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sezione II civile; sentenza 20 marzo 2001, n. 3984; Pres. Spadone, Est. Bucciante, P.M. Gambardella...

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sezione II civile; sentenza 20 marzo 2001, n. 3984; Pres. Spadone, Est. Bucciante, P.M. Gambardella (concl. conf.); De Carlo (Avv. Genovese) c. Gentilesca. Cassa Trib. Potenza 12 novembre 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2223/2224-2225/2226 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196099 . Accessed: 28/06/2014 11:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.155 on Sat, 28 Jun 2014 11:00:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 20 marzo 2001, n. 3984; Pres. Spadone, Est. Bucciante, P.M.Gambardella (concl. conf.); De Carlo (Avv. Genovese) c. Gentilesca. Cassa Trib. Potenza 12novembre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2223/2224-2225/2226Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196099 .

Accessed: 28/06/2014 11:00

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2223 PARTE PRIMA 2224

14 luglio 1988, n. 826, id., 1988, I, 2477, e 17 ottobre 1985, n. 231, id., 1985, I, 2829), il divieto di pubblicità non può porsi in contrasto con l'art. 21 Cost., non essendo ricomprensibile nella

norma che tutela la manifestazione del pensiero la comunica

zione pubblicitaria di attività economiche, mentre la pubblicità rientra nella libertà di iniziativa economica, che è tutelata dal

l'art. 41 Cost, solo in quanto non si ponga in contrasto con l'u

tilità sociale, e il divieto di propaganda pubblicitaria dei prodotti da fumo mira appunto alla tutela della salute della collettività,

com'è del resto confermato dal rilievo secondo cui i proventi

per le sanzioni pecuniarie applicate per le violazioni di detto di

vieto sono destinati dalla norma denunciata all'informazione e

all'educazione sanitaria nonché a studi e ricerche finalizzati alla

prevenzione della patologia da fumo (Cass. n. 1862 del 2000, innanzi citata).

Respinto il ricorso incidentale condizionato, va esaminato il

ricorso principale con il quale l'amministrazione denuncia la

violazione dell'art. 8 d.l. 10 gennaio 1983 n. 4, convertito nella

1. 22 febbraio 1983 n. 52, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., e

sostiene che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe esclu

so che il marchio Camel, nato per individuare un prodotto da

fumo, abbia perso la potenzialità di evocare il prodotto origina rio nella sua utilizzazione da parte della ditta produttrice degli

orologi pubblicizzati con il marchio Camel Trophy, poiché, se

così fosse, il suo uso sarebbe del tutto superfluo, negativo e

controproducente per i produttori di beni diversi dai prodotti da

fumo, in quanto li esporrebbe alla possibilità di incorrere nella

violazione del divieto posto dalla legge alla propaganda pubbli citaria di tali prodotti; a sostegno della sua censura richiama la

giurisprudenza indicata in motivazione secondo cui la libertà di

commercio di prodotti diversi da quelli da fumo non richiede

necessariamente l'adozione di segni distintivi che evochino tali

prodotti, con la conseguenza che l'adozione di segni che abbia

no effetto evocativo, suggestivo e pubblicitario dei prodotti da

fumo non è modalità necessitata della libertà di commercio, la

quale subisce perciò il limite dell'adozione di segni distintivi

che assumano un più o meno marcato effetto evocativo e pub blicitario dei prodotti da fumo.

La censura non merita accoglimento in quanto la sentenza

impugnata ha fatto corretta applicazione dei criteri fissati dalle

sezioni unite di questa corte con la sentenza n. 10508 del 1995,

che, nel provvedere alla composizione del contrasto di giuris

prudenza che era venuto a verificarsi in ordine all'interpretazio ne dei limiti del divieto di propaganda pubblicitaria dei prodotti da fumo, ha stabilito che il divieto di ogni comportamento, da

chiunque posto in essere, idoneo a sollecitare l'acquisto ed il

consumo di prodotti da fumo — sia in forme direttamente evo

cative di tali prodotti, sia in forme in cui l'effetto propagandisti co venga conseguito con modalità indirette od occulte — in

contra vari limiti, tra i quali quello che esclude ogni violazione

di legge nei casi in cui il segno originariamente distintivo del prodotto da fumo, nella pratica applicazione ad altro genere di bene o di servizio, abbia di fatto assunto una sua autonomia tale da risultare privo, se usato in quel contesto, di ogni potere evo

cativo del prodotto originario, con la conseguente esclusione dell'effetto pubblicitario vietato.

