Sezione II civile; sentenza 21 marzo 1960, n. 580; Pres. Varallo P., Est. Gentile, P. M. Maccarone(concl. conf.); Petrelli (Avv. Franco) c. Grassi (Avv. Trotta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 4 (1960), pp. 567/568-569/570Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151304 .
Accessed: 28/06/2014 12:56
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.220 on Sat, 28 Jun 2014 12:56:16 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
567 PARTE PRIMA 568
gomenti che, in linea teorica, militano a favore di quest'ul tima tesi, deve però ritenersi che, sulla base del nostro di
ritto positivo, abbia maggior fondamento quella che rav
visa nella vendita di cosa futura un contratto perfetto come vendita obbligatoria.
Se è vero, infatti, che al momento della conclusione del
contratto, la cosa non esiste, la vendita ha però egualmente un oggetto, in quanto il codice all'art. 1348, posto appunto sotto la sezione relativa all'oggetto del contratto, stabilisce
che « anche la prestazione di cosa futura può essere dedotta
in contratto ». Inoltre, nella Relazione del Guardasigilli
(n. 688) la vendita di cosa futura è chiaramente considerata
come una vendita obbligatoria, quando si accenna al suo
contenuto obbligatorio, e la si equipara alla vendita di cosa
altrui, alla vendita con riserva di proprietà ed a quella alter
nativa o di specie. Non è esatto, pertanto, che, come è detto nella impugnata
sentenza, la vendita di cosa futura sia priva di oggetto, finché la cosa non venga ad esistenza e che nel frattempo,
per la mancanza di uno degli elementi essenziali, essa sia
inidonea a produrre effetti obbligatori negoziali e produca invece effetti meramente preparatori o precontrattuali.
Esistono, invece, tutti gli elementi essenziali del con
tratto : i soggetti, la causa venditionis e l'oggetto, che, come
si è visto, è costituito dalla res sperata o in fieri. Il contratto
nasce quindi perfetto ab initio e produce perciò effetti ob
bligatori contrattuali. Tra questi può sorgere, per apposito
patto contrattuale, come nella specie, quello a carico del
venditore di tenere un determinato comportamento neces
sario perchè la cosa venga ad esistenza, e cioè di svolgere una
specifica attività per concorrere alla produzione della cosa.
Tale obbligazione è intimamente collegata con rapporto di causa ad effetto con quelle fondamentali del venditore
medesimo di procurare l'acquisto della cosa e di consegnare la stessa, onde il colposo inadempimento della prima non
può non essere considerato anche colposo inadempimento delle seconde e dar luogo quindi al risarcimento integrale del danno.
In contrario non ha rilievo il fatto che il codice stabili sca al 2° comma dell'art. 1472 che « se la cosa non viene ad
esistenza, il contratto è nullo ».
Invero, non si tratta certamente di una nullità in senso
proprio, perchè tale è soltanto quella dovuta ad una causa
originaria e non quella conseguente, come nella specie, ad una causa sopravvenuta. La nullità qui prevista attiene alla
ipotesi normale in cui la cosa non venga ad esistenza per causa non imputabile al venditore, in quanto, in tal caso,
poiché questi ha compiuto quanto dovuto per la produzione della cosa, ovvero poiché non era prevista al riguardo alcuna sua attività (ad es. vendita dei prodotti, spettanti al
venditore, di un'impresa agricola o industriale da lui non
esercitata) caduta la possibilità del verificarsi dell'effetto reale del trasferimento della proprietà, nulla resta del con tratto ed esso si considera come non mai concluso ed ine
sistente, onde appare, in certo senso, giustificato il termine « nullità », adoperato dalla norma in questione.
Nell'ipotesi, invece, in cui la cosa non venga ad esi stenza per causa imputabile al venditore, per aver, cioè, costui omesso di svolgere l'attività prevista per la produ zione della cosa, il contratto non può considerarsi inesi stente o nullo, perchè, se l'effetto reale non si verifica, quello obbligatorio relativo al comportamento dovuto dal vendi tore si è già verificato sin dal sorgere del contratto, e l'inter venuto inadempimento viene necessariamente a caratteriz zare i rapporti fra le parti, sostituendo alla prestazione non più eseguibile, l'obbligo del risarcimento del danno.
