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Sezione II civile; sentenza 21 marzo 1963, n. 685; Pres. Marletta P., Est. Modigliani, P. M....

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Sezione II civile; sentenza 21 marzo 1963, n. 685; Pres. Marletta P., Est. Modigliani, P. M. Cutrupia (concl. conf.); Sardellini (Avv. Ciotti) c. Mandolesi e Verdicchio (Avv. Simoncelli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 1985/1986-1989/1990 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152876 . Accessed: 28/06/2014 13:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 13:29:36 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 21 marzo 1963, n. 685; Pres. Marletta P., Est. Modigliani, P. M.Cutrupia (concl. conf.); Sardellini (Avv. Ciotti) c. Mandolesi e Verdicchio (Avv. Simoncelli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 1985/1986-1989/1990Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152876 .

Accessed: 28/06/2014 13:29

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1985 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1986

mensilità di stipendio per ogni anno di servizio prestato dopo aver maturato il massimo del preavviso, con il limite 11011 superabile in ogni caso di una annualità di stipendio (art. 4), e dall'altro l'accordo 4 maggio 1919 intervenuto tra

gli industriali metalmeccanici della Provincia di Milano e il personale dipendente.

Secondo l'art. 9 del citato accordo, a partire dalla data

anzidetta, l'indennità di licenziamento di cui all'art. 4 del decreto n. 112 del 1919 andava liquidata, anziché nella misura e con le decorrenze ivi determinate, « in ragione di

una mensilità di stipendio per ogni anno a decorrei ì dal

sesto anno di servizio continuativo prestato presso la ditta, ferma restando ogni altra disposizione dell'articolo citato ». Il decreto n. 112 del 1919 veniva infine abrogato dallo art. 20 r. decreto legge 13 novembre 1924 n. 1825, il quale all'art. 10 riconosceva a tutti gli impiegati un'indennità di

licenziamento non inferiore alla metà dell'importo di tante

mensilità di stipendio per ogni anno di servizio prestato, malgrado ogni patto in contrario, salvo il caso di particolari convenzioni o usi più favorevoli per il prestatore d'opera (art. 17). Di qui la necessità di accertare, ai fini della deter

minazione del sistema di calcolo della indennità di anzianità, se la disciplina predisposta dall'accordo 4 maggio 1919 fosse

più vantaggiosa per il dipendente, e quindi dovesse rite

nersi applicabile al rapporto de quo in luogo di quella pre vista dal decreto n. 1825 del 1924.

La Corte del merito ha dato soluzione positiva al que sito, fondando il proprio convincimento sul semplice ri

lievo che nell'accordo del 1919 era previsto un maggior numero di mensilità di preavviso, nonché un più elevato

coefficiente della retribuzione ultima, da computare ai fini

della determinazione dell'indennità di anzianità. Ora è

evidente la insufficienza e incompletezza dell'accolta inter

pretazione, ove si consideri che i Giudici di appello non hanno

tenuto conto dell'intera portata precettiva dell'art. 9 del

citato accordo del 1919, e quindi hanno omesso di esaminare

il trattamento complessivo desumibile da ciascuna nelle

due discipline anzidette, siccome invece necessario per una

razionale applicazione del principio della clausola più van

taggiosa, il quale impone appunto che sia riservato al lavo ratore il trattamento più favorevole nel suo complesso. Questa Suprema corte, in analoghe fattispecie, ha già avuto

occasione di rilevare che la indagine ermeneutica non po teva arrestarsi al semplice dato circa il numero della mensi

lità di preavviso e il coefficiente della retribuzione da cal

colare per la determinazione dell'indennità di anzianità, ma doveva altresì considerare che l'art. 9 dell'accordo 1919

