Sezione II civile; sentenza 19 aprile 1963, n. 956; Pres. Marletta P., Est. Pratillo, P. M. Tavolaro(concl. conf.); Temporiti (Avv. Scognamiglio, Giussani) c. Soc. Breda ferroviaria (Avv.Mandrioli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 8 (1963), pp. 1725/1726-1729/1730Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23153366 .
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1725 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1726
di risoluzione o con la quanti minoris, entrambe derivanti
dalla garanzia, anche se quell'azione o quell'eccezione
egli intendesse proporre nei termini di decadenza e di
prescrizione comminati dall'art. 1495.
E dalla conclusione accolta deriva anche clie il quarto ed il quinto motivo di ricorso, con i quali si prospettano
questioni ehe appunto attengono alla decadenza e alla
prescrizione, rimangono assorbiti dalla pronuncia di ri
getto del secondo e delterzo motivo, ehe riflettono la que stione di proponibilitä dell'azione o dell'eccezione anzidetta.
Dalla reiezione del ricorso consegue, per la Societä
ricorrente, la perdita del deposito e la condanna ai paga mento delle spese del giudizio di cassazione.
Per questi motivi, eassa, ecc.
derando ehe, per il fatto stesso dell'intervento della colpa, si õ fuori dell'ipotesi dell'art. 1492 eirea gli effetti della
garanzia e che se si escludessero l'azione o l'eccezione per il motivo che esulano dalla garanzia e non competono quando non vi e colpa, la garanzia finirebbe col produrre la para dossale conseguenza di indebolire, in questo punto, la
tutela del compratore, che in vece, ha lo scopo di raffor
zare, e, per di piil, di indebolirla esercitando un'influenza
fuori dei limiti in cui la garanzia e circoscritta, cio6 nel
l'ipotesi di colpa del yenditore.
Tuttavia, la stessa dottrina ha ritenuto, non ostante la legge nulla disponga al riguardo, che l'azione sia sog
getta alla decadenza e alia preserizione secondo la norma
dell'art. 1495, e la eccezione (o la domanda riconvenzionale) alia sola decadenza, giusta il principio quae temporalia ad agendum perpetua exeipiendum, richiamato dall'articolo
da ultimo citato.
L'opinione esposta non puõ essere condivisa.
Infatti, nella compravendita il sinallagma esiste tra
la cosa ed il prezzo, di guisa che il venditore si rende adem
piente al contratto mediante la consegna della cosa che
ne õ oggetto ; e pertanto solo nel caso di inadempienza da parte del venditore all'obbligazione di consegnare, il
compratore puõ, in base ai principi generali, chiedere a
sua scelta l'adempimento oppure la risoluzione del contratto.
Le altre obbligazioni del venditore, elencate nelPart.
1476, sono accessorie rispetto a quella della consegna e
mirano ad assicurare la piena disponibilitä giuridica ed
economica della cosa, cautelando il compratore dal pre
giudizio di un adempimento inesatto. Esse presuppon
gono, quindi, un contratto adempiuto, e traggono appunto
origine dall'esecuzione della prestazione do vat a dal ven
ditore.
Queste considerazioni rendono evidente che, prostata la cosa, il venditore non puõ essere costretto all'adempi mento del contratto, poiche esso o giä adempiuto, ma puõ essere soltanto tenuto a rispondere verso il compratore delle conseguenze dannose che a questi siano derivate da
un inesatto adempimento. E la tutela del compratore si
attuerebbe in base ai principi generali, se gli effetti della
inosservanza delle obbligazioni accessorie del venditore
non fossero espressamente disciplinati negli art. 1478 e
segg. cod. civile. In particolare, per quanto riguarda la
garanzia per vizi, oltre le azioni specificlie concesse al
compratore, non puõ sostenersi che gli competa, nel con
corso della colpa (presunta) del venditore, anche l'azione
di adempimento o la correlativa eccezione, perche la garan zia presuppone un contratto adempiuto, e la tutela del
compratore, concorra o non concorra la colpa del vendi
tore, e attuata per salva guardarlo, come si e accennato, dalle conseguenze di un adempimento inesatto.
E di ciõ, del resto, b conferma nell'art. 1494 cod. civ.,
che, prevedendo nel caso di colpa del venditore il risarci
mento del danno esteso anche all'interesse positivo, impli citamente esclude nel caso prospettato la proponibilita dell'azione di adempimento o l'opponibilita dell'eccezione di inadempimento.
