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Sezione II civile; sentenza 20 aprile 1961, n. 876; Pres. Lorizio P., Est. Iannelli, P. M. Toro...

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Sezione II civile; sentenza 20 aprile 1961, n. 876; Pres. Lorizio P., Est. Iannelli, P. M. Toro (concl. conf.); Tanzer (Avv. Egger) c. Ditta Anello e Giumelli (Avv. Santilli, Azzolina) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 1355/1356-1357/1358 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174857 . Accessed: 28/06/2014 19:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 78.24.222.75 on Sat, 28 Jun 2014 19:04:39 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 20 aprile 1961, n. 876; Pres. Lorizio P., Est. Iannelli, P. M. Toro(concl. conf.); Tanzer (Avv. Egger) c. Ditta Anello e Giumelli (Avv. Santilli, Azzolina)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 1355/1356-1357/1358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174857 .

Accessed: 28/06/2014 19:04

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1355 PARTE PRIMA 1356

I alla successione ex testamento fosse stato o Ottavio Di Lo

reto o il figlio Gianfranco. Ma attori erano anche Vittorio, Wanda, Franca, Luigi, Elena e' Maria Di Loreto, Tommaso

di Loreto. Inoltre Elda e Arcangiola Di Loreto, convenute, aderivano alla domanda. Tutte queste persone (eccetto Ot

tavio) erano interessate alla successione, perchè beneficate

da quel testamento. E la Corte di appello dice che rispetto a questi diventava irrilevante la colpa eventuale di Ottavio Di Loreto, non avendo essi smarrito il testamento.

Diventavano perciò preliminari le censure contro la

parte della sentenza che ritenne incolpevoli dello smarri

mento le dette persone, censure che si compendiano tutte

nella proposizione che sia illogico ravvisare la mancanza

di colpa nell'unanimità della decisione di affidare il testa

mento ad Ottavio, che sarebbe stata presa dagli altri attori ; e negli addebiti di omessa motivazione sullo accertamento

circa la unanimità della decisione stessa.

Ma la sentenza su questo punto contiene un'afferma

zione che da sola vale a negare la colpa nella scelta del Di

Loreto (Ottavio) come custode temporaneo della scheda : che questo, cioè, era uomo avveduto e prudente e quindi tale da ingenerare fiducia. Pertanto, unanime o no che fosse stata la determinazione dell'affidamento, logico o

no che fosse il dedurre da tale unanimità ima mancanza di

colpa, il nucleo dell'accertamento, che cioè Ottavio Di

Loreto, per le sue qualità note e per i suoi precedenti meri

tava fiducia, non solo è logico, ma non è stato neppure contestato, essendo ovvio che la qualità di persona avveduta non esclude che il soggetto che sia tale possa in qualche occasione (quale quella dello smarrimento) non essere pari a se stesso : ma ciò, se potrebbe comportare evidentemente la colpa di lui, non implica la colpa di coloro che gli si affi

darono, nell'aspettativa che egli tenesse anche in questa occasione il proprio comportamento abituale.

Esclusa dunque la colpa degli altri interessati alla suc

cessione, attori in parte e in parte convenuti, ogni discus sione sulla colpa o meno di Ottavio, attore anch'egli, ma non nel proprio interesse diventa irrilevante, perchè non si poteva negare agli altri il diritto di chiedere la prova dello smarrimento e del contenuto del testamento, prova perfettamente ammissibile, della quale anche Gianfranco Di Loreto (non Ottavio che non era nè erede nè legatario ex testamento) si giovava, non foss'altro per il principio dell'acquisizione delle prove, che gioca a favore di o contro tutte le persone rispetto alle quali i fatti provati risultano avere effetti giuridici in ordine alle loro domande ed eccezioni. (Omissis)

Per questi motivi, rigetta, ecc

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 20 aprile 1961, n. 876 ; Pres. Lorizio P., Est. Iannei.li, P. M. Toro (conci, conf.) ; Tanzer (Avv. Egger) c. Ditta Anello e Gitimelii (Avv. Santilli, Azzolina).

(Gassa App. Brescia, 22 luglio 1959)

Cassazione in materia civile — Itcstitnzioni di somme

pacate in forza della sentenza cassata — Inte ressi — Decorrenza (Cod. civ., art. 1282 ; cod. proc. oiv., art. 389).

