sezione II civile; sentenza 21 agosto 1996, n. 7704; Pres. Di Ciò, Est. Spagna Musso, P.M. Fedeli(concl. conf.); Soc. Nuovo Lido El. Fra (Avv. E. Romanelli, Papone) c. Benone (Avv. Contaldi,Marinelli). Cassa App. Genova 28 aprile 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1911/1912-1915/1916Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192040 .
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PARTE PRIMA 1912
persone in istato di indigenza o per stipendi, salari e simili asse
gni corrisposti da privati.
Infine, è da rilevare che, con effetto dalla data di entrata
in vigore della 1. reg. Friuli Venezia Giulia 13 settembre 1995
n. 38, la materia dell'assegno vitalizio ai consiglieri cessati dalla
carica è stata sottratta alla sopra riferita fonte regolamentare ed affidata alla disciplina della legge stessa (v., in particolare l'art. 7), la quale, tuttavia, non contiene alcuna disposizione limitativa della pignorabilità, coerentemente con i principi co
stituzionai che impongono alla potestà normativa regionale il
limite del diritto privato, vale a dire di quel settore dell'ordina
mento nel quale si colloca la disciplina della responsabilità pa trimoniale del debitore delineata dall'art. 2704 c.c. e dalle rela
tive eccezioni.
La sentenza impugnata, non risultando conforme a questi prin
cipi, deve essere, in applicazione dei medesimi, cassata; e, poi ché v'è necessità di ulteriori accertamenti di fatto al fine della
decisione relativa all'opposizione all'esecuzione, proposta sul
l'assunto dell'impignorabilità dell'assegno vitalizio de quo, sus
sistono le condizioni di cui all'art. 384 c.p.c. nel testo novellato
dall'art. 66 1. 26 novembre 1990 n. 353, perché questa corte
provveda nel merito, dichiarando l'infondatezza dell'opposizio ne medesima.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 21 ago sto 1996, n. 7704; Pres. Di Ciò, Est. Spagna Musso, P.M.
Fedeli (conci, conf.); Soc. Nuovo Lido El. Fra (Avv. E. Ro
manelli, Papone) c. Benone (Avv. Contaldi, Marinelli). Cassa App. Genova 28 aprile 1994.
Procedimento civile — Società — Fusione per incorporazione — Società incorporata — Estinzione — Interruzione del pro cesso (Cod. civ., art. 2501; cod. proc. civ., art. 300).
Procedimento civile — Estinzione della parte nel corso del giu dizio di primo grado — Mancata dichiarazione o notificazio
ne dell'evento — Impugnazione del procuratore della parte estinta — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 300).
La fusione di società per incorporazione, dichiarata dal difen sore in udienza, provoca l'interruzione del processo, di cui
la società sia parte. (1) Se il difensore della società incorporata nel corso del giudizio
di primo grado, prima della chiusura della discussione, omet
te di dichiarare in udienza o notificare alle altre parti l'avve
nuta estinzione della società, la posizione giuridica di questa resta stabilizzata nei confronti delle altre parti e del giudice, con correlativa ultrattività della procura alle liti anche nei suc
cessivi gradi del giudizio. (2)
(1-2) Nel caso presente, il procuratore di una società fusa per incor
porazione in altra società nel corso del giudizio di primo grado da lei stessa instaurato, propone appello in nome della società incorporata e, solo all'udienza di discussione del giudizio di appello, provvede alla dichiarazione dell'avvenuta fusione.
La Suprema corte, adita dalla società incorporante, cassa «senza rin vio» (sic) la sentenza d'appello in quanto nulla rimettendo gli atti allo stesso giudice che l'aveva pronunciata, per aver negato l'interruzione del processo in violazione dell'art. 300 c.p.c.
Le questioni affrontate sono quindi due: la natura della fusione di società e l'ultrattività del mandato alle liti oltre il grado di giudizio in cui si è verificato l'evento della morte, estinzione o sopravvenuta incapacità della parte costituita.
