Sezione II civile; sentenza 23 maggio 1960, n. 1315; Pres. Fibbi P., Est. Iannelli, P. M. Mazza(concl. conf.); Sinisgalli (Avv. Russo, Viceconte) c. Robilotta (Avv. Petrelli, Talamanca)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 1113/1114-1117/1118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151827 .
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1113 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1114
quella istanza. Deve, in proposito, essere considerato che
la legge concepisce la pronuncia sulla competenza, sia emessa
dal giudice di merito, sia emessa dal Supremo collegio in sede di ricorso ordinario, e tanto più se in sede di regola mento di competenza (che, come si è detto, pur avendo la
sostanza d'impugnazione, si profila, nello stesso tempo,
quale un vero e proprio incidente processuale), essen
zialmente in funzione strumentale e mediata rispetto alla
domanda, al processo e alla decisione finale di merito, cioè
quale un mezzo idoneo alla conservazione del rapporto
processuale o, comunque, a spianare la via al fine ultimo
del processo, che è quello di ottenere dal giudice, designato definitivamente quale competente, una pronuncia di merito
(rigetto o accoglimento della domanda giudiziale). Yale
a dire, la decisione sulla competenza, quando le questioni attinenti a tale presupposto processuale costituiscono
oggetto primario, immediato e diretto della pronuncia, serve a far proseguire il processo (cfr. art. 49, 2° comma, e 50 cod. proc. civ.), e tende a fissare in modo definitivo
innanzi a quale giudice il processo debba avere il suo
ulteriore svolgimento (o anche essere ripreso ex novo, ove
l'efficacia della pronuncia su tale tema, come avviene per le sentenze della Corte di cassazione regolatrici delle com
petenze, sopravviva alla estinzione dell'originario rapporto
processuale) sia che venga riconosciuto essere detto giu dice quello già adito originariamente dalla parte, sia che
venga identificato in altro giudice ; in quest'ultimo caso,
il legislatore vuole che alla dichiarazione di incompe tenza del giudice a quo corrisponda l'affermazione della
competenza concreta di un giudice ad quem, che possa ancora pronunciarsi su quella stessa originaria domanda,
tuttora impregiudicata. Invece, a veder bene, nello pronunce come quella in oggetto, la definizione della questione di
competenza avviene su un piano storico e retrospettivo, e in Via soltanto incidentale e pregiudiziale alla vera
sostanza della decisione, che è quella dell'accertamento
della perdita del diritto ; nè sarebbe ammissibile, neces
saria o utile, a seguito di quella pronuncia, una prosecu
zione, o una instaurazione ex novo del processo, davanti
a quel giudice (nella specie, penale), che sarebbe stato
olim competente. Ciò nemmeno allo scopo di fare dichia
rare o ribadire l'ormai avvenuto irreparabile pregiudizio del diritto e dell'azione.
La Suprema corte ha avuto più volte, in tempi recenti,
occasione di precisare concetti analoghi, sui criteri identi
ficatori della sentenza di merito in contrapposto alla
pronuncia sulla competenza, a proposito della questione,
già sopra indicata, circa la natura, e circa i mezzi di impu
gnazione, conseguentemente esperibili, delle sentenze d'ap
pello. che, per la ritenuta ammissibilità del solo regola
mento di competenza, abbiano dichiarato inammissibile
il gravame ordinario d,i secondo grado. In contrasto con tali concetti, la sentenza impugnata
ha ritenuto che il difetto attuale di ogni alternatività di
giudice, e l'impossibilità concreta di rivolgersi al giudice astrattamente competente, per far decidere sulla domanda
dell'imputato prosciolto, come tuttora impregiudicata, non
togliesse alla sentenza del Tribunale il carattere di pro nuncia sulla competenza, e da ciò ha desunto l'inammissi
bilità dell'appello. L'error:: è evidente, e quindi, l'impu
gnata sentenza dev'essere annullata con rinvio ad altro
giudice. L'accoglimento del primo motivo del ricorso importa
l'assorbimento degli altri due motivi, in cui, mediante
la riproposizione di censure già proposte, a suo tempo, con l'appello, si contesta, tra l'altro, l'interpretazione
più ricevuta degli art. 482 e 383 cod. proc. pen., nel senso
della preclusione della pretesa dei danni dell'imputato
prosciolto contro la parte civile, ove non fatta valere nel
processo penale, e si assume, altresì, che, nella specie, la
pretesa di risarcimento esulasse, almeno in parte, dall'am
bito della responsabilità processuale prevista dai predetti
articoli, derivando da comportamento gravemente colposo "
del denunciante come tale, indipendentemente dalla costi
tuzione di parte civile, e da altre attività illecite di ordine
chiaramente extraprocessuali. È ovvio che su queste
questioni dev'essere ancora svolto, in sede di rinvio, il
giudizio di secondo grado, totalmente mancato per essersi il giudice di appello territoriale arrestato erroneamente, in limine, alla dichiarazione di inammissibilità dell'appello. Così pure, non è luogo di occuparsi della dedotta eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 482 cod. proc. pen. clie, se interpretato nel senso più ricevuto, importerebbe, secondo il ricorrente, una preclusione ai diritti di difesa
giurisdizionale del cittadino, garantiti dalla Carta costi tuzionale negli art,. 3 e 24.