Il giudice dell'opposizione ha infatti escluso l'idoneità del

particolare messaggio pubblicitario in contestazione ad influire

sull'incremento della vendita e del consumo del prodotto da fumo all'esito di un esame globale delle circostanze concrete,

pervenendo a tale conclusione in base alla considerazione che

l'immagine pubblicitaria adottata per l'orologio denominato Camel Trophy si incentrava sulla riproduzione fotografica del

l'orologio, definito «compagno di avventura» e presentato su uno sfondo in cui era raffigurato un vecchio fuoristrada impe gnato in un avventuroso percorso.

Orbene l'amministrazione ricorrente non censura specifica mente la validità dell'accertamento effettuato in concreto dal

pretore, ma sostiene che quand'anche ciò corrispondesse a ve

rità, non si comprenderebbe l'interesse dei produttori di beni di versi dai prodotti da fumo ad impiegare in tutto o in parte un marchio che comunque li esporrebbe alla possibilità di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge per la propaganda pubblicita ria dei prodotti da fumo, e osserva che il riconoscimento del l'autonomia del marchio di un prodotto diverso sarebbe pur sempre frutto di ripetute violazioni della norma che proibisce la

propaganda pubblicitaria dei prodotti da fumo.

Il Foro Italiano — 2001.

Le argomentazioni addotte appaiono capziose e non possono trovare consenso poiché si fondano sull'erroneo presupposto che l'adozione di un marchio che in teoria potrebbe evocare il

ricordo di un prodotto da fumo non abbia altra ragione ispiratri ce se non quella di sfruttare l'effetto pubblicitario riflesso che al

primo prodotto si accompagnava. La validità di tale argomentazione rimane infatti smentita

dalla considerazione che, allorquando in punto di fatto sia rima

sto accertato in concreto che il marchio che caratterizza un de

terminato prodotto diverso da quelli da fumo abbia acquistato una propria autonomia, resta escluso per ciò stesso ogni effetto

evocativo del prodotto originario. Ciò chiarito, non ha alcuna rilevanza la questione se si sia

giunti a tale risultato attraverso una serie ripetuta di piccole violazioni del divieto di pubblicità sancito per il prodotto da

fumo, poiché non resta impedita la repressione delle predette violazioni prima che il marchio adottato per un prodotto diverso

acquisti una sua autonomia perdendo ogni capacità evocativa

dell'originario prodotto da fumo.

E appena il caso di ricordare, infine, che questa corte ha già avuto modo di affermare che il marchio Camel Trophy, diffuso

da un'emittente televisiva locale per far conoscere al pubblico l'attività di un'agenzia turistica che organizzava una particolare serie di viaggi così denominati, potesse configurare la propa

ganda pubblicitaria di prodotti da fumo vietata dalla legge, rite

nendo che i simboli contenuti nel messaggio pubblicitario —

che coincidevano con quelli usati per propagandare l'orologio

raffigurato nella pubblicità della rivista Panorama — ben pote vano aver conseguito, insieme all'attitudine a propagandare soltanto il prodotto turistico, il distacco dal marchio delle siga rette Camel, e, conseguentemente, l'idoneità ad incitare i desti

natari del messaggio pubblicitario al compimento di viaggi in

terre lontane in condizioni pionieristiche e non più a fumare le

anzidette sigarette (Cass. 11 luglio 1990, n. 7209, id., Rep. 1991, voce Sanità pubblica, n. 351; nonché Cass. 7 luglio 1999, n. 7029, id., 1999, I, 3537, con riferimento alla linea di abbi

gliamento Muratti Time e, esattamente in termini, con riferi

mento all'orologio in questione, Cass. 25 agosto 1999, nn.

8902, 8903 e 8905, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 718, 719 e 721, citate dalla controricorrente).

In conclusione, perciò, sia il ricorso principale che quello in

cidentale condizionato sono destituiti di fondamento e debbono

essere respinti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 20

marzo 2001, n. 3984; Pres. Spadone, Est. Bucciante, P.M. Gambardella (conci, conf.); De Carlo (Avv. Genovese) c. Gentilesca. Cassa Trib. Potenza 12 novembre 1997.

Possesso e azioni possessorie — Possesso di una servitù —

Estinzione del bene gravato — Ricostituzione — Esercizio effettivo del possesso sul bene ricostituito — Spoglio —

Azione di reintegrazione — Esperibilità (Cod. civ., art. 1140,1168).

