Sezione II civile; sentenza 24 marzo 1981, n. 1725; Pres. Iannuzzi, Est. Giardina, P. M. Ferraiuolo(concl. conf.); Fortini (Avv. Marucchi, Staccioli) c. Min. finanze e pubblica istruzione (Avv.dello Stato Baccari). Conferma App. Firenze 1° febbraio 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 6 (GIUGNO 1981), pp. 1581/1582-1585/1586Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173146 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La contrapposizione della species acqua « potabile » al genus acqua « pubblica » non è decisiva, perché la potabilizzazione dell'acqua pubblica, contrariamente a quel che sembra ritenere il ricorrente, non incide sulla qualità della cosa; acque pubbliche possono essere ab origine potabili, o diventare tali per effetto di un processo industriale, ma se a monte di quel processo il
prodotto è costituito da acque demaniali estratte dal sottosuolo suscettibili di usi pubblici di generale interesse la loro disposi zione a favore di terzi, a prescindere dal rilascio di un provve dimento concessivo, non è ammessa. Le acque demaniali ex art. 823 cod. civ. sono inalienabili e « non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che le riguardano ». Il paragone con l'aria utilizzata
per impianti di condizionamento è del tutto fuori luogo perché inficiato dalla confusione fra res communes omnium e res extra commercium.
Ed in verità la difesa del ricorrente, per sfuggire a questa obiezione, propone una qualificazione del contratto che lo svin coli dalla somministrazione di cosa, inquadrandolo fra le presta zioni di servizi, le cui componenti di costo espresse nel corri
spettivo sarebbero del tutto indipendenti dalla materia prima,
dall'acqua che interverrebbe nel processo produttivo come va lore zero.
Ma è agevole replicare da un lato che in questa sede di re
golamento della competenza prende decisivo rilievo la configu razione che il giudice ha dato al proprio compito, evidenzian
dolo in una relazione fra eccezione di nullità del contratto e
qualificazione dell'acqua come pubblica o privata. Ben si intende che questa relazione, se vale a radicare la
competenza sulla pregiudiziale del tribunale regionale, non com
promette la determinazione della incidenza che concretamente
la definizione della causa pregiudiziale viene ad assumere su
quella della causa principale, ma in questa sede basta constatare
che il tribunale hg ritenuto necessario un accertamento di de
manialità idrica perché scatti lo strumento della pegiudizialità e
si radichi la competenza del tribunale regionale.
Proprio perciò non appare necessario puntualizzare, sulla scia
delle precise notazioni del resistente, i concetti di oggetto del
contratto, di prestazione e di oggetto dell'obbligazione, essendo
sufficiente constatare che nella regolamentazione negoziale era
prevista non una indifferenziata fornitura d'acqua, ma di quel
l'acqua che il fornitore avebbe estratto dal sottosuolo di un ben
individuato fondo, sottoponendola quindi ai processi di pota bilizzazione, restando quindi certa in punto di fatto la relatio
fra l'attingere acque di dubbia natura pubblicistica e la
somministrazione di quelle stesse acque, congruamente depu
rate, ad ogni singola unità immobiliare, ed essendo del pari certo che soltanto un'indagine sulla natura giuridica di quel
l'acqua avrebbe permesso di vagliare la fondatezza dell'eccezione
di demanialità nonostante l'operata trasformazione industriale,
perché questa trasformazione appunto il fornitore, trattandosi
di acqua pubblica, non avrebbe potuto fare.
Ed ovviamente in questa prospettiva prende essenziale rilievo
solo la circostanza della eccepita demanialità e non la misura
di maggiore o minore fondatezza della eccezione concretamente
sollevata. Non importa, quindi, che non sia stata domandata la
decisione della questione di demanialità con efficacia di giudi cato. Al riguardo è sufficiente richiamare le posizioni su cui si
è ormai consolidata la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, mentre l'eventuale esorbitanza della prospettazione dell'eccezio
ne, nel senso di far ritenere demaniali tutte le acque, ben con
sentiva al giudice di ridimensionarla secondo l'esatta contrappo sizione di acque pubbliche ad acque private alla stregua di
quella linea di demarcazione che soltanto il tribunale regionale delle acque è chiamato a determinare. Resta quindi accantonato
il discorso sull'interpretazione degli art. 33 e 104 t. u., che por terebbe ad escludere secondo il ricorrente dall'ambito delle ac
que pubbliche, e quindi dal relativo regime concessorio, le ac
que sotterranee non ancora iscritte nei pubblici elenchi dopo il
loro rinvenimento.
Ed è appena il caso di rilevare che il problema della risolu
zione del contratto ha ragione di porsi solo ove ne sia stata
esclusa la nullità, collocandosi appunto su detto piano l'accerta
mento del carattere demaniale o meno delle acque. Deve riconfermarsi, pertanto, con riguardo alla situazione di
specie, che il regime delle acque demaniali, dalla captazione alla
derivazione, all'utilizzazione tocca interessi pubblicistici, riflet
tendosi sulla qualificazione dei negozi che le riguardano, indi
pendentemente dal trattamento che, in vista di un determinato
uso, esse abbiano a subire ed a prescindere dalla complessità della prestazione che non si esaurisce nella mera somministra
zione delle acque medesime. La circostanza, quindi, che si tratti
di acque potabili fornite per usi domestici, mediante predisposi
zione della rete di distribuzione, non vale di per sé a sottrarre le acque medesime al regime della pubblicità se saranno ritenute tali. La relativa qualificazione in termini di demanialità idrica o meno va effettuata con riguardo alla natura giuridica delle ac
que al momento della estrazione, ed a prescindere dalla sotto
posizione al processo di potabilizzazione.
Essendo certo che l'organizzazione riguardava pur sempre le
acque asseritamente demaniali, estratte dal sottosuolo, e sotto
poste al procedimento di purificazione, tale circostanza non può in alcun modo comportare il superamento e l'accantonamento della problematica della loro qualificazione e del conseguente regime giuridico.
Si chiedeva in causa un accertamento sulla demanialità delle
acque fornite al consorzio ed utilizzate dagli utenti; è stato rite nuto dal giudice comune che tale accertamento fosse necessario
per la decisione della lite, e poiché ad un accertamento siffatto
quel giudice non era abilitato, la conseguenza ineluttabile, alla
stregua del richiamato, e qui ribadito, orientamento giuris prudenziale, non può essere che quella di rinviare la causa pre giudiziale di demanialità idrica, attribuita, come tale, all'esclu
siva competenza del tribunale regionale delle acque, a quel giu dice.
Ed invero il diritto del ricorrente sulle acque da lui estratte dal sottosuolo si colloca diversamente a seconda che se ne ac certi l'attitudine o meno a soddisfare usi di pubblico interesse, e tale qualificazione si riflette necessariamente su qualsiasi ne
gozio giuridico che concerne una utilizzazione privata delle ac
que medesime.
Evidentemente il profilo di demanialità al livello di compe tenza a riconoscerla non può essere puramente e semplicemente
aggirato negando tale demanialità per la mancata inclusione ne
gli elenchi, giacché la questione del carattere costitutivo o di
chiarativo (giusta l'opinione dominante) dei suddetti elenchi si
risolve in un criterio della qualificazione, e dà luogo a problemi di competenza ad operare la qualificazione medesima, risolvibili
soltanto dal tribunale delle acque. Ed è appunto il giudice delle
acque (e non quello ordinario) che è chiamato a stabilire se
deteminate acque possono annoverarsi fra quelle pubbliche.
Se è indubbio che alla stregua del vigente testo unico la de
manialità idrica può riguardare anche le acque artificialmente
estratte dal sottosuolo, l'iscrizione di dette acque negli elenchi
costituisce logicamente un posterius dell'avvenuta estrazione e
quindi chi estrae e dispone non può sottrarsi al regime della
demanialità ove sussista l'attitudine delle acque estratte ad usi
di pubblico interesse, ed è perciò sterile il tentativo di escludere
per le acque estratte e non incluse in elenchi la configurabilità di problemi di demanialità con correlativa implicazione in or
dine alla competenza.
Nemmeno giova richiamarsi alla circostanza che si tratta di
risolvere il contratto e non di darvi esecuzione per negare la
rilevanza del carattere pubblico delle acque, dato che la risolu
zione incide su un contratto validamente stipulato, mentre l'ec
cezione di demanialità mira a fare dichiarare la nullità sostenuta
dal consorzio.
Infine la contrapposizione di un obbligo di fare ad un obbligo di dare si risolve nella ripresentazione, sotto altra angolazione, della tesi che nella specie non sarebbe affatto necessario un ac
certamento della demanialità idrica, sicché è sufficiente richia
mare in poposito le considerazioni che si sono venute svolgendo. 3. - In conclusione ritiene il collegio che l'istanza per regola
mento di competenza debba essere respinta, confermandosi la
pronuncia del Tribunale di Roma e riconoscendo la competenza del tribunale regional^ sulla qualificazione come demaniali ov
vero come private delle acque in questione. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 24 mar
zo 1981, n. 1725; Pres. Iannuzzi, Est. Giardina, P. M. Ter
raiuolo (conci, conf.); Fortini (Avv. Marucchi, Staccioli)
c. Min. finanze e pubblica istruzione (Avv. dello Stato Bacca
ri). Conferma App. Firenze 1° febbraio 1978.
Successione ereditaria — Eredità giacente — Decreto pretorile di liquidazione di compenso al professionista nominato dal cu
ratore — Natura giuridica (Cod. oiv., art. 529; cod. proc. civ., art. 782).
Il decreto con cui il pretore liquida il compenso al legale della
eredità giacente, officiato dal curatore, non ha natura giurisdi
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1583 PARTE PRIMA 1584
zionale e non è pertanto suscettibile di acquistare autorità di
giudicato. ( 1 )
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso del
15 maggio 1973 al presidente del Tribunale di Firenze l'avvocato
Luca Fortini Gobbo esponeva che a seguito del decesso del sig.
Ugo Bardini, avvenuto nel 1965, il Pretore di Firenze ne aveva
dichiarato la giacenza dell'eredità, nominando curatore l'avv.
Mario Gobbo, al quale veniva data facoltà di servirsi della col
laborazione dell'avv. Luca Fortini Gobbo quale consulente legale dell'eredità giacente.
L'eredità era stata accettata il 10 maggio 1971 dal governo ita
liano tramite il ministero delle finanze ed il pretore con suo de
creto 11 ottobre 1975 aveva liquidato all'avv. Luca Fortini Gob
bo per l'opera professionale svolta in favore dell'eredità il com
penso di lire 65.000.000, di cui lire 25.000.000 già percepiti, con
un residuo di lire 40.000.000. L'erede accettante sebbene avesse
riconosciuto il suo debito, attraverso i suoi organi, non aveva
provveduto a pagare. Il ricorrente chiedeva, perciò, che il presidente emettesse de
creto ingiuntivo a carico del ministero delle finanze e di quello della p. i. per la somma di lire 40.000.000.
Il presidente del tribunale accoglieva il ricorso con decreto
15 maggio 1973 ed il ministero delle finanze e quello della p. i.
proponevano opposizione con atto del 15 giugno 1973, deducen
do: mancanza di prova scritta, difetto di legittimazione passiva del ministero della p. i., insussistenza dell'obbligo di pagamento a carico dell'erede, incombendo tale obbligo al curatore dell'ere
dità giacente di cui il professionista era stato un ausiliario. Si
deduceva, inoltre, l'inesistenza del provvedimento pretorile di li
quidazione e si eccepiva che il curatore non aveva reso il conto
della gestione. In ipotesi si chiedeva determinarsi il compenso spettante all'avv.