Trattasi, infatti, di una eccezione prematura nella fase attuale di giudizio, dovendo il problema dell'interpre tazione del predetto art. 482 essere ancora definito in fase di merito.
L'accoglimento del ricorso importa l'ordine di restitu zione del deposito per soccombenza (art. 382 cod. proc. civ.). Appare opportuno demandare al giudice di rinvio la pronuncia sulle spese di questo grado di giudizio (art. 385 cod. proc. civ.).
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 23 maggio 1960, n. 1315 ; Pres. Fibbi P., Est. Iannelli, P. M. Mazza (conci,
conf.) ; Sinisgalli (Avv. Russo, Yiceconte) c. Robi lotta (Avv. Petrelli, Talamanca).
(Conferma Trib. Lagonegro 30 giugno 1958)
Scrittura — Produzione e disconoscimento in primo
«jrado — Istanza di verificazione in appello —
Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 217, 324, 345).
No-n può proporsi per la prima volta in appello l'istanza di
verificazione della scrittura privata esibita in primo
grado e in quella sede debitamente disconosciuta dalla
parte contro cui è stata prodotta. (1)
La Corte, ecc. — Con il mezzo di ricorso il ricorrente
lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 214,
215, 216 e 345 cod. proc. civ., sostenendo che il Tribunale
sia incorso in errore nel ritenere preclusa in appello la
ìichiesta di verificazione della scrittura privata del 24
settembre 1948, sul presupposto che si trattasse di una
domanda nuova, quando avrebbe dovuto considerare la
richiesta stessa relativa ad un nuovo mezzo istruttorio, che, come tale, è ammissibile anche in appello.
La censura sopraesposta sottopone, quindi, all'esame
di questa Corte suprema la questione di diritto, risolta, come già detto, in senso negativo dalla denunciata sen
tenza, se cioè sia o non consentito proporre in appello, per la prima volta, l'istanza per la verificazione della privata scrittura acquisita al processo nel primo grado del giudizio e debitamente disconosciuta in quello stesso grado dalla
parte contro la quale è stata prodotta. Or giova rilevare preliminarmente che la questione
non è nuova nella giurisprudenza del Supremo collegio,
perchè essa, vigente l'attuale codice di rito, è stata esa
minata altre volte, con soluzioni, però, tra loro contrastant i.
(1) Gli immediati precedenti, nella giurisprudenza della
Corte suprema, son ricordati nel corso della motivazione : in
senso conforme Cass. 18 ottobre 1956, n. 3699, Foro it., Rep. 1956, voce Appello civ., n. 216 e voce Scrittura, nn. 36-38 ; App. Milano 9 ottobre 1951, id., Rep. 1951, voce Appello civ., n. 230 ;
Andrioli, Commento, II3, pag. 146, che pone come termine
preclusivo quello in cui l'istruttore, ai sensi dell'art. 209, dichiara
chiuse le prove. Contra Cass. 2 m&rzo 1957, n. 737, Foro it., Rep. 1957, voce Scrittura, n. 42 e 27 ottobre 1956, n. 3988, id., Rep. 1956, voce cit., n. 35 ; Denti, Verificazione di scrittura e giudizio
d'appello, in Riv. dir. proc., 1958, 106 (nota alle sentenze, n. 3988 e
n. 3699 del 1056, citate); La verificazione delle prove documentali, ! Torino, 1957, pag. 288 e segg.
