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sezione II civile; sentenza 19 febbraio 1996, n. 1267; Pres. Maestripieri, Est. CristarellaOrestano, P.M. Iannelli (concl. conf.); Tomasina, Micotti (Avv. Napoli) c. Monti (Avv.Bulgheroni, Sandri). Conferma App. Milano 15 settembre 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2463/2464-2467/2468Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190089 .
Accessed: 25/06/2014 06:55
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2463 PARTE PRIMA 2464
prima istituzione dell'albo professionale degli psicologi e di di
sciplina della relativa materia era quello di sanare in via transi
toria le situazioni pregresse sviluppatesi in assenza di una speci
fica normativa, equiparando ai titoli di cui all'art. 2 della legge
tutta una serie di situazioni di fatto ritenute, in presenza di ade
guati titoli di studio, significative di esperienze parimenti valide ai fini del legittimo esercizio di quella professione, sostiene che
l'attività di insegnamento posto a base della sua richiesta era
indubbiamente «attinente» alla psicologia ai sensi dell'art. 32,
lett. b), non dovendo interpretarsi tale espressione in base alle
più rigorose previsioni contenute nell'art. 1 della stessa legge.
D'altra parte, in base allo stesso art. 1, cit., la professione
di psicologo comprende la attività di didattica.
In relazione al rapporto tra la lett. a) e la let-t. b) dell'art.
32 cit., il ricorrente testualmente deduce: «Né per escludere la
fondatezza di quanto ora osservato può validamente opporsi
che la rilevanza dell'attività di insegnamento ai fini della iscri
zione all'albo degli psicologi nella fase transitoria, risulta dal
l'art. 32, lett. a), 1. 56/89 espressamente limitata dal legislatore
a quell'attività prestata nelle università o in strutture di partico
lare rilevanza scientifica. Ed infatti l'art. 32, formulato dal legis
latore nell'ottica innanzi evidenziata di recupero di una serie
infinita e variegata di situazioni ritenute meritevoli di eguale
considerazione, fornisce una serie di definizioni che devono es
sere lette come complementari fra loro, senza che, tenuto conto
anche delle imperfezioni alle quali ci ha abituato il legislatore,
dalla inapplicabilità ad una fattispecie di quelle tra le ipotesi
contemplatte dalla norma che pur sembrerebbe apparire la più
attinente, si possano trarre conclusioni definitive di segno nega
tivo, laddove la stessa fattispecie risulti comunque ricompresa in altra ipotesi prevista dalla stessa norma».
La complessa censura non merita accoglimento.
Va, innanzitutto, precisato che non può condividersi la tesi
del ricorrente secondo la quale l'art. 32, cit., rappresenterebbe
una norma di sanatoria, dal momento che l'attività svolta nel
campo della psicologia prima della istituzione dell'albo degli psi
cologi non era contra legem e quindi non aveva bisogno di esse
re regolarizzata.
Ciò, tra l'altro, porta ad escludere che le disposizioni di cui
consta l'art. 32, cit., debbano essere interpretate nello spirito
di un particolare favor nei confronti degli aspiranti alla iscrizio
ne all'albo degli psicologi. Per il resto ritiene il collegio che sia ininfluente, ai fini della
decisione della attuale controversia, individuare la esatta porta
ta della espressione «attività di servizio attinente alla psicolo
gia», di cui all'art. 32, lett. b), cit. È sufficiente osservare che l'interpretazione logico-sistematica
dell'art. 32, cit., porta ad escludere che in tale attività possa
essere ricompreso l'insegnamento di psicologia sociale in un isti
tuto di istruzione secondaria svolto dal ricorrente.