faceva generico richiamo all'art. 4 del decreto n. 112 del

1919 e quindi anche al limite massimo di una annualità

di stipendio, e che l'art. 20 del decreto n. 1825 del 1924

aveva abrogato il decreto n. 112 del 1919, donde la neces

sità di risolvere l'ulteriore problema circa l'efficacia del

richiamo a disposizioni legislative vigenti al momento della

stipulazione dell'accordo 1919 e successivamente abrogate (sent. 28 giugno 1954, n. 2227, ined. ; 20 luglio 1960, n. 2021, Foro it., Rep. 1960, voce Lavoro (rapporto), nn. 631, 632). In definitiva, il quesito rivolto ad accertare se il trattamento assicurato all'impiegato con l'accordo del 1919 fosse più favorevole rispetto alla successiva normativa, che aveva

eliminato la restrizione del massimale di un anno, implicava necessariamente la soluzione del problema circa il carat

tere formale o recettizio del rinvio contenuto nell'art. 9

dell'accordo 1919 all'art. 4 del decreto n. 112 del 1919, nel

senso che, una volta abrogato tale complesso normativo

dalla legge sull'impiego privato del 1924, restava caducato

anche il rinvio fattone nel citato art. 9, o non piuttosto la

norma richiamata continuava a spiegare i suoi effetti per essere entrata a far parte dell'economia complessiva del

trattamento concesso con l'accordo del 1919. Ai fini di una

tale indagine occorreva quindi accertare la comune inten

zione delle parti contraenti, allorché da un lato avevano

modificato la « misura » dell'indennità e dall'altro ave

vano lasciato «ferma ogni disposizione dell'art. 4», ed in

particolare se con la espressione « misura » si era inteso aver

riguardo alla sola unità di misura (mensilità intera in luogo di mezza mensilità) o anche al limite massimo di ammontare

Il Foro Italiano — Volume LXXXV1 — Parti. I-127.

dell'indennit à di licenziamento. Ma, come già rilevato nelle

sentenze sopra citate, tale interpretazione esorbita dai

compiti istituzionali di questa Corte, giacché l'accordo 4

maggio 1919 è un contratto precorporativo, avente natura

privatistica. E neppure può disconoscersi che l'apprezza mento valutativo fatto al riguardo dal giudice del merito, ove sia, come nella specie, lacunoso, incompleto e insuffi

ciente, e quindi viziato da errori logici, ben può essere sin

dacato in sede di annullamento.

Con il terzo mezzo del ricorso si denuncia la violazione dell'art. 1 r. decreto legge 15 marzo 1923 n. 692, anche sotto

il riflesso della insufficiente e contraddittoria motivazione,

per avere i Giudici di appello ammesso la computabilità tra gli elementi costitutivi della retribuzione, ai fini della

determinazione dell'indennità di anzianità, del compenso

aggiuntivo per le ore prestate tra le 44 e le 48 settimanali. Al riguardo si deduce che l'affermazione contenuta in sen tenza circa il riconoscimento da parte della Società impren ditrice dell'effettiva prestazione di lavoro oltre le 44 ore

settimanali è In patente contrasto con quanto in prece denza affermato e con la documentazione acquisita al pro cesso, e in definitiva si fonda sull'erroneo presupposto che

il Ghioni avesse senz'altro diritto a pretendere la retribu

zione in ragione di 48 ore.

Ante tale censura si ravvisa fondata. Per vero la Corte del merito, dopo avere contradditto

riamente accennato ad un preteso riconoscimento da parte della Società imprenditrice, trascurando del tutto la esibita

documentazione, ha infine giustificato il suo convincimento

con il richiamo alla differenza di orario, stabilito in 42 ore

nell'accordo del 1919 e in 48 ore nel contratto individuale,

quasi a desumere l'obbligo convenzionale della Società im

prenditrice di retribuire senz'altro il personale dipendente in ragione di 48 ore settimanali.