Il Foro Italiano — Volume LXXXIII — Parte 1-72.
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1115 PARTE PRIMA 1116
Infatti, con le sentenze n. 3988 del 27 ottobre 1956
(Foro it., Rep. 1956, voce Scrittura, n. 35), n. 737 del 2 marzo
1957 (id., Rep. 1957, voce cit., n. 42), la questione è stata
decisa nel senso che l'istanza potesse proporsi in appello
per la prima volta, mentre con la sentenza n. 3699 del
18 ottobre 1956 (id., Rep. 1956, voce cit., nn. 36-38 e
voce Appello civ., n. 216), ossia di data anteriore alle altre
due, tale possibilità è stata negata. A sostegno della soluzione affermativa, nella prima delle
indicate sentenze, è detto che l'istanza di verificazione
non può considerarsi una domanda nuova con l'effetto
preclusivo di cui all'art. 345 cod. proc. civ., perchè il pro cedimento incidentale, diretto ad accertare l'autenticità
del documento facente parte del materiale probatorio del
giudizio principale, ha natura accessoria e scopi meramente
processuali, come quelli relativi alla genuinità e veridicità
delle prove, di guisa che l'istanza medesima non è una
domanda in senso tecnico, ma una deduzione probatoria in senso lato, come sarebbe dimostrato, anzitutto, dalla
collocazione, nel codice di rito, del paragrafo del riconosci
mento e della verificazione della scrittura privata, sotto la
rubrica dell'istruzione probatoria e, in secondo luogo, dalla
considerazione, anche nei confronti dell'art. 345, testo
modificato, che, nel caso di accoglimento della tesi con
traria, si renderebbe praticamente inutile produrre in
appello, per la prima volta, una scrittura privata, qualora al disconoscimento di essa non fosse opponibile, in quello stesso grado, la istanza di verificazione.
Nella seconda sentenza, è, più semplicemente, detto
che l'istanza di verificazione importa un procedimento
probatorio ed in appello ben possono dedursi nuove prove, ossia si è ravvisata, nell'istanza medesima, la richiesta
di un mezzo istruttorio, identificandola con il documento
cui essa si riferisce.
Una più approfondita indagine è stata compiuta dalla
terza sentenza, a fondamento della soluzione negativa del problema, attraverso la valutazione di esso, sotto un
duplice aspetto.
Quanto al primo aspetto, premesso che l'istanza per la verificazione di una scrittura privata disconosciuta o
non riconosciuta, quando sia proposta nel corso di un giudi zio principale, nel quale la scrittura stessa sia stata pro dotta come mezzo di prova della pretesa o dell'eccezione,
ha natura di lina domanda di accertamento incidentale
della autenticità del documento, sulla quale, all'esito del
procedimento relativo, che si inserisce nel giudizio princi
pale, si provvede con una pronuncia destinata a spiegare efficacia anche fuori dell'ambito di quest'ultimo giudizio,
soggetta ai normali mezzi di impugnazione propri delle
sentenze, tale da poter acquistare autorità di giudicato
formale, ai sensi dell'art. 324 cod. proc. civ. e, quindi, di
giudicato sostanziale, a norma dell'art. 2909 cod. civ.,
indipendentemente dalle sorti del giudizio principale, in cui
l'istanza è stata proposta, il che è confermato dal fatto che
questa può formare oggetto di un giudizio autonomo di
accertamento sulla verità del documento (onde la domanda
di verificazione che si inserisce in altro giudizio non può avere natura diversa da quella che le compete quando essa
sia stata proposta separatamente), la sentenza ha argo mentato da ciò che, come domanda di accertamento inci
dentale, ossia diversa da quella che forma oggetto del
giudizio principale, se ne deve normalmente escludere
l'ammissibilità all'udienza di precisazione delle conclu
sioni, in cui è solo permesso alle parti di apportare even
tuali modificazioni alle istanze e conclusioni già formulate
nel corso del giudizio (salvo il caso eccezionale che la
necessità di proporre l'istanza sorga nella detta udienza,
a causa della tardiva produzione del documento, e del
conseguente disconoscimento), ed egualmente nel giudizio di appello, in cui non sono consentite le domande nuove.