1) Per quanto riguarda la nozione di fusione di società per incorpo razione, la Suprema corte conferma l'orientamento prevalente, secondo cui la fusione dà luogo all'estinzione della società incorporata e alla successione universale della società incorporante in tutte le situazioni
giuridiche facenti capo alla prima. In questo senso, vedi, da ultimo, Cass. 27 gennaio 1994, n. 833, Foro
Il Foro Italiano — 1997.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 9 ottobre 1985 al commercialista dr. Albero Benone, la Nuo
va Lido di Genova s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore — premesso di non aver affidato al Benone alcun
incarico professionale ed ammettendo aver quello solamente pre stato la sua opera nell'interesse della società quale presidente della Associazione Bagni Marini — conveniva in giudizio din
nanzi al Tribunale di Genova il professionista perché si accer
tasse l'inesistenza del credito di lire 51.000.000, oltre Iva, del
quale il commercialista aveva preteso il pagamento con la par cella n. 11/85 pur contenente una indicazione generica delle as
sunte prestazioni. Emessa dal convenuto una nuova parcella sotto forma di
«preavviso», «tarata» dal consiglio dell'ordine dei commerciali
it., 1994, I, 3485, e 1995, I, 936, citata in motivazione con particolare riferimento alla questione dell'ultrattività del mandato ad litem.
Come viene osservato nell'ampia nota a Cass. 833/94, cui si rinvia
per i richiami di giurisprudenza e dottrina, l'orientamento della Cassa zione si contrappone ad una tesi minoritaria, sostenuta in particolare dalla dottrina più recente, secondo cui la fusione non comporta l'estin zione delle società fuse, ma solo una modificazione degli atti costitutivi di tutte le società interessate.
2) In ordine all'ultrattività della procura alle liti, la Suprema corte
respinge l'eccezione di inammisibilità dell'appello proposto dal procu ratore della parte estinta, e ciò in quanto lo stesso procuratore ha co municato l'avvenuta estinzione solo all'udienza di discussione del giudi zio di appello, malgrado l'evento si fosse già verificato nel corso del
giudizio di primo grado. Secondo la corte, infatti, il principio dell'ultrattività del mandato ad
litem, pur rappresentando una deroga alla regola generale dell'estinzio ne del mandato per morte o incapacità sopravvenuta del mandante ai sensi dell'art. 1722, n. 4, c.c., trova la propria ragion d'essere nell'art.
300, 1°, 2° e 4° comma, c.p.c., secondo cui solo la dichiarazione o la notificazione dell'evento da parte del procuratore della parte decedu
ta, estinta o divenuta incapace tra la costituzione e la conclusione della discussione del giudizio, provoca l'interruzione del processo, che altri menti continua nei confronti della stessa parte come se fosse tuttora esistente o capace.
Sulla base della disciplina dettata dall'art. 300 c.p.c., la corte, quin di, ritiene che il principio dell'ultrattività del mandato ad litem vada
applicato anche ai gradi di giudizio ulteriori rispetto a quello nel quale si è verificato il decesso, l'estinzione o la perdita della capacità della
parte conferente, abbracciando così la tesi accolta da sez. un. 21 feb braio 1984, nn. 1228 e 1229, id., 1984, I, 664, citate in motivazione.
Nello stesso senso vedi, da ultimo: Cass. 28 aprile 1995, n. 4721, id., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. 85; 20 dicembre 1994, n.
10965, ibid., n. Ili; 7 luglio 1995, n. 7495, ibid., voce Procedimento
civile, n. 301; 24 gennaio 1995, n. 791, ibid., n. 302; 2 dicembre 1994, n. 10350, ibid., n. 303; 13 aprile 1994, n. 3427, id., Rep. 1994, voce
Notificazione civile, n. 31. Per la giurisprudenza più risalente si rinvia a Pietrosanti, Impugna
zione a nome del successore con procura del «de cuius», nota a Cass. 27 gennaio 1994, n. 833, id., 1995, I, 936, spec. 937, par. 2.
Cass. 833/94 è citata nella stessa motivazione della sentenza in epi grafe, in quanto addotta dal ricorrente come argomento a sostegno del la tesi dell'inammissibilità dell'appello, ma, come osserva la corte, non
può avere diretta rilevanza per il caso di specie, a parte l'aspetto relati vo alla natura della fusione per incorporazione di cui si è già trattato. Tale pronuncia, infatti, considera il caso dell'impugnazione proposta a nome della società incorporante da parte del procuratore della società
incorporata e ne dichiara l'inammissibilità per estinzione del mandato alle liti conferito da un soggetto diverso.