Gli interessi sulle somme pagate in esecuzione di una sentenza di appello, poi cassata, e riconosciute non dovute in sede di rinvio, decorrono dalla data della domanda di restitu zione e non da quella dell'avvenuto pagamento. (1)

(1) Vedi, in senso conforme, Cass, il aprile 1961, n. 771, Foro it., Mass., 132. In tale pronuncia la decorrenza degli inte ressi dalla data della domanda viene affermata però, anziché in relazione alla natura degli interessi stessi, con riferimento alle norme che disciplinano il pagamento dell'indebito ; di conse

La Corte, ecc. — Con l'unico mezzo di annullamento, il

ricorrente, nel denunciare la violazione degli art. 1224 e

1219 cod. civ., sostiene che, non essendovi stata costituzione

in mora nei suoi confronti, non poteva, conseguentemente, essere condannato alla corresponsione degli interessi sulla

somma versatagli, a suo tempo, dalla Ditta Anello e Giu

melli, per il periodo anteriore alla sentenza della Corte di

appello di Brescia, avuto riguardo alla circostanza clie l'ob

bligazione per il rimborso della somma medesima non

discendeva, direttamente, dall'annullamento della sentenza

della Corte di Trento, ma solo della pronuncia della Corte di

rinvio, e, comunque, cbe la decorrenza degli interessi non

poteva essere riferita ad epoca precedente alla domanda

di restituzione della somma, che, da parte della Ditta, era

stata proposta solo nell'udienza dell'8 gennaio 1959.

La doglianza è fondata.

Invero, sebbene la Corte di Brescia non abbia espressa mente precisato le ragioni della disposta condanna del

Tanzer al pagamento degli interessi sulla somma di lire

2.162.500, con decorrenza dalla data del versamento da

parte della Ditta Anello e Giumelli della somma stessa, è facile intendere, tuttavia, che ha posto, implicitamente, a

base della propria pronuncia, la considerazione che gli interessi, nella specie, avessero natura compensativa, e cioè

fossero dovuti in dipendenza del godimento indebito della

somma dalla data sovramenzionata, sul riflesso che, a

seguito della cassazione della sentenza della Corte di appello di Trento, in esecuzione della quale quel versamento era

stato effettuato, e del successivo accertamento, in sede di

rinvio, che quella corrisposta fosse una somma maggiore di quella in effetti dovuta, la prima delle indicate somme

dovesse intendersi, sia ricevuta allora sia trattenuta dopo, dal Tanzer senza un giusto titolo.

Siffatta considerazione è, però, resistita dal disposto dell'art. 1282 cod. civ., il quale, in tema di interessi nelle

obbligazioni pecuniarie in genere (estendendo, in tal modo,

quella che era la regola, contenuta nell'art. 41 cod. comm.

abrogato per i debiti commerciali), stabilisce che i crediti

liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente.

Infatti, deve dedursi da tale principio, che il debitore di una somma di danaro, la quale rivesta i caratteri della

liquidità e della esigibilità, è obbligato ex lege alla correspon sione degli interessi sulla somma medesima, onde è esposto, a tale riguardo, ad azione da parte del creditore.

Il fondamento della norma sta nel fatto che, avendo il debitore la disponibilità di una somma di danaro ad altri

dovuta, di cui può fare uso, ritraendone, conseguentemente, un'utilità, della quale viene, nel contempo, privato il cre

ditore, per ciò solo ha l'obbligo della corresponsione degli interessi, a titolo di corrispettivo della disponibilità della somma stessa. In tale ipotesi si parla di interessi corrispet tivi o compensativi, attesa la loro funzione di ristabilire

l'equilibrio economico tra due patrimoni, in virtù del

principio di giustizia che vieta l'ingiusto arricchimento di un soggetto ai danni di altro soggetto e che impone a colui

che, senza giusta causa, ritenga o tragga profitto dai capi tali altrui, di dare al titolare di essi il corrispettivo di uso, calcolato sul tasso legale, dal giorno in cui il debito è sorto.

Detti interessi sono, perciò, indipendenti dalla mora del debitore ed anzi si contrappongono agli interessi cosid detti moratori, i quali sono dovuti, invece, a titolo di risar cimento per il ritardo nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria.

guenza gli interessi vengono fatti decorrere dal giorno del pa gamento in caso di mala fede dell'accipiens.

