Sezione II civile; sentenza 19 maggio 1960, n. 1260; Pres. Varallo P., Est. Maio, P. M. Cutrupia(concl. conf.); Pallotta (Avv. Volpi) c. Ghenzi (Avv. Tosatti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 1117/1118-1119/1120Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151828 .
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1117 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1118
domanda diversa da quella che forma oggetto del giudizio principale, l'istanza in parola, se proposta per la prima volta nel giudizio di appello, costituisce domanda nuova.
Insieme con questa, altra ragione concorre, tuttavia,
per negare che l'istanza di verificazione possa proporsi in appello, quando la scrittura cui essa si riferisce è statr disconosciuta nel giudizio di primo grado, e la stessa neces
sariamente discende dalla impossibilità di produrre nuova mente in appello un documento ormai escluso dai mezzi di prova in seguito al disconoscimento ed alla mancata richiesta di verificazione in primo grado ; ciò in dipendenza dell'applicazione del principio costantemente affermato da
questa Suprema corte, secondo cui la facoltà dello ius novorum in appello non comprende la facoltà di richiedere l'ammissione di mezzi di prova già esauriti o, comunque, esclusi nel corso del giudizio di primo grado.
È noto che il disconoscimento della scrittura privata fa venir meno qualsiasi presunzione dell'autenticità del
documento, che, perciò, perde ogni efficacia probatoria e
che soltanto il procedimento di verificazione è idoneo ad
attribuire alla scrittura gli effetti che, normalmente, conse
guono dalla autenticazione o dal riconoscimento espresso o
presunto. Ne discende che, ove la parte, che intende valersi
della scrittura privata disconosciuta, abbia chiesto la verifi
cazione, si ha, nel caso, uno stato di sospensione della
efficacia probatoria del documento, efficacia che, invece, rimane definitivamente esclusa se l'istanza di verificazione
non viene proposta, in quanto il documento stesso non
può essere più utilizzato fra i mezzi di prova.
Dispone, infatti, il 1° comma dell'art. 216 cod. proc. civ. : « la parte che intende valersi della scrittura discono
sciuta deve chiederne la verificazione proponendo i mezzi
di prova, che ritiene utili, e producendo o indicando le
scritture che possono servire di comparazione». Ora una
corretta interpretazione del testo di legge conduce a rite
nere che la mancata proposizione dell'istanza di verifica
zione della scrittura privata disconosciuta equivale, per
presunzione di legge, ad una dichiarazione di non inten
dere di valersi della scrittura e, quindi, ad una rinuncia ad
avvalersene come mezzo di prova ; di qui l'ulteriore conse
guenza che la scrittura medesima non possa considerarsi
utilizzabile e, di fatto, non possa essere più utilizzata tra
i mezzi di prova in quel processo, tanto che, in mancanza della domanda di verificazione, il giudice non può tener
conto di essa, anche se l'autenticità del documento fosse
per avventura ricavabile aliunde.
In relazione alla detta situazione di cose, verificatasi
nel caso in esame, la sentenza impugnata rettamente ha
ritenuto che l'istanza di verificazione, omessa in primo
grado, non poteva essere più proposta in appello e, perciò, andava rigettata.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 19 maggio 1960, n. 1260 ; Pres. vaballo P., Est. Maio, P. M. Cutrupia (conci,
conf.) ; Pallotta (Avv. Volpi) c. Gli «n zi (Avv. Tosatti).
(Conferma App. Roma 16 aprile 1959)
Contratti ajjrari '— Affitto — Contratto non più in corso — Inammissibilità della proroga —
Fattispecie (L. 11 luglio 1952 n. 765, proroga delle
vigenti disposizioni in materia di contratti agrari, art. 1; 1. 28 marzo 1957 n. 244, norme in materia di proroga dei
contratti agrari, art. 1).
La proroga, disposta con la legge 28 marzo 1957 n. 244,
non si applica al contratto di affitto del fondo rustico,
nel possesso del quale il concedente, in forza di ordinanza
di convalida di licenza con riserva di eccezioni, si era
reimmesso prim,a della entrata in vigore della legge medesima. (1)
La Corte, ecc. — Il primo e il quinto motivo, per la loro logica connessione, vanno esaminati congiuntamente. Con essi si lamenta la violazione degli art-. 665. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione alle leggi 11 luglio 1952 n. 765, e 28 marzo 1957 n. 244.
