sezione II civile; sentenza 18 gennaio 1987, n. 779; Pres. Parisi, Est. Sammartino, P. M.Martinelli (concl. conf.); Valeruz (Avv. Pugliesi, Fontaine) c. Ponte (Avv. Simonetti). ConfermaApp. Trento 28 gennaio 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1061/1062-1065/1066Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179881 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
in conseguenza del compimento da parte del lavoratore di atti
integranti grave, colpevole negazione degli elementi essenziali del
rapporto di lavoro (cfr. ad es. le sentenze 26 gennaio 1970, n.
161, Foro it., Rep. 1970, voce Lavoro (rapporto), n. 517; 7 otto
bre 1974, n. 2648, id., 1975, I, 371 e recentemente quella 1° mar
zo 1985, n. 1784, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2009) nonché in
quelle che hanno configurato detto licenziamento come «discipli nare» (cfr. ad es. le sentenze 17 luglio 1974, n. 2144, id., Rep.
1974, voce cit., n. 631, e 15 dicembre 1975, n. 4119, id., Rep.
1975, voce cit., n. 710) con conseguente esigenza di verifica del
requisito di proporzione tra mancanza e sanzione, e inoltre in
quelle decisioni che, anche recentemente, hanno ribadito la ne
cessità, onde stabilire la sussistenza degli estremi della giusta cau
sa, dell'indagine circa la portata anche soggettiva del
comportamento del dipendente (cfr. ad es. le sentenze 6 settem
bre 1982, n. 4833, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1685; 11 agosto
1983, n. 5361, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2226 e 11 novembre
1983, n. 6700, ibid., n. 2216; v. altresì', in relazione all'ipotesi di conversione dell'atto di licenziamento, ad es. le sentenze 10
luglio 1984, n. 4025, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1931 e 5 novem
bre 1985, n. 5364, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2017). Tutto ciò
trova peraltro riscontro nelle fonti collettive le quali normalmen
te ricollegano il licenziamento senza preavviso a ipotesi di «man
canze» particolarmente gravi, come tali poste in essere dal
lavoratore con dolo o colpa grave. L'introduzione poi del concetto di giustificato motivo oggetti
vo di licenziamento di cui alla seconda parte dello stesso art. 3
1. n. 604 del 1966 ha permesso di comprendere in esso tutte quelle
ipotesi che, a prescindere dalla responsabilità del lavoratore, co
stituiscono una situazione d'incompatibilità per il mantenimento
del rapporto di lavoro il quale può pertanto essere risolto per iniziativa del datore di lavoro e con preavviso (nel termine e nei
modi stabiliti dalla contrattazione collettiva, con la corresponsio
ne, in mancanza, della relativa indennità: art. 2118, 1° e 2° com
ma, c.c.). In tale previsione rientrano pertanto tutte le situazioni
di carattere tecnico-economico-organizzativo che, ove debitamen
te provate dallo stesso datore di lavoro (art. 5 1. n. 604 del 1966), siano tali da non consentire l'ulteriore proficuo impiego del di
pendente, come pure quelle altre ipotesi di non regolari prestazio ni del lavoro da parte dello stesso, ascrivibili però a cause non
a lui imputabili (art. 1218 c.c.), che siano di entità tale da esclu
dere l'oggettivo interesse produttivo dell'impresa a mantenere in
vita il rapporto e ricevere le ulteriori possibili prestazioni. Siffatte ipotesi appaiono riferibili in via di principio allo sche
ma della parziale impossibilità sopravvenuta della prestazione di
cui all'art. 1464 c.c. da interpretare tuttavia alla stregua dei pecu liari principi di cui alla 1. n. 604 del 1966 (cfr., per il caso di
carcerazione preventiva dovuta a fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro, ad es., Cass. 14 aprile 1981, n. 2256,
id., 1981, I, 2975, e i richiami in essa contenuti), e fra esse deve
certamente ritenersi compresa quella della sopravvenuta malattia
del lavoratore, fisica o psichica, che sia di durata indeterminata
o indeterminabile (cfr. espressamente sul punto, in riferimento
a situazione di non ricollegabilità alle previsioni di sospensione
legale del rapporto, le sentenze 29 aprile 1976, n. 1556, id., Rep.
