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sezione II civile; sentenza 18 maggio 1993, n. 5639; Pres. Bronzini, Est. Patierno, P.M.Martinelli (concl. conf.); Barbagallo (Avv. Lorenzoni) c. De Negri (Avv. Pedretti, Murtula) ealtri. Conferma App. Genova 10 marzo 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 10 (OTTOBRE 1993), pp. 2845/2846-2847/2848Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187624 .
Accessed: 28/06/2014 13:50
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.: più specificamente, ac
campa avere detto giudice omesso di considerare che al condo
minio in discorso, come detto composto di due soli partecipanti
e, perciò, in ragione proprio del ridotto numero dei suoi com
ponenti, legittimamente privo di amministratore (art. 1129, 1°
comma, c.c.), non risulterebbero applicabili le disposizioni rela
tive al funzionamento dell'assemblea, di cui all'art. 1136 c.c.,
per essere i poteri deliberativi dell'organo assembleare paraliz zagli dall'eventuale disaccordo dei comunisti, e che, di conse
guenza, la fattispecie avrebbe dovuto essere ricondotta nell'am
bito di operatività, non già dell'art. 1134 c.c., ma dell'art. 1110
dello stesso codice, dettato in tema di comunione in generale, alla stregua del quale il comproprietario che, nella trascuranza
degli altri partecipanti o dell'eventuale amministratore, sosten
ga spese, comunque, necessarie per la conservazione della cosa
comune ha sempre diritto al rimborso delle somme erogate nel
l'interesse degli altri comunisti, pur nella riscontrata non urgen
za degli eseguiti esborsi.
Il motivo non è fondato. In proposito, giova evidenziare es
sere dato non contestato, in fatto, che la controversia attiene
a rapporto giuridico avente il titolo in una situazione di condo
minio in edifici. Orbene, secondo l'inequivocabile disposizione dell'art. 1139
c.c., la disciplina di rapporti del genere di quello in esame deve
essere ricavata essenzialmente dalle norme contenute nel capo
II del titolo VII del terzo libro del codice civile (art. 1117/1138),
e solo per quanto in tali norme non espressamente previsto pos
sono osservarsi le disposizioni sulla comunione in generale, di
cui agli articoli da 1100 a 1116 del codice anzidetto.
Il principio considerato, giusta quanto fatto palese dalla let
tera della legge, vale per ogni tipo di condominio e, quindi,
anche, in quanto per essi né esplicitamente né implicitamente
derogato, per i c.d. condomini minimi, e cioè per quelle collet
tività condominiali composte da due soli partecipanti, in rela
zione alle quali si ritiene generalmente, pur se non unanima
mente, che non possano applicarsi le disposizioni concernenti
il funzionamento delle assemblee di condominio dettate nell'art.
1136 c.c., che, perciò, la gestione dell'amministrazione debba
essere regolata secondo quanto prescritto dagli art. 1104, 1105
e 1106 c.c. (cfr., in tal senso, Cass. n. 7126 del 25 giugno 1991,
Foro it., Rep. 1991, voce Comunione e condominio, n. 190).
Ciò posto, deve osservarsi che la problematica relativa al di
ritto del condomino al rimborso di spese autonomamente soste
nute per la conservazione e la manutenzione del fabbricato co
mune ha nella normazione in tema di condominio una sua spe
cifica, espressa ed organica disciplina, diversa da quella dettata
con riguardo alla comunione in generale: ed infatti, mentre per
il condominio l'art. 1134 c.c. stabilisce che il rimborso in que stione spetta solo se il condomino abbia operato in caso di ur
genza, per la comunione l'insorgenza del considerato diritto del
partecipante operoso è subordinata esclusivamente al riscontro
della necessità della spesa sostenuta e della trascuranza degli
altri comunisti o dell'amministratore, e prescinde dall'urgenza
del realizzato intervento.
L'esistenza della normativa sul condominio negli edifici della
disposizione dell'art. 1134 c.c., regolamentante i casi del genere
di quello esaminato, a mente del dianzi ricordato art. 1139 c.c.,
preclude la possibilità di applicare nella fattispecie il dettato
dell'art. 1110 c.c., riferibile alla comunione in generale.
Sul punto, si rende opportuna una precisazione.
Questa Corte suprema, con propria precedente sentenza n.
5664 del 18 ottobre 1988 (id., Rep. 1989, voce cit., n. 103),
pronunciando su caso analogo a quello in discussione in questa
sede, ha statuito che con riguardo a rimborso di spese fatte
da un condomino per le cose comuni nell'ambito di un condo
minio composto da due soli soggetti non trova applicazione l'art.
