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Sezione II civile; sentenza 24 novembre 1983, n. 7047; Pres. Carotenuto, Rel. Sammartino, Est....

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Sezione II civile; sentenza 24 novembre 1983, n. 7047; Pres. Carotenuto, Rel. Sammartino, Est. Pierantoni, P. M. Corasaniti (concl. parz. diff.); Bertoni (Avv. Manzi, Boccini) c. Michelotti e altri (Avv. Mesiano, Cutini); Romano (Avv. Bernardini) c. Michelotti e altri. Conferma App. Firenze 20 agosto 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 69/70-75/76 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175934 . Accessed: 28/06/2014 16:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 16:21:28 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 24 novembre 1983, n. 7047; Pres. Carotenuto, Rel. Sammartino, Est.Pierantoni, P. M. Corasaniti (concl. parz. diff.); Bertoni (Avv. Manzi, Boccini) c. Michelotti ealtri (Avv. Mesiano, Cutini); Romano (Avv. Bernardini) c. Michelotti e altri. Conferma App.Firenze 20 agosto 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 69/70-75/76Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175934 .

Accessed: 28/06/2014 16:21

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

art. 2, n. 21, 3, n. 9, 4, n. 2). Interpretazione che, d'altra parte, è

pervenuta a un risultato sicuramente erroneo (anche se la conclu

sione era obbligata, una volta che si era partiti da quella

premessa), allorché ha ritenuto di individuare nella disposizione contenuta nel 2° comma dell'art. 77 d.p.r. n. 597 del 1973 la

norma che il legislatore avrebbe dettato per sottoporre a tassazio ne le royalties corrisposte a un'impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione.

Tale norma (compresa nel titolo VI, ohe disciplina i « redditi

diversi »), correlata al disposto dell'art. 19 dello stesso decreto, stabilisce (per quanto interessa) che si considerano prodotti in

Italia i redditi derivanti da « concessione ili uso di beni mobi li »; e la citata sentenza di questa corte, dopo avere rilevato che « beni mobili » sono anche i « beni immateriali » (di modo che in tale previsione era ricompresa anche la fattispecie del reddito derivante dalla concessione in uso di brevetti, invenzioni indu

striali e simili), ha ritenuto che proprio questa era la disposizione che consentiva la tassabilità delle royalties, anche se corrisposta a

un'impresa commerciale straniera (non avente stabile organizza zione in Italia), poiché la previsione non aveva fatto riferimento a quella « occasionalità » di produzione del reddito che, invece, era menzionata nella « rubrica » e, sicuramente, presupposta dal 1° comma.

In definitiva, quindi, la sentenza in esame — che oggi viene invocata dall'amministrazione finanziaria — ha affermato che il

legislatore del 1973 aveva espressamente previsto, nel 2° comma dell'art. 77 predetto, la fattispecie delle royalties corrisposte a

un'impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile

organizzazione. Una siffatta conclusione, però, non ha tenuto conto, fra l'altro,

che la 1. del 1980 (che, peraltro, era già stata pubblicata quando la detta sentenza fu pronunciata), allorché ha aggiunto all'art. 19

d.p.r. n. 597 del 1973 l'espressa disposizione che considera

prodotti in Italia (ai fini dell'applicazione dell'imposta nei con fronti dei non residenti) i compensi corrisposti, a soggetti non

residenti, per l'utilizzazione di marchi di fabbrica e di commer

cio, di opere dell'ingegno e simili, ha ritenuto — evidentemente non a caso — di comprendere nella (nuova) previsione anche i

compensi « per l'uso di veicoli, macchine e altri beni mobili ». Ha ritenuto, cioè, che quei compensi di analoga natura erano

stati, dal legislatore del 1973, considerati solo in quanto prodotti « occasionalmente », cosi come, del resto, chiaramente lasciava intendere la « rubrica ».