Nella nostra fattispecie, invece, l'impugnazione è ammissibile perché proposta a nome della stessa società incorporata che era ancora da con siderarsi esistente nei confronti delle altre parti e del giudice, per omes sa comunicazione dell'evento da parte del suo procuratore.
Lo stesso Pietrosanti, nella nota cit., osserva che il procuratore avrebbe
potuto evitare l'estinzione del mandato ad litem impugnando la decisio ne sfavorevole in nome della società estinta di cui non aveva ancora dichiarato né notificato l'estinzione, come è avvenuto nel nostro caso. E ciò sulla base dell'orientamento prevalente della Cassazione successi vo a sez. un. 21 febbraio 1984, nn. 1228 e 1229, cit., che hanno rappre sentato una notevole innovazione.
L'autore, però, dà atto che vi sono ancora alcune pronunce di legitti mità in senso opposto, tra cui va considerata anche Cass. 21 dicembre
1995, n. 13041, id., Rep. 1995, voce Appello civile, n. 121. L'odierna sentenza fonda la decisione relativa alla questione dell'ul
trattività del mandato ad litem sulla diversità di disciplina a seconda del momento in cui si è verificato il decesso, l'estinzione o la perdita di capacità della parte costituita tramite procuratore.
In particolare specifica quanto segue. a) Se gli eventi di cui all'art. 299 c.p.c. si sono verificati nella fase
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sti il 14 novembre 1985 in lire 52.565.700, la società con atto
di citazione notificato il 13 gennaio 1986 riproponeva la stessa
domanda.
Il Benone, costituitosi, resisteva alle domande sollecitandone
il rigetto chiedendo, inoltre in via riconvenzionale la condanna
della società al pagamento della somma indicata nella parcella «tarata» del 14 novembre 1985.
Riunite le cause, il Benone sollecitava l'interrogatorio forma
le del legale rappresentante della società, che veniva espletato,
e, escussa prova per testi, chiedeva che fosse ordinato alla capi taneria del porto di Genova di esibire il fascicolo relativo alla
definizione di pratiche da lui curate e di fornire informazioni
sulle medesime.
Rimessa la causa al collegio, questo con ordinanza dell'11
gennaio 1989 deferiva al Benone giuramento suppletorio, poi
prestato all'udienza del 7 marzo 1989.
Nelle nuove conclusioni la società chiedeva la revoca dell'or
dinanza ammissiva del giuramento suppletorio e l'accoglimento delle istanze di esibizione di documenti e di richiesta di infor mazioni.
Con sentenza del 21 febbraio 1990 il tribunale rigettate le
domande della Nuovo Lido e in parziale accoglimento della ri
convenzionale del Benone, condannava la società al pagamento in favore del professionista della somma di lire 41.427.014, con
gli interessi legali dal novembre 1985 al saldo, oltre il maggior danno da svalutazione monetaria (art. 1224, cpv., c.c.), nella
misura di un tasso annuo del 5,5% per il 1985 e del 3,5% per il 1986, nonché delle spese processuali.
Avverso la sentenza proponevano appello, principale, la so
cietà e, incidentale, il Benone censurando la decisione sotto vari
profili. Rimessa la causa al collegio, con la comparsa conclusionale
il Benone, assumendo che la Nuovo Lido di Genova s.p.a. si
era trasformata in s.r.l. e poi nell'agosto 1988 era stata incor
porata nella El.Fra s.r.l. la quale con atto del notar Verde di
Genova del 7 dicembre 1988 aveva cambiato la sua denomina
zione in Nuovo Lido El.Fra s.r.l., chiedeva che si desse atto
della nuova denominazione giuridica della società, appellante
principale. All'udienza di discussione del 25 novembre 1993 il procurato
re della società chiedeva dichiararsi l'interruzione del processo «attesa l'estinzione della persona giuridica parte in causa», e, essendosi opposto il procuratore del Banone, la causa veniva
assegnata a decisione.
