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Sezione II civile; sentenza 18 giugno 1964, n. 1560; Pres. La Via P., Est. Modigliani, P. M. Gentile...

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Sezione II civile; sentenza 18 giugno 1964, n. 1560; Pres. La Via P., Est. Modigliani, P. M. Gentile (concl. conf.); Carbone (Avv. Nicolò) c. Carbone (Avv. Gaeta) Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1105/1106-1109/1110 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156158 . Accessed: 24/06/2014 20:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.25 on Tue, 24 Jun 2014 20:33:57 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 18 giugno 1964, n. 1560; Pres. La Via P., Est. Modigliani, P. M.Gentile (concl. conf.); Carbone (Avv. Nicolò) c. Carbone (Avv. Gaeta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1105/1106-1109/1110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156158 .

Accessed: 24/06/2014 20:33

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1105 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 11C6

slatore, ma avrebbe soltanto introdotto un ulteriore turbamento in questo ordine di rapporti.

6. — Queste considerazioni ci conducono a considerare il se condo passaggio della sentenza che ci sembra scarsamente per suasivo, e cioè quello in cui si afferma che il ritardo nella pubbli cazione della legge di delegazione non può avere effetto inva lidante perchè il Parlamento ne ha preso atto (e cioè lo ha rite nuto giustificato) quando ha stabilito di prorogare con succes sive leggi l'entrata in vigore della legge delegata (27).

In proposito è chiaro che gli atti deliberati dal Parlamento non esercitavano, nè potevano esercitare, alcun effetto sanante

rispetto alla legge di delegazione la cui pubblicazione era stata ritardata e con la quale non avevano alcun rapporto ; nè diversa mente sembra opinare la Corte, secondo la quale però sarebbe

possibile ricavare da tali atti qualche argomento per dimostrare che il ritardo nella pubblicazione — così come voluto dal guar dasigilli — era fin dall'inizio giustificato, in quanto al Governo era stato assegnato un termine troppo breve per formulare un

corpo di norme di particolare complessità. Ma, ove anche si dovesse riconoscere che in concreto ricorreva

una situazione siffatta (in realtà, sembra piuttosto che le proroghe fossero determinate dalla volontà del Parlamento di attenuare le norme più rigorose contenute nel testo del codice stradale pre disposto dal Governo, le quali urtavano contro precisi interessi), non pare che la circostanza fosse sufficiente perchè il guarda

sigilli potesse ritenersi autorizzato a ritardare la pubblicazione di una legge di delegazione in modo da prolungare il termine che sarebbe derivato dalle prescrizioni della legge di delegazione se questa fosse stata pubblicata a tempo debito. È evidente in fatti che tale scopo avrebbe potuto venir raggiunto in piena le

gittimità soltanto mediante un atto legislativo che prorogasse il

termine concesso.

E, se così è, non si vede corn's il ritardo nella pubblicazione potesse apparire giustificato : è infatti da escludere che una legge di proroga possa essere surrogata, sia da un supposto tacito con senso del Parlamento, sia dalla decisione unilaterale del soggetto della pubblicazione, per quanto praticamente opportuna essa

possa apparire. Tali considerazioni ci fanno propendere per le seguenti con

clusioni :

a) è da escludere che il ritardo nella pubblicazione della

legge di delegazione possa determinare direttamente l'invalidità della legge delegata, se non come mera invalidità derivata in

conseguenza dell'eventuale sentenza di accoglimento la quale di

chiari l'invalidità della pubblicazione della legge di delegazione e la conseguente inefficacia di questa ;

b) la tardiva pubblicazione della legge 4 febbraio 1958

n. 572, in quanto diretta ad alterare la durata della delegazione in essa contenuta, poteva essere ritenuta viziata da eccesso di

potere ; c) nessuna rilevanza presentava, ai fini della decisione, la

circostanza che il ritardo nella pubblicazione di tale legge fosse

o non fosse giustificato ; d) appare comunque esatta la soluzione contenuta nel di

spositivo della sentenza, perchè l'eventuale dichiarazione dell'in

validità della pubblicazione della legge 4 febbraio 1958 n. 572

non avrebbe consentito di ripristinare la situazione giuridica lesa

per effetto del ritardo col quale la pubblicazione stessa era av

venuta (28).