Quanto al secondo aspetto, considerato che la man
cata proposizione, in primo grado, dell'istanza di verifi
cazione di una scrittura privata disconosciuta equivale ad una dichiarazione di non intendere più di valersi della
scrittura medesima, la sentenza ne ha tratto l'impossibilità
giuridica di produrre nuovamente in appello un documento
ormai escluso dal materiale probatorio, in base al discono
scimento ed alla rinuncia di giovarsene come mezzo di
prova. Ciò posto, va subito detto clie quello fissato dalla
indicata sentenza è l'orientamento che appare più con
forme ai principi fondamentali in tema di accertamento
incidentale e di ius novorum in appello : principi dai quali, ovviamente, non può farsi astrazione per una corretta soluzione del problema.
Tralasciando la seconda delle decisioni suddette (n. 737 del 1957), il cui richiamo è stato semplicemente storico,
perchè essa si è limitata all'apodittica affermazione che
nell'istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta debba ravvisarsi la richiesta di un mezzo
istruttorio, la prima, invece, come già accennato, si è basata su due argomenti, e cioè la collocazione, nel codice di
rito, del paragrafo del riconoscimento e della verificazione
della scrittura privata sotto la sezione III (libro 2°, titolo 1°,
capo 2°), relativa alla istruzione probatoria e la inutiliz zabilità pratica del nuovo documento in appello, in con
trasto con il principio fondamentale dell'art. 345, capov., nel caso di una soluzione contraria a quella adottata.
Nè l'uno, nè l'altro argomento sono, però, puntuali,
per la decisione della questione : non il primo, ove si con
sideri che l'istanza di verificazione non cessa di essere una domanda autonoma di accertamento incidentale, anche se essa sia collegata funzionalmente all'utilizzazione
della scrittura come mezzo di prova nel giudizio princi pale, per cui, in relazione a questo effetto soltanto, trova
ragione la collocazione dell'istituto, nel codice di rito, sotto la rubrica dell'istruzione probatoria ; non il secondo, ove si tenga presente che il divieto delle domande nuove in appello, che comprende anche quello dell'accertamento
incidentale, data la natura della relativa domanda, subisce, necessariamente, un temperamento rispetto all'istanza di cui trattasi, tutte le volte che la scrittura venga prodotta e
disconosciuta in appello, essendo la verificazione funzio nalmente collegata all'utilizzazione del documento come mezzo di prova nel giudizio principale.
Infatti, la facoltà ormai riconosciuta, senza limita zioni di sorta, di produrre nuovi documenti in appello implica che, avvenuta la produzione della scrittura in
quella sede e seguitone il disconoscimento, possa, senz'altro, la parte, che intende giovarsene come mezzo di prova, chiedere la verificazione di essa, epperò, in questo caso, resta certo che è la produzione della scrittura in appello a giustificare, una volta che la stessa sia stata discono
sciuta, l'istanza di verificazione, che, naturalmente, non avrebbe potuto, almeno in via incidentale, proporsi prima. Diversa da questa ipotesi è, invece, quella nella quale il documento sia stato prodotto nel giudizio di primo grado e, nonostante il disconoscimento immediato, l'istanza, anziché in quella sede, sia stata proposta nel giudizio di
appello. In quest'ultimo caso, infatti, deve escludersi che
l'istanza di verificazione possa proporsi perchè, collegan dosi essa ad un incidente in un processo formalmente autonomo ed avente un oggetto diverso, il suo svolgimento non può avere luogo che nel grado del giudizio in cui si è verificato il fatto determinante, ossia il disconoscimento della scrittura privata.
Come domanda di accertamento incidentale dell'auten ticità della scrittura disconosciuta dall'altra paTte e che
deve, nondimeno, servire quale mezzo di prova nel giudizio principale, l'istanza involge, indubbiamente, una questione pregiudiziale rispetto all'oggetto di quest'ultimo giudizio, ma ciò non esclude che la verificazione sia una domanda diversa da quella del giudizio principale, tale da deter minare un procedimento ben caratterizzato dalla legge (secondo rilevasi dagli art. 217 e segg. cod. proc. civ.) anche se inserito in un altro giudizio, con gli effetti sostan ziali messi in risalto dalla sentenza precedente di questa Corte suprema (n. 3699 del 18 ottobre 1956), di cui sopra si è detto, nel richiamo fattone, senza che occorra ripeterne qui il contenuto.