Con sentenza del 28 aprile 1994 la Corte d'appello di Geno
va, rigettati entrambi i gravami, confermava la decisione impu
gnata condannando la Nuovo Lido di Genova s.p.a. alla rifu
sione delle ulteriori spese processuali in favore del Benone.
attiva del processo, cioè dalla costituzione alla conclusione della discus
sione, nel corso del giudizio di merito di primo e secondo grado, si
applica l'art. 300, 1°, 2° e 4° comma, c.p.c., secondo cui l'evento ac
quista rilevanza nel processo solo se dichiarato o notificato dal procu ratore della parte defunta, estinta o divenuta incapace. In mancanza di tale comunicazione la posizione della stessa parte nel processo si sta bilizza come se fosse tuttora esistente o capace, e il procuratore conti nua ad essere fornito di legittimazione anche nei successivi gradi di
giudizio. b) Se i medesimi eventi si verificano dopo la chiusura della discussio
ne, ma prima della pubblicazione della sentenza, l'effetto interruttivo è espressamente escluso dall'art. 300, 5° comma, c.p.c., perché la posi zione delle parti è stabilizzata al momento della chiusura della discussione.
c) Se, invece, gli eventi indicati si verificano nel «periodo di quie scenza» del rapporto processuale tra un grado e l'altro del giudizio, l'art. 328 c.p.c. sancisce l'interruzione del termine breve di impugnazio ne o la proroga di sei mesi del termine annuale.
Ma alle tre ipotesi analizzate dalla sentenza in epigrafe se ne deve
aggiungere una quarta. d) Se l'evento morte, estinzione o perdita di capacità della parte co
stituita tramite procuratore, si verifica dopo la chiusura della discussio
ne, ma prima della notificazione della sentenza, l'art. 286 c.p.c. per mette alla parte vittoriosa di provvedere alla notificazione, alternativa
mente, o al procuratore della parte defunta, estinta o diventa incapace, o agli eredi del defunto o al rappresentante legale dell'incapace.
Per un'attenta disamina delle diverse discipline qui brevemente espo
ste, vedi Proso Pisani, nota a Cass. 21 febbraio 1984, nn. 1230, 1229
e 1228, id., 1984,1, 664, e, più recentemente, Giovannoni, nota a Cass.
21 giugno 1995, n. 7023, id., 1996, I, 639.
Il Foro Italiano — 1997.
Osservavano quei giudici, per quel che in questa sede interes
sa, che non avrebbe potuto interrompersi il processo a seguito della incorporazione della Nuovo Lido di Genova s.r.l. già s.p.a., nella El.Fra s.r.l., poi Nuovo Lido El.Fra. s.r.l. dovendosi con
siderare la non estinzione della Nuovo Lido Genova s.p.a., at
trice ed appellante principale, in ragione del permanere della
controversia giudiziale su di un suo debito.
Avverso la sentenza, con l'esposizione di cinque motivi di
gravame, ricorre per cassazione la Nuovo Lido El.Fra s.r.l.,
quale incorporante della Nuovo Lido di Genova s.p.a., in per sona del legale rappresentate pro tempore, resistita da controri
corso del Benone. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione. — Esaminando le singole censure espo ste nel mezzo di gravame, con il primo motivo di doglianza la società ricorrente, in relazione al n. 4 dell'art. 360 c.p.c., denunzia la nullità della sentenza impugnata conseguente alla
violazione degli art. 2504 ss. c.c., 300, 304 e 298 c.p.c. A seguito della estinzione per fusione mediante incorporazio
ne — avvenuta nell'estate del 1988, nelle more del giudizio di
primo grado — nella El.Fra s.r.l., poi denominata Nuovo Lido
El.Fra s.r.l., dell'appellante principale Nuovo Lido di Genova
s.p.a. e della dichiarazione dell'evento fatta dal procuratore al
l'udienza di discussione del 25 novembre 1993, la corte territo
riale avrebbe dovuto prendere atto della vicenda estintiva della
persona giuridica e dichiarare, conseguentemente, l'interruzione
del processo. Non sarebbe assolutamente condivisibile, pertanto, il diniego
dell'evenienza interruttiva del processo perché fondato su di
un'assunta sopravivenza della società incorporata in ragione della
permanenza della controversia giudiziale concernente un rap
porto obbligatorio nel quale, secondo la prospettazione, quella sarebbe il termine soggettivo passivo.