Ora è vero che la « precedente » legge non deve essere

interpretata in base al disposto di una legge successiva non avente un dichiarato carattere interpretativo. Ma non può, certo, essere trascurato il rilievo che, dopo l'innovazione {che sempli cemente sottrae al regime stabilito per i redditi d'impresa le

royalties corrisposte a imprese staniere non aventi in Italia una stabile organizzazione e, altresì, i redditi derivanti da uso di beni

mobili), la disposizione contenuta nel 2° comma del citato art. 77 deve sicuramente essere letta in conformità alla « rubrica », cioè come norma disciplinante il regime dei « redditi diversi » derivan ti da un'attività (« concessione di beni mobili ») esercitata in modo occasionale. E poiché la « nuova » legge ha, semplicemente, modificato in parte il regime dei « redditi d'impresa », ma non

ha, affatto, innovato in relazione a quei particolari redditi « di versi », non si vede proprio perché la detta norma non dovrebbe essere letta in conformità alla rubrica, anche nell'ambito del « precedente » sistema. In sostanza, se oggi la norma predetta va sicuramente intesa come disciplinante i redditi occasionalmente

prodotti, non si vede perché in tal modo non dovrebbe essere intesa anche per il passato, se la stessa non ha mai subito modificazione alcuna.

Meno ancora, poi, potrebbe ritenersi che il legislatore del 1973 avesse previsto la tassabilità delle royalties in questione (cioè quel le corrisposte a un'impresa commerciale straniera non avente stabile

organizzazione in Italia) nell'art. 80 d.p.r. n. 597 del 1973. Tale

norma, compresa sempre nel titolo VI, concernente sempre i « redditi diversi » e rubricata come « altri redditi », dispone che « alla formazione del reddito complessivo, per il periodo d'impo sta e nella misura in cui è stato percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalla disposi zioni del presente decreto ». E poiché, in tale decreto, i redditi « derivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere dell'inge gno, invenzioni industriali e simili » erano già espressamente considerati, sia (con quella stessa denominazione) come redditi di lavoro autonomo, sia (con la denominazione di « prestazioni di servizi a terzi ») come redditi d'impresa, non si vede, proprio, come gli stessi potrebbero, ancora, ritenersi contemplati in quella previsione di chiusura che ha riguardo, unicamente, ai redditi « non espressamente considerati ».

L'amministrazione finanziaria non si acquieta, però, a una tale

interpretazione del complesso normativo e propone di considerare

che, anche ritenendo le royalties in questione come una compo nente del « reddito d'impresa », non sussisterebbero ostacoli a

ritenere che per le stesse sia stato previsto un regime diverso da

quello previsto per il « reddito d'impresa » (nel suo complesso). Propone, cioè, di accertare se, in relazione ai redditi predetti,

quando sono conseguiti da un'impresa commerciale straniera non avente una stabile organizzazione in Italia, sia possibile scorgere una volontà del legislatore di derogare, in parte alla regola generale della intassabilità.

Il problema giuridico, quindi, è quello di stabilire se il reddito

d'impresa, che normalmente viene considerato in modo unitario, ai fini dell'imponibilità, possa essere scisso nelle sue componenti, perché possa essere considerata tassabile quella di esse che è sicuramente prodotta in Italia.

In linea di principio, detto problema postula certamente una

risposta affermativa. Tale risposta, nel campo della norma positi va, viene proprio dal disposto della « nuova legge » (il citato

d.p.r. n. 897 del 1980), il quale, non rinnegando affatto la regola che anche nel caso di un'impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile organizzazione, le royalties costitui scono una componente del « reddito d'impresa », ne stabilisce, tuttavia, la tassabilità. La nuova legge, cioè, non ha affatto innovato né in ordine alle regole che definiscono il « reddito

d'impresa », né in ordine al principio dell'intassabilità del predet to « reddito d'impresa » quando lo stesso sia conseguito da

un'impresa commerciale straniera non avente in Italia una stabile

organizzazione; ma ha, tuttavia, stabilito che quella particolare componente del reddito (appunto, le royalties), in quanto prodot ta in Italia, sia tributariamente considerate in modo diverso e, quindi, sottoposta a tassazione.

Ma la soluzione in positivo del detto problema non giova, in

concreto, alla tesi di fondo dell'amministrazione, poiché nessuna norma, nel sistema del 1973, lascia presumere che quel legislatore avesse inteso operare la detta scissione delle componenti del « reddito d'impresa »: certo, non le norme contenute negli art. 77 e 80 d.p.r. n. 597 del 1973, come si è visto, né tantomeno la

disposizione contenuta nell'art. 25 dello stesso decreto che, essen do una norma « procedurale », non può trovare applicazione laddove manchi la norma sostanziale impositiva.

