà, secondo la quale questo non si esaurisce
nella somma delle facoltà in esso contenute, ma le trascende per costituire una posizione giuridica sintesi e fonte (e non somma) di quelle facoltà, cosi come trascura di considerare che l'oggetto del diritto di proprietà è tutto ciò che si trova entro determinati
confini, onde è stato detto, sia pure impropriamente, che il dirit
to di proprietà (su immobili, occorre precisare, per tener conto
degli approfondimenti dottrinali circa il diverso contenuto di questo diritto a seconda del suo oggetto) ha per oggetto uno spazio. L'esattezza della intuizione è dimostrata dalle non superabili dif
ficoltà che si incontrano quando si pretende di identificare il suo
lo separatamente dal sottosuolo o dall'edificio su di esso eretto
e di dare ad essi una delimitazione fisica che non possono mai
avere.
Dimostrata cosi che non può essere condivisa la affermazione
sub a) si può passare alla critica di quella sub b). Sembra alla corte che la non accettabilità di questa argomenta
zione, secondo la quale la vicenda in esame si svolgerebbe al di
fuori di qualsiasi previsione normativa, costituisca un errore di
logica giuridica, consistente nella pretesa che sia disciplinato in
negativo un fenomeno che trova già in positivo una compiuta e articolata disciplina.
In altri termini se è vero che la legge, sulla base dei precetti costituzionali (art. 42), i quali assicurano alla proprietà privata riconoscimento e garanzia e demandano al legislatore di stabilire i
Il Foro Italiano — 1987.
modi di acquisto della proprietà e i casi nei quali la proprietà
privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, contiene una compiuta disciplina dei modi di acquisto della pro
prietà indicati nell'art. 922 c.c.; se è vero che uno dei solenni
precetti di legge è che nessuno può essere privato in tutto o in
parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico
interesse, legalmente dichiarata e contro il pagamento di una in
dennità (art. 834 c.c.); se è vero che la legge contiene una artico
lata disciplina dei procedimenti di espropriazione dei beni di
proprietà privata, che certo non occorre immorare ad illustrare; se tutto ciò si colloca fuori dell'ambito del discutibile, risulta as
solutamente inaccettabile la fondamentale premessa logico-giuridica da cui muove la costruzione qui avversata, e cioè che «la vicenda
si svolge al di fuori di qualsiasi previsione normativa», con la
conseguenza di rendere «inevitabile il ricorso ai principi generali dell'ordinamento». Almeno una volontà di legge si ricava chiara
e perentoria da queste norme positive sommariamente richiama
te, ed è che la p.a. non acquista la proprietà del bene del privato se non nei modi previsti e disciplinati, volontà che esclude radi
calmente il contrario risultato cui, con costruzione logico-giuridica
inaccettabile, giunge l'indirizzo giurisprudenziale da cui questo
collegio intende discostarsi.
Il collegio ritiene pertanto che non si possa affermare l'acqui sto della proprietà del suolo del privato da parte della p.a. me
diante la costruzione dell'opera pubblica eseguita sull'immobile
illegittimamente occupato, senza violare l'art. 42 Cost., l'art. 834
e l'art. 922 c.c.
Per quanto ciò sia sufficiente — come già si è anticipato —
a impedire l'adesione alle conclusioni enunciate dalla sentenza delle
sezioni unite n. 1464 del 1983, non sembra inutile aggiungere che
la critica affermazione comporta anche la violazione degli art.