Nfe, da ultimo, va trascurato il rilievo che, mentre per l'azione di risarcimento e concepibile la soggezione ai ter
mini di decadenza e di preserizione propri della garanzia
per vizi, come piu volte ha giudicato questa Suprema corte, venendo anch'essa ad inquadrarsi nel sistema delle azioni
di garanzia, tale soggezione non riesce a configurarsi per l'azione di adempimento, che si richiama soltanto ai prin
cipi generali, talche e lecito ritenere che la contraria tesi, affermata dalla dottrina dianzi esposta, non rappresenti che un espediente per rendere impossibile al compratore, cui non sia piil consentito di esercitare l'azione di risolu
zione o la quanti minoris, di fruire, anche nel caso di colpa del venditore, del termine ordinario di preserizione per
esperire l'azione di adempimento. Alia stregua delle argomentazioni svolte deve, pertanto,
concludersi che il compratore, nella garanzia da vizi, non
possa avvalersi, anche nel coucorso della colpa del vendi
tore, dell'azione di esatto adempimento o della eccezione
di inesatto adempimento alternativamente con l'azione
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 19 aprile 1963, n. 956 ; Pres.
Mabletta P., Est. Pratillo, P. M. Tavolaro (ooncl.
conf.); Temporiti (Aw. Scognamiglio, Gittssani) c.
Soo. Breda ferroviaria (Aw. Mandrioli).
(öonferma A pp. Milano 24 gennaio 1961)
Lavoro (rapporto) — IVIorte del lavoratore per inior
tunin non imputabile all'imprenditore — Inden
nizzo per assieurazione iiiiortuni volontariamen'e
contratta dall'impreditore — Detrazione dalle
indennitä spettanti ai parenti — Ammissibilitä
(Cod. civ., art. 2087, 2110, 2111, 2118, 2119, 2120, 2122, 2123 ; r. d. 13 novembre 1924 n. 1825, disciplina del
l'impiego privato, art. 6, 10, 13 ; r. d. 1. 22 marzo 1928
n. 740, interpretazione dell'art. 10 del r. d. 1. 13 novem
bre 1924 n. 1825, art. unico ; r. d. 17 agosto 1935
n. 1765, assieurazione obbligatoria degli infortuni sul
lavoro, art. 4).
L'indennizzo per infortunio mortale, che i parenti del lavo
ratore, deceduto per causa non imputabile all'imprendi tore, percepiscono per effetto di una assieurazione volon
tariamente stipulata dall'imprenditore, deve essere de
tratto dalle indennitä ehe ai medesimi spettano ai sensi
dell'art. 2122 cod. civile. (1)
La Corte, ecc. — La Corte di merito, considerate che la
Temporiti aveva riscosso la somma di lire 2.494.748 per effetto di una polizza di assieurazione eontro gli infortuni
sul lavoro, ancho se seguiti da morte, stipulata volontaria
mente dalla Breda ferroviaria a favore del dipendente Guido Besozzi, ha ritenuto che nulla era piu dovuto alia
Temporiti per i titoli da lei esposti, in quanto per l'art.
2123 cod. civ. l'imprenditore, il quale ha eompiuto volon
tariamente atti di previdenza, puõ detrarre, dalle somme
da lui dovute a norma degli art. 2110, 2111, 2120, 2122
cod. civ., quanto il prestatore di lavoro o chi per lui ha
diritto di percepire per effetto di tali atti di previdenza, anche se questi non siano stati posti in essere alio scopo di coprire le indennitä, di fine rapporto spettanti al lavo
ratore, essendo sufficiente che l'evento, il quale, di fatto, ha determinato la cessazione del rapporto di lavoro, sia
comunque compreso negli atti di previdenza, vale a dire
che questi coprano quei rischi che possano essere causa di
cessazione del rapporto come, nel caso concreto, la morte
per infortunio, e cbe le somme relative a tali atti di previ
(1) La sentenza 24 gennaio 1961 della Corte d'appello di
Milano, ora confermata, leggesi in questa rivista, 1961, I, 1755,
ove 6 altresi riportata la difforme sentenza del Trib. Milano 14
marzo 1960, con nota di riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.
Sulle indennitä spettanti ai parenti del lavoratore defunto
ex art. 2122 cod. civ., v., da ultimo, Corrado, 11 contratto di
lavoro, 1962, pag. 293 e segg. (questa parte del volume £ anche
pubblicata in Dir. economia, 1962, 571 col titolo Sulla natura
giuridica dell'indennitä in caso di morte del lavoratore).
