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sezione II civile; sentenza 18 gennaio 1987, n. 779; Pres. Parisi, Est. Sammartino, P. M. Martinelli...

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sezione II civile; sentenza 18 gennaio 1987, n. 779; Pres. Parisi, Est. Sammartino, P. M. Martinelli (concl. conf.); Valeruz (Avv. Pugliesi, Fontaine) c. Ponte (Avv. Simonetti). Conferma App. Trento 28 gennaio 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1061/1062-1065/1066 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179881 . Accessed: 24/06/2014 23:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.34 on Tue, 24 Jun 2014 23:40:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 18 gennaio 1987, n. 779; Pres. Parisi, Est. Sammartino, P. M.Martinelli (concl. conf.); Valeruz (Avv. Pugliesi, Fontaine) c. Ponte (Avv. Simonetti). ConfermaApp. Trento 28 gennaio 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1061/1062-1065/1066Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179881 .

Accessed: 24/06/2014 23:40

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

in conseguenza del compimento da parte del lavoratore di atti

integranti grave, colpevole negazione degli elementi essenziali del

rapporto di lavoro (cfr. ad es. le sentenze 26 gennaio 1970, n.

161, Foro it., Rep. 1970, voce Lavoro (rapporto), n. 517; 7 otto

bre 1974, n. 2648, id., 1975, I, 371 e recentemente quella 1° mar

zo 1985, n. 1784, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2009) nonché in

quelle che hanno configurato detto licenziamento come «discipli nare» (cfr. ad es. le sentenze 17 luglio 1974, n. 2144, id., Rep.

1974, voce cit., n. 631, e 15 dicembre 1975, n. 4119, id., Rep.

1975, voce cit., n. 710) con conseguente esigenza di verifica del

requisito di proporzione tra mancanza e sanzione, e inoltre in

quelle decisioni che, anche recentemente, hanno ribadito la ne

cessità, onde stabilire la sussistenza degli estremi della giusta cau

sa, dell'indagine circa la portata anche soggettiva del

comportamento del dipendente (cfr. ad es. le sentenze 6 settem

bre 1982, n. 4833, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1685; 11 agosto

1983, n. 5361, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2226 e 11 novembre

1983, n. 6700, ibid., n. 2216; v. altresì', in relazione all'ipotesi di conversione dell'atto di licenziamento, ad es. le sentenze 10

luglio 1984, n. 4025, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1931 e 5 novem

bre 1985, n. 5364, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2017). Tutto ciò

trova peraltro riscontro nelle fonti collettive le quali normalmen

te ricollegano il licenziamento senza preavviso a ipotesi di «man

canze» particolarmente gravi, come tali poste in essere dal

lavoratore con dolo o colpa grave. L'introduzione poi del concetto di giustificato motivo oggetti

vo di licenziamento di cui alla seconda parte dello stesso art. 3

1. n. 604 del 1966 ha permesso di comprendere in esso tutte quelle

ipotesi che, a prescindere dalla responsabilità del lavoratore, co

stituiscono una situazione d'incompatibilità per il mantenimento

del rapporto di lavoro il quale può pertanto essere risolto per iniziativa del datore di lavoro e con preavviso (nel termine e nei

modi stabiliti dalla contrattazione collettiva, con la corresponsio

ne, in mancanza, della relativa indennità: art. 2118, 1° e 2° com

ma, c.c.). In tale previsione rientrano pertanto tutte le situazioni

di carattere tecnico-economico-organizzativo che, ove debitamen

te provate dallo stesso datore di lavoro (art. 5 1. n. 604 del 1966), siano tali da non consentire l'ulteriore proficuo impiego del di

pendente, come pure quelle altre ipotesi di non regolari prestazio ni del lavoro da parte dello stesso, ascrivibili però a cause non

a lui imputabili (art. 1218 c.c.), che siano di entità tale da esclu

dere l'oggettivo interesse produttivo dell'impresa a mantenere in

vita il rapporto e ricevere le ulteriori possibili prestazioni. Siffatte ipotesi appaiono riferibili in via di principio allo sche