La prosecuzione del giudizio, in violazione del chiaro dispo sto del cpv. dell'art. 300 c.p.c. avrebbe così dato causa alla
nullità degli atti processuali successivi alla dichiarazione del pro curatore della società estinta e, quindi, della sentenza conclusi
va di quel giudizio (art. 304, 298 c.p.c.). Le censure sono fondate. La fusione di società per incorpora
zione (art. 2501 ss. c.c.), determina automaticamente, sul piano del diritto sostanziale, l'estinzione della società assoggettata alla
fusione ed il subingresso, nei rapporti ad essa relativi, per suc
cessione a titolo universale, della società incorporante (art. 2904 bis c.c.). Questa, peraltro, ben può proseguire il giudizio di cui era parte la società estinta, ai sensi dell'art. 110 c.p.c. costituendosi nel giudizio anche di gravame con esclusione, per
tanto, di qualsiasi incidenza della incorporazione sulla validità
di quello (in proposito anche Cass. 3 luglio 1981, n. 4331, Foro
it., Rep. 1981, voce Procedimento civile, n. 88; 18 giugno 1992, n. 7484, id., Rep. 1992, voce Società, n. 773).
Ne consegue immediatamente il primo errore della corte di
merito che, nel negare l'interruzione del processo, ha affermato
l'esistenza ulteriore della società, appellante principale, incor
porata in ragione della permanenza della controversia su di un
rapporto obbligatorio. Il fenomeno estintivo in esame va, agli effetti processuali,
assimilato alla morte della persona fisica e, pertanto, produce l'interruzione del processo nel quale sia parte la società estinta
quando, essendo questa costituita con il ministero di un procu
ratore, questi dell'evento verificatosi nella fase attiva del rap
porto processuale ne abbia fatto dichiarazione in udienza o no
tificazione alle altri parti, fino alla chiusura della discussione
(art. 300, 2° ed ultimo comma c.p.c.).
Conseguenza immediata del primo errore è la negazione del
l'effetto interruttivo del processo dell'evento estintivo, verifica
tosi nelle more del primo grado del giudizio, e della dichiarazio
ne fattane dal procuratore all'udienza di discussione.
Inutilmente il controricorrente Benone oppone, quale questione rilevabile ex officio iudicis, il passaggio in re iudicata della sen tenza del tribunale in conseguenza dell'inammissibilità dell'ap
pello proposto dal procuratore della Nuovo Lido Genova s.p.à. in virtù di una procura ad litem conferitagli nel gennaio 1987
da quella, poi estinta per fusione mediante incorporazione, av
venuta nelle more del giudizio di primo grado, nella El.Fra s.r.l.
poi Nuovo Lido El.Fra s.r.l.
L'utrattività del mandato — sostiene il Benone — e la so
pravvivenza della procura ad litem, oltre la morte, l'estinzione
della persona, fisica o giuridica, o l'incapacità sopravvenuta del
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1915 PARTE PRIMA 1916
conferente, costituirebbero deroghe alle regole generali sommi
nistrate dagli art. 1722, n. 4, c.c. e 83, 84 c.p.c. e che per il
loro carattere eccezionale dovrebbero essere rigorosamente man
tenute nell'ambito delle norme che le consentono, art. 1728 c.c.
e 300 c.p.c. Ne conseguirebbe una loro operatività nell'ambito del grado
del processo in cui si siano verificati il decesso o l'estinzione
o la perdita della capacità del conferente: limite costituito dalla
pronunzia della sentenza conclusiva del grado di giudizio, oltre
il quale riprenderebbe vigore il principio generale secondo il quale il mandato si estingue con la morte o la perdita della capacità del mandante.
Il procuratore, pertanto, sarebbe privo del potere di compiere
qualsiasi atto processuale ulteriore — nella specie quello di im
pugnazione — attinente alla controversia per la quale gli era
stato conferito l'incarico, avvalendosi di una procura ad litem
estinta.