Giud. Alessandro Pizzorusso

Assistente nell'Univ. di Pisa

(27) V. alla nota 8 che precede la successione degli atti normativi che hanno portato all'entrata in vigore dell'attuale codice stradale.

(28) Se invece avesse dovuto essere affermata l'invalidità del decreto pres. 27 ottobre 1958 n. 956, come conseguenza dell'inefficacia della legge di delegazione 4 febbraio 1958 n. 572, derivante a sua volta dall'invalidità della pubblicazione di questa, si sarebbe presentato l'ulteriore problema di stabilire se le norme contenute nel primitivo testo del codice stradale sopravvissute alle modifiche non avrebbero potuto trovare comunque il fondamento della loro efficacia nelle leggi 12 marzo 1959 n. 76, e 26 aprile 1959 n. 207, che ne avevano prorogato la data di entrata in vigore. Per risolvere questo problema, che non può essere qui affrontato per non appesantire maggiormente questa nota

già troppo lunga, sarebbe necessario stabilire l'esatta natura del rinvio contenuto in tali leggi di proroga ed accertare se esso avesse un potere innovativo sufficiente a superare gli eventuali vizi formali dell'atto che aveva originariamente introdotto tali norme nell'ordinamento giuridico.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 18 giugno 1964, n. 1560 ; Pres. La Via P., Est. Modigliani, P. M. Gentile (conci,

conf.) ; Carbone (Avv. Nicolò) c. Carbone (Avv. Gaeta).

(Conferma App. Ancona 1° dicembre 1961)

Enfiteusi — Patto limitativo dell'esercizio del diritto d'affrancazione nel tempo — Trasformazione in

enfiteusi «ad tempus » — Nullità del patto (Cod. civ., art. 957, 958, 971).

Enfiteusi — Deposito del prezzo — Effetti sulToliblifio di corrispondere i canoni (Cod. civ., art. 971 ; r. d. 7 febbraio 1926 n. 426, sull'affrancazione dei canoni, censi ed altre prestazioni perpetue, art. 10).

Il patto, con cui si dichiara che Venfiteuta deve affrancare entro una certa data, è nullo, nè importa la riduzione a temporanea dell' enfiteusi. (1)

Il deposito del prezzo di affranco determina la sospensione

dell'obbligo di corrispondere il canone enfiteutico. (2)

(1) La sentenza della Corte d'appello di Ancona, ora con fermata dalla Suprema corte ma corretta nella motivazione, è riassunta in Foro it., Rep. 1962, voce Enfiteusi, nn. 18-23, led è annotata da C. Mola, in Riv. giur. umbro-abruzz., 1961, 279.

In senso conforme alla sentenza annotata, cons. Cass. 28 uglio 1953, n. 2390, Foro it., Rep. 1953, voce cit., n. 12 (richia mata nella motivazione di quella che si annota) e App. Napoli 29 febbraio 1939, id., 1940, I, 56, con nota di richiami. Per qual che riferimento, vedi Cass. 28 febbraio 1952, id., Rep. 1952, voce cit., n. 52 ; 19 dicembre 1951, n. 2858, id., 1952, I, 587, con nota di richiami, e Cass. 9 luglio 1951, n. 1850, id., Rep. 1951, voce cit., n. 62.

In dottrina, consulta Cariota-Ferrara, Venfiteusi, 1950, pagg. 519-521. Contra, cioè per la riduzione a temporanea del l'enfiteusi cui sia apposto il patto in oggetto, v. E. Favara, En

fiteusi, voce del Novissimo digesto it., n. 14, pag. 546 ; Pesca tore-Albano-G-reco, Della proprietà, 1958, ITI, pag. 7.

(2) Nello stesso senso della sentenza che si annota, cfr. Cass. 19 giugno 1961, n. 1444 (nella motivazione), Foro it., 1961, I, 1689 ; 28 aprile 1960, n. 947, id., Rep. 1960, voce Enfiteusi, n. 23 (ricordata nella motivazione della sentenza annotata) ; App. Palermo 5 marzo 1954, id., Rcp. 1954, voce cit., n. 71 ; Cass. 17 febbraio 1949, n. 274, id., 1949, I, 324, con nota di ri chiami.