ma della parziale impossibilità sopravvenuta della prestazione di

cui all'art. 1464 c.c. da interpretare tuttavia alla stregua dei pecu liari principi di cui alla 1. n. 604 del 1966 (cfr., per il caso di

carcerazione preventiva dovuta a fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro, ad es., Cass. 14 aprile 1981, n. 2256,

id., 1981, I, 2975, e i richiami in essa contenuti), e fra esse deve

certamente ritenersi compresa quella della sopravvenuta malattia

del lavoratore, fisica o psichica, che sia di durata indeterminata

o indeterminabile (cfr. espressamente sul punto, in riferimento

a situazione di non ricollegabilità alle previsioni di sospensione

legale del rapporto, le sentenze 29 aprile 1976, n. 1556, id., Rep.

1976, voce cit., n. 689 e 18 novembre 1981, n. 6126, id., Rep.

1981, voce cit., n.1497; v. inoltre, sul superamento del periodo di comporto, la sentenza 2 marzo 1977, n. 869 id., Rep. 1977,

voce cit., n. 779).

Allorquando perciò si verifichino circostanze di tal genere non

dovute — ripetesi — a fatti imputabili al lavoratore, il datore

di lavoro non può che intimare il licenziamento con preavviso

per giustificato motivo oggettivo, e — a parte il problema relati

vo all'avvenuto superamento del periodo di comporto di cui al

l'art. 2110 c.c. che non riguarda però la presente controversia — deve (se non lo abbia già fatto con l'atto di comunicazione

del licenziamento stesso) specificarne i motivi, ove ne sia regolar

mente richiesto a norma dell'art. 2, 2° comma, 1. n. 604 del 1966

e ciò nel termine di cinque giorni in essa previsto, e in ogni caso

enunciare tali motivi e fornire specifica prova della loro sussi

stenza in base all'art. 5 della stessa legge nel caso in cui il licen

ziamento venga contestato nella sede giudiziaria. Si osserva inoltre che, in presenza di siffatte situazioni non

imputabili al lavoratore, il datore di lavoro non può e non deve

«contestare» dei fatti al lavoratore stesso né avviare nei suoi con

fronti la procedura disciplinare prevista dall'art. 7 dello statuto

dei lavoratori, ma — come detto — deve precisare e provare le

li Foro Italiano — 1987.

ragioni che rendono, sia pur per le condizioni personali del pre

statore, non più possibile la permanenza dello stesso alle proprie

dipendenze. Richiamando pertanto quanto accennato all'inizio, va afferma

to, in relazione alla fattispecie e alle relative emergenze proces

suali, che lo strumento legale per recedere dal rapporto de quo non poteva essere il licenziamento per giusta causa, bensì quello

per giustificato motivo oggettivo con adeguata prova al riguardo, il che chiaramente non collide con la portata del suddetto art.

7 statuto lavoratori quale è stato «costituzionalizzato» dalla sen

tenza 30 novembre 1982, n. 204 (id., 1982, I, 2981) della Corte

costituzionale, che concerne pur sempre e soltanto i licenziamenti

disciplinari in senso proprio. Le suesposte osservazioni pertanto, se da un lato portano a

loro volta a superare l'impostazione che alla presente controver

sia era stata data dal primo giudice ed esattamente respinta dal

tribunale, dall'altro confermano la rilevanza negativa di quell'am

biguità nella comunicazione del licenziamento intimato alla Qui dello che il tribunale stesso ha sottolineato in una con il

fondamentale rilievo circa la mancata specificazione dei fatti e, in particolare, degli episodi che sarebbero accaduti il 23 e il 26

febbraio 1981. Le risultanze materiali si riducono pertanto so

stanzialmente al giudizio espresso dal consulente tecnico d'ufficio

il quale avrebbe dovuto tuttavia procedere alla sola valutazione

di fatti che fossero stati già specificati e provati dalla datrice di

lavoro (cfr. ad es., sulla funzione della consulenza tecnica, Cass.