Del resto, se anche in tal caso la mancata esistenza della cosa dovesse dar luogo alla nullità del contratto, non è chi non veda l'antigiuridicità di una soluzione che farebbe
dipendere la validità del negozio dalla incontrollata volontà di una delle parti. Il che sarebbe in contrasto con il princi pio generale che la esistenza di una obbligazione o la dispo sizione di un diritto non possono dipendere dall'arbitrio di colui che ha già assunto l'obbligazione, od ha già disposto del diritto nei confronti dell'altro contraente.
In sostanza, quando la cosa non viene ad esistenza, la
situazione giuridica si presenta simile a quella della soprav venuta impossibilità della prestazione. Come questa, il
non venir ad esistenza della cosa, se è dovuto a causa non
imputabile al debitore-venditore, costituisce un fatto impe ditivo dell'adempimento, cui consegue l'assenza di respon sabilità dell'obbligato. Il contratto, quindi, non può avere
più alcun effetto e dovrà ripristinarsi la situazione ante
riore, per cui il venditore sarà liberato e non potrà a sua
volta chiedere il prezzo, ma dovrà anzi restituire quanto ha ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione di
indebito. Se, invece, il non venir ad esistenza della cosa è
dovuto ad un fatto imputabile al venditore, per non aver
osservato quel comportamento previsto per la produzione della cosa, ciò importerà l'obbligo di risarcire il danno.
E tale risarcimento non potrà essere limitato al solo inte
resse negativo, perchè il contratto si è già perfezionato e
la mancata osservanza di quel comportamento ha causato
il non venir ad esistenza della cosa e conseguentemente
l'inadempimento del venditore alle obbligazioni fondamen
tali della vendita, strettamente, come si è visto, collegata, in rapporto di necessarietà con l'obbligazione di concor
rere alla produzione della cosa.
Il risarcimento, pertanto, deve essere integrale e com
prendere, non solo le spese e le perdite strettamente dipen denti dal contratto, ma anche il lucro che il compratore avrebbe realizzato dal contratto medesimo.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 21 marzo 1960, n. 580 ; Pres.
Varallo P., Est. Gentile, P. M. Maccarone (conci,
conf.) ; Petrelli (Avv. Franco) c. Grassi (Avv. Trotta).
(Cassa App. Roma 27 luglio 1958)
Testamento ■— Testamento olografo — Sottoseri
zionc precedente le disposizioni — Invalidila
(Cod. civ., art. 602, 606). Successione -— Istituzione parziale di erede legit
timo — Concorso di successione legittima e testa
mentaria — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. civ. del 1865, art. 720 ; cod. civ., art. 457).
Il testamento olografo è invalido se la firma del defunto precede le sue disposizioni. (1)
Salvo una diversa volontà del testatore, l'istituzione parziale di uno dei successibili per legge (nella specie, l'istituzione
di un figlio nel terzo dell'asse) non impedisce all'erede testamentario il diritto di concorrere alla successione
legittima per la parte intestata. (2)
La Corte, ecc. — I due ricorsi, proposti contro la medesima
sentenza, vanno riuniti.
(1) Vedi in conformità Trib. Verona 14 novembre 1951, Foro it., 1952, I, 1023, con nota di richiami ; App. Lecce 17 feb braio 1958, id., Rep. 1958, voce Testamento, n. 36.
Sulla validità dell'atto, firmato in margine all'ultima pagina, qualora non vi sia lo spazio per la firma in calce e la firma sia
legata allo scritto mediante un segno grafico, vedi Cass. 13 ottobre
1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 34 ; App. Firenze 17 luglio 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 46.
Per un caso particolare vedi Cass. 22 febbraio 1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 33.
(2) In questi precisi termini non ci risultano precedenti editi nel vigore del cod. civ. del 1942. Il principio del concorso dell'erede istituito con i successibili ex lege nella parte non disposta dal defunto è stato applicato frequentemente nei riguardi del
coniuge superstite : vedi infatti Cass. 13 aprile 1951, Foro it., 1952, I, 156, con nota di richiami ; App. Lecce 15 aprile 1955, id., Rep. 1955, voce Successione, n. 132 ; Cass. 5 ottobre 1955, ibid., n. 151.