Invece, esplicitamente affermano che i ratei dei canoni en fiteutici sono dovuti dalla loro scadenza alla data della domanda di affrancazione, Cass. 4 luglio 1953, n. 2122, id., Rep. 1953, voce cit., n. 88 e Trib. Roma 12 agosto 1947, id., Rep. 1947, voce cit., n. 58.

Accentua il carattere sospensivo della domanda di affran cazione nei confronti dell'obbligo di corrispondere il canone

enfiteutico, Cass. 17 ottobre 1958, n. 3313, id., Rep. 1958, voce

cit., nn. 51-57. Sulla natura della sentenza di affrancazione, quale pronun

cia giurisdizionale avente natura costitutiva anche se produt tiva di effetti ex tunc, cfr. Cass. 30 ottobre 1959, n. 3214, id., 1959, I, 1645, con nota di richiami.

Quanto agli interessi legali, solo Cass. 27 gennaio 1958, n. 190, id., Rep. 1958, voce cit., n. 62, li estende al prezzo di

affranco, mentre numerose sentenze li limitano alla differenza

dipendente dalla originaria insufficienza del deposito, cicè, ai fini degli interessi legali, deducono dal prezzo l'importo già depositato ; v., in tal senso, App. Firenze 12 febbraio 1960, id., Rep. 1960, voce cit., n. 31 ; Cass. 2 luglio 1958, n. 2357, id., Rep. 1958, voce cit., n. 65 ; 20 luglio 1957, n. 3077, ibid., nn. 63, 64 ; 28 giugno 1957, n. 2528, id., Rep. 1957, voce cit., n. 40 ; 14 settembre 1956, n. 3214, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 46, 47 ; 23 febbraio 1956, n. 526, ibid., nn. 48, 49 ; 29 ottobre 1956, n. 4032, ibid., n. 50 ; 23 febbraio 1952, n. 499, id., Rep. 1952, voce cit., n. 62 ; 19 giugno 1952, n. 1786, ibid., n. 69 ; 9 marzo 1950, n. 619, id., Rep. 1950, voce cit., n. 113 ; 23 maggio 1950, n. 1304, ibid., n. 118 ; 18 marzo 1948, n. 432, id., 1948, I, 1054, con nota di ri

chiami. In dottrina, nello stesso senso della sentenza annotata,

cons. : Cariota-Ferrara, L'enfiteusi, 1950, pag. 481 e segg. ; Destinazione dell'immobile e risoluzione del contratto di enfiteusi. Revisione del canone ; domanda di affranco ; pagamento dei sin.

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1107 PARTE PRIMA 1108

La Corte, ecc. — (Omissis). Col primo mezzo di annulla

mento i ricorrenti in via principale denunciano la viola

zione e la falsa applicazione degli art. 958 e 971 cod. civ.,

10 r. decreto 7 febbraio 1926 n. 426, nonché in genere dei

principi in tema di durata dell'enfiteusi e di forma di affran

cazione, con conseguente omesso esame di un punto deci

sivo della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,

cod. proc. civ. In proposito deducono che la corte di me

rito, avendo ritenuto che l'obbligo dell'enfiteuta di proce dere all'affrancazione entro un dato termine comportasse che l'enfiteusi doveva essere considerata ad tempus, avrebbe

dovuto trarre da tale qualificazione del contratto la conse

guenza che, per non essere stato esercitato il diritto pote stativo di affrancazione prima della scadenza del detto

termine, il rapporto si era estinto fin da tale data.

La doglianza deve essere disattesa, giacché la pronuncia della Corte di Ancona, sebbene impostata su rilievi giuri dici erronei, è tuttavia conforme al diritto ; talché ai sensi

dell'art. 384, ult. comma, cod. proc. civ., bisogna limitarsi

a correggerne la motivazione.

