sezione II civile; sentenza 19 marzo 1998, n. 2911; Pres. Corona, Est. Elefante, P.M. Nardi(concl. conf.); Fabrizi (Avv. Ielpo, De Bonis) c. Cataldi (Avv. de' Felice Ciccoli). Cassa App. Roma4 maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1998), pp. 2169/2170-2173/2174Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193125 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 marzo
1998, n. 2935; Pres. ed est. Carbone, Rei. Cicala, P.M. Nar
di (conci, conf.); Soc. coop, edilizia Albanova (Avv. Di Mu
ro) c. Grassucci (Aw. Campagnola). Conferma App. Roma
26 giugno 1995.
Prova testimoniale — Persone da escutere — Mancata indica zione — Inammissibilità — Rilievo d'ufficio — Estremi (Cod. proc. civ., art. 202, 244).
In controversia soggetta al codice di procedura civile non anco
ra modificato, fino all'effettivo inizio della prova testimonia le il giudice di merito può dichiararne d'ufficio la inammissi bilità per omessa indicazione delle persone da escutere. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, la ricorrente
lamenta che erroneamente la corte d'appello abbia rilevato d'uf
ficio l'inammissibilità della prova testimoniale richiesta dalla coo perativa, per omessa indicazione delle persone da escutere.
La censura è infondata. Come questa corte ha già avuto mo
do di affermare, il giudice del merito ha il potere-dovere di
rilevare i casi di inammissibilità della prova indipendentemente dall'istanza della parte interessata, fin quando la prova non ab
bia avuto concreto inizio (sent. 27 gennaio 1981, n. 611, Foro
it., Rep. 1981, voce Prova testimoniale, n. 32). In altri termini, non è riscontrabile, nella dichiarazione di
inammissibilità della dedotta prova per testi effettuata dai giu dici di merito, alcuna violazione degli invocati art. 157 e 244
c.p.c., non essendo necessaria un'apposita eccezione di parte
per consentire al giudice di ritenere inammissibile la dedotta
prova per testi priva dell'indicazione delle persone che la parte intende escutere sui formulati capitoli. Ed invero, l'art. 184 c.p.c., nello stabilire che il giudice ammette i mezzi di prova, se ritiene
che siano ammissibili e rilevanti, gli attribuisce un potere offi
cioso di sindacare l'ammissibilità delle stesse.
Peraltro, il codice di rito prevede anche in altre ipotesi l'attri
buzione al giudice di poteri d'ufficio in ordine all'istruzione pro batoria, come si evince dagli art. 208 c.p.c. e 104 disp. att.
c.p.c. (Omissis)
(1) In controversia disciplinata in parte qua dalle norme modificate del codice di rito civile, affermazione corrispondente a quella riassunta in massima è stata formulata da Pret. Bari 6 marzo 1997, Foro it., 1998, I, 1697, con nota di richiami, con riferimento all'ipotesi di indi cazione dei testimoni non mediante la specificazione dei nomi degli stessi, ma attraverso la individuazione della qualifica ricoperta o delle mansio ni svolte da costoro all'interno della società datrice di lavoro.
La corte ha richiamato a sostegno della soluzione prescelta Cass. 27
gennaio 1981, n. 611, id., Rep. 1981, voce Prova testimoniale n. 32, per la quale il giudice ha il potere-dovere di rilevare i casi di inammissi bilità della prova, indipendentemente dall'istanza della parte interessa
ta, ma fin quando la prova non abbia avuto concreto inizio, sicché non vi sia il pericolo di un'inammissibile compromissione dei diritti di difesa di una delle parti; il giudice può altresì consentire, in deroga alle proprie precedenti disposizioni al riguardo, la tardiva indicazione dei testi, come quando egli ammetta tale indicazione, malgrado la sua irritualità, dando corso all'espletamento della prova.
Più di recente si è comunque espressa, nello stesso senso della ripor tata pronuncia, Cass. 20 febbraio 1996, n. 1315, id., Rep. 1996, voce
cit., n. 20, secondo cui, qualora la parte, nel richiedere la prova testi
moniale, non abbia indicato i testi da escutere ed il giudice non si sia avvalso del potere discrezionale conferitogli dalla legge di concedere alla parte medesima un termine per la indicazione degli stessi, la prova deve essere dichiarata inammissibile, anche d'ufficio, per violazione di un precetto di carattere processuale attinente alla regolarità del con traddittorio e la decisione sul punto non è sindacabile in sede di legit timità.