Per qualche riferimento, vedi Cass. 11 agosto 1952, id., 1953, I, 810, con osservazioni di G. Stomi.
This content downloaded from 193.142.30.220 on Sat, 28 Jun 2014 12:56:16 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
569 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il ricorso principale si dirige contro il capo della sentenza denunziata che dichiarò la nullità del testamento olografo di Orlando Grassi.
Deve premettersi che in proposito la sentenza, dopo aver rilevato che il testamento in parola recava una data
impossibile (31 giugno 1951) e che tale anomalia poteva peraltro essere dipesa da un semplice errore materiale, considerò che il testamento stesso era ad ogni modo invalido,
perchè risultava firmato dal testatore non alla fine delle
disposizioni, ma prima di queste, e il foglio su cui esso era stato scritto risultava tagliato nella parte inferiore e nel margine laterale, lasciando incompleta l'espressione grafica della volontà del testatore (il testo che si leggeva nella scheda presentata per la pubblicazione era infatti il seguente : « Io qui sottoscritto Grassi Orlando dichiaro di lasciare tutta la mia proprietà alla mia Petrelli Italia
però senza garanzia di vendere lei può impegnare e spegnare non vero però la signora Italia » e faceva quindi ritenere che il testatore nella parte mancante del foglio avesse
aggiunto altre disposizioni strettamente collegate a quello esistenti nella parte presentata).
Con i due mezzi del proposto ricorso la ricorrente si
duole, rispettivamente :
a) che la sentenza abbia escluso la validità del testa
mento, e negato quindi efficacia alla chiara volontà del
testatore, per un vizio formale trascurabilissimo (esistenza della firma al principio anziché alla fine delle disposizioni) ; di cui la più recente giurisprudenza avrebbe riconosciuto
l'irrilevanza giuridica. (Omissis) Anche il primo mezzo è infondato. La sottoscrizione
del testatore, che, ai sensi del combinato disposto degli art. 602 e 606 cod. civ., costituisce un elemento essenziale
del testamento olografo, deve essere apposta alla fine delle
disposizioni. Così è stabilito espressamente dal 2° comma dell'art. 602, e così, del resto, anche se mancasse la detta
norma, dovrebbe pur sempre ritenersi, non solo in base
al significato letterale della parola « sottoscrizione », ma
anche soprattutto per la funzione giuridica assegnata dal legislatore alla sottoscrizione del testamento olografo, funzione che è quella di una sciente ed in un certo senso
solenne conferma delle disposizioni scritte nella scheda, della loro completezza e della loro provenienza dal sotto
scrittore.
È vero che in alcune sentenze di questa Corte è stata
ritenuta la validità di un testamento olografo, in cui la
sottoscrizione sia posta a margine dell'ultima pagina della
scheda, quando, per essere detta pagina interamente occupata dalle disposizioni di ultima volontà, non esista dopo di queste uno spazio bianco sufficiente a contenere la firma del
testatore. È peraltro ben chiaro che il temperamento al
rigore dei principi, attuato da tali sentenze, trova nella
peculiarità della fattispecie da esse esaminate non solo
la sua giustificazione, ma anche il suo invalicabile limite.
Se la scheda testamentaria non contiene alcuno spazio
per una firma del testatore posta dopo le disposizioni, può anche essere giusto che in tal caso si ritenga valida la firma vergata dal testatore a margine di queste.
Ben diversa è invece l'ipotesi presa in esame dalla
sentenza denunziata, in cui, come la stessa sentenza accertò
in punto di fatto, il testatore avrebbe potuto benissimo
apporre la sua sottoscrizione sulla facciata posteriore del
foglio contenente le disposizioni testamentarie, che era
rimasta completamente bianca.
In una simile ipotesi la firma apposta dal testatore
all'inizio delle disposizioni non può ritenersi valida come
sottoscrizione, non esistendo affatto per il testatore alcuna
impossibilità di apporre la sua firma dopo le disposizioni, come richiesto dalla legge.
Senza dire che, ad ogni modo, nel caso concreto, per
l'incompletezza della scheda di cui si è dianzi discorso, la firma iniziale non avrebbe comunque potuto adempiere una delle funzioni essenziali della sottoscrizione del testa
mento olografo, e cioè quella di solenne conferma della
completezza della volontà testamentaria manifestata nella
scheda.