Al contrario è ben noto che tale ultimo orario costituisce

il limite massimo cui può estendersi la prestazione normale

del prestatore d'opera, in guisa che ogni ulteriore attività

rientra nella nozione di lavoro straordinario, da compen sarsi con le prescritte maggiorazioni. E nella specie l'art. 8

del contratto collettivo 21 giugno 1956 testualmente di

spone che il compenso in aggiunta alla retribuzione normale

va corrisposto per ogni ora oltre le 44 e fino alle 48 setti

manali di lavoro effettivo, donde, in via normale, il carat

tere eccezionale e non continuativo dell'anzidetta eroga zione patrimoniale, e quindi la sua non computabilità ai

fini e per gli effetti dell'art. 2121 cod. civile. Sulla base di tali

principi di diritto, completamente disattesi in sentenza, i Giudici di appello avrebbero dovuto accertare se il lavoro

prestato oltre le 44 ore fosse stato in concreto espletato in

via continuativa e solamente in questo caso sarebbe stata

legittima la computabilità del relativo compenso aggiuntivo nella retribuzione globale. La contraddittorietà del generico accenno al preteso riconoscimento da parte della Società

Breda e la mancanza di una qualsiasi valutazione della

prova documentale rendono del tutto illogica la denunciata

motivazione e pongono in evidenza la mancanza di un ef

fettivo accertamento di fatto, di fronte al quale soltanto

resta precluso il sindacato della Corte regolatrice. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 21 marzo 1963, n. 685 ; Pres.

Marletta P., Est. Modigliani, P. M. Cutrupia (conci,

conf.) ; Sardellini (Avv. Ciotti) c. Mandolesi e Verdicchio

(Avv. Simon celli) .

(Oassa senza rinvio App. Ancona 21 febbraio 1959)

Cassazione in materia civile — Vizio di ultrapetizione ascritto al giudice di primo grado e non dedotto

coi motivi di appello —■ Deduzione col ricorso per cassazione — Inammissibilità.

Proprietà — Occupazione di porzione del tondo at

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1987 PARTE PRIMA 1988

tiguo — Attribuzione della proprietà al costrut

tore — Necessità di apposita istanza — Conse

guenze — Fattispecie (Cod. civ., art. 938). Esecuzione (orzata di obblighi di lare o di non fare —

Sentenza di condanna alla demolizione di opere —

Autorizzazione all'attore di compiere i lavori a

spese del convenuto, ove questi non esegua l'or dine di demolizione — Illegittimità — Cassazione

senza rinvio (Cod. civ., art. 2931, 2933 ; cod. proc. civ., art. 612).

Se il giudice di primo grado è incorso nel vizio di ultrapeti zione, e nel giudizio di appello tale vizio non ha formato

oggetto di gravame, essendosi impugnata la sentenza sol

tanto per il merito, è inammissibile la deduzione del detto

vizio col ricorso per cassazione, ancorché riferita alla sen

tenza di appello confermativa della sentenza di primo

grado. (1) In mancanza di un'apposita istanza di chi ha in parte edi

ficato sul fondo del vicino, il giudice, al quale il proprie tario del fondo ha chiesto di ordinare la demolizione del

l'opera, non può fare uso del potere discrezionale, a lui

conferito dall'art. 938 cod. civ., di attribuire al costruttore

la proprietà dell'edificio e del suolo occupato ; pertanto, se il costruttore convenuto non proponga quell'istanza, ma

svolga altra difesa contro la domanda del proprietario (nella specie, deducendo che la costruzione era stata fatta a sua scienza e senza opposizione, e che quindi non poteva esserne chiesta la rimozione a norma dell'art. 936 cod.

civ.), la sentenza di merito, che, ritenendo infondate tali

difese, condanni il convenuto alla demolizione, non può essere censurata per non avere fatto applicazione dell'art.

938. (2)

(1) In senso conforme, per il caso tanto di ultra quanto di

extrapetizione, ascritta al giudice di primo grado e non dedotta come motivo di appello, Cass. 7 giugno e 28 ottobre I960, nn. 1 790 e 2934, Foro it., Rep. 1960, voce Cassazione civ., nn. 23, 42 ; 16 aprile e 14 luglio 1958, nn. 1255 e 2555, id., Rep. 1958, voce

cit., nn. 100, 101 ; 27 maggio 1955, n. 1620, id., Rep. 1955, voce

cit., n. 85 ; 10 luglio 1954, n. 2442, id., Rep. 1954, voce cit., n. 108

(tutte richiamate dalla sentenza in epigrafe, ad eccezione della n. 2934 del I960). La stessa massima è stata affermata da Cass. 22 marzo 1961, n. 647, id., Rep. 1961, voce cit., n. 51, per la nullità della sentenza di primo grado, non dedotta con l'atto di

appello ; e da Cass. 30 gennaio 1958, n. 259, id., Rep. 1958, voce cit., n. 50, per Verror in procedendo commesso dal giudice di primo grado nel fare inesattamente ricorso al procedimento speciale di rendimento dei conti (art. 263 segg. cod. proc. civ.).