Dei detti effetti va ribadito soltanto quello che, come
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1117 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1118
domanda diversa da quella che forma oggetto del giudizio principale, l'istanza in parola, se proposta per la prima volta nel giudizio di appello, costituisce domanda nuova.
Insieme con questa, altra ragione concorre, tuttavia,
per negare che l'istanza di verificazione possa proporsi in appello, quando la scrittura cui essa si riferisce è statr disconosciuta nel giudizio di primo grado, e la stessa neces
sariamente discende dalla impossibilità di produrre nuova mente in appello un documento ormai escluso dai mezzi di prova in seguito al disconoscimento ed alla mancata richiesta di verificazione in primo grado ; ciò in dipendenza dell'applicazione del principio costantemente affermato da
questa Suprema corte, secondo cui la facoltà dello ius novorum in appello non comprende la facoltà di richiedere l'ammissione di mezzi di prova già esauriti o, comunque, esclusi nel corso del giudizio di primo grado.
È noto che il disconoscimento della scrittura privata fa venir meno qualsiasi presunzione dell'autenticità del
documento, che, perciò, perde ogni efficacia probatoria e
che soltanto il procedimento di verificazione è idoneo ad
attribuire alla scrittura gli effetti che, normalmente, conse
guono dalla autenticazione o dal riconoscimento espresso o
presunto. Ne discende che, ove la parte, che intende valersi
della scrittura privata disconosciuta, abbia chiesto la verifi
cazione, si ha, nel caso, uno stato di sospensione della
efficacia probatoria del documento, efficacia che, invece, rimane definitivamente esclusa se l'istanza di verificazione
non viene proposta, in quanto il documento stesso non
può essere più utilizzato fra i mezzi di prova.
Dispone, infatti, il 1° comma dell'art. 216 cod. proc. civ. : « la parte che intende valersi della scrittura discono
sciuta deve chiederne la verificazione proponendo i mezzi
di prova, che ritiene utili, e producendo o indicando le
scritture che possono servire di comparazione». Ora una
corretta interpretazione del testo di legge conduce a rite
nere che la mancata proposizione dell'istanza di verifica
zione della scrittura privata disconosciuta equivale, per
presunzione di legge, ad una dichiarazione di non inten
dere di valersi della scrittura e, quindi, ad una rinuncia ad
avvalersene come mezzo di prova ; di qui l'ulteriore conse
guenza che la scrittura medesima non possa considerarsi
utilizzabile e, di fatto, non possa essere più utilizzata tra
i mezzi di prova in quel processo, tanto che, in mancanza della domanda di verificazione, il giudice non può tener
conto di essa, anche se l'autenticità del documento fosse
per avventura ricavabile aliunde.
In relazione alla detta situazione di cose, verificatasi
nel caso in esame, la sentenza impugnata rettamente ha
ritenuto che l'istanza di verificazione, omessa in primo
grado, non poteva essere più proposta in appello e, perciò, andava rigettata.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 19 maggio 1960, n. 1260 ; Pres. vaballo P., Est. Maio, P. M. Cutrupia (conci,
conf.) ; Pallotta (Avv. Volpi) c. Gli «n zi (Avv. Tosatti).
(Conferma App. Roma 16 aprile 1959)
Contratti ajjrari '— Affitto — Contratto non più in corso — Inammissibilità della proroga —
Fattispecie (L. 11 luglio 1952 n. 765, proroga delle
vigenti disposizioni in materia di contratti agrari, art. 1; 1. 28 marzo 1957 n. 244, norme in materia di proroga dei
contratti agrari, art. 1).
La proroga, disposta con la legge 28 marzo 1957 n. 244,
non si applica al contratto di affitto del fondo rustico,
nel possesso del quale il concedente, in forza di ordinanza
di convalida di licenza con riserva di eccezioni, si era
reimmesso prim,a della entrata in vigore della legge medesima. (1)
La Corte, ecc. — Il primo e il quinto motivo, per la loro logica connessione, vanno esaminati congiuntamente. Con essi si lamenta la violazione degli art-. 665. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione alle leggi 11 luglio 1952 n. 765, e 28 marzo 1957 n. 244.