984 e 936 c.c., a norma dei quali qualunque costruzione esistente
sotto o sopra il suolo appartiene al proprietario di questo, e il
proprietario del suolo acquista la proprietà della costruzione ese
guita da un terzo con materiali propri. Soltanto negando l'antico e consolidato principio enunciato da
queste norme è possibile infatti impiantare la questione (sulla pre messa della impossibile coesistenza di un diritto sul suolo e di
un diritto sull'opera in esso eseguita) della scelta del portatore dell'interesse prevalente tra il privato proprietario del suolo e la
p.a. costruttrice dell'opera. Al qual riguardo si dà peraltro per scontato — per pervenire alla soluzione qui criticata — che il
privato debba in ogni caso soccombere di fronte all'ente pubblico in quanto questo ha agito per la soddisfazione di un interesse
non proprio, ma della collettività dei cittadini; concetto, questo, che dovrebbe ritenersi superato nell'attuale assetto politico, aven
te come valori fondamentali, fra gli altri, le garanzie per la liber
tà e gli averi del singolo cittadino nei confronti dei pubblici poteri. Non sono giustificate, a parere del collegio, le perplessità ma
nifestate riguardo al verificarsi dell'acquisto per accessione da una
parte della dottrina, restia ad ammettere la operatività del richia
mato principio a favore del privato nei confronti della p.a. Infat ti il 2° comma dell'art. 822 c.c. stabilisce — a differenza di quanto avviene per i beni del c.d. demanio necessario contemplati nel
1° comma dello stesso articolo — che solo se appartengono allo
Stato (e correlativamente, solo se appartengono ai comuni e alle
province: art. 824 c.c.) fanno parte del demanio pubblico le stra
de, le autostrade e le altre opere pubbliche ivi menzionate. Dal
che si deduce che tali opere sono suscettibili di proprietà privata; e pertanto non vi è alcun ostacolo all'applicazione del principio della accessione a favore del privato nei confronti della p.a.
Si dimostra cosi che l'affermazione dell'acquisto della proprie tà del suolo del privato da parte della p.a. mediante la costruzio
ne dell'opera pubblica in regime di occupazione abusiva costituisce
violazione anche del richiamato 2° comma dell'art. 822 c.c. Inve
ro se l'acquisto della proprietà è un presupposto perché l'opera entri a far parte del demanio pubblico, non si può, senza violare
la norma, affermare che la sua semplice costruzione ne determina
l'acquisto in proprietà in favore della p.a.
Quest'ultimo evento può ammettersi solo per i beni del dema
nio c.d. necessario, insuscettibili di proprietà privata (1° com
ma), ma non si può ammettere, perché la norma non lo consente,
per le opere pubbliche che del demanio c.d. necessario non fanno
parte. Non giova pertanto alla tesi qui criticata la insistenza nel rilie
vo che, una volta eseguita l'opera pubblica, questa costituisce nella sua unità funzionale un nuovo bene e che la costruzione di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
un'opera pubblica su un suolo illegittimamente occupato ne com
porta una trasformazione cosi totale da provocare la perdita dei
caratteri e della destinazione propria del fondo, il quale non sa
rebbe più quello di prima; dal che si dedurrebbe la conseguenza che il nuovo bene, anche se utilizza un preesistente bene privato, lo attrae nella propria disciplina giuridica, che sarebbe quella pro
pria dei beni del demanio pubblico. Per quanto riguarda infatti il fenomeno fisico si osserva in con
trario che esattamente lo stesso avviene nel caso di costruzione
di un edificio ad opera di un privato su suolo altrui, non poten dosi negare che, da questo punto di vista, l'edificio sia un bene
del tutto nuovo e diverso dal suolo utilizzato per la sua costruzio
ne, attratto nella unità funzionale dell'edificio. Eppure non si
è mai dubitato della applicazione, in queste ipotesi, del principio dell'accessione in favore del proprietario del suolo, per quanto
importante, imponente e preziosa sia la costruzione rispetto ai
pregi del suolo.
Per quanto riguarda l'aspetto giuridico del fenomeno si è già osservato che non si può ritenere il verificarsi dell'attrazione del
suolo nella disciplina giuridica propria dei beni del demanio pub blico senza violare il 2° comma dell'art. 822 c.c.