La conclusione è che la 1. del 1973 ha considerato le royalties corrisposte a un'impresa commerciale puramente e semplicemente come « reddito d'impresa »; e, se non ha espresamente disposto la tassazione delle stesse royalties corrisposte ad un'impresa com merciale straniera non avente una stabile organizzazione in Italia, ciò ha fatto perché non ha ritenuto di operare, nell'ambito del « reddito d'impresa », quella « scissione » che ha, invece, informa to la successiva 1. del 1980.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 24 no vembre 1983, n. 7047; Pres. Carotenuto, Rei. Sammartino, Est. Pierantoni, P. M. Corasaniti (conci. parz. diff.); Ber toni (Aw. Manzi, Boccini) c. Michelotti e altri (Aw. Me

siano, Cutini); Romano (Aw. Bernardini) c. Michelotti e altri. Conferma App. Firenze 20 agosto 1981.

Contratto in genere — Oggetto — Determinazione « per relatio nem » — Riferimento alla planimetria allegata al contratto

(Cod. civ., art. 1346, 1418). Contratto in genere — Contratto preliminare avente ad oggetto

diritti reali immobiliari — Contratto risolutorio — Forma scritta — Necessità (Cod. civ., art. 1350, 1351, 1372).

L'oggetto del contratto preliminare di vendita immobiliare è

sufficientemente determinato per relationem ove le parti abbia no fatto a tal fine esclusivo riferimento alla planimetria allega ta al contratto, ancorché da esse non sottoscritta. (1)

(1) In senso conforme Cass. 27 giugno 1980, n. 4037, Foro it., Rep. 1981, voce Contratto in genere, n. 129. V., anche, Cass. 13 dicembre 1978, n. 5931, id., Rep. 1978, voce cit., n. 104; 4 luglio 1975, n. 2604, id., Rep. 1975, voce cit., n. 138; per una conferma a contrario di tale orientamento diffuso, che potrebbe definirsi conservativo del contratto, Cass. 11 marzo 1981, n. 1385, id., Rep. 1981, voce Vendita, n. 115 (con l'avvertenza che in tema di determinazione dell'oggetto della vendita immobiliare il problema si pone in termini non tanto di sufficiente o insufficiente determinazione quanto di prevalenza di talune forme di identificazione dell'immobile rispetto ad altre). Con particola re riguardo alla fattispecie cfr. Trib. Bari 7 giugno 1975, id., Rep.

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PARTE PRIMA

Il contratto risolutorio del preliminare avente ad oggetto il

trasferimento, la costituzione o l'estinzione di diritti reali im

mobiliari richiede la forma scritta a pena di nullità. (2)

Svolgimento del processo. — Con citazione notificata in data

22 febbraio 1974, trascritta il 25 febbraio successivo, Franco

Parascosso, Rio Michelotti e Fabio Colussi convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Grosseto Maria Antonietta Romano e,

premesso che quest'ultima aveva loro promesso di vendere, con

scrittura privata 11 luglio 1964, un appezzamento di terreno sito

in agro di Castiglione della Pescaia, distinto nel NCT alla partita 2679, fogli 102 e 103, della superficie di mq. 2.600 circa,

compreso nel piano regolatore generale comunale, per il prezzo

pattuito di lire 2.500 al mq. e quindi per complessive lire

6.500.000, pagate contestualmente alla firma del preliminare e che

la Romano non aveva mai acconsentito a stipulare il contratto

definitivo di vendita, chiesero che ai sensi dell'art. 2932 c.c.

venisse ordinato il trasferimento del terreno in loro favore.

La Romano, costituitasi, contestò la domanda eccependo che il

1976, voce Contratto in genere, n. 131, a cui dire la mancata

sottoscrizione di una planimetria allegata ad un contratto non trasmette

l'invalidità a questo, ove le disposizioni contrattuali consentono da

sole di stabilire la reale completa volontà delle parti.