1976, voce cit., n. 689 e 18 novembre 1981, n. 6126, id., Rep.
1981, voce cit., n.1497; v. inoltre, sul superamento del periodo di comporto, la sentenza 2 marzo 1977, n. 869 id., Rep. 1977,
voce cit., n. 779).
Allorquando perciò si verifichino circostanze di tal genere non
dovute — ripetesi — a fatti imputabili al lavoratore, il datore
di lavoro non può che intimare il licenziamento con preavviso
per giustificato motivo oggettivo, e — a parte il problema relati
vo all'avvenuto superamento del periodo di comporto di cui al
l'art. 2110 c.c. che non riguarda però la presente controversia — deve (se non lo abbia già fatto con l'atto di comunicazione
del licenziamento stesso) specificarne i motivi, ove ne sia regolar
mente richiesto a norma dell'art. 2, 2° comma, 1. n. 604 del 1966
e ciò nel termine di cinque giorni in essa previsto, e in ogni caso
enunciare tali motivi e fornire specifica prova della loro sussi
stenza in base all'art. 5 della stessa legge nel caso in cui il licen
ziamento venga contestato nella sede giudiziaria. Si osserva inoltre che, in presenza di siffatte situazioni non
imputabili al lavoratore, il datore di lavoro non può e non deve
«contestare» dei fatti al lavoratore stesso né avviare nei suoi con
fronti la procedura disciplinare prevista dall'art. 7 dello statuto
dei lavoratori, ma — come detto — deve precisare e provare le
li Foro Italiano — 1987.
ragioni che rendono, sia pur per le condizioni personali del pre
statore, non più possibile la permanenza dello stesso alle proprie
dipendenze. Richiamando pertanto quanto accennato all'inizio, va afferma
to, in relazione alla fattispecie e alle relative emergenze proces
suali, che lo strumento legale per recedere dal rapporto de quo non poteva essere il licenziamento per giusta causa, bensì quello
per giustificato motivo oggettivo con adeguata prova al riguardo, il che chiaramente non collide con la portata del suddetto art.
7 statuto lavoratori quale è stato «costituzionalizzato» dalla sen
tenza 30 novembre 1982, n. 204 (id., 1982, I, 2981) della Corte
costituzionale, che concerne pur sempre e soltanto i licenziamenti
disciplinari in senso proprio. Le suesposte osservazioni pertanto, se da un lato portano a
loro volta a superare l'impostazione che alla presente controver
sia era stata data dal primo giudice ed esattamente respinta dal
tribunale, dall'altro confermano la rilevanza negativa di quell'am
biguità nella comunicazione del licenziamento intimato alla Qui dello che il tribunale stesso ha sottolineato in una con il
fondamentale rilievo circa la mancata specificazione dei fatti e, in particolare, degli episodi che sarebbero accaduti il 23 e il 26
febbraio 1981. Le risultanze materiali si riducono pertanto so
stanzialmente al giudizio espresso dal consulente tecnico d'ufficio
il quale avrebbe dovuto tuttavia procedere alla sola valutazione
di fatti che fossero stati già specificati e provati dalla datrice di
lavoro (cfr. ad es., sulla funzione della consulenza tecnica, Cass.
3 maggio 1978, n. 2055, id., Rep. 1978, voce Consulente tecnico, n. 15, e 13 dicembre 1979, n. 6513, id., Rep. 1979, voce cit., n. 21, esattamente richiamate nel controricorso).