Per gli errores in indicando, vale la massima (talvolta erro neamente motivata col dire che si tratterebbe di questione nuova) della non deducibilità in Cassazione delle questioni riflettenti un punto controverso, che, deciso in primo grado, non abbia formato oggetto di impugnazione in appello : Cass. 7 maggio e 6 febbraio 1963, nn. 1110 e 192, id., Mass., 324 e 56 ; 28 marzo 1962, n. 630, id., Rep. 1962, voce cit., n. 218 ; 3 novembre e 18 febbraio 1960, nn. 2966 e 270, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 41, 43 ; 7 marzo 1959, n. 671, id., Rep. 1959, voce cit., n. 33 ; 25 ottobre 1957, n. 4133, id., Rep. 1957, voce cit., n. 38 ; 7 e 21 luglio 1956, nn. 2507 e 2835, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 38, 39 (l'ultima sentenza argomenta esplicitamente dall'art. 346).

(2) Conf. alla massima ufficiale, e richiamata nella motiva zione, Cass. 17 novembre 1960, n. 3081, Foro it., Rep. 1960, voce

Proprietà, n. 54, ove è detto che l'art. 938 cod. civ. non riconosce senz'altro al costruttore il diritto di acquisire la porzione di suolo contiguo occupata in buona fede, ma dà solo al giudice, su domanda della parte, il potere di attribuirla secondo le cir costanze ; analogamente Cass. 7 aprile 1950, n. 948, id., Rep. 1950, voce cit., nn. 22, 23.' Sul punto che l'accessione invertita ex art. 948 non avviene de iure, ma su pronuncia del giudice, v. pure Trib. Genova 28 aprile 1954, id., Rep. 1954, voce cit., n. 49. App. Firenze 14 gennaio 1954, ibid., n. 48, parla di un po tere discrezionale del giudice, al cui prudente arbitrio è affidato un regolamento degli opposti interessi ; a questo prudente arbi trio fa riferimento anche Cass. 5 gennaio 1950, n. 53, id., Rep. 1950, voce cit., n. 30.

Sul significato specifico della buona fede nell'art. 938, sulla sua non assimilabilità alla buona fede del possessore e sulla necessità della dimostrazione positiva, v. da ultimo Cass. 12

gennaio e 9 luglio 1962, nn. 33 e 1793, id., Rep. 1962, voce cit.,

È illegittima, e va per tale parte cassata senza rinvio, la sen

tenza di condanna, che, nélVordina/re la demolizione di

opere abusivamente costruite, autorizzi l'attore a com

piere direttamente i lavori all'uopo necessari a spese del

convenuto, per il caso che questi non adempia l'ordine di

demolizione. (3)

La Corte, ecc. — Col primo mezzo di annullamento il

ricorrente, nel denunziare la violazione degli art. 99 e 112

cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, dello

stesso codice, lamenta che la sentenza denunziata sia in

corsa in un vizio di ultrapetizione, per aver ordinato la demo

lizione, non richiesta dagli attori, della strada costruita in

rilevato sull'area di proprietà dei medesimi.

Tale doglianza è inammissibile.

Infatti, in proposito, questo Supremo collegio, richia

mandosi alla sua costante giurisprudenza (cfr. sentenze n. 1790 del 1960, Foro it., Rep. 1960, voce Cassazione civ., n. 23 ; nn. 2555 e 1255 del 1958, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 100, 101 ; n. 1620 del 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n.

85 e n. 2442 del 1954, id., Rep. 1954, voce cit., n. 108), torna

ad affermare che il vizio di ultrapetizione non è deducibile in Cassazione quando sia stato attribuito al giudice di

primo grado e non sia stato ritualmente dedotto in appello come motivo di impugnazione.

Orbene, nel caso, la statuizione che il ricorrente assume

essere viziata da ultrapetizione è, per l'appunto, contenuta

nella sentenza di primo grado. Tale sentenza era stata bensì

impugnata dal Sardellini, ma negli specifici motivi di gra vame da lui formulati nessun riferimento, neppure indiretto, era stato fatto alla violazione da parte del Tribunale del

principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronun ciato ; in conseguenza la doglianza di ultrapetizione non

è deducibile in questa sede.

Col secondo mezzo di annullamento il ricorrente, nel denunziare la violazione degli art. 938 e 1147 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., lamenta che la Corte di appello non abbia

applicato il principio della accessione invertita, di cui al

citato art. 938, nei riguardi della striscia di terreno dei Ver dicchio da, lui occupata, con la costruzione in controversia. Al riguardo deduce in particolare che, contrariamente a

quanto è stato ritenuto dalla Corte di merito, la occupa zione del detto suolo era stata da lui effettuata in buona

fede.

Anche questa doglianza deve essere disattesa. È noto che, ai sensi dell'art. 938 cod. civ., la buona fede

consiste nell'ignoranza di edificare in parte sul suolo del

vicino e nella erronea convinzione di edificare sul suolo

proprio. Nel caso concreto, la Corte di appello escluse la ricorrenza

nn. 38-41 ; 24 maggio e 9 dicembre 1901, nn. 1236 e 2790, id., Rep. 1901, voce cit., nn. 47-49 ; 29 marzo e 24 maggio 1960, nn. 079 e 1340, id., Rep. 1900, voce cit., nn. 51, 53 ; 7 marzo 1959, n. 659, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 23-20 ; 27 gennaio 1958, n. 190, id., Rep. 1958, voce cit., n. 38.

Nel senso che l'art. 648 non consente al proprietario di chiedere al giudice che dichiari tenuto il costruttore all'acquisto del suolo occupato, Cass. 5 agosto 1960, n. 2318, id., 1901, I, 75, con nota di richiami.

Sul punto (toccato dalla sentenza in epigrafe nella motiva zione) dell'inapplicabilità dell'art. 930 cod. civ. al caso in cui un terzo abbia compiuto sul fondo un'opera che non sorga intera mente su di esso, Cass. 7 luglio 1902, n. 1764, id., 1962, I, 1000, con nota di richiami.

(3) Conf. Cass. 7 aprile 1961, n. 736, Foro it., Rep. 1901, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, n. 7, richiamata dalla sentenza in epigrafe ; 27 luglio 1955, n. 2404, id., 1956, I, 558, con nota di richiami.

In argomento vedi altresì, anche per la differenza al riguardo tra il sistema dell'abrogato codice civile (art. 1220) e quello dei nuovi codici, civile e di procedura, Cass. 24 maggio 1962, n. 1204, id., Rep. 1902, voce cit., n. 2 ; App. Palermo 4 luglio 1900, id., Rep. 1900, voce cit., nn. 1,2; Trib. Orvieto 22 marzo 1950, id., Rep. 1956, voce cit., n. 7.

Per la dottrina v., da ultimo, Denti, Sentenza di condanna ed esecuzione forzata di obblighi di non fare, in Temi, 1950, 544.

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1989 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dell'estremo della buona fede, considerando che il Sardellini, stante l'assoluta inidoneità della scrittura privata del 22

aprile 1955 a trasferire il dominio, non poteva ritenere di

essere proprietario del suolo. Orbene, tenuto conto dei rilievi

su esposti, appare evidente che la nozione della buona fede

del costruttore, di cui ha fatto applicazione la Corte d'ap

pello nel pervenire alla decisione adottata, è immune

da errori giuridici. Quanto, poi, all'affermazione della stessa

Corte che il Sardellini, avuto riguardo alle circostanze del

caso concreto, non poteva ritenere di esser divenuto pro

prietario del suolo, è chiaro che essa consiste in un apprez zamento di fatto, incensurabile in questa sede.

Per completezza di motivazione non è fuor di luogo

aggiungere che, comunque, l'applicabilità, al caso, del prin

cipio della cosiddetta accessione invertita era da escludere

anche sotto altro aspetto.

Infatti, come questa Suprema corte ha già avuto occa

sione di precisare (cfr. sentenza n. 3081 del 1960, Foro it.,

Rep. 1960, voce Proprietà, n. 54), l'art. 938 cod. civ., il quale

prevede, in caso di costruzione di edificio, l'occupazione di porzione di fondo attiguo, non riconosce senz'altro a]

costruttore il diritto di acquisire detta porzione, ma dà solo

potere al giudice, su domanda della parte, di attribuirla

secondo le circostanze, sul presupposto dell'esistenza della

buona fede e della non opposizione in termine del proprie tario del fondo attiguo. Ora, nel caso, nel giudizio di merito, dal Sardellini non era stata formulata alcuna domanda

intesa a ottenere che, in applicazione del principio della

cosiddetta accessione invertita, gli fosse attribuito il suolo

occupato, essendosi egli limitato, in proposito, a sostenere

che, in base alla disposizione dell'art. 936 cod. civ., non

poteva essere obbligato a togliere le costruzioni. Per altro

l'applicabilità della disposizione, di cui al 4° comma del

citato art. 936, è stata esclusa dalla Corte di appello, oltre

che per la mancanza dell'estremo della buona fede, perchè la costruzione poggiava, non già tutta sul suolo dei Man

dolesi Verdicchio, ma in parte sul suolo del Sardellini. Con

tale decisione, l'oggetto del dibattito su questo punto della

controversia è stato esaurito. Nè la Corte di merito avrebbe

potuto applicare, anziché la norma dell'art. 936, il princi

pio dell'accessione invertita, giacché tale applicazione pre

supponeva, come si è visto, la formulazione di una appo sita istanza, intesa a ottenere l'attribuzione del suolo.

Consegue da quanto si è esposto che anche il secondo

mezzo di annullamento deve essere rigettato. Col terzo mezzo il ricorrente, nel denunziare la viola

zione degli art. 2931 e 2933 cod. civ., nonché dell'art. 612

cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., lamenta che la Corte di appello, confermando la sentenza

di primo grado, abbia autorizzato gli attori a provvedere direttamente alla demolizione delle opere in contestazione,

per l'ipotesi di mancato adempimento da parte di esso Sar

dellini dell'obbligo di provvedere all'esecuzione dell'ordine

di demolizione.

La doglianza è fondata.

Infatti l'esecuzione degli obblighi di fare, in difetto di

spontaneo ed esatto adempimento da parte dell'obbligato, deve essere attuata, a norma dell'art. 2931 cod. civ., nelle

forme prescritte dal codice di procedura, e cioè secondo

gli art. 612 e 613 del detto codice, che demandano esclu

sivamente al pretore, quale giudice dell'esecuzione, sia la

concreta determinazione delle dette modalità, sia la pro nuncia sulle contestazioni che eventualmente sorgano al

riguardo. Pertanto è illegittima, e va quindi annullata senza

rinvio, la statuizione della sentenza che, nell'ordinare la

demolizione di alcune opere abusivamente costruite, auto

rizzi l'attore a compiere direttamente i lavori all'uopo ne

cessari, nel caso in cui il convenuto non abbia provveduto a eseguire l'ordine di demolizione (cfr. in tal senso, la sen

tenza di questa Suprema corte n. 736 del 1961, Foro it.,

Rep. 1961, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare o di

non fare, n. 7). Obiettano i resistenti che, nel caso in esame, la questione

è preclusa, trattandosi di statuizione emessa con la sentenza

di primo grado e non impugnata con l'atto di appello. Per

altro a tale tesi non può farsi adesione. Infatti, a parte che

trattasi di questione rilevabile di ufficio, giacche, in tema

di esecuzione forzata di obblighi di fare, nella ipotesi di ina

dempimento dell'obbligo dovuto, non può ritenersi, in ogni caso, consentito che l'azione esecutiva sia attuata in forme