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1727 PARTE PRIMA 1728
denza siano state pagate dall'assicuratore, alle persone indicate dall'art. 2122 cod. civ., proprio per il verificarsi
di tale evento risolutivo, come nella fattispecie, e non a
titolo di risarcimonto danni di cui l'imprenditore assi
curante o chi per lui, debba rispondere : si obietta nel
primo mezzo del ricorso, in relazione agli art. 360, nn. 3,
5, cod. proc. civ. e 2120 cod. civ., che la Corte del merito
avrebbe errato nell'interpretare l'art. 2123 cod. civ. in
quanto l'assiourazione contro gli infortuni ha la sua cau
sale esclusiva nella copertura del rischio espressamente
prevista, cosicche non potrebbe farsi valere per altri eventi,
conne^gi piü o meno occasionalmente all'infortunio, quale la c dssazione del rapporto di lavoro per morte del presta
to.fe d'opera a seguito di infortunio, e per le indonnita
che possono spettare in conseguenza di tale cessazione.
Secondo la ricorrente il criterio dettato dall'art. 2123
sarebbe quello che la facolta di detrazione riconosciuta
all'imprenditore per atti di previdenza da lui predisposti a favore dei propri dipendenti operi soltanto tra le inden
aiitä, dovute dal datore ai sensi degli art. 2110, 2111, 2120,
I soli richiamati dall'art. 2123 e gli atti di previdenza iutesi
ad assolvere all'obbligo di pagamento di dette indennita :
il che, si fa rilevare, si comprende agevolmente, altri
menti si verrebbe a corrispondere al lavoratore, o a chi
per lui, due volte una somma dovuta alio stesso titolo,
ma non puõ valere per somma dovuta per una causale
diversa quale, nel caso concrete, il pagamento di una po
lizza di assicurazione per morte del lavoratore dovuta a
infortunio sul lavoro.
Nel secondo mezzo si lamenta, in rapporto all'art. 360,
nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione, sotto altro profilo, dell'art. 2123 cod. civ. e degli art. 2122 cod. civ., 13 del
r. decreto legge n. 1825 del 13 novembre 1924 e 1 delr. de
creto legge n. 740 del 22 marzo 1928 in quanto sarebbe, se
mai, ammessa soltanto la detraibilitä, con gli atti di previ denza predisposti dall'imprenditore, delle indennita dovute
alio stesso lavoratore ex art. 2110, 2111, 2120 cod. civ., e
non pure delle indennita spettanti ai superstiti ai sensi del
l'art. 2122.
Nel terzo mezzo si denuncia, in rapporto all'art. 360, nn. 3,
5, cod. proc. civ., e all'art. 2118 cod. civ. un'ulteriore
violazione dell'art. 2123 cod. civ. e si sostiene che la Corte
d'appello avrebbe errato nel ritenere che la detrazione della
somma corrisposta alia Temporiti, per la morte del marito
seguita a infortunio sul lavoro possa operare anche nei
confronti dell'indennita di mancato preavviso, poiche ciõ
sarebbe in esplicito contrasto con il tenore letterale dell'art.
2123. Con il quarto e ultimo mezzo si lamenta la viola
zione degli art. 2121, 2122 in quanto nella liquidazione finale delle indennitä spettanti alia Temporiti, dovrebbe
tenersi conto anche dell'aggiunta di famiglia. II ricorso e infondato
L'art. 2123 deriva strettamente dall'art. 13 del r.
decreto legge n. 1825 del 13 novembre 1924, sul contratto
d'impiego privato, e dall'art. unico del r. decreto legge n. 740 del 22 marzo 1928. II primo stabilisce che «... in
caso di morte dell'impiegato spetta al coniuge superstite, e ai congiunti non oltre il quarto grado che vivevano a
suo carico, le indennitä, di licenziamento di cui all'art. 10
(cio&, dato l'uso del plurale, sia quella di preavviso sia
l'altra di anzianita previste entrambe da detto articolo) fatta deduzione di quanto essi abbiano diritto a percepire . . .
da una societä, assicuratrice per atti di previdenza com
piuti dal principale ».
II secondo dispone che «... salvo espresso patto in
contrario, e in facoltä del principale di dedurre dall'am
montare dell'mdennita prevista dall'art. 10, 3° comma
(anzianitä), del r. decreto legge n. 1825 del 1924, per il
caso di licenziamento da lui dato dall'impiegato, quanto
questi abbia diritto a percepire, in conseguenza di tale
licenziamento, per atti di previdenza compiuti da detto
principale ».