D'altro canto la costruzione giuridica qui criticata, mentre esclu
de esplicitamente la possibilità della coesistenza dei due distinti
diritti di proprietà, uno sul suolo e uno sull'opera pubblica in
esso costruita, non spiega la situazione giuridica di questi beni
per il periodo di tempo anteriore alla scadenza della occupazione
legittima; e poiché l'acquisto della proprietà del suolo in favore
della p.a. si verificherebbe (quando l'opera pubblica sia stata co
struita prima) soltanto allo scadere della occupazione legittima, sembra implicitamente ammettere per il periodo anteriore ciò che
in principio è negato, ossia la coesistenza fra i due diritti di pro
prietà. Pure un cenno merita l'argomento, che in favore della enuclea
zione di un supposto principio generale per l'attribuzione della
proprietà dello unicum al soggetto portatore dell'interesse ritenu
to prevalente, si pretende trarre dall'art. 938 c.c. L'argomento trascura infatti non solo la natura eccezionale della norma, co
munemente riconosciuta, rispetto al principio stabilito negli art.
934 e 936 ai quali invece si pretende di accostarla — e non solo
la necessità della presenza, per l'applicazione di essa, di determi
nati requisiti, che con la costruzione di un'opera pubblica su suo
lo del privato abusivamente occupato non hanno normalmente
nulla a che vedere, ma trascura soprattutto di considerare che
l'acquisto del suolo occupato non avviene in questa ipotesi in
favore del costruttore in forza della costruzione, ma in forza di
un provvedimento del giudice, di natura, secondo comune opi
nione, costitutiva e con efficacia traslativa della proprietà della
zona occupata, con esclusione quindi di un acquisto a titolo ori
ginario. Certamente con la opinione qui seguita si ripropone quel nodo
di gravi problemi, derivanti dalla coesistenza (entro gli stessi con
fini) dell'opera pubblica e della proprietà del privato, che la sen
tenza n. 1464 del 1983 passa in rassegna e che con la stessa sentenza
si ritiene di risolvere mediante il taglio netto rappresentato dal
l'acquisizione della proprietà da parte della p.a. occupante. Non
è questa la sede per dimostrare che, se alcuni problemi si tronca
no con la soluzione qui avversata, altri non meno gravi si pro
pongono. Sul punto il collegio ritiene sufficiente, ai fini di questa
decisione, osservare che per i motivi già esposti non ci può essere
alcun ostacolo concettuale per ritenere la permanenza della pro
prietà del privato nonostante la esecuzione sul suo suolo dell'ope
ra pubblica. Peraltro la sorte di questo diritto di proprietà non può rimane
re indenne da ogni effetto per il pagamento della aestimatio rei
da parte dell'amministrazione occupante. Sembra chiaro infatti che, quando il proprietario, esponendo
questa vicenda, si fa avanti in giudizio a chiedere a titolo di risar
cimento del danno il valore integrale del bene occupato (il che
può fare soltanto dando per scontata la perdita definitiva del be
ne), esprime una volontà del tutto incompatibile — anche sul
piano pratico, come l'esperienza dimostra — con quella di man
tenere, nonostante il pagamento, la proprietà del bene stesso, si
tuazione questa, che può non verificarsi nel caso di pagamento
della aestimatio rei prevista dall'ultima parte del 2° comma del
l'art. 948 c.c. Si tratta di una disposizione chiaramente sanziona
toria a carico di qui dolo desiit possidere dopo la proposizione
contro di lui della rivendica, ossia dopo la manifestazione della
It Foro Italiano — 1987.
volontà del proprietario di recuperare il possesso del bene ogget to del suo diritto. Sembra a questa corte che nel caso dell'azione
di risarcimento contro la p.a. per la occupazione del bene del
privato e la costrizione in esso di un'opera pubblica sia enuclea
bile nella proposizione dell'azione stessa una chiara volontà del
privato di abbandonare il diritto di proprietà in favore dell'occu
pante, secondo schema uno ignoto all'ordinamento, trovando
espressione per es. nell'art. 1070 c.c., che prevede l'abbandono
del fondo servente mediante rinunzia alla proprietà a favore del
proprietario del fondo dominante, nell'art. 1104 c.c. che prevede l'abbandono del diritto del comunista sulla cosa comune a favore
degli altri partecipanti nell'art. 550 c.c. che prevede l'abbandono
della nuda proprietà della disponibile da parte del legittimario a favore del legatario.