Chi gode del possesso di una servitù di passaggio su uno stabile

non può tutelare la propria situazione possessoria con l'a

zione di reintegrazione quando l'immobile sia, in qualunque modo, andato distrutto; qualora, invece, la condotta costi tuente spoglio sia attuata in seguito alla ricostruzione dell'e

dificio, l'azione può essere proposta a patto che l'attore di mostri di aver esercitato materialmente il proprio potere di

fatto anche sul bene ricostituito, che è ontologicamente di stinto da quello su cui gravava il possesso in precedenza ed è

quindi oggetto di un rapporto possessorio diverso. (1)

(1) Per quanto riguarda il principio secondo il quale l'azione di re

integrazione non è esperibile a tutela del possesso di un bene non più

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 24 gennaio 1990 Vito Antonio De Carlo chiese al Pretore di Potenza di es

sere reintegrato nel possesso di una servitù di passaggio eserci

tata per l'accesso ad un suo locale ubicato in via Appia a Ruoti, attraverso un pianerottolo compreso nell'adiacente edificio di

proprietà di Rosaria Gentilesca, lamentando che costei — dopo

che nel 1985-1986 il fabbricato, danneggiato dal terremoto del

1980, era stato demolito e ricostruito — nel settembre 1989 aveva ridotto lo spazio utile per il transito, delimitandolo con una ringhiera collocata in posizione diversa da quella in cui si

trovava nel vecchio immobile.

All'esito dell'istruzione della causa, consistita nell'espleta mento di una c.t.u., con sentenza del 29 aprile 1994 il pretore

respinse la domanda, alla quale la convenuta aveva resistito so

stenendo che lo spostamento della ringhiera non impediva di

raggiungere il locale dell'attore e si era reso necessario in se

guito all'apertura, nel nuovo fabbricato, di una finestra che non esisteva nel precedente.

Impugnata da Vito Antonio De Carlo, la decisione è stata

confermata dal Tribunale di Potenza, che con sentenza del 12

novembre 1997, pronunciata nella contumacia di Rosaria Gen

tilesca, ha rigettato il gravame, ritenendo che il possesso eser citato dall'appellante non fosse tutelabile, poiché ne era venuto meno l'oggetto in seguito alla demolizione dello stabile e non era stato dedotto lo svolgimento di un potere di fatto in epoca successiva alla ricostruzione.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione

Vito Antonio De Carlo, in base a un motivo. Rosaria Gentilesca

non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione. — Con il motivo addotto a sostegno del ricorso Vito Antonio De Carlo, dolendosi di «violazione e

falsa applicazione degli art. 1140 e 1168 c.c., nonché degli art.

703, 689 e 345, vecchio testo, c.p.c., omessa motivazione circa

un punto decisivo della controversia prospettato dall'appellan te», contesta l'esattezza delle due argomentazioni su cui si basa

la sentenza impugnata: che il possesso esercitato sul pianerot tolo compreso nell'edificio poi demolito non fosse tutelabile, nonostante la successiva ricostruzione dell'immobile; che egli non avesse dedotto di aver ripristinato un analogo potere di fat

to, sulla corrispondente area del nuovo fabbricato.

Sotto il primo profilo la censura è infondata.

Come lo stesso ricorrente riconosce, infatti, la giurisprudenza di questa corte (v., per tutte, Cass. 3 luglio 1996, n. 6057, Foro

it., Rep. 1996, voce Possesso, n. 93) è sempre stata costante

nell'escludere l'esperibilità dell'azione di spoglio in relazione a

beni che abbiano cessato di esistere, poiché in tal caso difetta il

presupposto stesso della tutela e non può esplicarsi la sua fun

zione recuperatoria. Né da questi principi è dato deflettere, co

me vorrebbe il De Carlo, nei casi in cui oggetto del possesso sia

stata la porzione di uno stabile interamente demolito, ma poi ri

costruito. La circostanza, come esattamente ha osservato il tri

bunale, non è rilevante: l'ontologica distinzione dei due immo

bili implica che una pronuncia di condanna alla reintegrazione darebbe luogo all'instaurazione di un potere di fatto nuovo e di

verso, non al ripristino di quello che veniva svolto in preceden za.

esistente, v., in senso conforme, Cass. 3 luglio 1996, n. 6057, Foro it., Rep. 1996, voce Possesso, n. 93; 4 novembre 1993, n. 10939, id., Rep. 1993, voce cit., n. 73; 21 giugno 1985, n. 3731, id., Rep. 1985, voce cit., n. 72; 28 febbraio 1985, n. 1745, ibid., n. 71, e, per esteso, Arch,

civ., 1985, 823; 15 giugno 1982, n. 3635, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 91; 9 febbraio 1982, n. 776, ibid., n. 89; 5 luglio 1979, n. 3857, id.,

Rep. 1979, voce cit., n. 93; 29 maggio 1978, n. 2701, id., Rep. 1978, voce cit., n. 104; 7 dicembre 1976, n. 4556, id., Rep. 1976, voce cit., n.

26; 22 ottobre 1976, n. 3759, ibid., n. 25; 9 luglio 1973, n. 1971, id., 1973,1, 3004, con nota di C.M. Barone.