Era generalmente ammesso il carattere interpretativo del decreto n. 740 del 1928 (cfr. Cass. sent. n. 49 del 12
gennaio 1933, Foro it., 1933, I, 677) e si riteneva che la
deduzione in parola, era consentita al datore di lavoro
anche per gli atti di previdenza da lui volontariamente
predisposti a favore dell© proprie impiegate in caso di
interruzione del servizio per puerperio e gravidanza (art.
6, 7° comma, deereto n. 1825 del 1924). Tali disposizioni sono state trasfuse, estendendole a
tutti i lavoratori subordinate nell'art. 2123 cod. civ.,
secondo cui, appunto, il datore di lavoro, che abbia volon
tariamente predisposto (s'intende esclusivamente a sue
spese) atti di previdenza per far fronte aU'eventuale adem
pimento dei particolari obblighi su lui gravanti, quando i
propri dipendenti si vengano a trovare nelle condizioni
per le quali sono previste, a loro favore o di chi per essi,
iniziative o a fini assistenziali (e cioe per il caso di malattia,
gravidanza e puerperio: art. 2110; di servizio militare :
art. 2111 e di morte : art. 2122) ovvero a fini d'indennizzo
(come per il caso d'infortunio sul lavoro non mortale o
di malattia professionale : art. 2110 e di licenziamento non
per giusta causa : art. 2120), puõ, salvo patto contrario,
dedurre dalle somme che deve per i titoli suddetti al pre statore d'opera quanto questi o cbi per lui ha diritto di
percepire per effetto degli atti di previdenza medesimi.
II tenore della norma, e la sua non discussa finalitä
a carattere anche previdenziale, non lascia dubbi, con
trariamente all'assunto della ricorrente, che essa, come
sopra si e accennato, ricomprenda anche l'ipotesi prevista dall'art. 2122, il quale deve ritenersi implicitamente richia
mato dalla norma stessa per l'esplicito riferimento fatto
all'art. 2120.
E, invero, il coniuge superstite, i figli e, se vivevano
a carico del prestatore d'opera, i parenti entro il terzo
grado e gli affini entro il secondo, hanno diritto, in base
all'art. 2122, a percepire, e nel medesimo ammontare,
quelle stesse indennitä, e non altre, che sarebbero spettate al lavoratore (art. 2118, 2120) ove il rapporto di lavoro
si fosse risolto, invece che per morte, per ogni altra causa
diversa da quella prevista dall'art. 2119 : vale a dire che
dette persone si sostituiscono al lavoratore se pure, com'e
pacifico in dottrina e in giurisprudenza, iure proprio e non
heredüatis. E, pertanto, come il datore di lavoro poteva dedurre dalle somme spettanti al lavoratore a norma
dell'art. 2120 quanto il lavoratore stesso avrebbe percepito
per atti previdenziali predisposti a suo favore, cosi il da
tore medesimo puõ dedurre dalle somme spettanti alle
persone indicate dall'art. 2122 quanto queste hanno per
cepito per atti previdenziali predisposti a loro favore in
vista deU'eventuale risoluzione del rapporto di lavoro per
morte del prestatore d'opera. Che poi l'indennita di preavviso, richiamata dall'art.
2122, e dovuta alle persone ivi indicate per espressa dispo sizione dell'art. 2118, ult. capov., abbia, come quella di
anzianitä, carattere essenzialmente assistenziale per le
persone indicate dall'art. 2122, e non di risarcimento per il
lucro cessante, preveduto o prevedibile, com'e per il lavo
ratore, e anche principio pacifico, e non lo contesta la
ricorrente, cosicche non puõ farsi diversity di trattamento
giuridico tra due indennitä aventi identica natura, le
quali, peraltro, come si e visto, sono insieme considerate
dagli art. 10 e 13 della legge sull'impiego privato, dai quali derivano gli art. 2122, 2123 cod. civile.
Non puõ avere, pertanto, valore interpretativo in senso
contrario al principio qui affermato il fatto che nell'art.
2123 non & ricliiamato l'art. 2118. Ciõ poträ significare, se mai, che per il lavoratore non e prevista la deducibility
per atti di previdenza della indennitä, di preavviso (data la sua particolare natura) ; ma poiohe, in caso di morte
del lavoratore, l'art. 2118, ult. capov., espressamente dispone che tale indennitä sia pagata ai superstiti ed essa e richia
mata dall'art. 2122 ed ha, per le persone ivi indicate, la
stessa natura giuridica dell'indennita di aiizianita, richia
mata dall'art. 2123, se ne deve dedurre la sottraihilit;\,
da quanto dovuto per indennitä di preavviso ex art. 2118, ult. capov., anche di ciõ che si ha diritto di percepire per effetto degli atti di previdenza volontariamente disposti dal datore di lavoro.