Per la prevalente giurisprudenza orientata, invece, in senso contrario si possono comunque consultare i precedenti richiamati nella nota reda zionale alla citata Pret. Bari.
È alquanto singolare, ad ogni modo, che la corte per giustificare l'af fermazione riassunta in massima, in relazione a controversia promossa con atto di citazione notificato il 3 dicembre 1987, abbia invocato il
vigente art. 184 c.p.c., applicabile, nel nuovo testo, ai soli giudizi in
staurati successivamente al 30 aprile 1995. [C.M. Barone]
Il Foro Italiano — 1998.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 19 mar
zo 1998, n. 2911; Pres. Corona, Est. Elefante, P.M. Nardi
(conci, conf.); Fabrizi (Aw. Ielpo, De Bonis) c. Cataldi (Aw. de' Felice Ciccoli). Cassa App. Roma 4 maggio 1995.
Successione ereditaria — Accettazione «ex lege» — Requisiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 485, 487).
Va cassata la sentenza di merito che abbia escluso l'applicabili tà dell'art. 485 c.c. ad ipotesi diverse da quella di accettazio ne dell'eredità con beneficio d'inventario. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione 22 aprile 1988, Patrizia Fabrizi, premesso che suo marito Pietro Ranieri
aveva ereditato dal padre Cesare Ranieri la quota di un mezzo
dell'appartamento sito in Roma via Bellingeri, n. 38, int. 20;
(1) La decisione ribadisce l'applicabilità dell'art. 485 c.c. sia alle ipo tesi in cui vi sia stata accettazione con beneficio d'inventario, sia a
quelle in cui il chiamato nel possesso di beni ereditari non abbia prov veduto a 'dichiararsi', accettando l'eredità o rinunziandovi tempestiva mente. V. Cass. 12 gennaio 1996, n. 178, Foro it., Rep. 1996, voce Successione ereditaria, n. 62, ove si nega che l'immissione nel possesso dei beni ereditari equivalga di per sé ad accettazione tacita; 22 giugno 1995, n. 7076, id., Rep. 1995, voce cit., n. 106, che richiede una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all'eredità, cioè una situa zione di fatto che consenta in concreto l'esercizio di poteri sui beni stessi, accertata la quale incombe al chiamato, per evitare di divenire erede ope legis, l'onere di provare che, per un evento eccezionale, si sia determinata la materiale impossibilità di esercitare il possesso dei beni; 14 maggio 1994, n. 4707, id., Rep. 1994, voce cit., n. 62, a tenore della quale per possesso deve intendersi una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all'eredità, che consenta l'esercizio di poteri concreti anche per mezzo di terzi detentori, con la precisazione che per l'acquisto della qualità di erede puro e semplice nel caso de quo è suffi ciente il possesso anche di un solo bene con la consapevolezza della sua appartenenza al compendio ereditario; cfr., altresì, Cass. 28 agosto 1993, n. 9142, id., Rep. 1993, voce cit., n. 72, per un'ipotesi di esclu sione dell'applicabilità dell'art. 485 c.c. ai minori; 3 febbraio 1993, n. 1325, ibid., n. 65; 30 ottobre 1991, n. 11634, id., Rep. 1991, voce cit., n. 55; 10 marzo 1987, n. 2489, id., Rep. 1987, voce cit., n. 49. V., inoltre, Cass. 30 luglio 1984, n. 4520, id., Rep. 1984, voce cit., n. 38, che si occupa dell'onere della prova del possesso di beni ereditari, esclu dendo che lo stesso gravi sul chiamato; 24 febbraio 1984, n. 1317, ibid., n. 42, che dà rilevanza alla sussistenza e non alla durata del possesso dei beni ereditari; 4 maggio 1983, n. 3043, id., Rep. 1983, voce cit., n. 40, per un'ipotesi di compossesso del patrimonio ereditario indiviso; 5 giugno 1979, n. 3175, id., 1979, I, 2003, con nota di richiami. Per una decisione di merito nel solco della giurisprudenza prevalente di le
gittimità, v. Trib. Verona 14 novembre 1984, id., Rep. 1986, voce cit., n. 38; mentre non ritiene sufficiente la sussistenza di un mero rapporto materiale con la cosa per configurare il possesso, richiedendo la concre ta e piena disponibilità dei beni da parte del chiamato, App. Venezia 26 agosto 1981, id., 1982, I, 540, con nota di richiami.