Sulla differenza fra interessi moratori e corrispettivi, v. Cass. 22 maggio 1958, n. 1727, id., Rep. 1958, voce Interessi, n. 14 ; 17 ottobre 1957, n. 3907, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 9, 10. In particolare sulla differenza fra interessi corrispettivi e com pensativi, v. Cass. 26 giugno 1956, n. 2294, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 3, 4. Y. inoltre Cass. 16 maggio 1960, n. 1167, id., Rep. 1960, voce cit., n. 6 ; 7 maggio 1946, n. 548, id., Rep. 1946, voce cit., n. 7 ; 13 aprile 1944, n. 241, id., Rep. 1943-45, voce cit., n. 14.

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1357 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1358

Loro presupposto è, però, la liquidità ed esigibilità del

credito, nel difetto del quale è ovvio che, come non si è

tenuti all'obbligazione relativa al soddisfacimento del cre

dito, parimenti non si è tenuti all'obbligazione separata della corresponsione degli interessi.

Orbene, con riferimento al caso in oggetto, va sabito

rilevato che, in tanto la decisione impugnata si potrebbe considerare corretta, in quanto fosse possibile ritenere che

la somma di lire 2.162.500 non era dovuta fin dal momento

in cui è stata pagata e che, perciò, nella stessa data del 17

marzo 1955, nella quale il pagamento è stato eseguito,

corrispondentemente al diritto della Ditta Anello e Giu

melli di ripetere quanto da essa pagato, vi fosse l'obbligo del Tanzer di restituire l'equivalente indebitamente riscosso.

Non altrimenti, infatti, potrebbe essere posto il pro blema, al fine di giustificare la statuizione della denunciata

sentenza.

Ma una. soluzione nei termini accennati deve, senz'altro,

respingersi, per la chiara ragione che il Tanzer, col chiedere

ed ottenere il pagamento della indicata somma, avvalen

dosi, a tale fine, della sentenza della Corte di appello di

Trento, non altro ha fatto che esercitare, in fondo, un suo

diritto, posto che quella pronuncia, quale sentenza di

secondo grado, aveva valore di titolo esecutivo, nonostante

la possibilità del gravame. La circostanza che, a seguito della cassazione di tale

pronuncia, la Corte di rinvio abbia stabilito, con la propria sentenza, che la somma non era dovuta nella misura cor

risposta, bensì in una misura minore, tanto da avere con

dannato la Ditta al pagamento, in favore del Tanzer, della somma in quest'ultima misura (e ciò con un capo distinto della sentenza che, per non essere stata per questa

parte impugnata, deve considerarsi regiudicata), non im

plica che, al momento in cui è stato eseguito, il versamento

della maggiore somma sia avvenuto senza titolo, perchè

invece, il titolo non mancava ed era anzi suscettibile di

produrre effetti giuridici a vantaggio del Tanzer, come

quello appunto di farlo entrare in possesso della somma

nell'anzidetta misura, solo che il titolo stesso, non essendo

definitivo, poteva venire meno, come di fatto è poi venuto

meno, ma ciò con la conclusione della fase del giudizio rescissorio, con il quale la sentenza cassata è stata sosti

tuita con una nuova sentenza. Ne consegue che, quanto alla corresponsione degli inte

ressi sulla somma, oggetto della restituzione, gli effetti di

quest'ultima pronuncia non possono farsi retroagire alla data del 17 marzo 1955, dal momento che la Ditta non aveva,

allora, verso il Tanzer un credito esigibile, il quale è sorto,

invece, in un momento successivo, non disgiunto dalla

costituzione in mora del debitore, questa in dipendenza della domanda formulata in giudizio dalla Ditta Anello e Griumelli per la restituzione della somma. Infatti, tale

domanda insieme con quella della corresponsione degli interessi, come risulta dalla denunciata sentenza, è stata

proposta l'8 gennaio 1959, nell'udienza di precisazione delle

conclusioni, di guisa che da quella data il Tanzer è stato messo in mora, con l'ulteriore effetto che, non avendo egli ottemperato alla restituzione della somma, deve subire le

conseguenze del ritardo, egualmente da quella decorrenza. S'intende da ciò che quelli dovuti, nella specie, debbono

considerarsi interessi moratori, i quali, com'è noto, decor rono dalla domanda giudiziale, giacché la sentenza di con danna del debitore al pagamento del capitale retroagisce fino a questo momento. (Omissis)

Per questi motivi, cassa, eco.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 8 marzo 1961, n. 498 ; Pres.