Sui problemi relativi alla determinazione dell'oggetto del contratto

v., per una prima ricognizione, Distaso, I contratti in generale, in

Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da Bigiavi,

1980, li, 913 ss.; più in particolare, Roppo, Sugli usi giudiziali della

categoria « indeterminatezza/indeterminabilità dell'oggetto del contrat

to » e su una sua recente applicazione a tutela di « contraenti deboli »,

in Giur. it., 1978, I, 2, 146; nonché Alpa, Indeterminabilità dell'ogget to del contratto, giudizio di nullità e principio di buona fede, id.,

1977, I, 1, 698.

(2) La tormentata questione — per adottare un'espressione testuale

della decisione qui riportata — relativa alla forma del contratto risolu

torio del preliminare avente ad oggetto diritti reali immobiliari non

sembra aver ancora trovato una sistemazione definitiva in giurispru denza. (Per la tesi più rigorosa, quella sostenuta dall'odierna pronuncia, v. Cass. 28 gennaio 1976, n. 267, Foro it., Rep. 1976, voce Contratto

in genere, n. 144; 7 marzo 1967, n. 527, id., Rep. 1967, voce cit., n.

237; 27 aprile 1961, n. 945, id., 1961, I, 1256, con nota di richiami.

Nel senso opposto, per la libertà formale della convenzione in

esame, v., di recente, Cass. 19 gennaio 1980, n. 459, id., Rep. 1980, voce cit., n. 116, in base alla considerazione che gli effetti del

preliminare di vendita immobiliare non esulano dal campo obbligato

rio; 27 ottobre 1961, n. 3072, id., 1962, il, 1860; 8 giugno 1961, n.

1320, id., 1961, I, 1692, con nota di richiami.

L'atteggiamento della dottrina in argomento rispecchia il dualismo di

soluzioni esistente in giurisprudenza. Da un lato, infatti, è stata

sostenuta la tesi formalistica, facendo leva soprattutto sul parallelismo

fra contratto costitutivo (o traslativo) di diritti e relativo accordo

solutorio (v. Scognamiglio, Osservazioni sulla forma dei negozi revo

catori, in Temi napoletana, 1961, I, 433; Id., Contratti in generale, in

Commentario, a cura di Scialoja e Branca, 1970, 417 s., ma per quel che concerne la risoluzione consensuale del preliminare a forma vinco

lata, p. 447; Alabiso, Il contratto preliminare, Milano, 1966, 76, nota

62, in quanto la contrattazione relativa ai beni immobili va fatta per iscritto in ogni caso; Aschieri, La forma dei negozi risolutori, in Corti

Brescia, Venezia, ecc., 1966, 165, 177, in particolare sull'onere formale

gravante su ogni contratto capace di incidere sull'esistenza o sul

contenuto dell'obbligo di stipulare il definitivo).

Altri, ritenendo che la soluzione formalistica collida col generale

principio della libertà di forma, ha optato appunto per la forma libera

del contratto risolutorio del preliminare avente ad oggetto diritti reali

immobiliari, in quanto « non è la natura dell'oggetto contrattato (cosa mobile o immobile), ma il tipo di effetto voluto {reale o obbligatorio) che decide della forma del negozio » (cosi testualmente La Torre, La

forma dei negozi risolutori, in Giust. civ., 1962, I, 158. Nella stessa

direzione R. Sandulli, Forma del negozio risolutorio di un preliminare di vendita immobiliare, id., 1967, I, 429, 436. Da ultimo parrebbe orientato verso la libertà formale dei contratti risolutori che di per sé

non comportano gli effetti traslativi per i quali l'art. 1350 c.c. ha

imposto la forma solenne, ìMirabllli, Dei contratti in generale2, in

Commentario Utet, Torino, 1980, 292). Si segnala infine un certo imbarazzo di una parte della dottrina di

fronte al problema che, come si vede, potrebbe avere opposte soluzioni

con pari autorevolezza di argomentazioni: v., infatti, Rascio, Il

contratto preliminare, Napoli, 1967, 187-191; nonché, in epoca più

recente, Sacco, Il contratto, in Trattato diretto da Vassalli, Torino,

1975, 460, il quale comunque ritiene fondata la richiesta della forma

scritta per lo scioglimento di un'alienazione immobiliare, producendosi in tal senso una nuova vicenda traslativa, ed estende i dubbi

riguardanti la forma del contratto solutorio del preliminare all'ipotesi della revoca del mandato.