La corte, pur riconoscendo essere stata questa prospettazione aderita in alcune sue decisioni (in proposito Cass. 15 giugno
1977, n. 2495, id., 1977, I, 2187; 14 dicembre 1979, n. 6522,
id., 1980, I, 317) ne dissente ritenendo doversi adeguare alla
pronunzia delle sezioni unite (sez. un. 1228 del 21 febbraio 1984,
id., 1984,1, 664) per una sua compiuta disamina delle discipline
discriminate in ragione del momento processuale in cui si siano
verificati gli eventi morte, estinzione o perdita della capacità di stare in giudizio della parte.
L'incidenza di questi eventi, indicati dall'art. 299 c.p.c. che
riguardino — come nella specie — una parte costituita a mezzo
del procuratore nella fase attiva (dalla costituzione alla conclu
sione della discussione) del giudizio di merito, di primo grado o di impugnazione, è esaustivamente regolata dall'art. 300, 1°,
2° e 4° comma, c.p.c.
Dopo la costituzione delle parti e fino alla conclusione della
discussione, il processo si interrompe solo dal momento in cui
il procuratore della parte deceduta, estinta o divenuta incapace, abbia dichiarato l'evento in udienza o Io abbia notificato alle
altre parti. L'effetto interruttivo del processo trova quindi la sua causa
secondo la disciplina dell'art. 300 c.p.c. in una fattispecie com
plessa costituita dagli eventi morte, estinzione o perdita della
capacità di stare in giudizio della parte e dalla sua comunicazio
ne (dichiarazione in udienza o notificazione) fatta dal procu ratore.
Dichiarazione o notificazione che solamente questo, non il
successore a titolo universale né il rappresentante legale, può discrezionalmente non fare o fare nel momento — cadente nel
primo grado del giudizio o in quello di impugnazione e non
oltre la conclusione della discussione — che ritiene più opportu no al fine di provocare, sul presupposto della esistenza dell'e
vento, l'interruzione del processo.
Onde, l'esteriorizzazione di una determinazione volitiva fina
lizzata alla produzione dell'effetto interruttivo si configura co
me negozio processuale del procuratore legittimato dal potere
rappresentativo conferitogli dalla procura ad litem.
Proseguendo l'iter processuale anche nell'ulteriore grado, co
me se la parte deceduta, estinta o divenuta incapace fosse viva, esistente e capace fino all'eventuale comunicazione del procura
tore, si configura così l'ultrattività della procura ad litem nono
stante il verificarsi di un evento che in virtù del n. 4 dell'art.
1722 c.c. ne avrebbe provocato l'estinzione.
Nella fase processuale compresa fra la chiusura della discus
sione e la pubblicazione della sentenza, il verificarsi di quegli
eventi, pur se comunicati dal procuratore, non produce l'effetto
interruttivo (art. 300, 4° comma, ultimo inciso, c.p.c.) perché la situazione delle parti è «cristallizzata» al momento iniziale
di tal fase ed a questo si riferisce la sentenza.
Nel c.d. «periodo di quiescenza» del rapporto processuale, rinvenibile tra un grado e l'altro eventuale del giudizio, l'inci
denza degli eventi indicati che in quella si verifichino è regolata dall'art. 328 c.p.c. con l'immediatezza dell'effetto interruttivo
del termine di impugnazione o la proroga dello stesso: così con
figurandosi quelli come unici elementi genetici.
Emerge così una diversità di normative a seconda del mo
mento del rapporto processuale nel quale si verifichino la mor
ii. Foro Italiano — 1997.
te, l'estinzione o la perdita della capacità della parte; una diffe
renziazione che esclude la loro sovrapponibilità nel senso che
ogni disciplina trova applicazione in ragione del momento della
verificazione di quegli eventi e, prodottosi il relativo effetto,
questo permane nel successivo svolgimento del rapporto senza
che possano aver incidenza le altre disposizioni che regolano
gli effetti dei medesimi eventi quando questi cadano in altri e
successivi momenti del rapporto medesimo.