In dottrina, sulla medesima posizione della giurisprudenza prevalen te, v. L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, in Commentario
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1980, 308 ss., che sottolinea come la norma si riferisca ad un possesso materiale o di fatto ed evidenzia an che la rilevanza del compossesso, tranne nel caso di minori o incapaci o persone giuridiche, cui l'art. 485 c.c. non si applica; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 1983, I, 183, passim; cfr., altresì, A.
Cicu, Successioni per causa di morte, in Trattato Cicu-Messineo, Mila
no, 1961, 182 ss.; V. Cotfaro, Erede e eredità, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1989, I, 7, che richiama la dottrina tradizionale per rimarcare il collegamento effettuato dalla norma in parola tra qualità ereditaria e comportamento omissivo del chiamato. Più di recente, inte ressanti spunti di riflessione sull'argomento in questione e sulle proble matiche collegate sono offerti da S. Mussumeci, In tema di accettazio ne c.d. presunta dell'eredità, in Giur. it., 1994, I, 1, 1875: prendendo spunto dall'evoluzione storica della norma in questione, l'a. sostiene la sufficienza del possesso, inteso atecnicamente come relazione di me ro fatto, anche di un solo bene ereditario, purché di qualche rilevanza
economica, ai fini dell'applicabilità della disposizione e rileva come la
legge induca a ritenere rilevanti anche situazioni di possesso caratteriz zate da estrema brevità, poiché, riferendosi al chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari «al momento dell'apertura della succes
sione», pone l'accento sulla sussistenza più che sulla durata del posses so. Contra, M. Segni, Autonomia legale e valutazione legale tipica, Padova, 1972, 250 ss., a cui dire, una volta venuto meno il possesso, cessa il pericolo di sottrazione dei beni ereditari, sì che la redazione dell'inventario diventa atto superfluo. Cfr., da ultimo, I. Maestroni, Possesso dei beni ereditari. Acquisto «ex lege-» e rinuncia all'eredità, in Riv. not., 1996, 757.
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2171 PARTE PRIMA 2172
che, essendo deceduto il marito in data 21 novembre 1979, essa
aveva diritto ai due terzi di detta quota; conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma Annunziata Cataldi al fine di
ottenere, previa divisione dell'immobile, i due terzi della quota
già di Cesare Ranieri. La Cataldi eccepiva la prescrizione del diritto vantato dalla
Fabrizi per non essere stata, l'eredità di Cesare Ranieri, mai
accettata dal figlio Pietro Ranieri. Il tribunale con sentenza non definitiva disattendeva l'ecce
zione di prescrizione e provvedeva, con separata ordinanza, al
l'ulteriore istruzione della causa ai fini della divisione.
Con sentenza 25 gennaio-4 maggio 1995, la Corte di appello di Roma, adita dalla Cataldi, in riforma di tale decisione, di chiarava la prescrizione del diritto di accettazione dell'eredità
di Cesare Ranieri e condannava la Fabrizi al pagamento delle
spese del doppio grado di giudizio. Premesso che in base ai principi generali, l'eredità deve essere
accettata dal chiamato, la volontà di accettazione deve essere
comunque manifestata e l'accettazione può essere pura e sem
plice o col beneficio di inventario, osservava la corte romana
che l'art. 485 c.c., invocato dalla parte ed applicato dal primo
giudice, riguarda l'accettazione dell'eredità con beneficio di in
ventario e solo a tale ipotesi si riferisce. Infatti, tale articolo
deve essere coordinato con il precedente art. 484 c.c.; e poiché entrambi sono collocati nella sezione seconda rubricata «Del
beneficio di inventario», ne consegue che solo il chiamato all'e
redità che abbia accettato con beneficio di inventario, mediante
dichiarazione fatta in modo solenne nelle forme prescritte dalla
legge, e non abbia poi provveduto alla redazione dell'inventario
nel termine di tre mesi (o di quello prorogato), è considerato
erede puro e semplice. Contrariamente a quanto sostenuto dal
primo giudice, riteneva la corte di appello che l'art. 485 c.c.
