Sezione II civile; sentenza 18 luglio 1960, n. 1994; Pres. Vela P., Est. Corduas, P. M. Mazza(concl. conf.); Bosisio (Avv. Barrani, Guerra) c. Ghiglione (Avv. Coppa, Piccirillo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1947/1948-1949/1950Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151099 .
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1947 PARTE PRIMA 1948
i
l'interprete ad attribuire al testo legislativo una portata diversa che valga ad eliminare quegli stessi inconvenienti,
i quali, del resto, possono verificarsi anche in altri casi
(ad esempio, se un fondo sia circondato da ogni parte da
beni demaniali, anche essi incondizionatamente esenti
dalla servitù coattiva di passaggio). D'altro canto, la tesi di cui si discute è anche incompa
tibile con quella che, secondo l'indirizzo dominante in
giurisprudenza, è la ratio della norma. Infatti si ritiene,
come già accennato, che il legislatore si è ispirato al cri
terio che, nella valutazione comparativa degli interessi
contrapposti dal proprietario del fondo intercluso e dei
proprietari dei fondi intercludenti costituiti da case, cor
tili o giardini, l'interesse di questi ultimi deve considerarsi
assolutamente prevalente e meritevole di maggior tutela :
ora, questa esigenza potrebbe in pratica rimanere frustrata
qualora la esenzione fosse operante nel solo caso in cui tra
i fondi che circondano quello intercluso ve ne sia alcuno
che sia assoggettabile in linea generale alla servitù.
Aggiungasi che, se così fosse, la norma in esame risul
terebbe pressoché svuotata di contenuto e di rilevanza,
perchè, lungi dall'avere una propria specifica ed autonoma
portata, si ridurrebbe ad un'applicazione meramente espli cativa del principio generale, sancito dal 2° comma dello
stesso art. 1051, in quanto rivolta a garantire un risultato
che, anche in mancanza di essa, potrebbe conseguirsi in
forza del detto principio. Ma v'è di più : la interpretazione restrittiva che ora ne
occupa, assai più di quella come sopra sostenuta da una
parte della dottrina e già ripetutamente disattesa da questo
Supremo collegio, oltre a non trovare alcun riscontro nei
lavori preparatori, è nettamente resistita dal contenuto
univoco della disposizione di cui trattasi. Essa, invero, sancisce la esenzione dalla servitù dei ripetuti beni in ter
mini tassativi ed assoluti, senza veruna riserva, eccezione o
salvezza e senza alcun riferimento, sia pur vago, sommario
o implicito, alla qualità degli altri fondi che circondano
quello intercluso ed alla possibilità che ad esso sia altri
menti assicurato un accesso dalla via pubblica : talché risulta evidente che la norma, essendo concepita e formu
lata esclusivamente in funzione della particolare natura e destinazione dei detti beni e della considerazione del ca rattere eccessivamente oneroso, e quindi intollerabile, del
vincolo che fosse ad essi imposto, prescinde del tutto dalle
conseguenze che deriverebbero dalla indiscriminata appli cazione dell'esenzione nel caso in cui di essa possano fruire tutti i fondi intercludenti, e non offre perciò il benché
minimo addentellato che giustifichi le distinzioni e limi tazioni prospettate dalla difesa dei ricorrenti.
Ora, questi rilievi, che confermano quanto dianzi si è
già rilevato a proposito della ratio della norma e della sua
incompatibilità con la tesi che si confuta, precludono in modo assoluto all'interprete la possibilità di attribuire al precetto legislativo un senso nettamente diverso da
quello che, sotto il profilo letterale, logico e teleologico, è fatto palese, in modo sicuramente non equivoco, dalle
espressioni in esso usate (art. ex art. 12 disp. prel. cod. civ.). Infine, vale la pena di aggiungere, anche se l'osserva
zione può ormai apparire superflua, che, se davvero l'in tenzione del legislatore fosse stata quella voluta dal ri
corrente, la norma, appunto perchè intesa soltanto a pre cisare, in riferimento ad una ipotesi particolare, le modalità di applicazione del principio generale di cui al 2° comma dell'art. 1051, oltre ad essere diversamente formulata, avrebbe dovuto trovare più conveniente collocazione nello stesso comma or ora indicato ; laddove essa non solo co stituisce un comma a sé stante ma è posta alla fine dell'ar ticolo : il che è rilevante soprattutto sotto il profilo siste
matico, perchè vale a sottolineare che la disposizione ha lo scopo di limitare e circoscrivere la portata di quelle che la precedono, escludendo tassativamente ed incondi zionatamente la loro applicabilità rispetto ai beni della
specie considerata. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE
Sezione II civile ; sentenza 18 luglio I960, n. 1994 ; Pres.