Il ricorso principale deve pertanto essere respinto.
Passando dopo di ciò all'esame del ricorso incidentale, la Corte osserva che col primo mezzo di questo la ricorrente Paola Grassi censura la sentenza denunziata per avere escluso che ella, erede testamentaria del padre per un terzo dell'asse, avesse diritto a concorrere, come erede
legittima, insieme ai fratelli Orlando e Giuseppe nella restante parte del patrimonio ereditario della quale il de
cuius non aveva disposto con testamento. La circostanza che il padre le avesse lasciato per testamento una quota del patrimonio pari a quella spettantele per legge non era, secondo la ricorrente, sufficiente ad escluderla dalla succes
sione legittima apertasi per la restante parte. La censura è fondata. Come risulta dalla sentenza
denunciata, Angelo Grassi, morto nel 1939, aveva lasciato tre figli (Paola, Orlando e Giuseppe), e, con testamento
olografo del 31 luglio 1937, aveva istituito erede nella terza parte del suo patrimonio la figlia Paola. La sentenza ritenne che costei non dovesse concorrere con gli altri due
fratelli nella successione legittima apertasi per la restante
parte del patrimonio, perchè ella aveva conseguito per testamento una quota pari a quella che le sarebbe spettata
per legge in caso di successione totalmente intestata, e
perchè non risultava che il padre avesse voluto far gravare sulla disponibile la quota lasciatale col testamento.
È palese l'erroneità di codesti argomenti, che si risolvono in una manifesta violazione del principio stabilito nell'art.
720 cod. civ. 1865 (art. 457 cod. civ. vigente), secondo cui,
per quella parte dell'asse ereditario della quale il de cuius
non abbia disposto con testamento, si apre sempre la suc
cessione legittima. È ovvio, infatti, che il detto principio deve trovare applicazione anche nel caso in cui l'erede
nominato col testamento in una quota del patrimonio ereditario sia un successibile legittimo, e la quota in cui gli succede per testamento sia pari o anche maggiore di quella
spettantegli per legge. Anche in tale caso, infatti, per la
residua parte del patrimonio ereditario si apre la successione
legittima, nella quale l'erede testamentario, essendo anche
erede legittimo, ha diritto di concorrere.
Nè tale suo diritto può essere escluso per il solo fatto
che il testatore, istituendolo erede in una quota pari o mag
giore di quella spettantegli per legge, non abbia espressa mente dichiarato che il lascito da lui disposto debba
gravare sulla disponibile. Una dichiarazione del genere non è necessaria per consentire la successione legittima dell'erede testamentario nella quota dell'asse, della quale il de cuius non ha disposto in testamento, perchè il titolo
della vocazione del detto erede in tale quota è costituito
dalla legge e non dal testamento, e la legge non esclude
per nulla dalla vocazione l'erede legittimo per il solo fatto
che egli sia anche, per una quota di importo pari o superiore a quella stabilita dalla legge stessa, erede testamentario.
La successione legittima in favore di chi sia anche
erede testamentario può essere bensì esclusa dalla volontà
del testatore, ma una simile volontà non può certo desumersi
dalla semplice circostanza che il testatore abbia lasciato
a chi è successibile legittimo una quota uguale a quella spettantegli per legge, senza specificare che il lascito
debba gravare sulla disponibile. A convincere di ciò basta considerare che la disponibile
è un istituto proprio della succession# testamentaria, e non gioca invece nel campo della successione legittima.
Naturalmente è appena il caso di rilevarlo, se il lascito
disposto col testamento assorbe tutta la porzione disponibile e, qualora l'erede testamentario sia anche legittimario, anche la quota di riserva a lui spettante, il detto erede
non ha alcun diritto sul residuo asse ereditario, giacché
questo è riservato ai legittimari non considerati nel testa
mento. Ma dalla sentenza denunciata non risulta affatto
che un'ipotesi del genere ricorresse nella specie.
Pertanto, in accoglimento del primo mezzo del ricorso
incidentale, la sentenza stessa deve essere nella parte
impugnata con tale mezzo, annullata con rinvio. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
This content downloaded from 193.142.30.220 on Sat, 28 Jun 2014 12:56:16 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions