sezione II civile; sentenza 22 giugno 1995, n. 7073; Pres. Sammartino, Est. Volpe, P.M. Palmieri(concl. diff.); Testa e altri (Avv. Lipari) c. Sepielli (Avv. Loiodice); Sepielli c. Testa e altri.Conferma App. Lecce 10 maggio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 1 (GENNAIO 1997), pp. 271/272-275/276Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191317 .
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PARTE PRIMA
cip! della contrattazione collettiva italiana; a sostegno richiama
no la ratio e le finalità della legge. La censura è fondata per quanto di ragione. Il giudice d'ap
pello ha mostrato di essere consapevole della importanza del
dibattito sulla figura del raccomandatario marittimo di una na
ve straniera, della funzione, demandatagli dalla legge, di garan te del comportamento del soggetto straniero e del contenuto
di tale garanzia. A completamento delle sue osservazioni può
aggiungersi che il dibattito, riferito a livello di giurisdizione di merito, è ora in corso in sede di legittimità perché alla tesi della
limitazione della garanzia al pagamento delle retribuzioni pat
tuite, dal giudice d'appello condivisa, si contrappone l'altra che
vi comprende quella della verifica dell'adeguatezza del tratta
mento retributivo alla luce dei principi fondamentali contenuti
nella contrattazione collettiva nazionale e la cui violazione im
porta la disapplicazione dell'atto amministrativo dell'autorità
portuale che avesse attestato la congruità del pattuito tratta
mento economico e previdenziale (per la prima tesi: sent.
11580/93, citata; per la seconda: sent. 5696/93, id., 1994, I,
3119). La soluzione del contrasto non si impone per la decisione
della fattispecie perché essa è connotata dall'inadempimento del
l'armatore ad obbligazioni delle quali alcune pacificamente rien
trano nella sfera di operatività della garanzia del raccomandata
rio marittimo, perché concernenti lo stipendio nella lata acce
zione adottata dal giudice d'appello. In queste va compresa quella derivante dalla mancata corre
sponsione della indennità di anzianità, per la sua pacifica strut
tura di retribuzione differita e la circostanza della esistenza di
un patto di conglobamento che ne importa l'inserimento nella
retribuzione mensile come parte integrante della medesima.
La responsabilità solidale del raccomandatario va, invece, esclusa in ordine sia alla misura della retribuzione pattuita, per ché riconosciuta congrua alla luce dell'art. 36 Cost., sia alla
mancata corresponsione del premio di reimbarco, in quanto di
pendente da comportamento illegittimo dell'armatore straniero
esulante dalla sfera di garanzia del raccomandatario, che, infi
ne, per la indennità sostitutiva del preavviso, considerata la sua
natura indennitaria e non retributiva.
Va, pertanto, nei limiti sopra indicati accolto il ricorso prin
cipale mentre va rigettato quello incidentale.
La causa va rimessa per nuovo esame al giudice di rinvio,
designato come in dispositivo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 22 giu
gno 1995, n. 7073; Pres. Sammartino, Est. Volpe, P.M. Pal
mieri (conci, diff.); Testa e altri (Avv. Lipari) c. Sepielli (Aw.
Loiodice); Sepielli c. Testa e altri. Conferma App. Lecce 10
maggio 1993.
Successione ereditaria — Vocazione ereditaria — Prescrizione
del diritto di accettare — Accettazione da parte del chiamato
ulteriore — Ammissibilità (Cod. civ. del 1865, art. 943; cod.
civ. del 1942, art. 480).
Posto che il termine di prescrizione del diritto di accettare l'ere
dità decorre dal giorno dell'apertura della successione, qualo ra sussista una pluralità di designati a succedere in ordine
successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei
primi chiamati e dei chiamati in subordine, con la conseguen za che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell'eredità per i primi chiamati, sono legittimati a manifesta re una accettazione (espressa o tacita) dell'eredità, con effica cia subordinata al venir meno, per rinuncia o prescrizione, del diritto dei designati di grado anteriore. (1)
(1) In senso conforme, Cass. 16 agosto 1993, n. 8737, Foro it., Rep. 1994, voce Successione ereditaria, n. 55; 30 luglio 1966, n. 2130, id.,
Il Foro Italiano — 1997.
Svolgimento del processo. — (Omissis). Con atto notificato
il 21, 22, 24, 30 aprile 1992, 5 ottobre e 30 novembre 1992
Armando Testa, in proprio e quale procuratore generale della
sorella Amelia, Maria, Giuseppe, Lucio, Fernando e Walter Te
sta, nonché Luciana Pasciuti, Alessandro e Giorgia Testa, ri
spettivamente moglie e figli di Emanuele Testa, deceduto nelle
more, tutti aventi causa da Mario Testa, riassumevano il giudi zio dinanzi alla Corte d'appello di Lecce, citando Wanda Se
pielli Lojodice, Dionisio e Pietro Sepielli, Vincenzo e Ludovico
Di Giovine, la Congregazione Santa Maria e5elle grazie di Luce
rà, nonché, ai sensi dell'art. 150 c.p.c., tutti gli eventuali aventi
diritto alla eredità del de cuius Francesco Antonio di Giovine.
Si costituiva Wanda Sepielli Lojodice che, sollevate alcune
eccezioni in rito relativamente all'atto di riassunzione compiuto dai Testa, sosteneva nel merito doversi ritenere tardiva, e quin di priva di validità, la dichiarazione di accettazione di eredità
Rep. 1966, voce Successione legittima o testamentaria, nn. 21, 23; e, nella vigenza del codice civile del 1865, Cass. Regno 25 aprile 1933, id., Rep. 1933, voce cit., nn. 141, 142; Cass. Napoli 6 marzo 1880,
id., Rep. 1880, voce Prescrizione in materia civile, nn. 53, 54. La Su
prema corte, se pur in sordina, pone a fondamento del decisum qui
pubblicato due ordini di considerazioni: una ricavabile dall'art. 480, 3° comma, c.c., l'altra desumibile dai principi generali dell'ordinamen to giuridico. Quanto alla prima considerazione, si sostiene, mediante
l'argumentum a contrariis, che il termine di prescrizione del diritto di accettare l'eredità, al di fuori dell'ipotesi prevista all'art. 480, 3° com
ma, c.c., corre anche per i chiamati ulteriori dal momento dell'apertura della successione.
Sotto altro profilo, la corte di legittimità, per giustificare la pronun cia in epigrafe, richiama il principio generale di esigenza di certezza dei rapporti giuridici (in motivazione, si parla di certezza dei rapporti ereditari).
La regola di diritto affermata dalla Suprema corte, se pur con sfuma ture alquanto diverse, è rinvenibile anche in dottrina: cfr. L. Ferri,
Disposizioni generali sulle successioni, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1980, 287; Grosso e Burdese, Le successioni, in Trat tato diretto da F. Vassalli, Torino, 1977, XII, 1, 167 ss.; C. Giannat
tasio, Le successioni, in Commentario Utet, Torino, 1959, 115; A. Cl
ou, Successioni per causa di morte. Parte generale: Delazione e acqui sto dell'eredità. Divisione ereditaria, in Trattato fondato da Cicu e
Messineo, Milano, 1961, XLII, 52.
Tuttavia, non è mancata, se pur sotto il regime del codice civile abro
gato, qualche voce incline a sostenere l'idea secondo la quale, nel caso in cui il primo chiamato non abbia accettato l'eredità, decorre un nuo vo termine di prescrizione entro cui il designato di grado successivo
può accettare l'eredità, con l'ulteriore corollario che, se il secondo chia mato lasci trascorrere il periodo di prescrizione senza accettare l'eredi
tà, altro identico termine teoricamente può decorrere nello stesso modo e con lo stesso effetto (cfr. Gabba, Intorno alla interpretazione dell'art. 943 codice civile italiano, in Giur. it., 1909, I, 2, 739). Quanto alla
sospensione del termine decennale prevista nella particolare ipotesi in cui i primi chiamati abbiano accettato l'eredità e successivamente il loro
acquisto ereditario sia venuto meno (art. 480, 3° comma, c.c.), si ritie ne che il legislatore intenda riferirsi ai seguenti casi: a) l'accettazione viene a cadere in seguito ad impugnazione per violenza o dolo (art. 482 c.c.); b) l'accettante risulta poi indegno a succedere; c) il testamen
to, in base al quale è avvenuta la successione, viene impugnato e fatto
cadere; d) viene contestato lo stato di figlio. In queste ipotesi, il termi ne decennale di prescrizione inizierà a decorrere dal giorno del passag gio in giudicato dalla sentenza che annulla l'accettazione o il testamen to o dichiara l'indegnità a succedere o accerta l'inesistenza dello stato. In giurisprudenza, v. Cass. 7 giugno 1962, n. 1393, Foro it., 1962, I, 1472. Tuttavia, questa sentenza osserva che ai detti casi non può essere assimilato quello in cui, essendovi due testamenti di data diversa, il
designato del testamento anteriore, revocato da quello posteriore, ac cetti l'eredità. In questa ipotesi — secondo la stessa corte — non vi è un acquisto di eredità che successivamente venga meno, bensì un'ac cettazione inesistente per mancanza di una corrispondente delazione, sì che il termine di prescrizione per il chiamato con il testamento poste riore comincia a decorrere dalla data di apertura della successione.
Particolarmente controversa, già sotto il vecchio codice, è la natura del termine entro il quale i chiamati devono accettare l'eredità: si discu
te, precisamente, se detto termine ha natura di prescrizione e di deca denza. Per la letteratura anteriore al codice vigente, v., riassuntivamen
te, G. Venzi, note a Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile ita
liano, Firenze-Torino, 1929, VI, 55, il quale, tra l'altro, seguiva la tesi della prescrizione. La giurisprudenza dominante, vigente il codice civile del 1865, leggeva nell'art. 943 c.c. un termine di prescrizione estintiva e non di decadenza, soggetto pertanto alle cause di sospensione di cui all'art. 2120 stesso codice: cfr. Cass. Regno 11 aprile 1932, Foro it., Rep. 1932, voce Successione legittima o testamentaria, n. 210. In senso
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
fatta dal Testa e trascritta il 9 maggio 1951, in quanto, apertasi la successione ereditaria di Francesco Antonio Di Giovine il 28
gennaio 1912, la materia andava regolata dal codice del 1865, con riferimento all'art. 252 disp. att. del nuovo codice, sicché
il diritto del Testa di accettare l'eredità doveva ritenersi pre scritto esattamente il 28 gennaio 1942.
In subordine, invocava l'avvenuta usucapione ventennale in
suo favore della quota di eredità di Mario Testa, verificatasi
nell'arco di tempo dal 14 aprile 1948 al 13 aprile 1968.
Gli altri appellati non si costituivano.
Con sentenza 1° aprile - 10 maggio 1993 la Corte di appello di Lecce, prima sezione civile, pronunciando in sede di rinvio, in riforma della sentenza del Tribunale di Lucerà, dichiarava
l'avvenuta estinzione per prescrizione, alla data del 9 maggio
1951, del diritto di Mario Testa e dei suoi eredi di accettare
l'eredità di Francesco Antonio Di Giovine; in conseguenza, or
dinava la cancellazione della trascrizione dell'atto di accettazio
ne della suddetta eredità da parte di Mario Testa, eseguita il
9 maggio 1951; provvedeva, infine, in ordine alle spese giudiziali.
Osservava, infatti, la corte, disattese le eccezioni concernenti
la riassunzione, che per tutti i chiamati, anche per i chiamati
ulteriori, il termine trentennale di prescrizione decorreva dalla
data di apertura della successione (28 gennaio 1912). (Omissis) Hanno proposto ricorso per cassazione Giuseppe Antonio,
Lucio, Ferdinando, Alessandro e Giorgia Testa, nonché Lucia
na Pasciuti, sulla base di un unico motivo, successivamente illu
strato con memoria. Wanda Sapielli Lojodice ha depositato con
troricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla ba
se di due motivi. La stessa ha pure presentato memoria. I
ricorrenti Testa e Pasciuti hanno depositato controricorso al ri
corso incidentale. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). Il motivo a sostegno del
ricorso principale è così formulato: «Violazione degli art. 943
e 2120 c.c. del 1865 con conseguente falsa applicazione dell'art.
480 c.c. vigente, nonché delle norme e dei principi in tema di
vocazione ereditaria e di accettazione dell'eredità; falsa applica zione e mancato coordinamento degli art. 2125 e 2128 c.c. del
1865 con conseguente violazione delle norme e dei principi in
tema di interruzione della prescrizione; connessa insufficiente
e contraddittoria motivazione su punto decisivo in relazione al
l'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.». (Omissis) Il motivo non è fondato. Correttamente la corte di appello,
in accoglimento del gravame proposto dal Sepielli avverso la
sentenza del Tribunale di Lucerà, che aveva ritenuto non pre scritto il diritto di Mario Testa di accettare l'eredità sul rilievo
che, scaduto il trentennio dall'apertura della successione (28 gen naio 1912) senza che l'erede isituito avesse accettato l'eredità,
da quella data cominciava a decorrere il nuovo termine previsto dal vigente codice civile per l'accettazione da parte dei chiamati
ulteriori, ha osservato che l'assunto non era condivisibile, dan
do del suo convincimento una motivazione adeguata, scevra di
vizi logici e di errori giuridici. La statuizione della corte si basa su una corretta interpreta
zione dell'art. 943 del codice abrogato, applicabile al caso in
esame in virtù dell'art. 252 disp. att. del vigente codice civile, secondo cui, quando per l'esercizio di un diritto ovvero per la
prescrizione o per l'usucapione il codice stabilisce un termine
più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termi
ne decorre dal 1° luglio 1939 se esso è stabilito dal primo libro
del codice, dal 21 aprile 1940 se è stabilito dal secondo libro, dal 28 ottobre 1941 se è stabilito dal terzo libro e dalla entrata
in vigore del codice stesso se è stabilito dagli altri libri, purché,
conforme, la giurisprudenza attuale: App. Roma 15 dicembre 1986, id.,
Rep. 1987, voce Successione ereditaria, n. 52; Cass. 9 aprile 1980, n.
2290, id., Rep. 1980, voce cit., n. 34. La recente dottrina, invece, sul
punto è divisa. Considerano che ha natura di decadenza il termine de
cennale stabilito dall'art. 480 c.c.: Cicu, op. cit., 168 ss.; L. Ferri,
Rinunzia e rifiuto nel diritto privato, Milano, 1960, 60, e Successioni
in generale, cit., 287. Contra, Azzariti, Le successioni e le donazioni,
Padova, 1982, 89; L. Coviello jr., Diritto successorio, Bari, 1962, 459;
Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1962, VI,
381, e che sostanzialmente concordano sul fatto che la questione della
natura del termine entro cui accettare l'eredità, fortemente discussa sot
to il regime del codice del 1865, è stata risolta, a favore della prescrizio
ne, dai compilatori del codice vigente, mediante la sostituzione della
parola 'facoltà' (di accettare) con l'altra 'diritto' (di accettare).
Il Foro Italiano — 1997.
a norma della legge precedente, non rimanga a decorrere un
termine minore.
Nel presente caso, alla data del 21 aprile 1940 rimaneva a
decorrere, per la prescrizione in base al vecchio codice, un ter
mine minore di quello previsto dal nuovo codice.
L'art. 934 del codice abrogato stabiliva la prescrizione del
«diritto di accettare l'eredità» col decorso di trenta anni.
Questa norma era meno completa dell'art. 480 del vigente
codice, il quale precisa che il termine di prescrizione del «diritto
di accettare l'eredità» — ridotto a dieci anni (1° comma) —
decorre dal giorno dell'apertura della successione o, in caso d'i
stituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizio
ne (2° comma). La norma attuale stabilisce, al 3° comma, che «il termine
non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da
parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno».
Come già ritenuto da questa corte, qualora sussista una plu rità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una
delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati
ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del
termine di accettazione dell'eredità per i primi chiamati, sono
abilitati ad esercitare un'accettazione (espressa o tacita) valida, ma con efficacia subordinata al venir meno, per rinuncia o pre scrizione — eventi che configurano una condicio iuris — del
diritto dei termini chiamati (v. sent. 16 agosto 1993, n. 8737, Foro it., Rep. 1994, voce Successione ereditaria, n. 55).
Non era diversa l'interpretazione data dell'art. 943 c.c. del
1865. Anche sotto il vigore di quel codice — come questa corte
ha già avuto occasione di affermare — il termine di prescrizio ne del diritto di accettare l'eredità doveva farsi decorrere dal
giorno dell'apertura della successione, salvo il caso di istituzio
ne condizionale e quello in cui, essendovi stata accettazione da
parte dei precedenti chiamati, il loro acquisto ereditario fosse
venuto meno (v. sentenza 30 luglio 1966, n. 2130, id., Rep.
1966, voce cit., nn. 21, 23). Su questo argomento vi era disputa in dottrina, in quanto
si affermava che, decorso il termine senza che l'erede avesse
preso alcuna decisione, il diritto di accettare l'eredità passasse all'erede chiamato dopo di lui, per il quale cominciava a decor
rere un nuovo periodo trentennale fino al cui decorso egli pote va accettare o rifiutare l'eredità.
Si obiettava, però, contro questa interpretazione, che la legge non poteva aver reso possibile il protrarsi indefinito di un ter
mine che lasciava sospesi i rapporti ereditari, anche se i fautori
dell'altra teoria osservavano che l'inconveniente lamentato po teva essere ovviato col mezzo offerto dall'art. 951 (corrispon dente all'attuale art. 481, relativo alla fissazione di un termine
per l'accettazione). Si sostenne, dunque, che, decorsi i trenta anni, la facoltà di
accettare si perdeva da tutti coloro che potevano succedere.
E al rilievo che il successibile più remoto non avrebbe avuto
possibilità di accettare fino a quando non si fosse deciso l'erede
più prossimo si oppose che la risoluzione del primo erede pote va esser provocata ricorrendo al ricordato art. 951.
A proposito del termine prescrizionale per l'accettazione si
legge nella relazione al re sul nuovo libro delle successioni che
il progetto, risolvendo una vecchia questione, faceva decorrere
il termine dal giorno dell'apertura della successione sia per i
primi chiamati sia per i chiamati ulteriori in quanto questi ulti
mi potevano tutelare le loro ragioni appunto mediante Vactio
interrogatoria. La corte d'appello, nel ritenere prescritto il diritto del Testa
di accettare l'eredità, ha così fatto corretta applicazione del
l'art. 943 del vecchio codice, che non poteva essere diversamen
te interpretato secondo il prevalente orientamento sia della dot
trina sia della giurisprudenza. Non essendovi stata accettazione da parte del primo chiama
to, vi era la possibilità giuridica di ricorrere alla predetta azio
ne, che avrebbe consentito ai chiamati ulteriori di tutelare le
proprie ragioni, evitando la prescrizione. Non merita, poi, censura la sentenza impugnata quanto alla
ritenuta insussistenza di un qualsiasi effetto interruttivo o so
spensivo degli atti del processo promosso con citazione del 27
febbraio 1912 della madre del Testa, diretta, tra l'altro, alla
invalidazione del testamento redatto dal de cuius nel 1893.
La domanda della Di Giovine venne, infatti, rigettata con
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PARTE PRIMA
sentenza divenuta irrevocabile e il rigetto della domanda, stante
il disposto dell'art. 2128 c.c. del 1865, importava l'esclusione
dell'effetto interruttivo dell'atto.
La predetta norma considerava come non interrotta la pre scrizione se la domanda era rigettata.
Di essa, dunque, la corte d'appello ha fatto puntuale applica zione. Va, infatti, rilevato che la possibilità giuridica di esperire 1 'actio interrogatoria per costringere i chiamati anteriormente
a dichiarare in un breve termine se accettano o rinunziano all'e
redità, riconosciuta, come si è detto, anche dal precedente codi
ce, consente di ritenere manifestamente infondata l'eccezione
di illegittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti per contra
sto della norma di cui all'art. 943 di detto codice con l'art.
24 Cost.
Il ricorso principale, pertanto, non può essere accolto.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 13 giu
gno 1995, n. 6682; Pres. Sammartino, Est. Paolella, P.M.
Carnevali (conci, conf.); Infante ed altri (Avv. Baldo, Gior
gianni) c. Sica ed altra (Avv. Pesca); Sica c. Infante ed altri.
Conferma App. Salerno 12 marzo 1993.
Servitù — Servitù apparente di passaggio — Costituzione per destinazione del padre di famiglia — Esclusione (Cod. civ., art. 1061, 1062).
Una servitù apparente di passaggio può ritenersi costituita per destinazione del padre di famiglia solo quando la cessazione
dell'appartenenza dei due fondi all'originario unico proprie tario si sia verificata dopo l'entrata in vigore dell'attuale co
dice civile. (1)
(1) Giurisprudenza costante, sin dall'immediato dopoguerra: cfr. Cass. 5 maggio 1947, n. 682, Foro it., Rep. 1947, voce Servitù, nn. 76, 77; 2 dicembre 1965, n. 2423, id., Rep. 1965, voce cit., n. 79; 8 ottobre 1966, n. 2420, id., Rep. 1966, voce cit., n. 119; 23 ottobre 1969, n. 3459, id., Rep. 1969, voce cit., n. 117; 22 aprile 1974, n. 1157, id., Rep. 1974, voce cit., n. 104; 12 marzo 1976, n. 867, id., Rep. 1976, voce cit., n. 44; 8 luglio 1976, n. 2575, ibid., n. 45; 6 giugno 1979, n. 3210, id., Rep. 1979, voce cit., n. 55; 10 marzo 1986, n. 1595, id., Rep. 1986, voce cit., n. 9; 4 aprile 1987, n. 3265, id., Rep. 1987, voce cit., n. 29; 14 dicembre 1988, n. 6815, id., Rep. 1988, voce cit., n. 15.
Sotto la vigenza del codice civile del 1865, perché una servitù potesse essere costituita per destinazione del padre di famiglia (ovvero per usu capione), non era sufficiente che fosse apparente, ma era anche neces sario che fosse continua; doveva escludersi, pertanto, la possibilità di costitu re per destinazione le servitù apparenti discontinue, e principal mente le servitù di passaggio, definite discontinue dallo stesso codice del 1865 (cfr. G. Tamburrino, Le servitù, in Giur. sist. civ. comm., Torino, 1977, 319).
Ora, la fattispecie costitutiva della destinazione del padre di famiglia è «il risultato di una somma di svariati atti, che si susseguono nel tem po, non preordinati alla costituzione della servitù, la quale è l'effetto
giuridico del compimento di essi» (cfr., in tal senso, B. Biondi, Le servitù, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1967, XII, 361, il quale prosegue rilevando che nella specie «si riscontra non quella convergen za di intenti, che ha luogo nell'atto complesso, ma piena autonomia: ciascuno ha effetti propri e indipendenti dal risultato finale, il quale avviene per legge, qualora tutti i fatti si siano verificati, dando luogo quasi ad una reazione chimica, che dà un risultato diverso dai singoli elementi che la compongono»; per l'affermazione secondo la quale l'at to od attività di destinazione ha natura di mero atto giuridico, e, a seconda dei casi, di tipo commissivo — comportamento del «porre» — ovvero omissivo — comportamento del «lasciare» —, v. L. Bioliaz zi Gerì, U. Breccia, F. D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile. 2. Di ritti reali, Torino, 1988, 262, e, in giurisprudenza, Cass. 29 aprile 1981, n. 2626, Foro it., 1981, I, 1903). Proprio per la non necessaria volontà dell'effetto finale (costituzione della servitù), l'acquisto del diritto deve, nel caso di specie, ritenersi a titolo originario, e non a titolo derivativo
Il Foro Italiano — 1997.
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 26 marzo 1987
il Tribunale di Vallo della Lucania rigettava la domanda propo sta da Elia Sica contro Carmine Di Matteo per l'accertamento
dell'inesistenza della servitù di passaggio sul fondo di sua pro
prietà in Orria (in catasto alla part. 94, fol. 17, p.lla 271), van
tata da Di Matteo a vantaggio del proprio finitimo fondo (in catasto alla part. 2332, particelle 272, 274, 275, 276); accoglieva la domanda riconvenzionale di accertamento della stessa servi
tù, dichiarandola costituita per destinazione del padre di fami
glia, a seguito dell'atto del 22 marzo 1875 con cui l'unico pro
prietario dei due fondi, posti in una situazione oggettiva di as
servimento corrispondente al contenuto della dedotta servitù, aveva alienato quello — servente — poi pervenuto al Sica; ac
coglieva la domanda di reintegrazione nel possesso della servitù
proposta dal convenuto in corso di causa; rigettava la domanda
di garanzia proposta dal Sica nei confronti della propria dante
causa Maria Niglio.
Proponevano impugnazione sia il Sica che il Di Matteo: il
primo in via principale, reiterando le domande avanzate in pri mo grado; il secondo con appello incidentale subordinato, in
stando perché, in ipotesi, venisse accolta la domanda riconven
zionale (subordinata) di accertamento dell'avvenuto acquisto per
usucapione della contestata servitù.
Con sentenza del 7 gennaio - 12 marzo 1993, la Corte d'ap
pello di Salerno, in parziale riforma della gravata pronunzia, così statuiva: accoglieva la domanda proposta dal Sica con l'at
to introduttivo; rigettava le domande riconvenzionali proposte dal Di Matteo in via principale e subordinata, dichiarando as
sorbita da tale statuizione la domanda di reintegrazione nel pos sesso dal medesimo avanzata; condannava il Di Matteo a rim
borsare al Sica le spese di entrambi i gradi del giudizio. Osservava la corte di merito, per quanto interessa ai fini di
questo giudizio di legittimità, che doveva escludersi che il Di
Matteo potesse aver acquistato la servitù in questione per desti
nazione del padre di famiglia, poiché, stando alla prospettazio ne dello stesso attore in confessoria servitutis, la separazione dei fondi dei contendenti, posti in una situazione di oggettivo asservimento dell'unico loro proprietario, sarebbe stata effetto di un atto compiuto sotto il vigore del codice del 1865 che non
prevedeva tale modo di acquisto per le servitù discontinue; che
in ordine alla domanda riconvenzionale subordinata di acquisto
(cfr. Cass. 2 aprile 1964, n. 709, id., Rep. 1964, voce cit., n. 63; contra, in dottrina, G. Grosso e G. Deiana, Le servitù prediali, in Trattato a cura di F. Vassalli, Torino, 1963, V, 1, 622 ss.); peraltro, dopo la destinazione, lo «stato» dei fondi deve rimanere inalterato, sì da far permanere la condizione dalla quale risulti obiettivamente un'appa renza di servitù.
Orbene, gli elementi necessari ad integrare la costituzione della servi tù per destinazione del padre di famiglia sono: a) destinazione; b) pos sesso dei due fondi da parte del proprietario; c) cessazione dell'apparte nenza dei fondi ad un unico proprietario; d) assenza di disposizione relativa alla servitù (Biondi, Le servitù, cit.). Perché dunque possa dirsi completata la fattispecie costitutiva, è necessario che si siano realizzati tutti e quattro i suddetti elementi. Per conseguenza, ove la fattispecie in questione si sia esaurita prima dell'entrata in vigore del codice attua le, la servitù non potrà dirsi costituita, in considerazione del principio di irretroattività delle leggi, le quali — salve espresse deroghe, ove am missibili — non possono che disporre per l'avvenire (cfr. art. 11, 1° comma, disp. prel. c.c.): di talché, non prevedendo il codice del 1942 un'efficacia retroattiva della norma che ha reso possibile la costituzione
per destinazione del padre di famiglia anche per le servitù discontinue (art. 1061 c.c.), non potrà attribuirsi efficacia giuridica alle fattispecie di destinazione esauritesi sotto la vigenza del codice abrogato.
Diverso è invece il caso in cui la fattispecie costitutiva della servitù sia iniziata sotto la vigenza del codice del 1865, ma si sia completata dopo l'entrata in vigore del codice attuale e, in particolare, dopo tale momento si sia verificata la cessazione dell'appartenenza dei fondi ad un unico proprietario, in mancanza di una disposizione relativa alla servitù: in tal caso, infatti, si applicherà la legge sopravvenuta, in quan to è alla legge vigente al momento della separazione dei fondi (che rap presenta l'ultimo elemento della fattispecie de qua) che occorrerà fare riferimento, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti previsti per la costituzione della servitù (cfr., in tal senso, Cass. 2 agosto 1956, n. 3046, Foro it., Rep. 1956, voce cit., n. 109; in dottrina, Tamburri no, Le servitù, cit.).
Nessun problema, com'è ovvio, nel caso in cui tutti gli elementi costi tutivi della fattispecie de qua si siano realizzati dopo l'entrata in vigore del codice attuale: in tal caso, infatti, si applicherà esclusivamente tale normativa, secondo il principio generale tempus regit actum.
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