Lobizio P., Est. Giannattasio, P. M. Tavolako (conci,

conf.) ; Zecca (Avv. Filippone, Vita) c. Parisi (Avv.

Rota).

(Conferma App. Napoli 21 aprile 1959)

Società — Contratto — Risoluzione per inadempi mento - Inapplicabilità (Cod. civ., art. 1453).

Società — Hecesso — Richiesta del recedente, di

scioglimento della società Inammissibilità.

Non sono applicabili al contratto di società le norme che di

sciplinano la risoluzione per inadempimento dei contratti

con prestazioni corrispettive. (1) Il socio di società di persone, che ne è receduto per giusta

causa, non può chiederne lo scioglimento per insanabile dissidio dei soci od altra causa. (2)

La Corte, ecc. — Con il primo motivo la ricorrente de nuncia violazione dell'art. 1453 cod. civ., in relazione al

l'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e, premesso che anche per il

codice vigente il contratto di società fa sorgere fra i soci di ritti e doveri reciproci, che rimangono in posizione di corri

spettività, si duole che la Corte di merito non abbia ritenuto la norma dell'art. 1453 integratrice della disciplina parti colare delle società.

Il motivo è infondato, perchè al contratto di società non

sono applicabili nè la disciplina del termine (art. 1457), nè

quella della diffida ad adempiere (art. 1454), nè in genere le norme che regolano la risoluzione per inadempimento dei contratti con prestazioni corrispettive, di cui agli art. 1453

e segg. cod. civ. (Cass. 16 luglio 1958, n. 2603, Foro it.,

Rep. 1958, voce Società, n. 430 ; 16 maggio 1955, n. 1824,

id., Rep. 1955, voce cit., n. 468 ; 20 febbraio 1954, n. 466,

id., 1955, I, 709). La disciplina degli effetti dell'inadempimento nel con

tratto di società ha carattere speciale e consta di norme

proprie, che escludono ogni richiamo alla regolamentazione

generale delle risoluzioni per inadempimento, ove addirit tura non siano con essa antitetiche. Sebbene il codice parli di contratto di società (art. 2247), la società si mostra come un rapporto giuridico organico più che come un contratto.

L'aspetto prevalente della società è, infatti, quello di assi curare l'attuazione della sua causa economica, in modo che il suo atto costitutivo non può essere compreso tra i contratti a prestazioni corrispettive, per i quali solamente è prevista la risoluzione. La società forma una categoria a sè, tanto è

vero che, nell'ipotesi di società composta di due sole per sone, nel caso di gravi inadempimenti alle obbligazioni derivanti dalla legge o dalla convenzione sociale (art. 2286), si ha scioglimento non della società, ma del rapporto so ciale limitatamente al socio inadempiente. (Omissis)

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2272 cod. civ., falsa applicazione dell'art. 2258, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e lamenta che la sentenza impugnata non abbia ritenuto sciolta la Società

per insanabile dissidio dei soci. Anche tale motivo è infondato. Il socio di una società

di persone che ha chiesto ed ottenuto la dichiarazione di recesso dalla società per una giusta causa, non può chiedere altresì lo scioglimento della società per insanabile dissidio tra i soci o per qualsiasi altra causa. La dichiarazione di re cesso (in ordine alla quale la Zecca si è resa acquiescente,

(1) Nello stesso senso, v. Cass. 21 novembre 1959, n. 3433, Foro it., 1960, I, 222, con nota di richiami.

(2) Nello stesso senso con riferimento all'erede del socio, v. Cass. 25 ottobre 1958, n. 3433 e 21 aprile 1958, n. 1313, Foro it., Rep. 1958, voce Società, nn. 438-440 ; 18 giugno 1956, n. 2164, id., 1957, I, 615, con nota di richiami.

Per riferimenti, in caso di scioglimento chiesto dal socio non receduto, v. App. Milano 17 maggio 1960, id., 1960, I, 2028,

i con nota di richiami.

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