Premessa e ribadita la eccezione di incompetenza del
Pretore, si censura l'impugnata sentenza per avere escluso clie l'ordinanza di rilascio potesse essere revocata dal Pre
tore, ovvero dalle Sezioni specializzate agrarie, indipen dentemente da ogni impugnativa, e per aver negato carat tere interpretativo alla legge n. 244 del 1957, ritenendo che
questa prendesse in considerazione solo situazioni di fatto
ancora esistenti e non pure rapporti di diritto in corso di accertamento.
Entrambe le censure si ravvisano infondate. Come è pacifico in causa, il contratto di affitto tra le
parti si svolse nel periodo intermedio tra le leggi testé
indicate, discutendosi solo circa il preciso inizio del rapporto (novembre 1954 o 1955) e della sua cessazione al 31 ottobre, ovvero al 31 dicembre 1956. Conseguentemente, non po teva applicarsi la legge di proroga n. 765 del 1952, poiché, come tante volte questo Supremo collegio ha precisato, essa riguardava soltanto quei contratti agrari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della legge stessa (fra le altre, la sent. n. 130 del 1957, Foro it., Rep. 1957, voce Contratti agrari, n. 525). Onde, legittimamente, il
Pretore di Albano Laziale, adito per la convalida, emise
l'ordinanza di rilascio, eseguita nel gennaio 1957, e cioè
quando la successiva legge di proroga (28 marzo 1957 n. 244) non esisteva ancora. Pubblicata questa, nel corso del giu dizio, di fronte alla deduzione del convenuto di volersi av valere della sopravvenuta proroga, il Pretore rimise le
parti davanti alla competente Sezione specializzata, la
(1) Come risulta dalla motivazione, il Pretore di Albano Laziale aveva convalidato la licenza per finito affitto con riserva di eccezioni, in adesione all'indirizzo giurisprudenziale, che la
proroga legale, consentita con la legge IT luglio 1952 n. 765, non fosse applicabile ai contratti stipulati successivamente al l'entrata in vigore di quella legge (Cass. 23 aprile 1955, Foro it., 1956, I, 1074, con nota di richiami e numerose altre citate nella nota redazionale in questa rivista, 1957, I, 1629) ; sulla base di tale ordinanza, il concedente si reimmetteva nel possesso del fondo ancor prima del 15 maggio 1957, data di entrata in vigore della legge 28 marzo 1957 n. 244, il cui art. 1 sancisce che la
proroga, consentita con la legge 11 luglio 1952 n. 765, si applica anche ai contratti successivamente stipulati. Di questa norma la
Cassazione, come si avvertiva nella citata nota redazionale alla sent. 12 giugno 1957, n. 2200, non faceva, nei primi tempi di
vigenza, applicazione insistendo nel precedente orientamento. È avvenuto che nella fase del processo, successiva alla ordi
nanza di convalida con riserva di eccezioni, svoltasi dapprima avanti il Pretore di Albano e poi avanti le Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d'appello di Roma, l'affittuario aveva chiesto la revoca della ordinanza, richiamando l'art. 1 della legge del 1957, il quale subordina l'applicazione della proroga legale alla duplice condizione che il contratto sia ancora in corso e che non sia stata pronunciata sentenza di rilascio passata in giudicato.
Con la sentenza riportata, la Cassazione esamina soltanto la prima condizione, di cui nega la sussistenza, perchè il conce dente si era già rcimmesso nel possesso del fondo prima della entrata in vigore della legge del 1957 : le sentenze 27 aprile 1951, n. 1026 delle Sezioni unite, pronunciata in tema di locazione d'immobili urbani (id., Rep. 1951, voce Locazione, n. 401) e 28 marzo 1958, n. 1074, pronunciata in tema di affitto di fondi rustici (id., Rtp. 1958, voce Contratti agrari, n. 182), citate nella
motivazione, si riferiscono f.lla ipotesi opposte di continuazione de facto del contratto scaduto, che può pur formare oggetto di
proroga legale. Sulla seconda condizione, che il Supremo collegio non ha
avuto necessità di esaminare, v., nel senso che la licenza, conva lidata con ordinanza non impugn?,bile, non sia da equiparare alla sentenza di condanna, passata in giudicato, di cui al citato ait. 1, Trib. Reggio Emilia 17 aprile 1958 (id., Rep. 1958, voce
cit., n. 35) ; Cass. 14 ottobre 1959, n. 2850 (id., Rep. 1959, voce
cit., n. 275 bis).
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