Fortini Gobbo in relazione all'incarico affidatogli. Il Tribunale di Firenze con sentenza 26 marzo 1976, in par
ziale accoglimento dell'opposizione, revocava il decreto ingiun
tivo, condannava il ministero delle finanze a pagare all'avv.
Fortini Gobbo la somma di lire 2.840.120 oltre gli interessi legali
dal 15 maggio 1973 nonché metà delle spese di opposizione. Ri
teneva il difetto di legittimazione passiva del ministero della p. i.
compensando le spese nei suoi confronti.
L'avv. Fortini Gobbo proponeva appello sostenendo che il tri
bunale aveva errato partendo dalla premessa che il decreto pre
torile dell'I 1 ottobre 1971 fosse un provvedimento di natura am
ministrativa e non giurisdizionale e come tale inefficace ed inop
ponibile all'erede, mentre invece il decreto era decisorio e aveva
natura giurisdizionale, per cui, non essendo stato impugnato nei
termini di cui all'art. 377 cod. proc. civ., era divenuto incontesta
bile perché passato in cosa giudicata. In ipotesi si deducev# che
il tribunale aveva male applicato le tariffe vigenti, riducendo le
somme richieste nelle notule depositate in causa.
Le amministrazioni delle finanze e della p. i. proponevano ap
pello incidentale sulla pronuncia relativa alle spese.
(1) Sul principio che nei procedimenti di giurisdizione volontaria si configura un potere dell'organo competente di emettere provvedi menti a carattere decisorio nell'ipotesi della liquidazione dei com
pensi spettanti alle persone nominate come titolari di uffici privati (principio che la sentenza che si riporta ha ritenuto non poter essere esteso agli ausiliari — tra cui l'avvocato che ha prestato la propria opera a favore della eredità giacente — che abbiano erogato atti vità a favore dell'ufficio), cfr. Cass., Sez. un., 18 settembre 1970, n. 1581, Foro it., 1970, I, 3093, con nota di richiami, e in Moti, trib., 1971, 389, con nota di Pajardi (Scelta definitiva della Suprema corte in tema di impugnazione di provvedimenti liquidatori in camera di
consiglio), che ha ritenuto il provvedimento del pretore, liquidante il compenso al curatore dell'eredità giacente, dotato di carattere deci sorio ed impugnabile soltanto con il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost.
Il curatore dell'eredità giacente, il quale intenda ricorrere ex art. Ill Cost, contro la liquidazione del compenso effettuato dal pretore per l'attività da lui svolta, deve chiedere la nomina di un curatore speciale all'eredità giacente ai sensi degli art. 78, 79, 80 cod. proc. civ. per la instaurazione di un valido contraddittorio, donde l'inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione da lui eseguita nei propri confronti quale rappresentante dell'eredità: v. Cass. 7 luglio 1976, n. 2541, Foro it., Rep. 1976, voce Procedimento civ., n. 29.
Va segnalata poi Cass. 4 marzo 1977, n. 885, id., Rep. 1977, voce Camera di consiglio, n. 3, secondo cui il principio del contraddit torio deve essere osservato anche nei procedimenti di volontaria giu risdizione tutte le volte in cui sia identificabile un controinteressato, che va pertanto sentito prima della emanazione del provvedimento.
Sulla natura dell'eredità giacente e sugli obblighi e sui poteri del curatore, v. Miccoli, Eredità giacente, voce dell 'Enciclopedia del di ritto, XV, 214 seg.
La Corte d'appello di Firenze con sentenza 1° febbraio 1978 re
spingeva l'appello principale dell'avv. Fortini Gobbo, e modifi
cava la pronuncia sulle spese nel senso che dichiarava intera
mente compensate le spese del primo grado tra l'avv. Fortini Gob
bo e l'amministrazione finanziaria, mentre condannava l'appel lante al pagamento delle spese sostenute in primo grado dal
ministero della p. i.