1134 c.c., il quale, come detto, nega il diritto al rimborso in
questione nella mancanza di autorizzazione degli organi condo
miniali (salvo che per le spese urgenti), ed opera, invece, l'art.
1110 c.c., in tema di comunione in generale, onde al compro
prietario che abbia sostenuto spese necessarie per la conserva
zione della cosa comune spetta il rimborso nei confronti degli
altri partecipanti alla sola condizione che questi o l'amministra
tore trascurino di provvedere, in definitiva, ancorando la cosi
posta enunciazione di principio al rilievo che dalla tradizional
mente ritenuta inapplicabilità ai condomini c.d. minimi (com
posti da due soli partecipi) delle disposizioni relative al funzio
II Foro Italiano — 1993.
namento dell'assemblea condominiale, di cui all'art. 1136 c.c.
(cfr. in merito, Cass. n. 1604 del 26 aprile 1975, id., 1975, I,
1672; oltre che n. 7126 del 1991, cit.) dovrebbe farsi discendere
la non riferibilità a dette collettività condominiali anche della
norma dell'art. 1134 c.c., in ragione dell'impossibilità di ottene
re una autorizzazione assembleare nell'eventuale disaccordo dei
partecipanti al condominio.
Il collegio, però, riconsiderata la problematica in discorso,
ritiene non condivisibile l'orientamento giurisprudenziale segui
to nell'arresto dianzi ricordato.
Ed invero, alla stregua del tassativo dettato letterale del più
sopra richiamato art. 1139 c.c., non appare logicamente giusti ficato correlare alla ravvisata inoperatività nei condomini c.d.
minimi delle norme procedimentali sul funzionamento dell'as
semblea condominiale ed alla conseguentemente ritenuta appli
cabilità alla gestione di tali enti delle prescrizioni riguardanti la amministrazione dei cespiti oggetto di comunione in generale la disapplicazione con riferimento alle collettività condominiali
considerate della disposizione sostanziale dell'art. 1134 c.c., di
retta ad impedire indebite e non strettamente indispensabili in
terferenze dei singoli partecipanti nella gestione del fabbricato
comune riservata agli organi del condominio: e ciò tanto più
in quanto sono previsti dalla legge strumenti alternativi, appron
tati per consentire all'interessato di ovviare alla eventualmente
ingiustificata opposizione, o all'inazione delle controparti nella
adozione e nell'esecuzione dei provvedimenti non urgenti, e tut
tavia necessari per la conservazione ed il godimento dell'edificio
in condominio (art. 1105, 4° comma, c.c.).
Nella ravvisata infondatezza del motivo articolato per suffra
garlo, il ricorso deve essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 mag
gio 1993, n. 5639; Pres. Bronzini, Est. Patierno, P.M. Mar
tinelli (conci, conf.); Barbagallo (Avv. Lorenzoni) c. De
Negri (Aw. Pedretti, Murtula) e altri. Conferma App. Ge
nova 10 marzo 1988.
Distanze legali — Distanze nelle costruzioni — Computo — Spor
ti — Rilevanza (Cod. civ., art. 873).
Agli effetti del computo delle distanze tra gli edifici, di cui al
l'art. 873 c.c., che attiene ai rapporti tra confinanti, deve te
nersi conto degli sporti (balconi e cornicioni) dei fabbricati,
pur se il regolamento edilizio ne consenta un limitato aggetto,
per ragioni di interesse pubblico connesso all'estetica degli abitati. (1)
(1) Cfr., sulla computabilità delle sporgenze nella distanza tra fondi
finitimi, Cass. 11 dicembre 1992, n. 13109, Foro it., Rep. 1992, voce
Distanze legali, n. 5; 29 dicembre 1987, n. 9646, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 5, nonché, con espressa esclusione di rilevanza delle altezze cui
gli stessi siano collocati, Cass. 22 dicembre 1986, n. 7844, id., Rep.
1986, voce cit., n. 11.
Sulla distinzione tra «sporti» (mensole, lesene, risalti decorativi, ca
nalizzazioni di gronda), trascurabili agli effetti del computo delle di
stanze, e «corpi di fabbrica», destinati ad estendere la superficie abita
tiva o il volume degli immobili, v. Cass. 6 marzo 1992, n. 2703, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 3; 29 dicembre 1987, n. 9646, cit.; 21 febbraio
1986, n. 1058, id., Rep. 1986, voce cit., n. 12; 27 maggio 1981, n.
3481, id., Rep. 1981, voce cit., n. 15; 13 gennaio 1979, n. 272, id.,
Rep. 1979, voce cit., n. 8; 24 giugno 1976, n. 2375, id., Rep. 1976,
voce cit., n. 5.