Se, infatti, la lett. a) di tale articolo consente la iscrizione
all'albo ai professori che insegnino o abbiano insegnato nelle
università italiane o in strutture di particolare rilevanza scienti
fica anche sul piano internazionale ed ai ricercatori ed assistenti
universitari di ruolo in discipline psicologiche, ciò significa a
contrario che ogni insegnamento è inidoneo allo scopo e non
può essere recuperata attraverso la generica previsione di cui
all'art. 32, lett. b), la quale deve necessariamente essere riferita
ad altra attività, a meno di tacciare il legislatore di incoerenza,
come prospetta il ricorrente, ma senza dedurre alcun argomento. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 19 feb
braio 1996, n. 1267; Pres. Maestripieri, Est. Cristarella
Orestano, P.M. Ianneixi (conci, conf.); Tomasina, Micotti
(Avv. Napoli) c. Monti (Avv. Bulgheroni, Sandri). Confer
ma App. Milano 15 settembre 1992.
Servitù — Vendita a lotti — Limitazioni contrattuali — Confi
gurabilità (Cod. civ., art. 1029). Emulazione — Estremi — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ.,
art. 833).
Al fine di accertare se nelle vendite di lotti di aree fabbricabili i contraenti abbiano inteso costituire una servitù prediale a
vantaggio o a carico di fondi esistenti, oppure di costruendi
edifici, è necessario fare ricorso al criterio dell'attualità del
/'utilitas in cui si concreta il contenuto della servitù. (1) Non si ha atto di emulazione allorché un proprietario domandi
in giudizio il rispetto di un obbligo contrattuale, a nulla rile
vando che la violazione di questo si sia tradotta in un danno
effettivo. (2)
(1) La sentenza conferma l'orientamento, consolidato in giurispru denza, secondo cui, qualora il vantaggio o l'onere inerenti un'area fab
bricabile siano indipendenti dalla realizzazione edificatoria, come nel
caso di specie, la servitù relativa è immediatamente costitutiva e ha
carattere ed effetti reali; diversamente, se Vutilitas in cui si sostanzia
la servitù, presuppone la suddetta realizzazione, il patto ha efficacia
meramente obbligatoria e la servitù sorge solo in seguito all'avvenuta
edificazione. In senso conforme, v. Cass. 21 maggio 1987, n. 4630, Foro it., Rep.
1988, voce Servitù, n. 6; 14 gennaio 1982, n. 235, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 18, e Giust. civ., 1983, I, 609, con nota di Zaccheo, Vendita
di aree fabbricabili e costituzione di servitù-, 9 maggio 1978, n. 2246, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 30; 10 novembre 1976, n. 4142, id.,
Rep. 1977, voce cit., n. 22; 2 giugno 1992, n. 6652, id., 1993, I, 148, secondo cui, in particolare, le limitazioni alla libertà di utilizzare i vari
lotti, disposte contrattualmente, per avere natura di servitù reciproche, sono efficaci se nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione o di sviluppo.
La dottrina è divisa. In senso critico Branca, Servitù relativa a edifi ci futuri, id., 1981,1, 820, che propone di considerare la servitù relativa
ad edifici futuri come molto simile ad un negozio condizionato, nonché
Zaccheo, cit., secondo il quale, nell'ipotesi di servitù che vieta di co
struire ad una certa distanza dal confine, si è in presenza di una servitù
reciproca dal contenuto meramente negativo, con utilità attuale deri
vante dalla limitazione imposta al titolare del fondo dominante di com
piere quelle attività che in assenza della servitù gli sarebbero consentite, e non, invece, con utilità futura individuabile solo nell'ipotesi di viola
zione della servitù stessa. Lontana è la tesi sostenuta da Biondi, Le
servitù, Milano, 1967, che vede come attuale l'utilità della servitù per edificio futuro, benché ne venga rimandato l'esercizio. Sulla servitù per
vantaggio futuro, v. anche Palazzolo, Servitù (dir. civ.), voce dell'ÈV
ciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1992, XXVIII, 9.
(2) L'indirizzo giurisprudenzale, consolidato, fornisce una interpre tazione restrittiva, che esclude dall'ambito degli atti emulativi le azioni
giudiziali intraprese al fine di tutelare un proprio diritto: v. Cass. 3
maggio 1996, n. 4105, inedita; 22 aprile 1992, n. 4803, Foro it., Rep. 1993, voce Emulazione, n. 1; 16 maggio 1983, n. 3359, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1; 8 gennaio 1981, n. 164, id., Rep. 1982, voce cit., n.
1, e Giur. agr. il., 1981, 604, con nota di Serafini; 24 luglio 1976, n. 2971, Foro it., 1978, I, 740, con nota di richiami.
La dottrina non condivide questa chiusura giurisprudenziale, accu sandola di aver reso sterile e di fatto inoperativo il divieto dell'art. 833 c.c.: per Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1995, Vili, 482, l'interpretazione restrittiva fornita dalla giuris prudenza ha condotto ad una sostanziale cancellazione della norma.
Si è cercato di contrastare questa tendenza, ritenendo emulativa la con dotta che, pur realizzando un interesse del proprietario, arrechi oggetti vamente ad altri uno svantaggio sproporzionato e proponendo alcuni
correttivi, volti a sostituire il dolo specifico, richiesto per configurare un atto emulativo, con la semplice conoscenza, che risulterebbe presun ta una volta accertata la suddetta sproporzione. Recentemente, però, la stessa dottrina ha preso atto che la maggior parte dei problemi, teori camente riconducibili alla figura del divieto di atti emulativi, è oggi risolta mediante criteri di responsabilità civile. Sempre Gambaro, Emu
lazione, voce del Digesto civ., Torino, 1991, VII, 439, contesta la con vinzione delle corti che le azioni giudiziali intraprese per la tutela di un diritto non possano mai qualificarsi come emulative sulla base del fatto che rivolgersi al giudice non è mai una condotta da valutare nega tivamente, senza considerare, però, che, nel nostro sistema, l'esercizio dell'azione non è sottoposto ad alcun vaglio di meritevolezza preventi vo. Ancora, in particolare, v. Dossetti, Atti emulativi, voce dell 'Enci
clopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, III, 4, secondo la quale la
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Nell'agosto 1982 Matilde Monti
ved. Ratti convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Varese, Paolo Tomasina e Anna Maria Micotti, esponendo che costoro,
proprietari di un lotto di terreno confinante con quello di essa
attrice all'interno di un comparto edilizio sito in territorio di
Luino, avevano costruito una casa per civile abitazione dal cui
corpo principale aggettava un portico coperto, sorretto da pila
stri, che giungeva a circa due metri dal confine, e ciò in viola
zione dei patti contrattuali intervenuti col comune dante causa
s.p.a. Ratti, secondo i quali, nel costruire edifici nel comparto, occorreva rispettare una distanza di metri quattro dal confine, fatta eccezione per «box, ripostigli e simili» i quali potevano essere costruiti a confine purché avessero un'altezza non supe riore a quattro metri.
Chiese, quindi, la condanna dei convenuti ad arretrare il por tico fino alla distanza consentita.
I Tomasina-Micotti, costituitisi, contestarono la fondatezza
della pretesa avversaria deducendo che le nuove norme sulle
distanze tra costruizioni dettate dal p.r.g. del comune di Luino
avevano reso prive di significato le invocate pattuizioni conte
nute negli atti di trasferimento dei lotti e che nelle more del
giudizio, in virtù di un ulteriore mutamento della normativa
di p.r., il lotto di proprietà dell'attrice era venuto a trovarsi
inserito in zona a strutture consolidate senza alcuna possibilità
edificatoria, sicché vi era evidente carenza di interesse ad agire da parte della predetta.
Con sentenza 20 aprile 1989 il tribunale adito accolse la do
manda, condannando i convenuti a ricondurre il loro fabbrica
to entro il limite pattizio di metri quattro di distanza dal confi
ne con il lotto di proprietà dell'attrice.
Tale decisione, impugnata dai soccombenti, ha trovato con
ferma in quella precisata in epigrafe della Corte d'appello di
Milano, la quale, nel disattendere le doglianze e le argomenta zioni degli appellanti, ha osservato quanto segue:
— al tempo delle pattuizioni sulle distanze la destinazione
edificatoria dei lotti, benché contemplata, non era affatto pre vista quale destinazione esclusiva, sicché, in mancanza di ele
menti di giudizio ulteriori atti a suffragare il diverso assunto
del Tomasina-Micotti, doveva ritenersi che l'onere così imposto fosse stato costituito a vantaggio di ciascun fondo (lotti di terzi) a prescindere dalla rispettiva edificabilità e/o dalla concreta edi
ficazione, con la conseguenza, resa ancor più evidente dal ca
rattere eccezionale del disposto del 2° comma dell'art. 1029 c.c.
(servitù a favore o a carico di edificio da costruire), che detto
onere era immediatamente produttivo di effetti; — il portico coperto non era assimilabile in alcun modo ai
locali destinati a rimese o a ripostigli che, secondo i patti con
trattuali, potevano essere edificati anche a confine, presentando esso la struttura propria di un elemento aggettante della costru
zione (con altezza incontestatamente superiore ai quattro metri) ed avendo una funzione evidentemente diversa da detti accessori;
— dall'azione della Monti volta ad ottenere il rispetto del
l'obbligo della distanza contrattualmente assunto da contropar te esulavano gli estremi dell'atto di emulazione, a nulla rilevan
do che la violazione non si fosse tradotta in un danno concreto
ed attuale.
Ricorrono per cassazione Paolo Tomasina e Anna Maria Mi
cotti sulla base di tre motivi ai quali Matilde Monti ved. Ratti
replica con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso,
premesso che nel caso di specie la servitù reciproca era stata
costituita solo ed esclusivamente in previsione della edificazione
dei lotti al fine di evitare eccessivi addensamenti degli erigendi fabbricati e che, quindi, si trattava di una servitù immediata
giurisprudenza ha ravvisato un interesse specifico all'osservanza delle
norme sulle distanze, in quanto la mancata osservanza di quest'ultime avrebbe potuto, con il decorso del tempo, pregiudicare o limitare alcu
ne facoltà del proprietario. Per ulteriori riferimenti, v. anche Piraino
Leto, L'abuso del diritto, in Vita not., 1981, 523, nonché, per un ap
proccio di analisi economica del diritto al tema in questione, Mattei, La proprietà immobiliare, Torino, 1993, 249, che vede, nella posizione assunta dalle corti, la tutela non da un pericolo di un danno giuridica mente o socialmente apprezzabile, ma da un danno pienamente sogget tivizzato, sì che a rilevare è il pericolo della condotta lesiva della sfera
proprietaria, al di là della concreta dannosità del comportamento.
Il Foro Italiano — 1996.
mente costituita per assicurare al fondo un vantaggio futuro, si rimprovera alla corte milanese di non aver affrontato il pro blema del contenuto della utilitas che si doveva trarre dalla co
stituzione di detta servitù reciproca, di non avere neppure ri
sposto al quesito se dovesse trovare applicazione il disposto del
l'art. 1029 c.c. e di avere totalmente omesso di motivare, quindi, sulla questione dell'esistenza o meno, in capo alla Monti, di
un interesse ad agire, visto che il suo fondo era divenuto succes
sivamente del tutto inedificabile e che, perciò, non poteva più
godere della utilitas che ineriva alla servitù, consistente nella
maggior comodità, amenità e privacy del suo fondo edificato.
Le censure sono prive di fondamento e sembrano il frutto
di una poco attenta lettura della sentenza impugnata la quale,
pur nella sua stringatezza, spiega in maniera esauriente le ragio ni del convincimento in essa espresso circa la non inquadrabili tà della intervenuta pattuizione sulle distanze nel paradigma del
l'art. 1029, 2° comma, c.c., allorquando afferma che, al tempo di tale pattuizione, per quanto risultava dagli atti di causa, la
destinazione edificatoria del lotto, sebbene contemplata, non era
affatto prevista quale destinazione esclusiva, sicché nel caso di
specie doveva ritenersi, anche in considerazione del carattere
eccezionale della citata disposizione riguardante la servitù a fa
vore od a carico di un edificio da costruire, che il peso pattizio, consistente nel divieto di avvicinare le costruzioni a distanza
inferiore a metri quattro dai confini verso lotti di terzi, fosse
stato imposto a vantaggio di ciascun lotto a prescindere dalla
rispettiva edificabilità e/o della concreta edificazione.
In tal modo la corte milanese non ha fatto altro che risolvere
una quaestio voluntatis attraverso un'operazione interpretativa alla quale i ricorrenti si limitavano a contrapporre il proprio interessato punto di vista — sostenendo che, invece, il presup
posto indefettibile della clausola limitativa era la previsione che
i vari lotti venissero edificati —, senza muovere censura alcuna
sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici di cui
agli art. 1362 ss. c.c., e senza neppure addurre specifici vizi
motivazionali che possano inficiare il ragionamento del giudice a quo.
Non sussiste, d'altra parte, la denunciata disapplicazione del
l'art. 1029, 2° comma, c.c., dal momento che sono gli stessi
ricorrenti a richiamare, mostrando di condividerlo, il costante
insegnamento di questa corte regolatrice secondo il quale, al
fine di accertare se nella vendita di aree fabbricabili i contraenti
abbiano inteso costituire una servitù prediale a vantaggio o a
carico di fondi esistenti ovvero dei costruendi edifici, è necessa
rio far ricorso al criterio dell'attualità o meno dell 'utilitas in
cui si concreta il contenuto della servitù, poiché se ì'utilitas pre
suppone la costruzione degli edifici, nel senso che, in loro man
canza, il contenuto del rapporto risulterebbe privo dell'inerenza
necessaria a dare vita concreta alla servitù (come, ad esempio, nel caso di servitù di veduta, di stillicidio, di acquedotto per dotare di acqua l'erigenda costruzione), si verte nell'ipotesi con
templata dal 2° comma dell'art. 1029 c.c. e, pertanto, il patto costitutivo della servitù ha efficacia meramente obbligatoria, in
quanto la serviù sorge soltanto con la realizzazione della costru
zione, mentre, qualora il vantaggio ed il corrispondente peso siano indipendenti da tale realizzazione edificatoria in guisa da
inerire direttamente ai suoli non ancora edificati con carattere
di realità — come si verifica normalmente nelle pattuizioni che, vietando di costruire ad una certa distanza dal confine, limita
no, da un lato, l'edificabilità del fondo servente, restringendo i poteri di godimento e di utilizzazione inerenti al relativo dirit
to di proprietà, e attribuiscono, dall'altro, i corrispondenti van
taggi al contiguo fondo dominante, ancora prima e indipenden temente dalla sua avvenuta edificazione —, si verte nell'ipotesi,
prevista dal 10 comma del citato articolo, di servitù immediata
mente costituita con carattere ed effetti reali (v. sent. 13 dicem
bre 1974, n. 4251, Foro it., Rep. 1974, voce Servitù, n. 19;
richiamata dal ricorso, nonché 9 maggio 1978, n. 2246, id., Rep.
1978, voce cit., n. 30; 8 novembre 1979, n. 5765, id., Rep.
1979, voce cit., n. 26; 14 gennaio 1982, n. 235, id., Rep. 1982,
voce cit., n. 10, e 6 agosto 1983, n. 5287, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 17). È appena il caso di osservare a questo punto che nessuna
ragione aveva la corte di merito di occuparsi della prospettata
questione dell'esistenza, in capo alla Monti, di un interesse ad
agire, una volta negata ogni rilevanza, ai fini dell'attualità del
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2467 PARTE PRIMA 2468
Vutilitas, al fatto che il lotto di sua proprietà era divenuto ine
dificabile. Con il secondo motivo si denunzia erronea interpretazione
dell'art. 833 c.c., lamentandosi che siano stati esclusi gli estremi
dell'atto di emulazione nell'azione della Monti sebbene costei
avesse preteso l'abbattimento parziale di un fabbricato col solo
scopo di provocare un danno, ed assai grave, al vicino senza
trarne alcuna utilità.
Anche questa censura è destituita di fondamento.
La corte d'appello, infatti, si è puntualmente uniformata al
costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui non è a
parlarsi di atto emulativo allorquando un proprietario domandi
in giudizio, contro il vicino, il rispetto di un obbligo contrattua
le, e, più in particolare, il rispetto di una distanza pattiziamente
stabilita, a nulla rilevando che la violazione di questa non si
sia tradotta in un danno concreto ed effettivo (v. sent. 8 gen naio 1981, n. 164, id., Rep. 1981, voce Emulazione, n. 3; 28
giugno 1976, n. 2454, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1; 23 feb
braio 1963, n. 448, id., Rep. 1963, voce cit., n. 4). Né si comprende quale particolarità, tale da rendere inappli
cabile il principio in parola, vi sia nel fatto che la Monti, nel
l'invocare il riconoscimento del suo diritto al rispetto della di
stanza pattuita, abbia preteso l'eliminazione del manufatto co
struito in violazione di essa, posto che tale pretesa era
legittimamente connessa all'esperita azione confessoria, giusta il disposto dell'art. 1979 c.c.
Del pari infondato è il terzo motivo con il quale si lamenta
che il giudice d'appello abbia errato in fatto e in diritto circa
la natura del portico e circa la sua legittimità con riferimento
ai patti contrattuali: in fatto per avere affermato in maniera
del tutto apodittica che il portico era alto più di quattro metri, il che non trovava alcun riscontro negli atti di causa; in diritto
per non aver considerato che, a norma dell'art. 817 c.c., sono
pertinenze tutte quelle cose destinate in modo durevole a servi
zio e ad ornamento di un'altra cosa, funzione, questa, indub
biamente ravvisabile nel portico.
Invero, l'affermazione dei giudici milanesi che quel portico
presentava la struttura propria di un elemento aggettante della
costruzione ed aveva una funzione evidentemente diversa da quel la dei locali destinati a rimessa od a ripostiglio, sicché non era
in alcun modo assimilabile a siffatti accessori che la clausola
pattizia escludeva specificamente dall'obbligo della distanza di
quattro metri dal confine e consentiva che fossero costruiti «in
confine», rappresenta un accertamento di fatto, peraltro ade
guatamente motivato attraverso il preciso riferimento alla strut
tura e alla destinazione del manufatto, sicché non è suscettibile
di sindacato in questa sede di legittimità. Né vale addurre una
pretesa apoditticità dell'assunto che il portico aveva un'altezza
«incontestatamente» superiore ai quattro metri, trattandosi di
un semplice obiter dictum, atteso che un'altezza eventualmente
inferiore a detta misura non avrebbe comunque giovato alle ra
gioni degli attuali ricorrenti, una volta escluso che la costruzio
ne fosse un accessorio in qualche modo assimilabile alle rimesse
o ai ripostigli, nel qual caso soltanto, secondo il patto contrat
tuale, avrebbe potuto assumere rilievo (negativo) il fatto che
essa fosse alta più di quattro metri.
Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso deve
essere rigettato.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 feb
braio 1996, n. 1053; Pres. Cantillo, Est. Lupo, P.M. Cin
que (conci, conf.); Consiglio nazionale ordine giornalisti (Aw.
Scoca, Pandiscia), c. Consiglio ordine giornalisti Lombar
dia (Avv. Punzi, Rimini), Tedeschi. Conferma App. Milano
4 marzo 1994.
Giornalista — Ordinamento professionale — Consigli regionali — Contenzioso elettorale — Procedimento — Fase giudizia ria — Sentenza del tribunale — Impugnazione — Modalità
(L. 3 febbraio 1963 n. 69, ordinamento della professione di
giornalista, art. 63). Giornalista — Ordinamento professionale — Consigli regionali
— Contenzioso elettorale — Procedimento — Fase giudizia ria — Sentenza del tribunale — Impugnazione — Citazione
ordinaria — Procedibilità — Condizioni (L. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 63).