non configura un'ipotesi di accettazione dell'eredità, senza «ve
ra e propria accettazione», collegata al solo possesso del bene
ereditario, ma al contrario presuppone una accettazione espres
sa, fatta nel modo più formale e solenne possibile, giungendo alla sanzione della decadenza dal beneficio, ove l'inventario non
venga fatto dal chiamato nel termine stabilito, trasformando
la dichiarata accettazione beneficiata in accettazione pura e sem
plice. Pertanto, il semplice e mero possesso dell'appartamento da parte di Pietro Ranieri, in assenza di ogni altro atto o com
portamento, non poteva avere il significato di accettazione (ta cita ex art. 476 c.c.) dell'eredità. Infine, riteneva la corte di
strettuale che, essendosi aperta la successione di Cesare Ranieri
in data 8 aprile 1970, non essendovi stata accettazione espressa o tacita dell'eredità da parte del figlio Pietro, né della moglie ed erede di quest'ultimo, Patrizia Fabrizi, nel decennio dall'a
pertura della successione, meritava accoglimento l'eccezione di
prescrizione del diritto di accettare l'eredità di Cesare Ranieri
opposta alla vedova di questi, Annunziata Cataldi.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Pa
trizia Fabrizi, sulla base di tre motivi, ai quali ha replicato An
nunziata Cataldi con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — A sostegno dell'impugnazione la
ricorrente deduce:
1. Violazione degli art. 476-485 c.c., e conseguentemente del
l'art. 480 c.c.
Erroneamente la corte di merito ha ritenuto che l'art. 485
c.c. va applicato solo all'ipotesi di eredità beneficiata, e non
anche a qualsiasi altra ipotesi nella quale il chiamato sia nel
possesso di beni ereditari al momento dell'apertura della su
cessione.
Se i giudici di merito avessero attentamente esaminato l'art.
485 c.c. si sarebbero resi conto dell'erroneità del loro assunto,
poiché detto articolo all'ultimo comma prescrive che il chiama
to nel possesso dei beni deve essere considerato erede puro e
semplice se non dichiara di accettare o rinunciare all'eredità en
tro quaranta giorni dal compimento dell'inventario. Non è ne
cessario che il chiamato in possesso di beni ereditari debba pre viamente dichiarare di accettare con beneficio di inventario, poi ché la legge prescrive che egli è erede puro e semplice non solo
quando non esegue l'inventario nel termine, ma anche quando, avendolo eseguito, non faccia la dichiarazione di accettazione
beneficiata o di rinuncia nel termine prescritto. Invero, affinché
si abbia accettazione dell'eredità indipendentemente dalla dichia
razione («accettazione senza accettazione»), è sufficiente che vi
li Foro Italiano — 1998.
sia stata: 1) apertura della successione; 2) conoscenza di questa da pare del chiamato; 3) possesso di beni ereditari; 4) inutile
decorso del termine per effettuare l'inventario ovvero mancata
dichiarazione di rinuncia entro il termine. In tale ipotesi l'ac
quisto della qualità di erede puro e semplice avviene ope legis
per il solo effetto di una situazione giuridica obiettivamente con
siderata, indipendentemente dalla manifestazione espressa o ta
cita della concreta volontà del chiamato.
2. Violazione dgli art. 476-485 c.c. - Motivazione insufficien
te su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.).
L'impugnata sentenza non spiega perché il possesso dei beni
ereditari non possa costituire accettazione tacita dell'eredità, at
teso che l'art. 485 c.c. fa discendere da tale possesso la necessi
tà che il chiamato rediga l'inventario e nei termini esprima la
sua rinuncia all'eredità, altrimenti diventa erede puro e semplice.
Inoltre, la corte di appello ha omesso di esaminare, ai fini
della valutazione del comportamento di Pietro Ranieri volto al
l'accettazione tacita dell'eredità, l'atto di notorietà n. 3387 rep. n. 8377 per notar Giambelluca del 28 novembre 1979, con cui
alcuni testimoni avevano dichiarato che era a loro personale conoscenza che unici eredi di Pietro Ranieri erano la moglie Patrizia Fabrizi e la madre Annunziata Cataldi, che si trovava
no nel possesso dei beni ereditari.