Vela P., Est. Corduas, P. M. Mazza (conci, conf.) ;
Bosisio (Avv. Barrani, Guerra) c. Ghiglione (Avv.
Coppa, Piccirillo).
(Gassa App. Genova 11 giugno 1958)
Concordato preventivo — Cessione dei beni ai credi
tori — Decreto di ammissione alla procedura —
Debiti successivi —- Giudizi di accertamento —•
Legittimazione passiva (R. d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 169, 182).
Passivamente legittimato nei giudizi per accertamento di
crediti, che si assumano sorti dopo il decreto di ammissione
alla procedura di concordato preventivo, è il debitore
concordatario e non già il liquidatore delle attività
cedute. (1)
La Corte, eoe. — Sostiene il ricorrente che, a seguito della omologazione del concordato preventivo, per la
Società Bagnara si erano venute a costituire due ammini
strazioni ben distinte, quella giudiziale dell'intero patri
monio, rappresentata dal liquidatore prof. Bosisio, e l'altra
costituita dalla Società stessa in liquidazione, ohe, rimasta
spossessata e priva di ogni ingerenza sul patrimonio sociale, rimaneva in attesa del rendiconto dell'avvenuta distri
buzione dei beni da parte del liquidatore giudiziale. Ciò premesso aggiunge che il Ghiglione era stato rico
nosciuto pacificamente come creditore beneficiario del
concordato, tanto vero che aveva ricevuto dal Bosisio
la liquidazione spettantegli con danaro tratto dai beni
caduti nel concordato, ragione per cui la Corte di merito
non poteva addurre, contraddicendosi, come motivo per addebitare l'obbligo del pagamento degli interessi alla
amministrazione giudiziale il fatto che il Ghiglione era un
creditore successivo al decreto di apertura della proce dura concordataria e, come, tale, escluso dal concordato
e non soggetto alla norma secondo la quale il decorso
degli interessi resta sospeso dàlia data di presentazione della proposta di concordato.
Precisa che la giustificazione escogitata dalla Corte
vale in realtà solo come premessa alla constatazione che
il debito non sarebbe stato dell'amministrazione con
cordataria, bensì di un terzo estraneo al giudizio e cioè
della Società. Il motivo è fondato. 11 Giudice del merito era stato
chiamato a decidere se al Ghiglione competessero gli interessi sulle somme già versategli a titolo di indennità
di licenziamento, dalla data in cui questo era stato inti
mato, e considerato che il diritto a tali indennità era sorto
all'atto della cessazione del servizio (30 gennaio 1953), avvenuta in epoca successiva al decreto con cui la Società
era stata ammessa alla procedura di concordato preven tivo, ritenne che gli interessi erano dovuti perchè relativi
ad un credito non concorsuale e non sottoposto alla norma
di cui agli art. 169 e 55 legge fall, (secondo cui, dalla data
di presentazione della domanda di concordato, è sospeso il decorso degli interessi, a meno che i crediti non siano
garentiti da ipoteca, pegno o privilegio). Una siffatta decisione, però, è manifestamente contrad
dittoria : è esatto che i creditori concorsuali devono rite
nersi quelli anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato preventivo (art. 161, 163, n. 2, 168 e 184
legge fall.) e che quelli successivi restano estranei a tale
(1) La massima sopra formulata diverge da quella « uffi ciale » contenuta nel nostro Mass., col. 435 ed inficiata da un evidente errore.
In senso conforme, senza distinguere tra crediti anteriori e crediti posteriori al decreto di ammi.-sione alla procedura con
cordataria, Cass. 23 novembre 1959, n. 3440, retro, 1535, con
ampia nota di richiami.