Giornalista — Ordinamento professionale — Consigli regionali — Contenzioso elettorale — Procedimento — Azione giudi ziaria — Sospensione dei termini processuali — Applicabilità
(R.d. 30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento giudiziario, art.
92; 1. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 63; 1. 7 ottobre 1969 n.
742, sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, art. 1, 3).
Giornalista — Ordinamento professionale — Consigli regionali — Contenzioso elettorale — Procedimento — Fase giudizia ria — Sentenza del tribunale — Impugnazione — Decorrenza
del termine breve — Condizioni (Cod. proc. civ., art. 170,
285; 1. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 63). Giornalista — Ordinamento professionale — Consigli regionali
— Elezioni — Proclamazione degli eletti — Reclamo al con
siglio nazionale — Modalità — Inosservanza — Conseguenze
(L. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 8; d.p.r. 4 febbraio 1965 n.
115, regolamento per l'esecuzione della 1. 3 febbraio 1963 n.
69, art. 59, 61; d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199, semplifica zione dei procedimenti nei ricorsi amministrativi, art. 2).
L'impugnazione della sentenza del tribunale che ha deciso sul
reclamo avverso le deliberazioni degli organi di giustizia in
terni all'ordinamento professionale dei giornalisti (nella spe
cie, in materia di contenzioso elettorale) è correttamente pro
posta alla corte di appello senza ulteriore specificazione, an
corché l'art. 63, 3 ° comma, l. 69/63 configuri una particolare
composizione del collegio giudicante prescrivendone l'integra zione con un giornalista ed un pubblicista. (1)
(1-5) Benché affermate nell'ambito di una controversia elettorale, le massime tratte dalla sentenza sopra riportata appaiono generalizzata mente applicabili, attesa l'uniformità della relativa disciplina procedi mentale, a tutte le istanze di giustizia inerenti all'ordinamento profes sionale dei giornalisti (e, quindi, anche a quelle relative al contenzioso
disciplinare ed al contenzioso in materia di iscrizione o cancellazione
dall'albo, registri, elenchi). Le prime due massime attengono entrambe all'introduzione dell'ap
pello avverso la decisione del tribunale sulla deliberazione del consiglio nazionale intervenuta, a definizione della fase amministrativa del con
tenzioso, sui provvedimenti del consiglio regionale o interregionale. Di tali massime, la prima si fonda sul presupposto che la peculiare
composizione del collegio giudicante configurata dall'art. 63, 3° com
ma, 1. 69/63 non incide sull'identità dell'ufficio al quale l'atto di impu gnazione va indirizzato (e che, del resto, nel 2° comma del medesimo articolo è tout court identificato nella corte di appello). Nei medesimi
termini, ancorché con riguardo all'introduzione del primo grado del
giudizio davanti al tribunale (in peculiare composizione), v., nella moti
vazione, Trib. Milano 28 ottobre 1992, Foro it., 1993, I, 2357, con nota di richiami. Per l'identica conclusione (in base al medesimo crite rio discretivo), con riferimento all'ipotesi di una citazione contenente vocatio in ius davanti al tribunale anziché alla sezione fallimentare, cfr. Cass. 15 marzo 1990, n. 2117, id., Rep. 1990, voce Fallimento, n. 257.
La seconda massima s'ispira al generalissimo principio di conserva zione del valore giuridico degli atti. Nello stesso senso, cfr., in relazione all'atto introduttivo del primo grado del giudizio davanti al tribunale, Trib. Milano 28 ottobre 1992, cit., e, in relazione ad una procedura camerale ex art. 274 c.c., Cass. 5 gennaio 1994, n. 74, id., 1994, I, 724, con nota di F. Cipriani (critica in ordine all'affermata irrilevanza di una notificazione che intervenga entro il termine per appellare), cita ta in motivazione. Sulla problematica, in tema di controversie agrarie e con riferimento a profili di disciplina transitoria della 1. 553/73, v. Cass. 29 ottobre 1981, n. 5717, id., 1981, I, 2941, con nota di C. M. Barone.
La terza e la quarta massima non costituiscono che applicazione spe
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