Né ha ritenuto per certo il compossesso dell'appartamento da parte di Pietro Ranieri prima e della moglie Fabrizi dopo;
per cui avrebbe dovuto ammettere la prova per testimoni offer
ta dalla Fabrizi.
3. Violazione degli art. 2697-2944 c.c. - Difetto assoluto di
motivazione su punto decisivo della controversia.
La corte di appello avrebbe dovuto ritenere il suddetto atto
notorio quale causa interruttiva della prescrizione per effetto
del riconoscimento da parte di Annunziata Cataldi della qualità di erede del padre assunta da Pietro Ranieri, avendo la Fabrizi
dichiaratamente conseguito il possesso dell'appartamento in quan to erede del marito.
A) Il primo motivo è fondato.
A.l) L'eredità si trasmette al chiamato a seguito di sua accet
tazione. La semplice delazione, che segue all'apertura della suc
cessione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, perché a
tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l'accetta
zione mediante aditio, oppure per effetto di pro herede gestio.
Infatti, l'accettazione, atto negoziale unilaterale mediante il
quale il chiamato fa propria l'eredità, può essere espressa o ta
cita. L'accettazione espressa è una dichiarazione resa in forma
di atto pubblico o di scrittura privata con la quale il chiamato
manifesta la sua attuale volontà di acquistare l'eredità e di as
sumere il titolo di erede (art. 475 c.c.). L'accettazione tacita
è una manifestazione implicita di volontà di accettare l'eredità
che si riscontra nel compimento di atti che presuppongono ne
cessariamente la posizione di erede (art. 476 c.c.). La legge indi
ca taluni specifici atti che importano accettazione dell'eredità
(art. 477-478 c.c.). A.2) Una fattispecie complessa di accettazione della eredità,
che prescinde dalla volontà del chiamato, è prevista dall'art.
485 c.c., nell'ipotesi in cui il chiamato all'eredità in possesso dei beni ereditari non procede all'inventario nel termine stabili
to, ovvero compiuto l'inventario, qualora non abbia fatto la
dichiarazione di cui all'art. 484 c.c., non deliberi, nel termine
di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario me
desimo, di accettare o rinunciare all'eredità. In tal caso l'accet
tazione ex lege è determinata dalla ricorrenza delle condizioni
previste, che sono l'apertura della successione, la delazione ere
ditaria, il possesso dei beni ereditari, la mancata tempestiva re
dazione dell'inventario o la mancata deliberazione di accetta
zione o rinunzia all'eredità nel termine stabilito (cfr., fra le tan
te, Cass. 30 ottobre 1991, n. 11634, Foro it., Rep. 1991, voce
Successione ereditaria, n. 55; 30 luglio 1984, n. 4520, id., Rep.
1984, voce cit., n. 38; 4 maggio 1983, n. 3043, id., Rep. 1983, voce cit., n. 40; 9 dicembre 1980, n. 6371, id., Rep. 1980, voce
cit., n. 33). Al riguardo questa corte ha più volte affermato (v., da ulti
mo, Cass. 3 febbraio 1993, n. 1325, id., Rep. 1993, voce cit., n. 65) che la disposizione dell'art. 485 c.c., a norma della quale il chiamato all'eredità che a qualsiasi titolo è nel possesso dei
beni ereditari deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno
dell'apertura della successione o della notizia della devoluta ere
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dità, dovendosi, in mancanza, considerare erede puro e sempli
ce, è applicabile non solo ai casi di precedente accettazione del
l'eredità con beneficio di inventario, ma anche a quelli di pos sesso (o compossesso: Cass. 4 maggio 1983, n. 3045, cit.) dei
beni ereditari da parte del chiamato che non abbia ancora ac
cettato, come è dimostrato dall'ultimo comma del citato art.
485 c.c., che assegna al chiamato il termine di quaranta giorni dal compimento dell'inventario per deliberare se accetta o ri
nunzia all'eredità, riferendosi, appunto all'ipotesi in cui il chia
mato non abbia ancora manifestato in proposito la sua volontà.