3 maggio 1978, n. 2055, id., Rep. 1978, voce Consulente tecnico, n. 15, e 13 dicembre 1979, n. 6513, id., Rep. 1979, voce cit., n. 21, esattamente richiamate nel controricorso).

Le censure elevate nel ricorso circa il modo in cui il Tribunale

di Taranto ha disatteso il parere del consulente tecnico d'ufficio

vengono pertanto ad essere di per sé superate in radice proprio da tale preliminare e assorbente rilievo essendosi trattato di un

licenziamento privo di dimostrata causa giuridica. Dall'altra par te — si osserva per completezza di trattazione — la constatazione

della mancata prova di fatti sul cui verificarsi si era, in particola

re, basata la comunicazione del licenziamento contiene essa stes

sa un'implicita, ma univoca e sufficiente confutazione delle

conclusioni della consulenza, confutazione che, del resto è stata

basata altresì su apprezzamenti di fatto circa la non avvenuta

dimostrazione che le note caratteriali della Quidello avrebbero

comportato la mancata o imprecisa prestazione dell'attività lavo

rativa da parte sua o di altri dipendenti. Peraltro anche l'aspetto clinico era stato specificatamente contestato dal consulente di parte della stessa Quidello il quale aveva negato la presenza di una

personalità schizoide, il che avrebbe comportato la necessità di

un'ulteriore discussione del caso ad opera dello stesso consulente

d'ufficio oltre ad ulteriori considerazioni circa l'intrinseca natura

e la portata di determinati fattori di disturbo ambientale — che

possono essere presenti nella situazione di lavoro di una grande fabbrica — e la possibile attenuazione dei loro effetti mediante

l'adozione di idonee misure tali da favorire un più adeguato inse

rimento dei dipendenti e un più proficuo svolgimento da parte loro dell'attività lavorativa.

In base a tali ragioni, che costituiscono anche integrazione del

la motivazione della sentenza impugnata (art. 384 c.p.c.) e rima

nendo assorbito perciò ogni altro rilievo, il ricorso dev'essere

rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 gen

naio 1987, n. 779; Pres. Parisi, Est. Sammartino, P. M. Mar

tinelli (conci, conf.); Valeruz (Aw. Pugliesi, Fontaine) c.

Ponte (Avv. Simonetti). Conferma App. Trento 28 gennaio

1984.

Appello civile — Sentenza non definitiva — Riserva — Appello

proposto dalla parte non riservata contro la sentenza definitiva — Impugnazione della parte riservata contro la sentenza non

definitiva — Appello incidentale (Cod. proc. civ., art. 333, 340).

Appello civile — Appello principale in luogo di incidentale —

Ammissibilità — Condizioni (Cod. proc. civ., art. 333, 343).

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1063 PARTE PRIMA 1064

La parte che voglia impugnare la sentenza non definitiva per la

quale ha fatto riserva, se l'altra parte ha proposto appello con

tro la sentenza definitiva, deve proporre il proprio gravame nella forma incidentale. (1)

È ammissibile la proposizione dell'appello in forma principale an

ziché incidentale, purché nel rispetto del termine previsto per la proposizione dell'impugnazione incidentale. (2)

Motivi della decisione. — La questione sollevata col primo mo

tivo, consiste nel vedere in quale forma ed entro quale termine,

quando sia stata fatta riserva di appello differito contro una sen

tenza non definitiva (ex art. 278 e 279, n. 4, c.p.c.) e la sentenza

definitiva sia stata appellata dalla parte che non ha formulato

la riserva, la parte che l'ha formulata debba proporre l'appello che si è riservato contro la sentenza non definitiva.

L'art. 340/2 dispone che tale appello «deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio»

(o — ipotesi che qui non interessa direttamente — con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro l'altra

sentenza successiva che non definisce il giudizio). Poiché deve escludersi che la legge abbia inteso precludere al

riservante la possibilità di impugnare la sentenza non definitiva

se non intende impugnare anche quella definitiva (in quanto sus

siste concreto interesse di lui, a dolersi indifferentemente dell'una

o dell'altra pronuncia, sia nel caso che tra di esse corra un rap

porto di preliminarità — come nella ipotesi della condanna gene rica di cui all'art. 278 e delle questioni pregiudiziali di rito o

preliminari di merito considerate dall'art. 279, n. 4, che rinvia

ai nn. 1 e 2 — sia nel caso che tra di esse corra un rapporto di parte a tutto — come nell'ipotesi di decisione parziale di meri

to di cui allo stesso n. 4 là dove rinvia al n. 3 — l'inciso, inter

pretato in coordinamento con le altre regole dettate dagli articoli

seguenti, non può avere altro significato se non quello di obbliga

(1) Conf. Cass. 9 agosto 1983, n. 5313, Foro it., Rep. 1983, voce Ap pello civile, n. 14; 8 aprile 1983, n. 2498, ibid., voce Cassazione civile, n. 178; 19 marzo 1981, n. 1619, id.. Rep. 1981, voce Impugnazioni civili, n. 151; 22 novembre 1976, n. 4392, id., Rep. 1976, voce Appello civile, n. 18; 9 gennaio 1975, n. 51, id., Rep. 1975, voce cit., n. 14; 13 novem bre 1974, n. 3591, id., 1975, I, 2777, con nota di richiami.

La sentenza in epigrafe ha escluso che nella fattispecie in esame possa trovare applicazione l'art. 334 c.p.c., in quanto con la riserva è scontata la tardività dell'impugnazione; v., in questo senso, Cass. 21 dicembre

1971, n. 3736, id., 1972, I, 2550, con nota di richiami; ma v. Cass. 19

luglio 1979, n. 4281, id., Rep. 1979, voce cit., n. 19 e 29 marzo 1979, n. 1815, ibid., n. 20; nonché Cass. 7 marzo 1953, n. 573, id., 1953, I, 645, con nota di richiami.

Ampi richiami in tema di impugnazione delle sentenze non definitive nella nota di Scarselli a Cass. 11 luglio 1985, n. 4113, id., 1986, I, 2574.

In dottrina conf. alla sentenza in epigrafe, Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano, 1974, 74 ss.; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 795; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Mi

lano, 1981, II, 286; Satta, Commentario, Milano, 1966, II, 2, 123.

(2) È orientamento pacifico che l'impugnazione proposta autonoma

mente, ma dopo la proposizione di altra impugnazione, possa valere per incidentale purché nel rispetto dei termini di cui agli art. 343 e 371 c.p.c. V. ora le più recenti Cass. 11 gennaio 1986, n. 135, Foro it., Mass., 33; 15 dicembre 1983, n. 7393 e 19 aprile 1983, n. 2672, id., Rep. 1983, voce Impugnazioni civili, nn. 124, 123; 29 marzo 1982, n. 1963, id., Rep. 1982, voce cit., n. 125; 7 aprile 1981, n. 1980, id., Rep. 1981, voce Cassa zione civile, n. 272; 23 dicembre 1977, n. 5727, id., Rep. 1977, voce

Impugnazioni civili, n. 128; nonché Cass. 27 maggio 1982, n. 3268, id., Rep. 1982, voce cit., n. 126.

Altrettanto costante è la giurisprudenza nell'affermare che il termine

previsto per la proposizione dell'impugnazione incidentale è perentorio: v., oltre alle citate Cass. 7393 e 2672/83, 1963/82, Cass. 21 luglio 1983, n. 5025, id., Rep. 1983, voce Appello civile, n. 18; 13 dicembre 1982, n. 6838, id., Rep. 1982, voce cit., n. 22; 22 aprile 1981, n. 2381, id., Rep. 1981, voce cit., n. 25; 29 aprile 1980, n. 2843 e 11 febbraio 1980, n. 970, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 31, 32; 6 giugno 1979, n. 3195 e 2 aprile 1979, n. 1872, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 24, 23; 27 ottobre

1978, n. 4896, id., Rep. 1978, voce cit., n. 14; 29 maggio 1976, n. 1946, id., 1977, I, 2548, con nota di D. Tedeschi, e Cass. 13 ottobre 1975, n. 3310, id., 1976, I, 706, con nota di A. Proto Pisani.

L'inammissibilità dell'impugnazione incidentale è rilevabile d'ufficio; cfr. Cass. 7 marzo 1980, n. 1760 e 9 febbraio 1980, n. 922, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 30, 25.

In dottrina conf. Giudiceandrea, Le impugnazioni civili, Milano, 1952, II, 141; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957, II, 386; Sat

ta, cit., 123; Andrioli, cit., 818.

Il Foro Italiano — 1987.

re il riservante a sciogliere positivamente la riserva nella forma

e nei termini dell'impugnazione incidentale.

Infatti, siccome le questioni — pregiudiziali, preliminari o di

merito — anche se separatamente decise dalle due pronunce sono

considerate dalla legge come momenti dello stesso iter logico giu ridico che sorregge la decisione finale, quella che chiude per inte

ro la stessa causa fra gli stessi litiganti (la separazione di più cause fra le stesse o fra diverse parti, operata ai sensi degli art.

103 e 104, presuppone, come dice l'art. 279, n. 5, una pronuncia

definitiva) tanto è vero che il giudice può limitarsi ad un'unica

pronuncia quando vi sia istanza di parte e non ricorrano apprez zabili motivi per separate pronunce, il termine «unitamente» usa

to dall'art. 340/2 esprime, in corrispondenza di tale unificazione,

l'esigenza (principio della concentrazione dell'impugnazione) che

la parte, alla quale sia notificata l'impugnazione proposta dalla

controparte avverso alla sentenza definitiva, proponga in via in

cidentale non solo l'impugnazione contro la stessa sentenza ma

anche quella contro la sentenza non definitiva.

L'unica differenza residua tra le due ipotesi è nell'inestensibili

tà alla seconda dell'impugnazione incidentale tardiva, poiché per essa viene a mancare il presupposto dell'avvenuta scadenza del

termine per impugnare che non è mai cominciato a decorrere (né

quello annuale né quello breve, sia o non sia stata notificata la

sentenza, ove la controparte non l'abbia per conto suo immedia

tamente impugnata, nel qual caso ex art. 340/3 non vi è luogo a impugnazione differita) e la cui determinazione è voluta dalla

legge in stretta dipendenza dei termini di impugnazione inerenti

alla sentenza definitiva.

In altre parole: la «tardività dell'impugnazione della sentenza

non definitiva è scontata per cosi' dire nella stessa posizione della

norma di cui all'art. 340, che la regola in modo del tutto partico lare e diverso dalla tardività dell'impugnazione incidentale rego lata dall'art. 334, misurata rispetto a un termine decadenziale il

cui dies a quo deve coincidere, e coincide con la pubblicazione di una data sentenza ovvero con la notifica di essa.

Deve quindi in conclusione affermarsi il principio che l'impu

gnazione differita deve essere proposta dalla parte che ha formu

lato la riserva (o con lo stesso atto con cui impugnerà la sentenza

definitiva) o nelle forme e nei termini dell'impugnazione inciden

tale tempestiva contro la sentenza definitiva impugnata dalla con

troparte, fatta eccezione per ciò che attiene alle sole forme, e

per quanto ritenuto dalla giurisprudenza in ossequio al principio della conversione degli atti giuridici, e cioè che è ammissibile un'im

pugnazione anche separata e autonoma, che è pur sempre di na

tura incidentale perché segue la principale in ordine di tempo nello

stesso giudizio, purché proposta nello stesso termine di quella anche formalmente incidentale (in tal senso Cass. nn. 3402/55, Cass. 21 ottobre 1955, n. 3402, Foro it., Rep. 1955, voce Impu

gnazioni civili, n. 125; 30 ottobre 1956, n. 4061, id., 1957, I,

804; sez. un. 13 dicembre 1974, n. 3591, id., 1974, I, 2777 —

ricorso incidentale del riservante contro la sentenza definitiva —

23 dicembre 1977, n. 5727, id., Rep. 1977, voce cit., n. 128). Non può pertanto condividersi la contraria opinione espressa

da questa corte nella sentenza Cass. 19 luglio 1979, n. 4281 (id.,

Rep. 1979, voce Appello civile, n. 19) in una fattispecie di sen

tenza non definitiva parziale — di quelle per la quali l'art. 279, n. 4 fa riferimento al n. 3 — là dove, sul piano dell'enunciazione

concettuale si fa perno sul rilievo che l'impugnazione incidentale

non può per sua natura rivolgersi che contro la stessa sentenza

impugnata da altri in via principale, sicché, impugnata la senten za definitiva dalla controparte, il riservante che intenda impugna re quella non definitiva, deve farlo in via principale — nella specie, entro il termine di legge decorrente dalla notifica della sentenza

definitiva — mentre detta decisione è da condividere là dove af

ferma che contro la sentenza parziale non definitiva il riservante

non può proporre appello incidentale tardivo.

Analogamente dicasi quanto all'altro precedente citato dal ri

corrente (Cass. 7 marzo 1953, n. 573, id., 1953, I, 640, in analo

ga fattispecie di sentenza non definitiva parziale, impugnata però con appello incidentale tempestivo dopo l'appello principale della

controparte avverso la sentenza definitiva) nonché quanto a Cass.

30 novembre 1963, n. 3060 (id., 1964, I, 524), dello stesso avviso

ma priva dell'indispensabile dimostrazione.

La considerazione svolta — fra le altre — nelle decisioni nn.

4281/79 cit. e 573/53 cit., che la sentenza parziale de qua, in

quanto resa in relazione a questione autonoma o a capo autono

mo di domanda, postula un'impugnazione autonoma, trascura

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di considerare che dal combinato disposto dei nn. 4 e 5 del cit.

art. 279 risulta che anche tale tipo di sentenza, in quanto non

decida totalmente il merito e quindi non venga accompagnata da distinto provvedimento di separazione e di ulteriore istrutto

ria, appartiene alla categoria delle sentenze che non definiscono

(non chiudono) la causa fra le stesse parti (ad es. perché non

contiene la liquidazione delle spese in conseguenza della separa

zione) e pertanto anche ad esse si applica l'istituto dell'impugna zione differita, con tutte le sue implicazioni.

Nella specie l'appello di Valeruz — come correttamente rileva

to dalla corte di merito — era inammissibile non in quanto pro

posto in via autonoma, cioè con separata citazione e quindi al

di fuori delle forme previste per l'appello incidentale (comparsa, verbale di udienza: art. 343 c.p.c.) ma perché proposto oltre i

termini stabiliti per tale specie di appello (prima comparsa, quella che il convenuto-appellato deposita al momento della costituzio

ne in cancelleria nel termine, anteriore all'udienza di comparizio

ne, che l'art. 343 in relazione all'art. 347 fissa con rinvio a quello stabilito per il giudizio di primo grado; prima udienza avanti al

l'istruttore se non vi è stata costituzione in cancelleria; prima udien

za successiva all'ordine di integrazione del contraddittorio).

(Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 16 gen naio 1987, n. 299; Pres. Tamburrino, Est. O. Fanelli, P. M.

Fabi (conci, parz. diff.); Marchisio (Aw. Menghini, Masuel

lo) c. Cassi; Cassi (Avv. Santucci) c. Marchisio. Cassa Trib.

Vercelli 4 maggio 1984.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenza —

Lettura del dispositivo — Omissione — Conseguenze (Cod. proc.

civ., art. 429). Locazione — Procedimento — Domanda nuova — Richiesta di

determinazione dell'indennità di avviamento commerciale in cor

so di causa — Improponibilità (Cod. proc. civ., art. 414, 420;

1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 69).

Attesa la carenza di interesse ad agire del ricorrente non può es

sere cassata, dovendosi invece soltanto correggere, la sentenza

con la quale il giudice d'appello neghi erroneamente la nullità

della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositi

vo e decida senz'altro la causa nel merito. (1)

(1) I. - Nuovo intervento delle sezioni unite sulle conseguenze della

omessa lettura del dispositivo in udienza da parte del giudice di lavoro.

Occorre ricordare che con la sentenza 22 giugno 1977, n. 2632 (Foro

it., 1977, I, 1638) le sezioni unite avevano affermato che l'omissione della

formalità in questione deve considerarsi quale motivo di nullità insanabi

le della sentenza per mancanza di un requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto (art. 156, 1° comma, c.p.c.). E

ciò atteso che il vizio di omessa lettura del dispositivo in udienza compor terebbe la violazione dei principi di concentrazione e di immodificabilità

della decisione, con rilevanti ripercussioni in ordine alla esecutività del

provvedimento (che viene cosi rinviata al momento della pubblicazione della sentenza).

La dottrina (Fabbrini, Della tutela (eccessiva) di talune forme proces

suali, in Riv. dir. lav., 1978, II, 721; Andrjoli, Diritto processuale civile,

Napoli, 1979, I, 495; Luiso, Della regola de! vantaggio neI processo civi

le, in Giust. civ., 1982, I, 322; A. Proto Pisani, Lavoro (controversie individuali in materia di), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino,

1983, § 38; Guarnieri, Sulle conseguenze, nel processo del lavoro, del

rinvio della lettura del dispositivo ad una udienza successiva, in Giur.

it., 1983, I, 1, 1285, nonché Sulla lettura del dispositivo in udienza nel

processo del lavoro, in Riv. dir. proc., 1983, 220; v. inoltre C. M. Baro

ne (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le controversie in

materia di lavoro, 2a ed., Bologna-Roma, 1987, 774; contra v. però

Montesano-Vaccarella, Manuale di dir. proc. del lavoro, Napoli, 1984,

188) ha reagito vivacemente alla decisione, in primo luogo contestando

che il requisito in questione possa realmente considerarsi necessario per il raggiungimento dello scopo dell'atto; in secondo luogo rilevando l'ano

malia per cui non esiste soggetto legittimato a dedurre il vizio, dato che

da un lato il soccombente non potrebbe certo dolersi della ritardata efficacia

Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-70.

È improponibile, in quanto domanda nuova, la domanda di de

terminazione dell'indennità di avviamento commerciale formu lata dal locatore nel corso della causa di rilascio promossa con

rito del lavoro. (2)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 20 settembre 1978

diretto al Pretore di Vercelli Giuseppe e Ornella Cassi, proprieta ri di un locale sito in Vercelli adibito ad esercizio commerciale

e condotto da Luigina Marchisio, assumendo la necessità di de

stinare il predetto locale a propria attività, instavano per il rila

scio immediato dell'immobile. Nel corso del giudizio, all'udienza del 24 giugno 1982, gli stessi

attori instavano per l'espletamento di consulenza tecnica al fine

di determinare l'indennità di avviamento spettante alla convenuta

in caso di accoglimento del ricorso. La convenuta si opponeva in quanto trattavasi di questione non prospettata nel ricorso in

troduttivo, ma il pretore nominava il consulente; quindi, con sen

tenza 20 giugno 1982, del cui dispositivo peraltro non dava lettura

in udienza a norma dell'art. 429 c.p.c., accoglieva la domanda, ordinava alla ricorrente il rilascio dell'immobile, determinando

in lire 8.400.000 l'indennità di avviamento da corrispondersi alla

convenuta prima della riconsegna dell'immobile.

della sentenza da eseguirsi nei suoi confronti e, dall'altro, il vincitore,

pregiudicato dalla scorrettezza, ben più lo sarebbe ove il vizio fosse rile vato e la sentenza travolta; in terzo luogo considerando che i valori della

concentrazione dell'attività processuale non sono comunque recuperati ove, cassata la sentenza d'appello affetta dal vizio in esame, il dispositivo ven

ga letto, a qualche anno di distanza, dal giudice di rinvio; in quarto luo

go auspicando, nei casi di omessa lettura del dispositivo, sanzioni disciplinari a carico dei magistrati anziché nullità pregiudizievoli per la parte.