Le censure elevate nel ricorso circa il modo in cui il Tribunale
di Taranto ha disatteso il parere del consulente tecnico d'ufficio
vengono pertanto ad essere di per sé superate in radice proprio da tale preliminare e assorbente rilievo essendosi trattato di un
licenziamento privo di dimostrata causa giuridica. Dall'altra par te — si osserva per completezza di trattazione — la constatazione
della mancata prova di fatti sul cui verificarsi si era, in particola
re, basata la comunicazione del licenziamento contiene essa stes
sa un'implicita, ma univoca e sufficiente confutazione delle
conclusioni della consulenza, confutazione che, del resto è stata
basata altresì su apprezzamenti di fatto circa la non avvenuta
dimostrazione che le note caratteriali della Quidello avrebbero
comportato la mancata o imprecisa prestazione dell'attività lavo
rativa da parte sua o di altri dipendenti. Peraltro anche l'aspetto clinico era stato specificatamente contestato dal consulente di parte della stessa Quidello il quale aveva negato la presenza di una
personalità schizoide, il che avrebbe comportato la necessità di
un'ulteriore discussione del caso ad opera dello stesso consulente
d'ufficio oltre ad ulteriori considerazioni circa l'intrinseca natura
e la portata di determinati fattori di disturbo ambientale — che
possono essere presenti nella situazione di lavoro di una grande fabbrica — e la possibile attenuazione dei loro effetti mediante
l'adozione di idonee misure tali da favorire un più adeguato inse
rimento dei dipendenti e un più proficuo svolgimento da parte loro dell'attività lavorativa.
In base a tali ragioni, che costituiscono anche integrazione del
la motivazione della sentenza impugnata (art. 384 c.p.c.) e rima
nendo assorbito perciò ogni altro rilievo, il ricorso dev'essere
rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 gen
naio 1987, n. 779; Pres. Parisi, Est. Sammartino, P. M. Mar
tinelli (conci, conf.); Valeruz (Aw. Pugliesi, Fontaine) c.
Ponte (Avv. Simonetti). Conferma App. Trento 28 gennaio
1984.
Appello civile — Sentenza non definitiva — Riserva — Appello
proposto dalla parte non riservata contro la sentenza definitiva — Impugnazione della parte riservata contro la sentenza non
definitiva — Appello incidentale (Cod. proc. civ., art. 333, 340).
Appello civile — Appello principale in luogo di incidentale —
Ammissibilità — Condizioni (Cod. proc. civ., art. 333, 343).
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1063 PARTE PRIMA 1064
La parte che voglia impugnare la sentenza non definitiva per la
quale ha fatto riserva, se l'altra parte ha proposto appello con
tro la sentenza definitiva, deve proporre il proprio gravame nella forma incidentale. (1)
È ammissibile la proposizione dell'appello in forma principale an
ziché incidentale, purché nel rispetto del termine previsto per la proposizione dell'impugnazione incidentale. (2)
Motivi della decisione. — La questione sollevata col primo mo
tivo, consiste nel vedere in quale forma ed entro quale termine,
quando sia stata fatta riserva di appello differito contro una sen
tenza non definitiva (ex art. 278 e 279, n. 4, c.p.c.) e la sentenza
definitiva sia stata appellata dalla parte che non ha formulato
la riserva, la parte che l'ha formulata debba proporre l'appello che si è riservato contro la sentenza non definitiva.
L'art. 340/2 dispone che tale appello «deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio»
(o — ipotesi che qui non interessa direttamente — con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro l'altra
sentenza successiva che non definisce il giudizio). Poiché deve escludersi che la legge abbia inteso precludere al
riservante la possibilità di impugnare la sentenza non definitiva
se non intende impugnare anche quella definitiva (in quanto sus
siste concreto interesse di lui, a dolersi indifferentemente dell'una
o dell'altra pronuncia, sia nel caso che tra di esse corra un rap
porto di preliminarità — come nella ipotesi della condanna gene rica di cui all'art. 278 e delle questioni pregiudiziali di rito o
preliminari di merito considerate dall'art. 279, n. 4, che rinvia
ai nn. 1 e 2 — sia nel caso che tra di esse corra un rapporto di parte a tutto — come nell'ipotesi di decisione parziale di meri
to di cui allo stesso n. 4 là dove rinvia al n. 3 — l'inciso, inter
pretato in coordinamento con le altre regole dettate dagli articoli
seguenti, non può avere altro significato se non quello di obbliga
(1) Conf. Cass. 9 agosto 1983, n. 5313, Foro it., Rep. 1983, voce Ap pello civile, n. 14; 8 aprile 1983, n. 2498, ibid., voce Cassazione civile, n. 178; 19 marzo 1981, n. 1619, id.. Rep. 1981, voce Impugnazioni civili, n. 151; 22 novembre 1976, n. 4392, id., Rep. 1976, voce Appello civile, n. 18; 9 gennaio 1975, n. 51, id., Rep. 1975, voce cit., n. 14; 13 novem bre 1974, n. 3591, id., 1975, I, 2777, con nota di richiami.