Premessa e ribadita la eccezione di incompetenza del
Pretore, si censura l'impugnata sentenza per avere escluso clie l'ordinanza di rilascio potesse essere revocata dal Pre
tore, ovvero dalle Sezioni specializzate agrarie, indipen dentemente da ogni impugnativa, e per aver negato carat tere interpretativo alla legge n. 244 del 1957, ritenendo che
questa prendesse in considerazione solo situazioni di fatto
ancora esistenti e non pure rapporti di diritto in corso di accertamento.
Entrambe le censure si ravvisano infondate. Come è pacifico in causa, il contratto di affitto tra le
parti si svolse nel periodo intermedio tra le leggi testé
indicate, discutendosi solo circa il preciso inizio del rapporto (novembre 1954 o 1955) e della sua cessazione al 31 ottobre, ovvero al 31 dicembre 1956. Conseguentemente, non po teva applicarsi la legge di proroga n. 765 del 1952, poiché, come tante volte questo Supremo collegio ha precisato, essa riguardava soltanto quei contratti agrari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della legge stessa (fra le altre, la sent. n. 130 del 1957, Foro it., Rep. 1957, voce Contratti agrari, n. 525). Onde, legittimamente, il
Pretore di Albano Laziale, adito per la convalida, emise
l'ordinanza di rilascio, eseguita nel gennaio 1957, e cioè
quando la successiva legge di proroga (28 marzo 1957 n. 244) non esisteva ancora. Pubblicata questa, nel corso del giu dizio, di fronte alla deduzione del convenuto di volersi av valere della sopravvenuta proroga, il Pretore rimise le
parti davanti alla competente Sezione specializzata, la
(1) Come risulta dalla motivazione, il Pretore di Albano Laziale aveva convalidato la licenza per finito affitto con riserva di eccezioni, in adesione all'indirizzo giurisprudenziale, che la
proroga legale, consentita con la legge IT luglio 1952 n. 765, non fosse applicabile ai contratti stipulati successivamente al l'entrata in vigore di quella legge (Cass. 23 aprile 1955, Foro it., 1956, I, 1074, con nota di richiami e numerose altre citate nella nota redazionale in questa rivista, 1957, I, 1629) ; sulla base di tale ordinanza, il concedente si reimmetteva nel possesso del fondo ancor prima del 15 maggio 1957, data di entrata in vigore della legge 28 marzo 1957 n. 244, il cui art. 1 sancisce che la
proroga, consentita con la legge 11 luglio 1952 n. 765, si applica anche ai contratti successivamente stipulati. Di questa norma la
Cassazione, come si avvertiva nella citata nota redazionale alla sent. 12 giugno 1957, n. 2200, non faceva, nei primi tempi di
vigenza, applicazione insistendo nel precedente orientamento. È avvenuto che nella fase del processo, successiva alla ordi
nanza di convalida con riserva di eccezioni, svoltasi dapprima avanti il Pretore di Albano e poi avanti le Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d'appello di Roma, l'affittuario aveva chiesto la revoca della ordinanza, richiamando l'art. 1 della legge del 1957, il quale subordina l'applicazione della proroga legale alla duplice condizione che il contratto sia ancora in corso e che non sia stata pronunciata sentenza di rilascio passata in giudicato.
Con la sentenza riportata, la Cassazione esamina soltanto la prima condizione, di cui nega la sussistenza, perchè il conce dente si era già rcimmesso nel possesso del fondo prima della entrata in vigore della legge del 1957 : le sentenze 27 aprile 1951, n. 1026 delle Sezioni unite, pronunciata in tema di locazione d'immobili urbani (id., Rep. 1951, voce Locazione, n. 401) e 28 marzo 1958, n. 1074, pronunciata in tema di affitto di fondi rustici (id., Rtp. 1958, voce Contratti agrari, n. 182), citate nella
motivazione, si riferiscono f.lla ipotesi opposte di continuazione de facto del contratto scaduto, che può pur formare oggetto di
proroga legale. Sulla seconda condizione, che il Supremo collegio non ha
avuto necessità di esaminare, v., nel senso che la licenza, conva lidata con ordinanza non impugn?,bile, non sia da equiparare alla sentenza di condanna, passata in giudicato, di cui al citato ait. 1, Trib. Reggio Emilia 17 aprile 1958 (id., Rep. 1958, voce
cit., n. 35) ; Cass. 14 ottobre 1959, n. 2850 (id., Rep. 1959, voce
cit., n. 275 bis).