La corte di Firenze, richiamandosi ai principi posti in luce
dalla sentenza delle sezioni unite della Cassazione 18 settembre
1970, n. 1581 (Foro it., 1970, I, 3093), ha rilevato come l'inter
vento del pretore nella nomina e nella vigilanza della gestione del curatore dell'eredità giacente è tipica ipotesi di volontaria giu risdizione da assimilarsi ad attività amministrativa e, perciò, i
provvedimenti del pretore, in questo campo, non possono assu mere carattere di decisioni giurisdizionali, ad eccezione del prov vedimento con cui liquida il compenso al curatore dell'eredità
giacente, in virtù del principio generale del nostro ordinamento secondo cui la competenza a liquidare i compensi ai titolari di uffici privati spetta allo stesso giudice che li ha nominati.
In tal caso, infatti, il provvedimento è diretto a dirimere l'even tuale conflitto di interessi tra la persona titolare dell'ufficio pri vato (nel caso curatore) e coloro che sono tenuti a corrispondere il relativo compenso, ed a garantire, con attività sostitutiva delle
parti interessate, l'attuazione delle norme che disciplinano le ta
riffe in materia.
Ha negato, però, la corte fiorentina che il pretore potesse allo
stesso modo liquidare compensi all'avv. Fortini-Gobbo nella sua
veste di legale dell'eredità giacente, quale semplice professionista che aveva prestato la sua opera a favore dell'eredità, con riferi mento ad una notula, nella quale, tra l'altro, era compresa atti
vità svolta anteriormente alla nomina del curatore.
L'autorizzazione data al curatore, che ne fece richiesta, ad av
valersi dell'opera dell'avv. Fortini Gobbo per la soluzione dei
complessi problemi giuridici attinenti alla successione non può confondersi — afferma la corte di Firenze — né tanto meno
qualificarsi come nomina da parte del pretore di un soggetto con titolare dell'ufficio privato di curatore dell'eredità giacente e, nel caso esaminato, fu il curatore dell'eredità giacente a scegliere l'avv. Fortini Gobbo per lo svolgimento delle pratiche legali, per cui il diritto al compenso di questo legale doveva essere accer tato e quantificato tramite le normali procedure contenziose di accertamento svolte nei confronti degli interessati e non certo tramite il decreto del pretore le cui funzioni si svolgono con carattere amministrativo, nell'ambito della volontaria giurisdi zione.
Poiché il pretore difettava assolutamente di competenza giu risdizionale nel liquidare il compenso all'avv. Fortini Gobbo, il decreto di liquidazione era illegittimo ed insuscettibile di acqui stare autorità di giudicato.
La illegittimità di quel decreto non poteva vincolare il tribu nale che, con meticolosità e scrupolo, esattamente procedette al l'accertamento dei compensi dovuti all'avv. Fortini Gobbo da
parte dell'erede che ha accettato l'eredità. Ricorre per la cassazione della sentenza l'avv. Fortini Gobbo
con unico motivo. Resistono con controricorso l'amministrazione delle finanze dello Stato e l'amministrazione della pubblica istru zione.
Motivi della decisione. — Con unico motivo il ricorrente de nuncia la violazione degli art. Ill Cost., 2909 cod. civ., 324 cod.
proc. civ. e deduce che la corte del merito ha errato nel negare natura giurisdizionale al decreto del pretore di liquidazione del
compenso dovuto al legale della curatela dell'eredità giacente no minato dal curatore su autorizzazione del pretore.
Sostiene che la natura giurisdizionale del decreto di liquida zione in argomento deriva dal. suo contenuto decisorio, essendo il provvedimento volto a dirimere il conflitto di interessi, tra chi, nominato dal pretore, ha svolto un'opera da compensare, e chi deve corrispondere il compenso.