La sentenza in epigrafe ha escluso che nella fattispecie in esame possa trovare applicazione l'art. 334 c.p.c., in quanto con la riserva è scontata la tardività dell'impugnazione; v., in questo senso, Cass. 21 dicembre
1971, n. 3736, id., 1972, I, 2550, con nota di richiami; ma v. Cass. 19
luglio 1979, n. 4281, id., Rep. 1979, voce cit., n. 19 e 29 marzo 1979, n. 1815, ibid., n. 20; nonché Cass. 7 marzo 1953, n. 573, id., 1953, I, 645, con nota di richiami.
Ampi richiami in tema di impugnazione delle sentenze non definitive nella nota di Scarselli a Cass. 11 luglio 1985, n. 4113, id., 1986, I, 2574.
In dottrina conf. alla sentenza in epigrafe, Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano, 1974, 74 ss.; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 795; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Mi
lano, 1981, II, 286; Satta, Commentario, Milano, 1966, II, 2, 123.
(2) È orientamento pacifico che l'impugnazione proposta autonoma
mente, ma dopo la proposizione di altra impugnazione, possa valere per incidentale purché nel rispetto dei termini di cui agli art. 343 e 371 c.p.c. V. ora le più recenti Cass. 11 gennaio 1986, n. 135, Foro it., Mass., 33; 15 dicembre 1983, n. 7393 e 19 aprile 1983, n. 2672, id., Rep. 1983, voce Impugnazioni civili, nn. 124, 123; 29 marzo 1982, n. 1963, id., Rep. 1982, voce cit., n. 125; 7 aprile 1981, n. 1980, id., Rep. 1981, voce Cassa zione civile, n. 272; 23 dicembre 1977, n. 5727, id., Rep. 1977, voce
Impugnazioni civili, n. 128; nonché Cass. 27 maggio 1982, n. 3268, id., Rep. 1982, voce cit., n. 126.
Altrettanto costante è la giurisprudenza nell'affermare che il termine
previsto per la proposizione dell'impugnazione incidentale è perentorio: v., oltre alle citate Cass. 7393 e 2672/83, 1963/82, Cass. 21 luglio 1983, n. 5025, id., Rep. 1983, voce Appello civile, n. 18; 13 dicembre 1982, n. 6838, id., Rep. 1982, voce cit., n. 22; 22 aprile 1981, n. 2381, id., Rep. 1981, voce cit., n. 25; 29 aprile 1980, n. 2843 e 11 febbraio 1980, n. 970, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 31, 32; 6 giugno 1979, n. 3195 e 2 aprile 1979, n. 1872, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 24, 23; 27 ottobre
1978, n. 4896, id., Rep. 1978, voce cit., n. 14; 29 maggio 1976, n. 1946, id., 1977, I, 2548, con nota di D. Tedeschi, e Cass. 13 ottobre 1975, n. 3310, id., 1976, I, 706, con nota di A. Proto Pisani.
L'inammissibilità dell'impugnazione incidentale è rilevabile d'ufficio; cfr. Cass. 7 marzo 1980, n. 1760 e 9 febbraio 1980, n. 922, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 30, 25.
In dottrina conf. Giudiceandrea, Le impugnazioni civili, Milano, 1952, II, 141; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957, II, 386; Sat
ta, cit., 123; Andrioli, cit., 818.
Il Foro Italiano — 1987.
re il riservante a sciogliere positivamente la riserva nella forma
e nei termini dell'impugnazione incidentale.
Infatti, siccome le questioni — pregiudiziali, preliminari o di
merito — anche se separatamente decise dalle due pronunce sono
considerate dalla legge come momenti dello stesso iter logico giu ridico che sorregge la decisione finale, quella che chiude per inte
ro la stessa causa fra gli stessi litiganti (la separazione di più cause fra le stesse o fra diverse parti, operata ai sensi degli art.
103 e 104, presuppone, come dice l'art. 279, n. 5, una pronuncia
definitiva) tanto è vero che il giudice può limitarsi ad un'unica
pronuncia quando vi sia istanza di parte e non ricorrano apprez zabili motivi per separate pronunce, il termine «unitamente» usa
to dall'art. 340/2 esprime, in corrispondenza di tale unificazione,
l'esigenza (principio della concentrazione dell'impugnazione) che
la parte, alla quale sia notificata l'impugnazione proposta dalla
controparte avverso alla sentenza definitiva, proponga in via in
cidentale non solo l'impugnazione contro la stessa sentenza ma
anche quella contro la sentenza non definitiva.
L'unica differenza residua tra le due ipotesi è nell'inestensibili
tà alla seconda dell'impugnazione incidentale tardiva, poiché per essa viene a mancare il presupposto dell'avvenuta scadenza del
termine per impugnare che non è mai cominciato a decorrere (né
quello annuale né quello breve, sia o non sia stata notificata la
sentenza, ove la controparte non l'abbia per conto suo immedia
tamente impugnata, nel qual caso ex art. 340/3 non vi è luogo a impugnazione differita) e la cui determinazione è voluta dalla
legge in stretta dipendenza dei termini di impugnazione inerenti
alla sentenza definitiva.
In altre parole: la «tardività dell'impugnazione della sentenza
non definitiva è scontata per cosi' dire nella stessa posizione della
norma di cui all'art. 340, che la regola in modo del tutto partico lare e diverso dalla tardività dell'impugnazione incidentale rego lata dall'art. 334, misurata rispetto a un termine decadenziale il
cui dies a quo deve coincidere, e coincide con la pubblicazione di una data sentenza ovvero con la notifica di essa.
Deve quindi in conclusione affermarsi il principio che l'impu
gnazione differita deve essere proposta dalla parte che ha formu
lato la riserva (o con lo stesso atto con cui impugnerà la sentenza
definitiva) o nelle forme e nei termini dell'impugnazione inciden
tale tempestiva contro la sentenza definitiva impugnata dalla con
troparte, fatta eccezione per ciò che attiene alle sole forme, e
per quanto ritenuto dalla giurisprudenza in ossequio al principio della conversione degli atti giuridici, e cioè che è ammissibile un'im
pugnazione anche separata e autonoma, che è pur sempre di na
tura incidentale perché segue la principale in ordine di tempo nello
stesso giudizio, purché proposta nello stesso termine di quella anche formalmente incidentale (in tal senso Cass. nn. 3402/55, Cass. 21 ottobre 1955, n. 3402, Foro it., Rep. 1955, voce Impu
gnazioni civili, n. 125; 30 ottobre 1956, n. 4061, id., 1957, I,
804; sez. un. 13 dicembre 1974, n. 3591, id., 1974, I, 2777 —
ricorso incidentale del riservante contro la sentenza definitiva —
23 dicembre 1977, n. 5727, id., Rep. 1977, voce cit., n. 128). Non può pertanto condividersi la contraria opinione espressa
da questa corte nella sentenza Cass. 19 luglio 1979, n. 4281 (id.,
Rep. 1979, voce Appello civile, n. 19) in una fattispecie di sen
tenza non definitiva parziale — di quelle per la quali l'art. 279, n. 4 fa riferimento al n. 3 — là dove, sul piano dell'enunciazione
concettuale si fa perno sul rilievo che l'impugnazione incidentale
non può per sua natura rivolgersi che contro la stessa sentenza
impugnata da altri in via principale, sicché, impugnata la senten za definitiva dalla controparte, il riservante che intenda impugna re quella non definitiva, deve farlo in via principale — nella specie, entro il termine di legge decorrente dalla notifica della sentenza
definitiva — mentre detta decisione è da condividere là dove af
ferma che contro la sentenza parziale non definitiva il riservante
non può proporre appello incidentale tardivo.
Analogamente dicasi quanto all'altro precedente citato dal ri
corrente (Cass. 7 marzo 1953, n. 573, id., 1953, I, 640, in analo
ga fattispecie di sentenza non definitiva parziale, impugnata però con appello incidentale tempestivo dopo l'appello principale della
controparte avverso la sentenza definitiva) nonché quanto a Cass.
30 novembre 1963, n. 3060 (id., 1964, I, 524), dello stesso avviso
ma priva dell'indispensabile dimostrazione.
La considerazione svolta — fra le altre — nelle decisioni nn.
4281/79 cit. e 573/53 cit., che la sentenza parziale de qua, in
quanto resa in relazione a questione autonoma o a capo autono
mo di domanda, postula un'impugnazione autonoma, trascura
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di considerare che dal combinato disposto dei nn. 4 e 5 del cit.
art. 279 risulta che anche tale tipo di sentenza, in quanto non
decida totalmente il merito e quindi non venga accompagnata da distinto provvedimento di separazione e di ulteriore istrutto
ria, appartiene alla categoria delle sentenze che non definiscono
(non chiudono) la causa fra le stesse parti (ad es. perché non
contiene la liquidazione delle spese in conseguenza della separa
zione) e pertanto anche ad esse si applica l'istituto dell'impugna zione differita, con tutte le sue implicazioni.
Nella specie l'appello di Valeruz — come correttamente rileva
to dalla corte di merito — era inammissibile non in quanto pro
posto in via autonoma, cioè con separata citazione e quindi al
di fuori delle forme previste per l'appello incidentale (comparsa, verbale di udienza: art. 343 c.p.c.) ma perché proposto oltre i
termini stabiliti per tale specie di appello (prima comparsa, quella che il convenuto-appellato deposita al momento della costituzio
ne in cancelleria nel termine, anteriore all'udienza di comparizio
ne, che l'art. 343 in relazione all'art. 347 fissa con rinvio a quello stabilito per il giudizio di primo grado; prima udienza avanti al
l'istruttore se non vi è stata costituzione in cancelleria; prima udien
za successiva all'ordine di integrazione del contraddittorio).
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 16 gen naio 1987, n. 299; Pres. Tamburrino, Est. O. Fanelli, P. M.
Fabi (conci, parz. diff.); Marchisio (Aw. Menghini, Masuel
lo) c. Cassi; Cassi (Avv. Santucci) c. Marchisio. Cassa Trib.
Vercelli 4 maggio 1984.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenza —
Lettura del dispositivo — Omissione — Conseguenze (Cod. proc.
civ., art. 429). Locazione — Procedimento — Domanda nuova — Richiesta di
determinazione dell'indennità di avviamento commerciale in cor
so di causa — Improponibilità (Cod. proc. civ., art. 414, 420;
1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 69).
Attesa la carenza di interesse ad agire del ricorrente non può es
sere cassata, dovendosi invece soltanto correggere, la sentenza
con la quale il giudice d'appello neghi erroneamente la nullità
della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositi
vo e decida senz'altro la causa nel merito. (1)
(1) I. - Nuovo intervento delle sezioni unite sulle conseguenze della
omessa lettura del dispositivo in udienza da parte del giudice di lavoro.
Occorre ricordare che con la sentenza 22 giugno 1977, n. 2632 (Foro
it., 1977, I, 1638) le sezioni unite avevano affermato che l'omissione della
formalità in questione deve considerarsi quale motivo di nullità insanabi
le della sentenza per mancanza di un requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto (art. 156, 1° comma, c.p.c.). E
ciò atteso che il vizio di omessa lettura del dispositivo in udienza compor terebbe la violazione dei principi di concentrazione e di immodificabilità
della decisione, con rilevanti ripercussioni in ordine alla esecutività del
provvedimento (che viene cosi rinviata al momento della pubblicazione della sentenza).
La dottrina (Fabbrini, Della tutela (eccessiva) di talune forme proces
suali, in Riv. dir. lav., 1978, II, 721; Andrjoli, Diritto processuale civile,
Napoli, 1979, I, 495; Luiso, Della regola de! vantaggio neI processo civi
le, in Giust. civ., 1982, I, 322; A. Proto Pisani, Lavoro (controversie individuali in materia di), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino,
1983, § 38; Guarnieri, Sulle conseguenze, nel processo del lavoro, del
rinvio della lettura del dispositivo ad una udienza successiva, in Giur.
it., 1983, I, 1, 1285, nonché Sulla lettura del dispositivo in udienza nel
processo del lavoro, in Riv. dir. proc., 1983, 220; v. inoltre C. M. Baro
ne (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le controversie in
materia di lavoro, 2a ed., Bologna-Roma, 1987, 774; contra v. però
Montesano-Vaccarella, Manuale di dir. proc. del lavoro, Napoli, 1984,
188) ha reagito vivacemente alla decisione, in primo luogo contestando
che il requisito in questione possa realmente considerarsi necessario per il raggiungimento dello scopo dell'atto; in secondo luogo rilevando l'ano
malia per cui non esiste soggetto legittimato a dedurre il vizio, dato che
da un lato il soccombente non potrebbe certo dolersi della ritardata efficacia
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-70.
È improponibile, in quanto domanda nuova, la domanda di de
terminazione dell'indennità di avviamento commerciale formu lata dal locatore nel corso della causa di rilascio promossa con
rito del lavoro. (2)
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 20 settembre 1978
diretto al Pretore di Vercelli Giuseppe e Ornella Cassi, proprieta ri di un locale sito in Vercelli adibito ad esercizio commerciale
e condotto da Luigina Marchisio, assumendo la necessità di de
stinare il predetto locale a propria attività, instavano per il rila
scio immediato dell'immobile. Nel corso del giudizio, all'udienza del 24 giugno 1982, gli stessi
attori instavano per l'espletamento di consulenza tecnica al fine
di determinare l'indennità di avviamento spettante alla convenuta
in caso di accoglimento del ricorso. La convenuta si opponeva in quanto trattavasi di questione non prospettata nel ricorso in
troduttivo, ma il pretore nominava il consulente; quindi, con sen
tenza 20 giugno 1982, del cui dispositivo peraltro non dava lettura
in udienza a norma dell'art. 429 c.p.c., accoglieva la domanda, ordinava alla ricorrente il rilascio dell'immobile, determinando
in lire 8.400.000 l'indennità di avviamento da corrispondersi alla
convenuta prima della riconsegna dell'immobile.
della sentenza da eseguirsi nei suoi confronti e, dall'altro, il vincitore,
pregiudicato dalla scorrettezza, ben più lo sarebbe ove il vizio fosse rile vato e la sentenza travolta; in terzo luogo considerando che i valori della
concentrazione dell'attività processuale non sono comunque recuperati ove, cassata la sentenza d'appello affetta dal vizio in esame, il dispositivo ven
ga letto, a qualche anno di distanza, dal giudice di rinvio; in quarto luo
go auspicando, nei casi di omessa lettura del dispositivo, sanzioni disciplinari a carico dei magistrati anziché nullità pregiudizievoli per la parte.