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1119 PARTE PRIMA 1120
([naie dichiarò risoluto il contratto di affitto sul presup
posto che, essendo il rapporto de quo sorto e cessato, ap
punto, nell'intervallo di tempo fra le due leggi, esulasse
l'ipotesi della proroga legale, confermando il provvedi mento di convalida, coerentemente alla soluzione accolta
e ribadita dalla sentenza ora impugnata, nel quadro dei
principi giuridici da tempo affermati da questa Corte su
prema, anche in tema di convalida di licenza e di giudice
competente a revocare o confermare definitivamente l'ordi
nanza provvisoria di sfratto (Cass. 9 marzo 1946, n. 243,
Foro it., 1946, I, 949). Si fa richiamo dal ricorrente al carattere interpretativo
della legge n. 244 del 1957, secondo la quale (art. 1) la
proroga legale si applica pure ai contratti stipulati succes
sivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 765
del 1952, senza peraltro considerare che deve trattarsi di
contratti « comunque attualmente in corso, e sempre che non
sia intervenuta una sentenza di rilascio del fondo, passata in giudicato ».
Ora, alla stregua dell'indirizzo giurisprudenziale preva lentemente adottato in analoghi casi da questo Supremo
collegio, per stabilire quali contratti debbano ritenersi
ancora in corso ai fini della proroga, occorre riferirsi alla
situazione di fatto esistente al momento dell'entrata in
vigore della proroga sopravvenuta, e cioè accertare se il
contratto, quantunque scaduto, sia tuttavia ancora in corso
de facto, per non avere il conduttore sino a quel momento
lasciato l'immobile, onde riconoscergli, o non, il diritto
alla proroga a seconda dell'esito positivo o negativo di tale
accert amento.
In tali sensi ebbero a pronunciarsi le Sezioni unite di
questa Corte suprema con la sentenza n. 1026 del 1951
(Foro it., Rep. 1951, voce Locazione, n. 401), ribadendo la
necessità, ai fini della proroga legale, che «il conduttore
abbia ancora la detenzione dell'immobile», e ad analoghi
principi appare ispirata anche la recente sent. n. 1074
del 1958 (id., Rep. 1958, voce Contratti agrari, n. 182), di questa stessa Sezione, esplicita nel riaffermare « il pre
supposto oggettivo della permanenza del conduttore nel
fondo », sia pure in funzione di una mera situazione di fatto
protrattasi dopo la scadenza del contratto costituente il ti
tolo giuridico del rapporto. Il che, oltre tutto, risponde ad
una es'genza di giustizia, intesa ad evitare che, con suc
cessivo rientro dell'affittuario nel bene, possano essere
pregiudicati diritti, che i terzi, nel frattempo, abbiano ac
quisito in perfetta legalità e buona fede.
Precisamente al richiamato indirizzo giurisprudenziale si è attenuta la sentenza impugnata nell'affermare che la
proroga, prevista dalla legge 28 marzo 1957 n. 244, non
spettava all'attuale ricorrente, appunto perchè il rapporto di affitto de quo non poteva essere considerato come « con
tratto in corso » al momento dell'entrata in vigore dellalegge
stessa, dato che, fin dal gennaio di quell'anno, esso era
venuto a cessare per l'effetto dell'avvenuto rilascio del
fondo al locatore, e dovendosi proprio questa situazione di
fatto tener presente ai fini della decisione.
Nè vale obiettare che la legge n. 244 del 1957 abbia ca
rattere interpretativo rispetto a quella del 1952, non solo
perchè non ve n'è menzione nel testo come sovente av
viene, quando siffatta natura le si vuole attribuire (ad es.
leggi 9 luglio 1957 n. 601, 30 dicembre 1959 nn. 1202,
1237 e 1254, ecc.), ma perchè ciò è escluso dagli stessi la
vori preparatori. Come è noto, delle tre proposte di legge in materia, solo quella n. 1805 recava la dizione «norme
interpretative della legge 11 luglio 1952 n. 765 ». Le tre
proposte furono poscia unificate con altra intestazione, che
riproduceva in sostanza quella *dei progetti n. 2192 e n.