Soggiunge il ricorrente che è stata attribuita natura giurisdi zionale a provvedimenti simili, proprio per le cennate caratteri
stiche, da Cass., Sez. un., 18 settembre 1970, n. 1581, cit., e da Cass. 7 luglio 1976, n. 2541 (id., Rep. 1976, voce Procedimento
civ., n. 29). Conclude il ricorrente affermando che, in dipendenza della
giurisdizionalità del decreto del pretore e della sua decisorietà ed in difetto della previsione di alcuna forma di impugnazione del provvedimento, unico possibile rimedio da sperimentare con tro di esso sarebbe stato il ricorso per cassazione previsto dal l'art. Ill Cost., e poiché non si fece ricorso a tale rimedio nel termine decadenziale di sessanta giorni dal deposito in cancelleria dèi provvedimento, questo è passato in cosa giudicata, con la
conseguente inammissibilità di ogni altro accertamento volto a
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
modificare la misura del compenso stabilito dal decreto pre torile.
Il motivo deve disattendersi. L'equivoco sul quale è incentra
to il motivo del ricorso deriva dall'erroneo presupposto secondo
il quale il decreto del pretore che liquida il compenso al cura
tore dell'eredità giacente, da lui nominato, equivalga, quanto alla sua natura ed ai suoi effetti, ad un provvedimento pretorile di liquidazione di un compenso ad un procuratore legale, nomi
nato dal curatore della stessa eredità, sia pure su autorizzazione
del pretore, per la soluzione di problemi giuridici. Il provvedimento con il quale l'organo giurisdizionale compe
tente liquida, nei procedimenti di volontaria giurisdizione, le
competenze spettanti alle persone nominate titolari di uffici pri vati con funzioni di amministrazione e tutelari, trova il suo fon
damento nel principio generale del nostro ordinamento giuri dico secondo il quale la competenza a liquidare i compensi ai
titolari di quegli uffici spetta allo stesso giudice che li ha nomi
nati, e ciò in virtù del rapporto diretto che, nei procedimenti di
volontaria giurisdizione, si istituisce tra l'organo giurisdizionale
competente ed il titolare dell'ufficio privato da lui nominato.
Tale provvedimento « dovuto » nell'ambito delle proprie attri
buzione dal giudice che ha nominato il titolare dell'ufficio priva
to, proprio in virtù del rapporto diretto che insorge tra l'organo che ha proceduto alla nomina ed il titolare dell'ufficio stesso,
è, dunque, conforme ai principi dell'ordinamento giuridico, e,
sebbene collegato ad un procedimento di volontaria giurisdizio
ne, non ha la stessa natura amministrativa del procedimento
stesso, ma ha natura giurisdizionale essendo diretto a regolare e dirimere eventuali conflitti di interessi tra la persona titolare
dell'ufficio privato e coloro che sono tenuti a corrispondere il re
lativo compenso. Dalla circostanza, poi, che contro il provvedimento cosi dato
non è previsto uno specifico mezzo di impugnazione, ed in con
siderazione della sua natura giurisdizionale decisoria, esso acqui sta autorità di cosa giudicata formale e sostanziale se nel ter
mine di sessanta giorni non venga esperimentato il rimedio del
ricorso per cassazione, per violazione di legge, consentito dal
l'art. Ill Cost.
Situazione del tutto diversa è, invece, quella che propone il
caso in esame nel quale nessun rapporto esiste tra l'organo giu
diziario che ha nominato il curatore dell'eredità giacente ed il
professionista che fu scelto e nominato dal curatore stesso come
legale per la soluzione di problemi giuridici relativi alla curatela.