Ai fini della decisione che questo collegio deve emettere sulla
censura contenuta nel mezzo di ricorso in esame si deve dunque osservare conclusivamente che appare corretta la statuizione della
corte del merito di rigetto della eccezione di prescrizione dell'a
zione di risarcimento del danno proposta dall'attore. A sostegno di tale rigetto non è necessario, a parere di questo collegio, affer
mare la natura reale dell'azione promossa dal proprietario contro
la p.a. occupante, essendo sufficiente osservare che, se è vero, come si è cercato di dimostrare, che nonostante l'esecuzione del
l'opera pubblica il privato rimane titolare del diritto di proprietà, non si può non riconoscere che la lesione di questo diritto, cagio nata dalla occupazione, è una lesione attuale, fino a quando que sto diritto non si estingua, perché in ogni momento, finché il
diritto è in vita, il proprietario può chiedere il ripristino delle
sue facoltà di godimento e di disposizione e dunque in ogni mo
mento, fino a quell'evento, opera l'ostacolo illecito che tale ripri stino impedisce.
Il collegio ritiene pertanto incoerenti le pronunce di questa cor
te anteriori alla svolta del 1983, che, senza affermare l'acquisizio ne del diritto di proprietà da parte della p.a. occupante, hanno
ritenuto che la prescrizione dell'azione de qua decorresse dall'ini
zio o, con diversa soluzione, dal compimento dell'opera pubbli ca. E ritiene quindi che la coerenza, per questa parte, si è raggiunta soltanto con l'affermazione — enunciata argomentatamente dalla
sentenza n. 1464 cit. — dell'acquisto a titolo originario della pro
prietà da parte della p.a. occupante mediante l'esecuzione dell'o
pera pubblica, ma a costo di sconvolgere — come si è visto —
ricevute e consolidate nozioni di diritto e con argomentazioni non
sostenibili sotto il profilo della logica giuridica. Poiché nella vicenda in esame il diritto di proprietà della par
rocchia sull'immobile occupato era ancora in vita al momento
in cui l'azione è stata proposta, bene la corte di Palermo ha riget tato l'eccezione di prescrizione opposta dal comune occupante.
In conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato.
0Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 aprile
1987, n. 3179; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Sensale,
P. M. Sgroi V. (conci, conf.); Soc. Delta (Avv. Piga, Ventu
rini) c. Moretti (Avv. Bruni) e Soc. Teleradio Orobica. Cassa
App. Brescia 10 giugno 1983.
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Emittenti locali private — Difetto di autorizzazione — Interferenze ad opera di altra
stazione non autorizzata — Tutela petitoria e possessoria —
Ammissibilità (Cod. civ., art. 1168, 1170, 2598).
L'interesse di chi eserciti, in difetto di autorizzazione, un impian to televisivo locale è tutelabile, sia in sede possessoria sia in
sede petitoria, nei confronti di altra emittente, anch'essa sprov vista di autorizzazione, che provochi interferenze nelle bande
di frequenza utilizzate dal primo (sulla base di tale principio,
è stata cassata la sentenza di appello che aveva negato la possi
bilità di dedurre un illecito concorrenziale). (1)
(1) La pronuncia ora cassata (App. Brescia 10 giugno 1983, Foro it.,
Rep. 1984, voce Radiotelevisione, n. 40, che confermava Trib. Bergamo 14 aprile 1981, id., Rep. 1982, voce Concorrenza (disciplina), n. 10) s'in
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