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1949 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1950
procedura, non partecipano alla votazione ed hanno diritto
al pagamento integrale dei loro crediti ed accessori, ma, ricorrendo quest'ultima ipotesi, legittimato passivamente nel giudizio relativo all'accertamento del vantato credito
non è il commissario o liquidatore giudiziale, bensì il debi
tore ammesso alla procedura di concordato preventivo, non essendo ovviamente possibile porre a carico dell'am
ministrazione concordataria debiti che vengono riconosciuti
estranei ad essa.
A superare tale evidente deduzione non vale poi obiet
tare che il prof. Bosisio, citato nella sua qualità di liqui datore, rivestiva anche quella di rappresentante della
Società e che, quindi, non occorreva che quest'ultima fosse
chiamata in giudizio : l'art. 167 legge fall, dispone che il
debitore, durante la procedura, conserva l'amministrazione
dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, e perciò, in quanto mantenuto a capo di questa, può compiere tutti gli atti
che sono necessari allo svolgimento della sua attività com
merciale, sia pure sotto il controllo del commissario giudi
ziario, perchè egli non perde minimamente la sua capacità
giuridica e processuale. Pertanto, il liquidatore giudiziale nominato ai sensi
dell'art. 182 legge fall., come, del resto, il commissario
giudiziale, non rappresenta nè il debitore nè il creditore, in
quanto le sue funzioni si riassumono nella distribuzione
e nella utilizzazione dei beni ceduti nell'interesse della
massa e non nella sostituzione o integrazione della capacità
processuale del debitore.
Se quindi fosse esatto che il creditore in questione, come ha ritenuto la Corte del merito, è estraneo al con
cordato, il pagamento di esso avrebbe dovuto essere
richiesto non al liquidatore giudiziale, bensì alla Società, e
la impugnata sentenza sarebbe viziata per aver omesso di
rilevare un difetto di legittimazione passiva, che, costi
tuendo un presupposto del processo, può essere rilevato, anche in ufficio, in ogni stato e grado del giudizio. (Omissis)
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
I
Sezione II civile ; sentenza 14 luglio 1960, n. 1903 ; Pres.
Pibbi P., Est. Boccia, P. M. Gentile (eonel. conf.) ; Lavizzari (Avv. Ronchey, Santoro Passabelli) c.
Cassa di risparmio delle Provincie lombarde (Avv. Guerra, Tamburini).
(Gassa App. Milano 7 marzo 1958)
Lavoro (contratto collettivo) — Contratto collettivo
anteriore al codice civile del 1942 — Desolamento aziendale preesistente — Clausole più favore
voli — Prevalenza — Fattispecie (R. d. 1° luglio 1926 n. 1130, disciplina giuridica dei rapporti collettivi di la
voro, art. 54). Lavoro (rapporto)
— Dirigente — IV'ozione — Cri
teri di accertamento della qualifica (Cod. civ., art. 2095).
1 contratti collettivi corporativi, stipulati prima dell'entrata in vigore del codice civile del 1942, non possono modifi care la clausole, più favorevoli ai lavoratori, che siano
contenute non solo nei contratti individuali, ma anche
nei c. d. regolamenti di azienda o di fabbrica (nella specie, il conflitto era sorto tra un contratto collettivo del 1939
ed un anteriore regolamento aziendale). (1) Ai fini del riconoscimento o meno della qualifica di dirigente,
la quale compete al dipendente la cui attività, pur svol
gendosi sotto le direttive generali dell'imprenditore, sia
caratterizzata da supremazia gerarchica con accentuati
poteri di iniziativa e di autonomia e tale da influenzare l'intero organismo aziendale o uno dei suoi grandi rami, il giudice di merito è tenuto a compiere una accurata
ed approfondita indagine di fatto in ordine alla natura, entità, complessità e rilevanza delle mansioni anche con
riferimento alla particolare organizzazione aziendale del caso di specie, salva l'ipotesi della attribuzione conven zionale della qualifica medesima per pattuizione espressa. (2)
II
Sezione II civile; sentenza 11 luglio 1960, n. 1867; Pres. Di Pilato P., Est. Modigliani, P. M. Gentile (conci,
parz. diff.) ; Pagliai (Avv. Bellini Rossi, Messina, Ideo, Lupis) c. Azienda tramviaria municipale di Mi lano-A.t.m. (Avv. De Amicis, Liebman).