Il professionista che, scelto dal curatore, ha prestato la sua
opera in favore della curatela, non è, infatti, titolare o contito
lare dell'ufficio privato di curatore, sicché, in assenza di ogni
rapporto con l'organo giurisdizionale che presiede al procedi
mento di volontaria giurisdizione, egli, se vuole procurarsi un
« titolo » per essere compensato dell'opera svolta, non può prov
vedersi che attraverso la normale procedura contenziosa di ac
certamento e di condanna, svolta nel contraddittorio (anticipato
e posticipato) dalle parti interessate.
È, perciò, palese che il decreto pretorile che liquidi al di fuo
ri di ogni procedimento contenzioso tipico un compenso al le
gale di un'eredità giacente, nominato dal curatore, non è con
forme a nessuno degli schemi di atti giurisdizionali previsti dal
l'ordinamento giuridico, con la conseguenza che esso è insussi
stente come atto giurisdizionale e non è, perciò, suscettibile di
acquistare in alcun modo autorità di giudicato. Il ricorso deve, per ciò, rigettarsi. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 21
marzo 1981, n. 1656; Pres. Cusani, Est. Schermi, P. M. Nicita
(conci, diff.); Soc. immob. S. Rita alla Barona <Aw. G.
Morelli, Belardinelli) c. Soc. Rettagliata (Avv. Manzillo, A.
Bernardini). Cassa App. Milano 3 ottobre 1978.
Obbligazioni in genere — Colpa lieve — Clausola di esonero da
responsabilità — Onere della prova (Cod. civ., art. 1218, 1229).
Il debitore, per valersi della clausola di esonero da responsabilità
per inadempimento, ha l'onere di provare le modalità e le
circostanze della sua azione od omissione tali da integrare gli
estremi della colpa lieve. (1)
(1) Il decisum espresso in massima è stato ricavato, in mancanza di
previsione espressa in materia di clausole di esonero da responsabilità
(art. 1229 cod. civ.), dalla regola generale ex art. 1218 cod. civ. per
cui spetta al debitore, che sia convenuto per il risarcimento dei danni
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il 27 settembre 1973 la s.r.l. immobiliare Santa Rita alla Barona esponeva: che con contratto in data 15 luglio 1968 essa attrice aveva affidato la gestione e la manutenzione
dell'impianto di riscaldamento dello stabile di sua proprietà sito in Milano, via Ettore Ponti n. 54, alla s.p.a. Antonio Rettagliata, la quale aveva provveduto all'esecuzione dell'impianto stesso; che I'll novembre 1970, dopo che il personale della s.p.a. Rettagliata aveva provveduto all'accensione della caldaia dell'impianto di
riscaldamento, si era verificato uno scoppio, il quale aveva provo cato ingenti danni alla canna fumaria e ad altre parti dell'immo
bile nonché un incendio nel locale caldaia; che, fatta denuncia alle società assicuratrici delle due parti, i periti nominati secondo
contratto avevano concordemente accertato che lo scoppio si era
verificato perché un tecnico della s.p.a. Rettagliata, tolto l'ugello per la polverizzazione, aveva messo in funzione il bruciatore in
presa diretta, recandosi poi al magazzino per prelevare altro
ugello; che il danno ammontava a lire 3.940.868, dalle quali andavano dedotte lire 881.600 pagate dalla società assicuratrice della s.p.a. Rettagliata. Premesso ciò, conveniva davanti al Tribu
nale di Milano la s.p.a. Rettagliata chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in lire 3.059.268, o in quel l'altra maggiore o minore somma che si fosse ritenuta dovuta.
La convenuta, costituitasi, contestava la fondatezza della pro posta domanda, della quale chiedeva il rigetto: deduceva che il
non interrotto funzionamento dell'impianto durante l'operazione di sostituzione dell'ugello non avrebbe determinato alcun incon
veniente se il bruciatore fosse stato perfettamente funzionante e
avesse provocato il blocco dell'impianto allorquando, mancata
l'accensione che aveva consentito la fuoriuscita incombusta del
gasolio, avesse impedito una successiva accensione, e deduceva
che, per l'art. 4 del contratto, essa non era tenuta a rispondere dei guasti e deficienze dell'impianto che si fossero verificati
all'inizio e durante il servizio di manutenzione.