La giurisprudenza si è prontamente uniformata all'impostazione delle sezioni unite, ripetendo il principio per cui nei casi di omessa lettura del
dispositivo (ai quali è stato equiparato quello di lettura del dispositivo in udienza non prefissata della quale le parti non hanno avuto conoscen za: Cass. 4 ottobre 1982, n. 5086, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 312 e in Giur. it., 1983, I, 1, 1286, con
nota di Guarnieri), si produce nullità della sentenza rilevabile attraverso
gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass. 23 novembre 1984, n. 6062, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 236, precisa che il vizio non è deducibile in sede di opposizione alla esecuzione promossa con il titolo cosi forma
to). Cosicché, esulandosi dalle ipotesi tassative di rimessione della causa
al giudice di primo grado previste dagli art. 353 e 354 c.p.c., il giudice della impugnazione, rilevata la nullità, non può che esaminare e decidere
nuovamente la causa nel merito. In questo senso, da ultimo: Cass. 21
maggio 1984, n. 3121, ibid., n. 237; 19 maggio 1984, n. 3099, ibid., n.
238; 28 gennaio 1984, n. 700, ibid., n. 239; 13 dicembre 1982, n. 6834,
id., Rep. 1983, voce cit., n. 321; 18 gennaio 1983, n. 472, ibid., n. 320; 25 maggio 1983, n. 3623, ibid., n. 315). La giurisprudenza ha inoltre
precisato che la nullità in analisi deve ritenersi soggetta alla regola del
l'assorbimento nel mezzo di impugnazione, per cui non può essere dedot
ta come motivo di ricorso per cassazione ove, attenendo alla sentenza
di primo grado, non sia stata fatta valere con l'appello (cosi Cass. 15
dicembre 1984, n. 6588, id., Rep. 1984, voce cit., n. 241; 23 febbraio
1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 317; 18 febbraio 1983, n. 1265, ibid., n. 318).
II. - Con la sentenza in epigrafe le sezioni unite — dopo avere riaffer
mato la piena vitalità dell'orientamento inaugurato da Cass. 2632/77 —
affermano che non può essere cassata (dovendo semplicemente essere cor
retta) la sentenza con la quale il giudice d'appello, erroneamente negata la nullità della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositivo in udienza, decida senz'altro la causa nel merito (nello stesso senso Cass.
14 luglio 1983, n. 4844, id., Rep. 1983, voce cit., n. 319). Conclusione
che viene fondata per un verso sul principio dell'assorbimento della nulli
tà del giudizio di primo grado nei motivi di gravame (art. 161 c.p.c.) e sulla eccezionalità delle ipotesi di remissione della causa al giudice di
primo grado da parte del giudice d'appello (ipotesi fra cui non rientra
la nullità in esame: art. 353 e 354), per altro verso, sulla carenza di inte
resse del ricorrente il quale, dalla cassazione della sentenza, otterrebbe
un risultato già in precedenza conseguito: il riesame nel merito della con
troversia da parte del giudice di secondo grado. (2) Sul divieto di domande nuove nel rito del lavoro e sulla irrilevanza
dell'eventuale accettazione del contraddittorio da parte del convenuto:
Cass. 4 aprile 1985, n. 2337, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro e previ denza (controversie), n. 189; 12 dicembre 1985, n. 5546, ibid., n. 235; 9 maggio 1984, n. 2843. id., Rep. 1984, voce cit., n. 199; 19 dicembre
1983, n. 7488, ibid., n. 200.
Sulle questioni processuali connesse alla determinazione della indennità
di avviamento e sui possibili risvolti di legittimità costituzionale della nor
mativa che ne impone il preventivo accertamento a carico del locatore:
Corte cost. 27 maggio 1986, n. 154 e Cass. 5 dicembre 1985, n. 6100,
id., 1986, I, 2684; Corte cost., ord. 30 dicembre 1985, n. 377, 8 novem
bre 1985, n. 275, Cass. 10 maggio 1985, n. 2917, ibid., 616, tutte con
note di richiami di D. Piombo.
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