(Conferma App. Torino 10 dicembre 1957)
Lavoro (contratto collettivo) — Contratto collettivo
corporativo — Preesistente regolamento aziendale — Clausole più favorevoli — Sostituzione (D. 1. 1. 23 novembre 1944 n. 369, soppressione delle organiz zazioni sindacali fasciste, art. 43).
1 contratti collettivi corporativi potevano sostituire anteriori
regolamenti aziendali che pur contenessero clausole più favorevoli ai lavoratori (nella specie, il conflitto era sorto tra un regolamento aziendale del 1931 e un contratto col lettivo del 1939). (3)
(1,3) Le specie, su cui le due sentenze della seconda Sezione civile han deciso, s'inquadrano nella stessa ipotesi del conflitto tra regolamenti aziendali e contratto collettivo che, stipulato prima dell'entrata in vigore del codice civile del 1942, contenga clausole per i lavoratori men favorevoli di quelle contenute nel regolamento, ma trovano soluzioni diametralmente opposte. Mentre la sentenza n. 1903, richiamandosi all'art. 54 r. decreto 1 luglio 1926 n. 1130, del quale ampiamente motiva l'interpre tazione divergente da quella già, seguita dal Supremo collegio (sent. 9 luglio 1940, Foro it., Rep. 1940, voce Lavoro (contratto), n. 59 ; 11 dicembre 1939, id., 1940, X, 282, con nota di richiami), nega la legittimità della reformatio in peius delle clausole di rego lamenti aziendali ad opera di contratto collettivo stipulato prima del 21 aprile 1942, la sentenza n. 1867 si richiama non all'art. 54, che neppure cita, ma a tre sentenze della Cassazione che han deciso sui seguenti casi : a) la sent. 5 maggio 1958, n. 1470 (id., Rep. 1958, voce cit., nn. 47, 48) ha ritenuto che i contratti col lettivi postcorporativi prevalgono su contratti, che, stipulati, dopo la soppressione dell'ordinamento sindacale e corporativo, da associazioni sindacali di grado inferiore aderenti alle superiori stipulanti i contratti collettivi, contenevano clausole meno favorevoli ai lavoratori (caso, quindi, che ratione temporis non ha nulla a che vedere con quello deciso dalla sentenza n. 1867) ; b) la sent. 7 luglio 1956, n. 2523 (Pres. ed est. Di Pilato ; id., 1956, I, 1806) risolve sì il conflitto tra un regolamento aziendale del 1931 e contratto collettivo del 1941, che conteneva clausole meno favorevoli ai lavoratori, nel senso della prevalenza del contratto collettivo, ma sulla base dell'art. 2077 e non dell'art. 54, che non cita, e, pertanto, rappresenta, sotto ogni aspetto, il precedente conforme della sentenza n. 1867 e, del pari, il pre cedente difforme della sentenza n. 1903 ; c) infine la sent. 14 luglio 1952, n. 2271 (id., Rep. 1952, voce Lavoro (rapporto), n. 114) esamina e risolve nello stesso senso la medesima specie, decisa con la sentenza n. 2523, del conflitto tra un contratto collettivo, stipulato prima del 21 aprile 1942, e anteriore regola mento aziendale, contenente clausole più favorevoli al lavoratore.
La contrapposizione, quindi, tra la sentenza n. 1903, della
quale l'Ufficio massimario ha estratto la sola massima relativa alla nozione di dirigente (id., Mass., 417), e la sent. n. 1867 è netta non già nella interpretazione della norma regolatrice del conflitto, sulla individuazione della quale la stessa Sezione della Corte regolatrice segue vie diverse, ma nella risoluzione del caso concreto, pur inquadrabile nella stessa ipotesi normativa.
Sui rapporti fra regolamenti aziendali e contratti collettivi, vedi Balletti, Appunti in tema dei cosiddetti contratti di lavoro aziendali : i regolamenti ed i contratti di lavoro di imprese, in Dir. economia, 1959, 1353, il quale, ravvisata la natura di contratti di adesione, riconosce l'applicabilità ad essi dell'art. 2077 cod. civ. e L. Ventura, Natura e limiti dei regolamenti aziendali, in Riv.
giur. Iiv., 1955, I, 175.
Sull'applicabilità dell'art. 2077 anche a contratti collettivi del periodo postcorporativo, la giurisprudenza prevalente è nel senso dell'ammissibilità ; così vedi Trib. Biella 30 giugno
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