Eseguita consulenza tecnica, l'adito tribunale con sentenza 24
gennaio 1977 condannava la s.p.a. Antonio Rettagliata a risarcire
alla s.r.l. immob. Santa Rita alla Barona i danni che liquidava nella somma di lire 2.597.670, rivalutata nella misura del 90 % e
con gli interessi legali dalla data degli esborsi, nonché a rimborsa
re alla stessa le spese del giudizio. La s.p.a. Antonio Rettagliata proponeva appello. La soc. r. 1.
immob. Santa Rita alla Barona proponeva appello incidentale.
La Corte d'appello di Milano con sentenza 3 ottobre 1978, in
totale riforma dell'impugnata pronuncia, rigettava la domanda
proposta dalla s.r.l. immob. Santa Rita alla Barona, che condan
nava a rimborsare alla s.p.a. Antonio Rettagliata le spese dei due
gradi del giudizio.
per inadempimento, provare che la prestazione è mancata per impossi bilità dovuta a causa a lui non imputabile. Nella specie, la società
appaltatrice di un impianto di riscaldamento, nel contratto con cui assumeva la gestione e la manutenzione dell'opera istallata, aveva
pattuito l'esonero da responsabilità per « i guasti e le deficienze che si fossero verificati all'inizio e durante il servizio di manutenzione ». La corte ha sancito la non operatività automatica della clausola suddetta e la necessità della prova liberatoria da parte della società addetta alla
gestione dell'impianto. Il collegio ha anche affermato che, quantun que la formulazione delle clausole di esonero da responsabilità possa essere (come nel caso concreto) la più lata, la loro portata si restringe ope legis alla responsabilità derivante da un comportamento del de bitore che ha i caratteri della colpa lieve (art. ex art. 1229).
In giurisprudenza, v. in senso conforme Trib. Palermo 27 ottobre
1978, Foro it., Rep. 1979, voce Obbligazioni in genere, n. 29 (in extenso, in Vita not., 1979, 649) secondo cui le clausole contrattuali di esclusione e di limitazione della responsabilità per colpa, influendo unicamente sulla liquidazione del danno, non importano alcuna deroga al principio regolatore dell'onere della prova in tema di responsabilità contrattuale. Resta fermo, cioè, che al debitore (a meno che non ci sia
espressa pattuizione) incomberà provare la sua mancanza di colpa grave; nonché Cass. 29 marzo 1952, n. 865, Foro it., Rep. 1952, voce
Trasporto (contratto di), n. 76. La giurisprudenza non ha dubbi nel presumere la colpevolezza del
debitore inadempiente, ritenendo sufficiente a fondare la pretesa del creditore-attore la dimostrazione che la prestazione è mancata o è stata inesattamente eseguita (Cass. 21 febbraio 1978, n. 841, id., Rep. 1978, voce Obbligazioni in genere, n. 37; 21 febbraio 1975, n. 667, id.. Rep. 1975, voce cit., n. 42; 6 dicembre 1974, n. 4029, id., Rep. 1974, voce cit., n. 28; 22 febbraio 1974, n. 515, ibid., n. 30).
In dottrina, esplicitamente a favore della scelta operata dalla corte, cfr. per tutti Bianca, Inadempimento delle obbligazioni2, in Commenta
rio, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, 481, il quale ammette l'onere probatorio a carico del creditore « solo in quanto la
prestazione ricada nella sua sfera di controllo, e renda quindi concre tamente possibile accertare l'eventuale colpa del debitore o dei suoi ausiliari ». L'a. sostiene, inoltre, che addossare al creditore la « prova specifica » della colpa non lieve significherebbe concretamente esonerare il debitore dalla responsabilità per inadempimento.
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