L'odierna pronuncia, peraltro, si spinge più in là, riecheggiando l'in dicazione di un più ristretto manipolo di precedenti: il principio affer mato è quello secondo il quale un bene ricostituito al posto di uno di strutto è ontologicamente distinto da quest'ultimo ed è pertanto oggetto di situazioni possessorie diverse, sì che il possessore della res perita (il

quale, dopo la ricostituzione del bene, ritenendosi spogliato agisca con

azione di reintegrazione) è tenuto a provare di aver esercitato realmente il proprio potere di fatto anche sull'entità materiale sorta in seguito alla

ricostruzione, a nulla rilevando la prova dell'esistenza di un possesso sulla cosa estinta. V., al riguardo, Cass. 28 febbraio 1985, n. 1745, cit.; 9 febbraio 1982, n. 776, cit.; 29 maggio 1978, n. 2701, cit.

Il Foro Italiano — 2001.

Va accolta, invece, l'altra doglianza del ricorrente, relativa

alla ritenuta mancanza di deduzioni, da parte sua, dell'esercizio

della servitù di passaggio in questione, anche dopo la ricostru

zione dell'edificio. Sul punto, il giudice di secondo grado è effettivamente incor

so nel vizio di motivazione denunciato dal De Carlo, poiché ha escluso senz'altro che una tale deduzione fosse stata formulata, omettendo ogni riferimento agli atti di causa, e in particolare alla citazione in appello, nella quale erano contenute afferma

zioni e articolazioni di prove, che secondo il ricorrente prospet tavano l'assunto che egli avesse utilizzato l'intero spazio del

pianerottolo per accedere al suo locale, da quando l'edificio era stato ricostruito nel 1985-1986 e fino al momento in cui Rosaria

Gentilesca, nel settembre 1989, vi aveva collocato una ringhiera in posizione diversa da quella in cui si trovava nel fabbricato

precedente. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione,

con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio

della causa ad altro giudice (che deve essere designato in una

corte d'appello: Cass. 28 settembre 2000, n. 1044/SU, id., 2000,

I, 3462).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 mar

zo 2001, n. 3670; Pres. Reale, Est. Losavio, P.M. Maccaro

ne (conci, conf.); Giorgetti (Avv. Bresci) c. Fall. Drovandi.

Conferma Trib. Pistoia 24 novembre 1998.

Concordato preventivo — Concordato per cessione dei beni

o misto — Risoluzione — Mancanza di inadempimento —

Garanzie prestate da terzi — Successivo fallimento —

Sorte delle garanzie — Persistenza nei limiti della percen tuale concordataria (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 137, 138, 140, 160, 186).

A seguito della risoluzione del concordato preventivo per cessio

honorum assistito dalla garanzia fornita da un terzo mediante

rilascio di mandato irrevocabile a vendere un cespite a favore dei creditori, a prescindere dalla sussistenza di un formale

inadempimento, la garanzia è dovuta anche nel successivo

fallimento, nei limiti della percentuale concordataria. (1)

(1) Cass., sez. un., 18 febbraio 1997, n. 1482, Foro it., 1997, I, 727, con nota di richiami, risolvendo un ventennale conflitto giurispruden ziale ha preso posizione sulla questione, dibattuta anche in dottrina, della sorte delle garanzie prestate per l'adempimento del concordato

preventivo nell'ipotesi di risoluzione e successiva dichiarazione di fal

limento, pervenendo alla conclusione della permanenza delle garanzie anche nel successivo fallimento.

Tale opzione è stata solo in parte recepita favorevolmente dalla lette ratura e comunque con alcune prese di distanza in punto motivazione.

Infatti, Panzani, Risoluzione del concordato e sorte delle garanzie pre state per l'esecuzione, in Fallimento, 1997, 727, e Sesta, La sorte delle

garanzie concordatarie in caso di risoluzione o annullamento del con cordato preventivo, in Corriere giur., 1997, 780, pur dando atto del

l'importanza della conservazione della garanzia, hanno criticato la

qualificazione della garanzia concordataria come negozio causalmente diverso dalla fideiussione. Invece un aperto dissenso sulla soluzione adottata è stato manifestato da Giacalone, Efficacia delle garanzie in caso di risoluzione del concordato preventivo. Ogni promessa è debi

to?, in Giust. civ., 1997,1, 901. La decisione in rassegna non affronta i temi di carattere generale a

suo tempo discussi nella pronuncia resa a sezioni unite, ma dichiarando

di prestarvi adesione si preoccupa di descriverne il campo di applica zione, estendendo il principio della conservazione delle garanzie anche al concordato preventivo per cessione dei beni (ipotesi esclusa da Pan

zani, Risoluzione deI concordato e sorte delle garanzie prestate per l'esecuzione, cit., 725), quanto meno nel caso in cui sia formulato con

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