Ed ancora, poiche le indennitä in parola vengono li
quidate in base alia retribuzione percepita dal lavoratore,
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1729 GIUR1SPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1730
& certo ohe non si puõ toner conto, per esse, degli assegni familiari, i quali non costituiscono parte della retribuzione
dovuta dal datore di lavoro quale corrispettivo dell'opera per lui prostata, ben si una provvidenza, a oarattere assi
stenziale, che il lavoratore subordinate) percepisee come
oapofamiglia, per poter far fronte alle esigenze di deter -
minati familiari conviventi a suo carico ; e ehe il datore
di lavoro, nel settore dell'mdustria, eorrisponde al lavo
ratore quale mandatario dell'I.n.p.s. (cfr. Cass. sent. n.
2445 del 7 luglio 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Previ
denza sociale, nn. 699, 700). Infine che l'imprenditore possa dedurre da quanto
dovuto al lavoratore, o alle persone indicate nell'art. 2122,
per i titoli di cui si e detto, le somme all'uno o alle altre
corrisposte, per atti di previdenza da lui volontariamente
compiuti, solo quando tra tali atti e l'ipotesi in concreto
verificatasi esista non un semplice vincolo di occasionalitä
ma nn vincolo causal©, e principio giä affermato da questa
Suprema corte con la cit. sent. n. 49 del 12 gennaio 1933.
Nella quale, infatti, si e affermato che per atti di previdenza debbono intendersi solo quelli che vengono compiuti dal
datore di lavoro al fine di predisporre l'adempimento di
una sua eventuale obbligazione che possa insorgere quando abbia a verificarsi l'evento futuro e incerto di un licenzia
mento senza colpa, di una malattia, della morte o taluno
degli altri eventi previsti dalla legge, cosicche tale evento
fuuge da condizione sospensiva del diritto del lavoratore, o da clii per lui, a percepire le somme dovute per gli atti
previdenziali del datore di lavoro, diritto che non si matura
se non quando l'evento previsto si sia verificato.
Senonche la Corte d'appello con ampia motivazione, immune da vizi logici e da errori di diritto e pertanto in
sindacabile in questa sede, ha affermato che, nel caso
concreto, tale nesso causale esisteva.
£ pacifico che la Soc. an. Breda ferroviaria aveva assi
curato volontariamente, a proprie spese, il dipendente Besozzi contro gli infortuni sul lavoro (s'intende al di fuori
dell'assicurazione obbligatoria prevista dal r. decreto legge n. 1765 del 17 agosto 1935, e del diritto dei superstiti a
percepire la rendita e l'assegno una taritum ex art. 21,
n. 3, di detto decreto) non soltanto per il caso di invalidity
temporanea o permanente, ma anche per il caso di morte, e non esclusivamente per coprire una propria eventuale
responsabilita ex art. 2087 cod. civ. e 4 del decreto n. 1765
del 1935. Ed allora non puõ contestarsi che se era stata
espressamente prevista, tra gli atti di previdenza per il
lavoratore, anche la morte di questi come conseguenza di
un infortunio sul lavoro, il datore, con l'atto di previdenza
compiuto, aveva inteso liberarsi, data l'inesistenza di un
patto contrario, anche dall'obbligazione che gli incombeva
ai sensi dell'art. 2122, come 6 dimostrato dalla correspon sione alia Temporiti dell'indennizzo assicurativo pur es
sendo stata esclusa, riguardo l'infortunio mortale, ogni
responsabilita del datore o di chi era incaricato della dire
zione o della sorveglianza del lavoro. Indennizzo che non
sarebbe stato corrisposto se la morte fosse stata conse
guenza di altra causa non contemplata negli atti previ
denziali, cosicche il datore di lavoro avrebbe dovuto far
fronte direttamente agli obblighi che gli incombevano
ex art. 2122.
Onde l'esistenza, esattamente affermata dalla Corte
del merito, del nesso causale tra cessazione del rapporto di lavoro per morte da infortunio e atti di previdenza. Ed invero l'evento morte, seguito alia causa prevista nell'atto di previdenza, lia, da un lato, risolto senz'altro
il rapporto di lavoro, dall'altro, realizzato la condizione,
a favore dei soggetti indicati dall'art. 2122 per il diritto
alia riscossione delle somme per gli atti di previdenza com
piuti volontariamente dal datore di lavoro. Questi, a causa
della morte del proprio dipendente, avrebbe dovuto cor
rispondere, agli aventi diritto, le indennitä, di cui all'art.