In altre occasioni si è ritenuta l'insufficienza del criterio di ornamen
talità, accessorietà o attitudine all'incremento superficiario o volumetri
co, come pure della frontalità, totale o parziale, della sporgenza, rile
vando unicamente l'interesse della sicurezza, salubrità e igiene, che po
trebbe esser compromesso da intercapedini dannose (Cass. 5 febbraio
1982, n. 662, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6; 23 ottobre 1972, n. 3203,
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2847 PARTE PRIMA 2848
Motivi della decisione. — (Omissis). Ciò posto e cosi delimi
tato l'ambito di incidenza dei motivi di ricorso che in questa sede pongono in discussione la legittimità della condanna alla
parziale demolizione degli sporti del fabbricato di via Lavinia, devesi osservare che l'assunto dei ricorrenti secondo i quali gli
sporti non inciderebbero in materia di distanze in quanto l'art. 55 del regolamento edilizio del comune di Genova, il quale pre vede che la sporgenza di poggioli e cornicioni può raggiungere il massimo di metri 1,20, non rappresenterebbe una norma inte
grativa dell'art. 873 c.c., specie nella parte in cui consente la
deroga alle sporgenze e quindi maggiori sporti su autorizzazio
ne del sindaco a seguito di parere favorevole della commissione
edilizia, non può essere condiviso.
Invero, la sentenza impugnata ha certamente errato quando ha ritenuto legittima la sporgenza dei terrazzi fino a metri 1,20 e del cornicione fino a cm 90 (altezza, diviso 18) e cioè calco
lando la distanza tra fabbricati dal vivo dei muri perimetrali, senza tener conto degli aggetti, fino al limite consentito dal l'art. 55. L'interpretazione accolta dalla corte del merito con
durrebbe al risultato manifestamente incongruo di attribuire al
le disposizioni contenute nel citato art. 55, dettate come espres samente titola il cap. VII, nel quale la disposizione è contenuta,
per disciplinare le opere esteriori alle case per il pubblico inte
resse — e cioè unicamente per tutelare le ragioni dell'estetica cittadina e la sicurezza pubblica — un carattere derogatorio pro
prio delle norme sulle distanze sancite dal piano regolatore di
Albaro per integrare quelle stabilite dal codice civile.
L'art. 55 dunque non costituisce una norma di relazione, bensì
una norma di azione, in quanto dettata unicamente a tutela
dell'interesse pubblico e dell'estetica dei caseggiati, onde la stes sa non ha carattere derogatorio delle distanze tra fabbricati, che secondo consolidata giurisprudenza di questa corte, eccetto
per gli sporti aventi scopo meramente ornamentali, vanno cal
colati tenuto conto delle sporgenze costituenti per i loro caratte
ri strutturali e funzionali veri e propri aggetti, implicanti perciò un ampliamento dell'edificio in superfici e volume (Cass. 5 feb braio 1982, n. 662, Foro it., Rep. 1982, voce Distanze legali, n. 6; 29 dicembre 1987, n. 9646, id., Rep. 1988, voce cit., n. 5).
Ne consegue allora che sebbene la sentenza impugnata abbia
disposto la demolizione sia dei balconi che dei cornicioni per la parte eccedente la sporgenza che a suo avviso sarebbe stata
consentita dall'art. 55, in deroga delle distanze da osservarsi tra fabbricati, tale statuizione ancorché riduttiva sul piano san
zionatorio, va comunque tenuta ferma, dal momento che le spor
genze dei terrazzi e del cornicione, non avendo l'art. 55 alcuna
incidenza nella disciplina delle distanze, andavano interamente
computati ai fini del calcolo delle distanze tra le costruzioni, onde a maggior ragione devono essere calcolate le sporgenze superiori ai parametri previsti dal citato art. 55.
Nessun impedimento alla soluzione adottata può ravvisarsi
nell'assunto dei ricorrenti, del tutto infondato, secondo i quali escluso il carattere sanzionatorio dell'art. 55 del regolamento edilizio, ai sensi dell'art. 10 delle norme di fabbricabilità del
p.r.g. di Genova, la distanza dal limite di scomparto degli altri edifici si misurerebbe dal vivo dei muri perimetrali.
E agevole osservare in contrario che se è vero che l'art. 10
delle norme di fabbricabilità del p.r.g. di Genova stabiliva che
la distanza del limite di scomparto o da altri edifici si misura a partire dal vivo dei muri perimetrali, il successivo t.u. del
regolamento edilizio di Genova, approvato il 14 ottobre 1965, contenente al cap. IV, disposizioni generali relative alla fabbri
cabilità, non contiene una analoga disposizione, che pertanto deve ritenersi abrogata.
Infine, per quanto riguarda il richiamo allo ius superveniens
per effetto del nuovo piano regolatore generale approvato con
decreto 3 aprile 1980 n. 408 che avrebbe ridotto, secondo i ri
correnti, la distanza tra i fabbricati a metri dieci, rispetto ai
metri dodici previsti dalle norme previgenti, occorre rilevare che
id., Rep. 1972, voce cit., n. 6; 4 agosto 1972, n. 2624, ibicl., n. 7; 22 maggio 1972, n. 1566, ibid., nn. 8, 9; 25 febbraio 1970, n. 452, id., Rep. 1970, voce cit., n. 9).
In dottrina, v. Albano, Le limitazioni legali della proprietà, in Trat tato diretto da Rescigno, Torino, 1982, VII, 575; Tabet-Ottolenghi - Scaliti, La proprietà, Torino, 1981, 368; De Martino, Proprietà, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, 272.
Il Foro Italiano — 1993.
la questione non può essere utilmente prospettata in questa se
de, in quanto preclusa dal giudicato interno che si è formato
sul punto.
Invero, nel giudizio di primo grado venne dedotto che con
l'approvazione del nuovo piano regolatore le distanze tra fab
bricati, nella zona di cui trattasi, sarebbe stata in forza dall'art. 77 delle norme di attuazione consentita sino a metri dieci. Se
nonché la sentenza del tribunale confutò tale tesi affermando
che la disposizione riguardava una fattispecie totalmente diver
sa in quanto il citato art. 77 trovava applicazione soltanto nella
ipotesi di interventi in fabbricati che mirano alla sostituzione
di singoli fabbricati esistenti mediante demolizione e ricostruzione.
Ora, la mancata impugnazione in grado di appello di tale
implicita statuizione, comportante il diniego di applicare alla
fattispecie il nuovo piano regolatore, per le ragioni addotte nel
la sentenza di primo grado, comporta la formazione di un giu dicato interno sul punto e la preclusione quindi a riproporre la questione in questa sede.
I ricorsi pertanto devono essere tutti respinti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 mag
gio 1993, n. 5092; Pres. Ruperto, Est. Carbone, P.M. Mo
rozzo della Rocca (conci, diff.); Gianneri (Aw. Gianneri) c. Consiglio ordine avvocati e procuratori Catania. Dichiara
inammissibile ricorso avverso Cons. naz. forense 14 febbraio 1992.
Avvocato e procuratore — Procedimento disciplinare — Consi
glio nazionale forense — Decisione — Ricorso in Cassazione — Difesa personale — Ammissibilità — Mancata iscrizione
nell'albo speciale — Irrilevanza (R.d.l. 27 novembre 1933 n.
1578, ordinamento delle professioni di avvocato e di procura
tore, art. 56; r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, norme integrative e di attuazione del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, art. 66,
67). Avvocato e procuratore —
Consiglio nazionale forense — Deci
sione — Sospensione dall'esercizio professionale — Ricorso
in Cassazione — Difesa personale — Inammissibilità (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, art. 56).
L'avvocato, che intenda impugnare in Cassazione la decisione in materia disciplinare resa nei suoi confronti dal Consiglio nazionale forense, può sottoscrivere personalmente il ricorso
e partecipare alla discussione orale avanti la corte, pur non
essendo iscritto nell'albo dei patrocinanti dinanzi le giurisdi zioni superiori. (1)
Poiché la decisione del Consiglio nazionale forense irrogativa della sospensione dall'esercizio professionale è immediatamente
esecutiva, è inammissibile il ricorso in Cassazione contro la
stessa (decisione) proposto personalmente dall'avvocato
sospeso. (2)
(1) Le sezioni unite ribadiscono l'orientamento della riconsiderata Cass. 9 ottobre 1990, n. 9913, Foro it., 1990, I, 3121, con richiami e osserva zioni di C.M. Barone.
(2) In senso conforme, con riferimento all'ipotesi di ricorso proposto da avvocato cancellato dall'albo, cons, la richiamata Cass. 2 agosto 1989 n. 3569 e la precedente Cass. 20 novembre 1982, n. 6253, Foro
it., Rep. 1982, voce Avvocato e procuratore, n. 33. In dottrina, per identica impostazione, Ricciardi, Lineamenti del
l'ordinamento professionale forense, Giuffrè, Milano, 1990, 463, per il quale, «nell'ipotesi in cui il provvedimento impugnato comporti la
sospensione dall'esercizio professionale o la cancellazione o la radiazio ne del professionista dagli albi, data la sua esecutorietà fino all'even tuale sospensione, deriva la conseguenza che il ricorso per cassazione, sottoscritto personalmente dall'interessato, anche se già abilitato al pa trocinio innanzi le magistrature superiori, deve essere dichiarato inam missibile».
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