A.3) Non è, quindi, esatto quanto affermato dalla sentenza
che il chiamato, il quale è nel possesso dei beni ereditari, deve
preventivamente dichiarare in modo formale che intende accet
tare l'eredità con beneficio d'inventario. L'opinione secondo cui
il chiamato potrebbe essere considerato erede puro e semplice solo se abbia accettato sia pure tacitamente l'eredità (art. 476
c.c.), e la norma dell'art. 485 c.c. si applicherebbe unicamente
all'ipotesi particolare dell'accettazione beneficiaria, non può es
sere condivisa ed è già stata altre volte respinta da questa corte,
che, come accennato, ritiene che l'art. 485 c.c. contempli un
caso di accettazione ope legis dell'eredità per tutti i chiamati
in possesso dei beni ereditari che non compiano l'inventario nel
termine prescritto; e che non possa limitarsi l'operatività solo
nei confronti di coloro che abbiano già accettato l'eredità con
il beneficio dell'inventario. Si è giustamente obiettato che con
tro la soluzione restrittiva si pone il 3° comma dell'art. 485
c.c., il quale prevedendo che: «Compiuto l'inventario, il chia
mato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma del
l'art. 484 (accettazione con beneficio d'inventario) ha un termi
ne di quaranta giorni ... per deliberare se accetta o rinuncia
all'eredità», ha imposto l'onere della compilazione dell'inventa
rio anche per chi non abbia accettato con beneficio d'inventario.
Peraltro, non è la collocazione di una norma nel corpus iuris
che ne determina l'interpretazione. La tesi restrittiva, seguita dalla corte di merito, è in netto contrasto con quanto espressa mente previsto dal 3° comma dell'art. 485 c.c., dal quale si
deduce chiaramente che la legge non obbliga i chiamati in pos sesso di beni ereditari ad accettare con beneficio d'inventario, ma soltanto impone a costoro la compilazione dell'inventario
entro un preciso termine. Il compimento dell'inventario è per tanto un onere che incombe su ogni chiamato che sia nel pos sesso di beni ereditari, ancorché non abbia dichiarato se intende
accettare o rinunziare; con la conseguenza inevitabile che il chia
mato acquista la qualità di erede puro e semplice se lascia tra
scorrere i tre mesi dall'apertura della successione senza adem
piere l'onere impostogli dalla legge, ovvero, se ha compuito l'in
ventario, non dichiari di rinunciare o accettare l'eredità con
beneficio d'inventario nell'ulteriore termine di quaranta giorni.
A.4) L'art. 485 c.c. contempla, quindi, una fattispecie com
plessa che realizza un'ipotesi di accettazione ex lege dell'eredità; ovvero ipso iure per il solo effetto di una particolare situazione
giuridica e, pertanto, indipendentemente da un'accettazione ve
ra e propria (espressa o tacita). Situazione della quale sono ele
menti costitutivi l'apertura della successione, la delazione eredi
taria, il possesso inteso in senso materiale dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell'inventario oppure la man
cata dichiarazione di accettazione o di rinunzia entro quaranta
giorni dal compimento dell'inventario. In tale ipotesi l'acquisto della qualità di erede avviene ope legis per il solo effetto di
una situazione giuridica obiettivamente considerata, persino con
tro la volontà del chiamato, e indipendentemente, quindi, da
una sua dichiarazione solenne di accettazione dell'eredità con
beneficio d'inventario.
In sostanza, l'art. 485 c.c. prevede un'ipotesi di istituzione
di erede derivante direttamente dalla legge, intendendo il pos sesso materiale dei beni ereditari quale elemento determinante
ed automatico per l'attribuzione della qualità di erede in man
canza di una contraria volontà o comportamento del chiamato, ossia per decadenza dal diritto di rinunciarvi. Sicché mentre per il chiamato che non si trovi nel possesso dei beni ereditari è
necessario, ai fini dell'acquisto della qualità di erede, che egli
proceda all'accettazione, o mediante una precisa dichiarazione
di volontà ovvero mediante atti o comportamenti che presup
pongono necessariamente la volontà di accettare l'eredità; per il chiamato che sia nel possesso dei beni ereditari la regola sta
bilita dagli art. 459 e 474 c.c., secondo la quale l'eredità si ac
quista con l'accettazione (espressa o tacita), subisce l'eccezione
Il Foro Italiano — 1998.