diverse da quelle stabilite dal codice di procedura civile

(art. 612 e 613), nessun giudicato ha potuto formarsi sul

capo della sentenza, con cui sono stati autorizzati i Mando

lesi Verdicchio a procedere direttamente alla demolizione

delle opere in contestazione, essendo tale parte della sen

tenza necessariamente collegata e subordinata al capo, che

era stato oggetto di impugnazione, col quale ' era stata or

dinata la demolizione delle predette opere. Da quanto si è esposto discende che il primo e il secondo

mezzo di annullamento devono essere rigettati e che il terzo

mezzo va, invece, accolto.

In relazione al mezzo accolto, la denunziata sentenza

deve essere cassata senza rinvio, per quanto attiene alla

conferma della sentenza di primo grado, nella parte in cui

questa ha autorizzato gli attori a provvedere dirette mente, a spese del Sardellini, alle demolizioni ordinategli, in caso

di mancato adempimento di tale obbligo da parte di que st'ultimo.

Sembra giusto di mantenere fermo il regolamento delle

spese dei precedenti gradi, effettuati dai Giudici del merito.

Per quanto riguarda le spese di questo grado del giu dizio, si ravvisa la concorrenza di giusti motivi per com

pensarle interamente tra le parti. Il deposito deve essere restituito.

Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 16 febbraio 1963, n. 342 ; Pres.

Varallo P., Est. Di Majo, P. M. Maccaeone (conci,

conf.) ; Finanze (Avv. dello Stato Corkeale) e. Soc.

Ferrobeton (Avv. Cogliati Dezza, Nicolò).

(0onferma App. Roma 5 aprile 1960)

Registro — Conferimenti in società — Appalto con

giuntamente commesso a più soeietà di capitali —

Intassabilità — Limiti (R. d. 30 dicembre 1923 n.

3269, legge del registro, ali. A, art. 81).

L'imposta di registro prevista dall'art. 81 della tariffa alle

gato A della legge per i conferimenti di beni o valori in

società non si applica all'ipotesi in cui un appalto sia

stato congiuntamente commesso a due o più società di ca

pitali. (1)

(1) La giurisprudenza è pressocchè concorde nel ritenere che oggetto della tassazione, di cui all'art. 81 ali. A legge isti tutiva del registro, sia il valore venale dell'apporto conferito alla società o associazione da parte di uno dei contraenti.

Si veda C. centrale 11 maggio 1960, n. 28317, Foro it., Rep. 1961, voce Registro, nn. 177, 178 ; 2 luglio 1958, n. 7144, id., Rep. 1959, voce cit., n. 305, e in Dir. e pratica trib., 1959, II, 33 (con nota di G. Guidi), in cui la fattispecie è costituita dall'associazione di alcune persone ad una ditta per l'esecuzione di appalti assunti dalla ditta medesima, con partecipazione agli utili e alle perdite di tutti i lavori appaltati. La Commissione, ravvisato nella fat

tispecie un contratto di associazione in partecipazione, ha af fermato che l'ammontare complessivo dei lavori appaltati, co stituenti l'oggetto del negozio, va assoggettata all'imposta di cui all'art. 81 della tariffa all. A ; C. centrale 14 febbraio 1961, n. 37675, Foro it., Rep. 1961, voce cit., nn. 121, 122.

Per Trib. Genova 28 giugno 1954, id., Rep. 1955, voce cit., n. 311, in un caso di più appaltatori che costituiscono una società a r. 1. per l'esecuzione dei lavori precedentemente e singolarmente presi in appalto da ciascuno di essi, l'imposta va liquidata sul

l'ammontare del capitale sociale sottoscritto e non sul valore

complessivo dei contratti di appalto. La C. centrale 19 luglio 1957, n. 96435, id., Rep. 1958, voce

cit., nn. 253, 254, ritiene soggetta a tassazione, oltre gli eventuali conferimenti di beni, anche l'entità economica che costituisce il vero oggetto del negozio, rappresentata dalla particolare attività

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