In proposito, si osserva, in primo luogo, che non può essere condivisa l'opinione della corte d'appello, secondo

la quale, in conseguenza della pattuizione (contenuta in

una scrittura integrativa del contratto costitutivo del

l'enfiteusi), che aveva posto a carico dell'enfiteuta l'obbligo di procedere entro determinati termini ad affranchi par ziali ed indi all'affranco totale, l'enfiteusi in discussione

(espressamente qualificata perpetua nel contratto costitu

tivo) doveva essere considerata ad tempus.

Infatti, com'è opinione di una autorevole dottrina, il

patto con cui si dichiara che l'enfiteuta deve affrancare,

entro una certa data, in quanto limita nel tempo l'esercizio

del diritto di affranco, è affetto da nullità (cfr., per riferi

mento, la sentenza di questa Suprema corte n. 2390 del

1933, Foro it., Rep. 1953, voce Enfiteusi, n. 12) e non

può importare la riduzione a temporanea dell'enfiteusi.

A conferma è da osservare che non può ritenersi con

sentito di porre al diritto di affranco un termine finale

inferiore alla durata del diritto di enfiteusi, giacché ciò

sarebbe in contrasto con la norma, contenuta nel 1° comma

dell'art. 971 cod. civ., per la quale l'enfiteuta può affran care il fondo quando siano decorsi venti anni dalla costitu zione dell'enfiteusi. La inderogabilità di tale norma è san cita dal precedente art. 957 e dal combinato disposto delle due norme risulta che si è inteso, non soltanto confer;re aj_ l'enfiteuta la facoltà del riscatto, ma anche vietare j patti intesi (come quello in discussione) ad apporre restrizioni all'esercizio di tale facoltà. Questa soluzione appare, d'al tronde, aderente al sistema della nostra legislazione e alla ratio delle norme sulla redimibilità del canone, diretto, com'è noto, a promuovere la piena libertà dei fondi, la divisione dei latifondi e la formazione della piccola proprietà, favorendo l'incremento della classe dei piccoli proprietari e dei pro prietari coltivatori. Di tale indirizzo della nostra legisla zione costituisce conferma la^preferenza accordata alla affrancazione sulla devoluzione, tanto vero che il diritto a quest'ultima, eccettuato il caso, previsto al n. 1 del l'art. 972 cod. civ., di grave deterioramento del fondo o grave inadempimento dell'obbligo delle migliorie, deve

goli canoni (nota alla sentenza Cass. 18 marzo 1948, n. 432), in Giur. Cass. civ., 1948, 2» quadr., 35 e segg. ; Deposito del prezzo di affrancazione : effetti (nota alle sentenze Trib. Roma 12 agosto 1947 e 12 gennaio 1948), id., 1947, 3° quadr., 1035 e segg.

Diversamente, cons. Trifone, in Commentario, a cura di A Scialoja e G. Branca, 1947, sub art. 1971, pagg. 86-87, secondò il quale « dal momento che l'affrancazione si perfeziona, non è più dovuto il pagamento del canone»; Orlando Cascio, Af francazione, voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1958, I, n. 18. pagg. 813-814, il quale ritiene che gli effetti dell'affrancazione^ fra le parti, si verificano dal giorno in cui è stata notificata la' citazione o dalla data del deposito integrativo, se l'originale deposito non sarà giudicato sufficiente e che «sino a tale data saranno dovute le annualità arretrate ». Infine, sulla retroatti vità degli effetti della sentenza di affrancazione, cons. Ambro sone, in Dir. e giur., 1956, 340.

sempre cedere di fronte al diritto potestativo dell'affran

cazione.

Nè può dirsi che lo stabilire un termine finale di affranco

importi la riduzione a temporanea dell'enfiteusi. Infatti

i patti, dei quali si discute, hanno lo scopo non di determi

nare la durata del rapporto, ma di rendere impossibile l'af

franco al di là del termine prefisso : il che peraltro, come si

è visto, non può ritenersi consentito.

Ciò posto, va rilevato che l'affermazione della corte

d'appello che l'enfiteusi in controversia doveva essere con

siderata ad tempus ha costituito non già un capo di pronuncia autonomo, ma un'argomentazione diretta a confutare la

tesi degli odierni ricorrenti, secondo la quale la nullità

del patto, con cui si erano stabiliti i termini entro i quali doveva essere esercitato il diritto di affrancazione, compor tava la nullità della intera convenzione. Ond'è che il ri

lievo della erroneità della dianzi ricordata considerazione

della corte di merito non viene ad apportare alcuna modi

ficazione alla portata giuridica della decisione adottata e,

conseguentemente, ben può essere effettuato da questa

Suprema corte.

Nè, d'altra parte, può dirsi che, una volta tolta l'afferma

zione, circa la natura temporanea della enfiteusi, dal con

testo della motivazione della denunciata sentenza, questa

rimanga priva di motivazione nel punto in cui ha disatteso

l'eccezione degli odierni ricorrenti, secondo la quale la

nullità del patto di affranco si risolveva in una nullità

della intera convenzione. Infatti, enunciata l'affermazione

di cui sopra si è detto, la Corte di Ancona ha soggiunto che, in ogni caso, non sarebbe stata censurabile l'opinione dei

primi giudici, secondo cui la nullità del patto, che rendeva

obbligatoria l'affrancazione entro un certo tempo, non im

portava la nullità del contratto di enfiteusi. Orbene, dacché

tale ulteriore argomentazione non è censurata col ricorso

ed è di per sè sufficiente a sorreggere la decisione adottata

sul punto in questione della controversia, il rilievo dell'erro

neità dell'affermazione di cui sopra si è fatto cenno, non

viene ad infirmare la, struttura logica dell'impugnata sen

tenza, il cui dispositivo deve essere, in conseguenza, man

tenuto fermo. Nella memoria difensiva i ricorrenti hanno tuttavia

obiettato che la dianzi ricordata ulteriore argomentazione della corte di merito è inidonea, per deficienza di motiva

zione, a sorreggere da sola la adottata decisione, giacché i giudici d'appello non hanno spiegato le ragioni che li

hanno indotti a escludere che la eventuale nullità del patto di affrancazione potesse dar luogo alla nullità dell'intera convenzione. Per altro, in ordine a tale tesi difensiva, è da osservare che, nel ricorso, è stato bensì denunciato un vizio di insufficiente motivazione, ma sotto un riflesso del tutto diverso da quello di cui sopra si è detto, avendo i

ricorrenti lamentato, in quella sede, solo che la corte d'ap pello avesse tralasciato di considerare che dalla ritenuta

temporaneità della enfiteusi derivava la conseguenza che

questa si era estinta. Ond'è che la questione relativa al l'ulteriore vizio di insufficienza della motivazione pro spettato nella memoria, in quanto non si inquadra nella censura dedotta nel ricorso, non può essere presa in alcuna considerazione. Infatti è noto che, dato il principio che im

pone la specificazione del gravame nell'atto di impugnazione, le memorie di cui all'art. 378 cod. proc. civ. devono li mitarsi ad illustrare i motivi del ricorso e non possono quindi contenere nuovi motivi o illustrare nuove questioni.

Consegue da quanto si è esposto che, pur dovendosi cor

reggere la motivazione della denunziata sentenza nel senso dianzi precisato, il primo mezzo di annullamento deve essere rigettato. (Omissis)

Con il terzo mezzo i ricorrenti, nel denunciare la viola

zione, sotto altro profilo, dei principi in tema di rapporti fra deposito della somma di affranco e persistenza dell'ob

bligo relativo al pagamento dei canoni enfiteutici, in rela zione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., lamentano che la corte d'appello abbia ritenuto che l'obbligo degli enfi teuti di provvedere al pagamento del canone fosse venuto meno dal giorno del deposito del capitale di affranco.

In proposito deducono che la cessazione dell'anzidetto

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

obbligo è un effetto non del deposito, ma della concreta manifestazione di volontà di affrancare, espressa nel con testo della domanda giudiziale di affrancazione.

La censura è priva di fondamento.

L'art. 10, ult. comma, del r. decreto 7 febbraio 1926

n. 426 dispone, come è noto che, qualora il prezzo di af

francazione venga determinato dal giudice in misura mag

giore in confronto del deposito, l'affrancante deve versare

alla Cassa depositi e prestiti la differenza del prezzo con

gli interessi legali. Ora, daccbè gli interessi sono dovuti al concedente al

momento del deposito, si deve escludere che siano dovuti

a lui pure i canoni, che, nel frattempo, maturano (cfr.,

per riferimento, le sentenze di questa Suprema corte n. 947

del 1960, Foro it., Rep. 1960, voce Enfiteusi, n. 23, e n. 274

del 1949, id., 1949, I, 324), non potendosi ovviamente am

mettere che l'enfiteuta sia tenuto a pagare cumulativa

mente interessi e canoni, e cioè due volte i frutti del diritto

del concedente. Al riguardo va anzi precisato che nelle en

fiteusi, nelle quali sia stato pattuito (come in quella in

controversia), un canone in denaro, determinandosi il prezzo di affrancazione mediante la capitalizzazione, sulla base

degli interessi legali, del canone dovuto (art. 4 r. decreto

7 febbraio 1926 n. 426), l'interesse sul prezzo di affranca

zione è del tutto uguale al canone in denaro.

Nè è esatta l'obiezione dei ricorrenti, secondo la quale

l'obbligo del pagamento degli interessi riguarderebbe esclu

sivamente le somme che non sono state oggetto del depo

sito, per cui la dianzi rilevata duplicazione dei frutti del

diritto del concedente, in effetti, non potrebbe aver luogo. Invero dal giorno del deposito sono dovuti al concedente

gli interessi legali sia sulla differenza di prezzo, sia sulla

somma depositata. Infatti in tanto il citato art. 10 del r.

decreto n. 426 del 1926 dispone che, nel caso in cui il prezzo di affrancazione venga determinato in una misura maggiore

rispetto al deposito, l'enfiteuta deve versare, con la differenza

del prezzo, gli interessi legali, in quanto l'intero capitale di

affrancazione spetta al concedente fin dal giorno del depo sito. E perchè da quel momento gli è dovuto l'intero prezzo di affrancazione, dalla stessa data gli sono dovuti, sulla me

desima somma, anche gli interessi legali. Va poi aggiunto

che, nel caso in esame, dai giudici di merito è stata, per

l'appunto, fatta applicazione di tale principio, essendosi

dichiarata l'affrancazione dietro pagamento, oltre che del

capitale di affranco, degli interessi legali su tutto il detto

capitale (tanto vero che sulla somma depositata, gli enfi

teuti sono stati dichiarati tenuti a versare ai concedenti

la differenza fra gli interessi legali e quelli corrisposti dalla

Cassa depositi e prestiti). Osservano ancora i ricorrenti che il deposito è un mero

presupposto della domanda di affrancazione in sede giudi ziale e che la volontà di avvalersi del potere di affranca

zione può manifestarsi solo con la detta domanda, la quale è l'unico atto idoneo a conseguire l'effetto di far cessare il

rapporto di enfiteusi e, conseguentemente, a far venir meno

ciascuno degli obblighi, che si connettono alla persistenza di quel rapporto.

Tali rilievi non appaiono però idonei ad infirmare l'esat

tezza della soluzione accolta dalla corte d'appello. Infatti

il deposito è indubbiamente una manifestazione tacita, ma univoca, della volontà di affrancare per via giudiziale e

rappresenta il primo atto di esercizio del diritto potesta tivo di affrancazione, non essendo affatto incompatibile con tale esercizio un atto che, pur non essendo strettamente

giudiziale, sia diretto all'attuazione del diritto in parola. Il

deposito è, dunque, il primo del complesso di atti necessari

per l'affrancazione giudiziale. E poiché nei fatti complessi, man mano che si realizzano i vari elementi, si ha uno stato

di pendenza, durante il quale possono prodursi effetti pro dromici o provvisori, ben può dal deposito medesimo (benin teso ove abbia i requisiti prescritti dalla legge) derivare

l'effetto prodromico (giustificato da quanto sopra si è

detto) della sospensione dall'obbligo di pagare il canone.

Non vale addurre, a presidio della contraria tesi, che

può intercorrere un notevole divario di tempo tra l'effettua

zione del deposito e la proposizione della domanda e che, in

base alla soluzione accolta dalla Corte di Ancona, l'enfiteuta, con il depositare una somma irrisoria, verrebbe a liberarsi

dell'obbligo di pagare il canone.

Infatti la sospensione dell'obbligo inerente al pagamento del canone è, come si è detto, solo un effetto provvisorio del

deposito ed è obbligo dell'enfiteuta di mettere in essere

le altre condizioni prescritte per l'affrancazione. Se a ciò

egli non adempie, il concedente può agire per far dichia

rare che (per non essere seguite le altre condizioni prescritte dalla legge per la liberazione dell'enfiteuta) si consideri il

deposito come mai avvenuto e può del pari chiedere che

si pronunci la devoluzione.

Consegue da quanto esposto che il ricorso principale deve essere rigettato.

Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile; sentenza 18 giugno 1964, n. 1559 ; Pres.

Marletta P., Est. Tamburrino, P. M. Pisano (conci,

conf.) ; Camarda (Avv. Santoro Passarelli) c. Pa

terno (Avv. Costa).

(Conferma Trib. Palermo 20 aprile 1963)

Sicilia — Riforma agraria — Terreni concessi in

enfiteusi — Rieomprensione nei piani di conferi

mento — Efficacia dei contratti enfitentici — Li

miti (Legge reg. 27 dicembre 1950 n. 104, riforma

agraria in Sicilia ; legge reg. 25 luglio 1960 n. 29, norme

integrative della legge di riforma agraria in materia di

vendita per la formazione della piccola proprietà conta

dina, art. 1).

Le enfiteusi costituite in Sicilia in applicazione delle leggi sulla piccola proprietà contadina su terreni successiva

mente compresi nei piani di conferimento predisposti per l'attuazione della riforma agraria, sono efficaci inter

partes, nonostante la sopravvenuta esecutività dei piani di conferimento, sino all'effettiva assegnazione dei detti

terreni agli enfiteuti. (1)

La Corte, ecc. — (Omissis). Il secondo ed il terzo mo

tivo attengono alla questione di merito circa la validità o

meno ai fini del pagamento del canone pattuito e quindi dell'efficacia o meno inter partes dei contratti enfiteutici

nel periodo intercedente tra l'esecutività dei piani di con

ferimento dei terreni dati in enfiteusi, ai fini della riforma

agraria in Sicilia, e l'assegnazione definitiva dei medesimi

terreni ai contadini, essi possono perciò essere esaminati

congiuntamente. Ma, prima di passare all'esame del punto di diritto, è

anzitutto necessario fissare gli elementi di fatto pacifica mente accertati, di cui si compone la fattispecie concreta che costituisce la base essenziale ed esclusiva dell'applica

(1) Questione nuova, a quanto consta. La sentenza di pri mo grado, Pret. Piana degli Albanesi 1° febbraio 1962, è rias sunta in Foro it., Rep. 1962, voce Sicilia, n. 145.

Invece, in base alle leggi di riforma fondiaria nazionale — ed in particolare in base alla legge stralcio 21 ottobre 1950 n. 841 —

è dalla data del decreto di espropriazione (corrispondente, nella riforma agraria siciliana, al provvedimento che dichiara esecu

tivo il piano di conferimento) che l'ente espropriante diviene pro

prietario del bene, acquistando tutte le facoltà relative, com

presa quella di godimento, mentre dalla stessa data perdono efficacia i contratti relativi ai detti terreni e i diritti reali su di

essi costituiti : cfr. Cass. 17 maggio 1963, n. 1263, id., Rep. 1963, voce Agricoltura, nn. 47-49 ; 6 aprile 1961, n. 729, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 87, 88 ; 25 febbraio 1960, n. 338, id.,

Rep. 1960, voce cit., n. 80. Le decisioni della Cassazione ricor

date nella motivazione della sentenza annotata, 18 aprile 1961, n. 852 e 26 novembre 1960, n. 3139, sono riportale rispettiva mente nel Rep. 1961, voce Sicilia, n. 97 bis e nel Foro, 1961,

I, 243, con nota di richiami.

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