2431, non contenenti l'accenno al carattere interpretativo delle norme.
Quando, poi. alla Camera dei deputati, nella seduta del 5
dicembre 1956 della IX Commissione, si ebbe la discus
sione di quel progetto, si sosterne vigorosamente dal Rela
latore on. Gozzi, consenzienti altri parlamentari, doversi
negare alla legge valore interpretativo secondo l'unica
proposta anzidetta, ritenuta nociva « perchè potrebbe
riaprire tutta una serie di liti, per cui anziché recare
la pacificazione auspicata, si andrebbe ad esasperare i
rapporti esistenti fra la gente dei campi », conclu
dendosi «essere pacifico che, per i i rapporti definitiva mente chiusi con regolari contratti, nessun legislatore può far rivivere ciò che è già esaurito », e proponendosi di sop
primere nel testo della legge ogni accenno al suo carattere
interpretativo, così, in effetti, approvato dalla Commissione
nella stessa seduta del 5 dicembre, con l'esplicita dichiara zione del suo "Presidente, a chiusura dell'importante di
scussione, « doversi escludere che questa proroga si applichi ai contratti che sono già esauriti, stante l'accordo raggiunto su tale punto ». Concetti ribaditi nella successiva seduta
del 6 dicembre, con l'adesione del Sottosegretario di Stato
per l'agricoltura e foreste, secondo il quale anche « il Go
verno non voleva che questa fosse una norma interpreta tiva ». Rinviato il progetto di legge al Senato (Vili Com
missione) per avervi apportato alcuni emendamenti, che
qui non interessano, essa venne definitivamente approvata anche dall'altro ramo del Parlamento nella seduta del 15
marzo 1957, con il titolo che risulta dall'attuale testo :
« norme in materia di proroga dei contratti agrari ».
Ne deriva che la contraria tesi, sostenuta dal ricorrente, non trova alcuna base neppure nei lavori preparatori, con
siderati nel loro complesso iter legislativo e in relazione
ai principi ispiratori dei vari decreti emanati in materia, « dettati non solo nell'interesse dei singoli, ma anche per la tutela di un preminente generale interesse di ordine po litico e sociale ». E, conseguentemente, si svuotano di con
tenuto le censure mosse, in proposito, all'impugnata sen
tenza. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili; sentenza 18 maggio 1960, n. 1253; Pres. Cataldi P., Est. Rossano, P. M. Tavolaro
(conci, parz. d.iff.) ; Cooperativa edilizia « Viribus uni
tis » (Aw. Nicolò) c. Di Pilato (Aw. Jemolo, De
Stefano, Luciani).
(Gassa App. Potenza 24 settembre 1958)
Espropriazione per pubblico interesse Diritti del
vero proprietario non menzionato nel piano parti
colareggiato — Tutela I imiti — Fattispecie (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazione per pubblica
utilità, art. 16).
Espropriazione per pubblico interesse Procedi
mento espropriativo — Accordo traslativo della
proprietà — Natura pubblica — Presupposti.
Espropriazione per pubblico interesse — Incremento
delle costruzioni edilizie — Termini per l'inizio e l'ul
Umazione dei lavori — Natura perentoria (L. 2 lu
glio 1949 n. 408, disposizioni per l'incremento delle
costruzioni edilizie, art. 22).
Espropriazione per pubblico interesse — Retroces
sione — Declaratoria di decadenza —- Effetti (L. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 60, 63).
Il proprietario dell'immobile espropriato, sebbene non risulti
dai registri catastali e non sia quindi indicato nel piano
particolareggiato d'esecuzione, può proporre le opposizioni
previste dalla legge, dedurre le eventuali illegittimità del
procedimento e, una volta accertato il suo diritto, concludere
il negozio di diritto pubblico sulla determinazione dell'in
dennità e sul trasferimento dell'immobile. (1) Il negozio, concluso dopo la pubblicazione del piano parti
colareggiato di esecuzione, co-li il quale le parti, nel pro
(1) Cfr. App. Torino 27 giugno 1939, Foro it., Rep. 1939, voce Espropriazione per p. u., n. 28 ; Cons, giust. amm. sic. 14
luglio 1955, n. 134, id., Rep. 1955, voce Espropriazione per p. i., nn. 63, 64.
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