Ne consegue immediatamente che verificatesi la morte, l'e
stinzione o la perdita della capacità di stare in giudizio di una
delle parti nella fase attiva del rapporto processuale, nel perio do compreso fra la costituzione e la conclusione della discussio
ne, l'unica disciplina applicabile è quella dettata dall'art. 300
c.p.c. e, ulteriormente, che, a seconda che sia integrata o non
la fattispecie complessa evento-dichiarazione, l'effetto produci
bile, prosecuzione o interruzione del processo, permane in tutto
l'ulteriore svolgersi del rapporto. Una sua modificazione è possibile solamente in base dell'uni
ca disciplina applicabile rinvenuta nell'art. 300 c.p.c. Deve così concludersi che, omessa — come nella specie —
dal procuratore, l'unico legittimato ad effettuarla, la dichiara
zione o la notificazione di alcuno di quegli eventi riguardanti una delle parti verificatosi nella fase attiva del primo grado del
giudizio, questo prosegue ulteriormente nella fase di quiescenza e nell'ulteriore fase attiva a seguito dell'impugnazione come se
la parte rappresentata fosse viva, esistente o capace.
Questa posizione stabilizzata si modificherà, divenendo effi
cace la morte, l'estinzione o la perdita di capacità, se nella fase
di impugnazione si costituiranno il successore a titolo universale
o il rappresentante legale oppure, come nel caso che occupa la corte, il procuratore dichiarerà in udienza o notificherà alle
altre parti l'evento verificatosi.
Queste considerazioni negano validità anche alla tesi subordi
nata del controricorrente secondo la quale sarebbero nulli tutti
gli atti successivi, impugnazione e la sentenza di appello, all'ef
fetto interruttivo immediato conseguente all'estinzione della so
cietà incorporata prima della sua «costituzione» nel giudizio di
impugnazione, art. 299 c.p.c.
Inutilmente, poi, il Benone indica a sostegno dell'assunto del
la non ultrattività della procura ad litem rispetto al grado del
giudizio nel quale l'evento sia caduto, la sentenza di questa cor
te del 27 gennaio 1994, n. 833 (id., 1994, I, 3485) quale segno
tangibile di un cambiamento radicale di indirizzo giurispru denziale.
Oggetto di quella decisione è la diversa, ed estranea, ipotesi
dell'impugnazione proposta per la società incorporante dal pro curatore che si sia avvalso della procura a suo tempo conferita
gli dalla società incorporata, estinta.
Nel caso posto all'esame della corte, dalla estinzione a segui to della incorporazione della Nuovo Lido Genova nella El.Fra
s.r.l. avvenuta nelle more del primo grado del giudizio e della
dichiarazione dell'evento estintivo fatta dal procuratore di quel la società all'udienza di discussione nel grado di appello è con
seguito l'effetto interruttivo del processo. Avendolo quel giudice negato proseguendo nel giudizio, la
sentenza conclusiva in quanto nulla va cassata senza rinvio (art.
382, 3° comma, ultima ipotesi, c.p.c.) con rimessione degli atti
allo stesso giudice che l'ha pronunziata ed al quale la corte ri
mette la liquidazione del giudizio di legittimità (art. 385, cpv., c.p.c.).
Alla pronunzia consegue l'assorbimento degli altri motivi di
gravame con i quali la società ricorrente denunzia i vizi: di vio
lazione degli art. 2736, cpv., 2739 c.c. sulla ritenuta ammissibi
lità del giuramento suppletorio, senza la preventiva disamina
di quella dei mezzi di prova richiesti, e pur concernente l'esi
stenza di un rapporto giuridico; di violazione dell'art. 19 d.p.r. 22 ottobre 1973 n. 696 in punto di diniego della nullità della
«parcella» per generica indicazione del valore delle «pratiche»; di ultrapetizione, art. 112 c.p.c., in punto di riduzione di un
credito preteso nella sua interezza; di violazione del cpv. del
l'art. 1224 c.c. e di insufficiente motivazione ove si era confer
mata la condanna al risarcimento del maggior danno da svalu
tazione monetaria senza che del pregiudizio fosse acquisita l'esi
stenza.
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