2122, a queste sisono sostituite le somme pagate per l'atto
di previdenza, le quali era no dovute per essersi la morte
(e, quindi, la risoluzione del rapporto) verificata proprio
per la causa prevista (infortunio) dall'atto di previdenza.
In tal senso, peraltro, si e espressa, interpretando l'art.
13 della legge sull'impiego priyato, questa Corte nella
sent. n. 1108 del 14 aprile 1937 (Foro it., Rep. 1937, voce
Impiego privato, n. 739), eon la quale & stato affermato
che dalle indeniiita, di licenziamento (preavviso e anzianitä)
agli aventi diritto, per la morte dell'impiegato a seguito d'infortunio sul lavoro, deve dedursi la somma da quello
percepita per l'assicurazione dell'estinto contro gli infor
tuni mortali stipulata volontariamente dal datore.
E nello stesso senso discendendo esso direttamente
dall'art. 13 citato, va interpretato l'art. 2125, con il quale, in definitiva, si e inteso escludere il cumulo tra le inden
nitä, previste dagli art. 2110, 2121, 2120, 2122 e le somme
clie il prestatore d'opera, o chi per lui, ha diritto di perce
pire per effetto degli atti di previdenza volontariamente com
piuti dal datore stesso quando, adempiendo questi atti
alia medesima funzione di quelle indennitä, possono, se
non vi c patto contrario, come nel caso concreto, sosti
tuirle.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, ma ricorrono
giusti motivi per la compensazione totale delle spese del
giudizio di cassazione.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezioni unite civili; sentenza 17 aprile 1963, n. 946 ; Pres.
Di Pilato P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Pepe
(concl. conf.) ; Travan (Aw. Marpilleeo, Cosattini) c.
Consiglio naz. geometri.
(Gassa Oonsiglio naz. geometri 25 ottobre 1960)
ProSessioni intellettuali — Gcomctra — Impiegato di pubblica Amministrazione — Iscrizionc al
l'albo —- Ammissibilitä — Condizioni (E. d. 11
febbraio 1929 n. 274, regolamento per la professione di
geometra, art. 7).
La qualitä di impiegato di una pubblica Amministrazione e
inoompatibile con Vesercizio della libera professione di
geometra (e quindi con la icrizione all'albo professionale), sol se la incompatibilitä sia espressamente preveduta dal
Vordinamento deU'ente pubblico dal quale I'impiegato dipende, ovvero da leggi, regolamenti, o capitolati. (1)
La Corte, eoc. — II ricorso e fondato : il Consiglio nazio nale dei geometri ha, infatti, nella decisione impugnata interpretato inesattamente l'art. 7 del r. deereto 11 febbraio
1929 n. 274, nonche l'art. 22 del regolamento dell'Istituto
autonomo per case popolari di Gorizia, onde la decisione
medesima dev'essere annullata.
Come altra volta, in ipotesi identica (poiche il corri
spondente articolo del regolamento di altro istituto auto
nomo per le case popolari conteneva una norma analoga a
quella del rieordato art. 22), questa Corte suprema ha giä deciso (sentenza 18 marzo 1961, n. 619, Foro it., 1962, I,
346) che, a norma dell'art. 7 del r. deereto 11 febbraio 1929
n. 274, la qualita di impiegato di una pubblica Amministra
zione non e, di per sc sola, inoompatibile con la professione di geometra (e quindi con l'iscrizione dell'impiegato nel
l'albo professionale) ; occorrendo invece, perc.he detta incom
patibilita sussista, che l'esercizio della libera professione sia
espressamente vietato dall'ordinamento dell'ente da cui
il geometra dipende.
(1) In senso conforme : Cass. 23 maggio 1062, n. ]202, Foro it., Rep. 1962, voce Professioni intellettuali, n. 104 ; 18
marzo 1961, n. 619 e 2 gennaio 1961, n. 2, id., 1962, I, 346, con nota di richiami.
In dottrina, cfr. : De Santis, Geometra, voce del Novissimo
digesto it., VII, pag. 804 ; Romano, Oggetto e limiti dell'esercizio
professionale di geometra, in Corriere amm., 1959, I, 260 ; An
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