prevista dall'art. 485 c.c., il quale, in altri termini, deroga al
principio secondo cui il chiamato non è erede fino a che non
abbia accettato, prevedendo, invece, che il chiamato acquista l'eredità senza bisogno di accettazione per il solo fatto di posse dere materialmente i beni ereditari, a meno che non dichiari
nei termini di rinunciare all'eredità. Invero, la decadenza dal
diritto di rinuncia (perché non effettuata nei quaranta giorni successivi al compimento dell'inventario) determina, per il chia
mato che è nel possesso dei beni ereditari, l'acquisto dell'eredi
tà ope legis, indipendentemente dall'accettazione.
A.5) Pertanto, erroneamente l'impugnata sentenza ha escluso
la possibilità di acquisto dell'eredità indipendentemente dall'ac
cettazione, richiedendo tale manifestazione di volontà anche
quando il chiamato all'eredità è nel possesso di beni ereditari.
Pertanto, anche a voler ritenere che nel caso specifico non
vi sia stato un comportamento o contegno concludente che co
stituisce il fondamento dell'accettazione tacita o implicita del
l'eredità, l'impugnata sentenza non ha considerato — in rela
zione al fatto che Pietro Ranieri era nel possesso di beni eredi
tari del padre Cesare Ranieri — che era configurabile un'ipotesi di acquisto dell'eredità ope legis, la quale prescinde dalla mani
festazione espressa o tacita della concreta volontà del chiamato
di accettazione dell'eredità.
B) In relazione all'accoglimento di tale (primo) motivo resta no superati gli altri mezzi (secondo e terzo), con i quali, come
emerge da quanto sopra esposto, si muovono ulteriori censure
ai criteri di esclusione dell'acquisto dell'eredità del padre da parte di Pietro Ranieri.
C) In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impu
gnata va cassata con rinvio della causa, per nuovo esame, ad
altra sezione della Corte di appello di Roma, che si uniformerà
ai principi sopra esposti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 4 marzo
1998, n. 2403; Pres. Iannotta, Est. Preden, P.M. Dettori
(conci, conf.); Soc. Bormitur San Marco (Aw. Vianello, Pe
drana) c. Soc. La Rosa (Aw. Staffa). Conferma App. Mi
lano 7 marzo 1995.
Appello civile — Querela di falso — Proposizione in via inci
dentale — Sospensione del processo — Condizioni (Cod. proc.
civ., art. 222, 355).
Il giudice d'appello, nell'autorizzare la presentazione della que rela di falso in via incidentale, deve stabilire se sussiste o me
no priorità logica e giuridica tra la decisione della causa inci
dentale di falso e la definizione della causa principale, poiché solo in tale eventualità risulta giustificata la sospensione di
quest'ultimo giudizio; tale valutazione ha ad oggetto sia la
rilevanza del documento impugnato ai fini della decisione, sia l'idoneità dei mezzi di prova offerti a privare di efficacia probatoria il documento stesso. (1)
(1) La sentenza conferma l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, all'atto dell'autorizzazione alla presentazione della querela di falso in corso di causa, al giudice della causa principale spetta valutare, oltre alla rilevanza del documento impugnato ai fini della decisione in termini di potenziale attitudine ad incidere sulla statuizione nel merito
(cfr. Cass. 9 gennaio 1997, n. 104, Foro it., Mass., 10; 30 luglio 1996, n. 6911, id., Rep. 1996, voce Falso (querela di), n. 5; 27 febraio 1995, n. 2271, id., Rep. 1995, voce cit., n. 12; 1° aprile 1993, n. 3914, id.,
Rep. 1993, voce cit., n. 3; 23 aprile 1993, n. 4773, ibid., n. 15; Trib.
Monza 3 dicembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 4, e Giust. civ., 1987, I, 2677, con nota di Cucchi; 28 gennaio 1984, n. 688, Foro it., 1984, I, 3012, con nota di richiami), anche la valutazione dell'influenza dei mezzi di prova dedotti a sostegno della falsità (in tal senso, v. Cass.
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