La giurisprudenza si è prontamente uniformata all'impostazione delle sezioni unite, ripetendo il principio per cui nei casi di omessa lettura del

dispositivo (ai quali è stato equiparato quello di lettura del dispositivo in udienza non prefissata della quale le parti non hanno avuto conoscen za: Cass. 4 ottobre 1982, n. 5086, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro e

previdenza (controversie), n. 312 e in Giur. it., 1983, I, 1, 1286, con

nota di Guarnieri), si produce nullità della sentenza rilevabile attraverso

gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass. 23 novembre 1984, n. 6062, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 236, precisa che il vizio non è deducibile in sede di opposizione alla esecuzione promossa con il titolo cosi forma

to). Cosicché, esulandosi dalle ipotesi tassative di rimessione della causa

al giudice di primo grado previste dagli art. 353 e 354 c.p.c., il giudice della impugnazione, rilevata la nullità, non può che esaminare e decidere

nuovamente la causa nel merito. In questo senso, da ultimo: Cass. 21

maggio 1984, n. 3121, ibid., n. 237; 19 maggio 1984, n. 3099, ibid., n.

238; 28 gennaio 1984, n. 700, ibid., n. 239; 13 dicembre 1982, n. 6834,

id., Rep. 1983, voce cit., n. 321; 18 gennaio 1983, n. 472, ibid., n. 320; 25 maggio 1983, n. 3623, ibid., n. 315). La giurisprudenza ha inoltre

precisato che la nullità in analisi deve ritenersi soggetta alla regola del

l'assorbimento nel mezzo di impugnazione, per cui non può essere dedot

ta come motivo di ricorso per cassazione ove, attenendo alla sentenza

di primo grado, non sia stata fatta valere con l'appello (cosi Cass. 15

dicembre 1984, n. 6588, id., Rep. 1984, voce cit., n. 241; 23 febbraio

1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 317; 18 febbraio 1983, n. 1265, ibid., n. 318).

II. - Con la sentenza in epigrafe le sezioni unite — dopo avere riaffer

mato la piena vitalità dell'orientamento inaugurato da Cass. 2632/77 —

affermano che non può essere cassata (dovendo semplicemente essere cor

retta) la sentenza con la quale il giudice d'appello, erroneamente negata la nullità della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositivo in udienza, decida senz'altro la causa nel merito (nello stesso senso Cass.

14 luglio 1983, n. 4844, id., Rep. 1983, voce cit., n. 319). Conclusione

che viene fondata per un verso sul principio dell'assorbimento della nulli

tà del giudizio di primo grado nei motivi di gravame (art. 161 c.p.c.) e sulla eccezionalità delle ipotesi di remissione della causa al giudice di

primo grado da parte del giudice d'appello (ipotesi fra cui non rientra

la nullità in esame: art. 353 e 354), per altro verso, sulla carenza di inte

resse del ricorrente il quale, dalla cassazione della sentenza, otterrebbe

un risultato già in precedenza conseguito: il riesame nel merito della con

troversia da parte del giudice di secondo grado. (2) Sul divieto di domande nuove nel rito del lavoro e sulla irrilevanza

dell'eventuale accettazione del contraddittorio da parte del convenuto:

Cass. 4 aprile 1985, n. 2337, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro e previ denza (controversie), n. 189; 12 dicembre 1985, n. 5546, ibid., n. 235; 9 maggio 1984, n. 2843. id., Rep. 1984, voce cit., n. 199; 19 dicembre

1983, n. 7488, ibid., n. 200.

Sulle questioni processuali connesse alla determinazione della indennità

di avviamento e sui possibili risvolti di legittimità costituzionale della nor

mativa che ne impone il preventivo accertamento a carico del locatore:

Corte cost. 27 maggio 1986, n. 154 e Cass. 5 dicembre 1985, n. 6100,

id., 1986, I, 2684; Corte cost., ord. 30 dicembre 1985, n. 377, 8 novem

bre 1985, n. 275, Cass. 10 maggio 1985, n. 2917, ibid., 616, tutte con

note di richiami di D. Piombo.

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