Per una rapida ricognizione del problema della forma in genere dei

negozi risolutori di quelli contemplati dall'art. 1350 c.c., cfr. Distaso, Contratti in generale, in Giurisprudenza sistematica civile e commercia

le, fondata da Bigiavi, 1980, II, 874 s.

preliminare era stato da tempo risolto per mutuo consenso, per cui chiese il rigetto della domanda.

Venne espletata consulenza tecnica di ufficio dalla quale risultò che il terreno oggetto del contratto preliminare corrispondeva agli attuali lotti n. 11 per intero e 12 per la metà, con una modesta intersecazione dei lotti nn. 9 e 10 adiacenti, che sui lotti 11 e 12

erano in corso di costruzione due fabbricati e che il lotto n. 12 era stato venduto a tali Simonetti, Maiano, Barzagli e Bonucelli in virtù di atto pubblico 8 agosto 1975, trascritto il 2 settembre 1975. I predetti intervennero in giudizio chiedendo la declaratoria di nullità del preliminare per indeterminatezza dell'oggetto e la sua annullabilità per vari vizi.

L'adito tribunale con sentenza non definitiva del 30 settembre 1976 rigettò le eccezioni di nullità ed annullabilità del contratto e di scioglimento per mutuo consenso e con separata ordinanza rimise la causa in istruzione per il frazionamento catastale del terreno de può e la determinazione dei valori delle opere insistenti sui lotti nn. 11 e 12.

Successivamente gli attori rinunciarono alla domanda riguar dante il lotto n. 12 e gli intervenienti alle loro domande, per cui venne dichiarata l'estinzione del processo relativamente a tale

parte del rapporto processuale. Intervenne poi in causa Renzo Bertoni, che nelle more del

giudizio aveva acquistato il lotto n. 11 dalla Romano e che chiese il rigetto della domanda degli attori nonché, in subordine, la loro condanna al pagamento dell'indennità per la costruzione da lui effettuata sul lotto n. 11.

Espletata una seconda consulenza di ufficio, il Tribunale di

Grosseto, con sentenza definitiva del 17 gennaio 1980, trasferì agli attori, in base all'art. 2932 c.c., la proprietà del lotto n. 11 e condannò gli stessi — che avevano dichiarato di voler ritenere la costruzione creata dal Bertoni su tale lotto ed avevano scelto di

pagare il prezzo dei materiali e della mano d'opera — a

corrispondere al costruttore Bertoni la relativa indennità in lire 54.210.000 con gli interessi legali dalla domanda al saldo.

La Romano ed il Bertoni proposero distinti appelli contro ambo le decisioni di primo grado.

La Corte d'appello di Firenze, riuniti i gravami, li rigettò con sentenza del 19 maggio-20 agosto 1981.

I giudici di appello posero a base della loro decisione le

seguenti considerazioni: a) l'eccezione di nullità del contratto

preliminare per indeterminatezza del suo oggetto, eccezione fatta

propria dalla Romano in grado di appello, era infondata in

quanto l'oggetto del contratto preliminare, se non determinato in

questo stesso, era però determinabile in base al contratto, che conteneva tutte le indicazioni necessarie per la determinazione della consistenza e dei confini del 'lotto venduto: infatti nell'atto erano stati precisati l'estensione complessiva del lotto (mq. 2.600) rispetto alla complessiva estensione di mq. 47.515 dei due

fogli richiamati in contratto ed era contenuto il richiamo alla

planimetria allegata alla scrittura e dichiarata parte integrante di

essa, nella quale planimetria erano contenuti tutti gli elementi necessari per determinare la precisa estensione ed ubicazione del lotto venduto, determinazione che era poi agevolmente avvenuta in sede di consulenza tecnica di ufficio; b) l'eccezione della

Romano, che il contratto preliminare si fosse poi sciolto per mutuo consenso, eccezione che la stessa aveva offerto di provare per interrogatorio formale e per testi, era infondata, in quanto la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobilia re richiede ad substantiam la prova scritta, per cui non è consentito fornirne la prova a mezzo di prova orale o per interpello; c) l'eccezione del Bertoni che la trascrizione della domanda giudiziale da parte degli originari attori fosse inefficace nei suoi confronti in quanto la relativa nota non indicava con la necessaria specificazione i beni a cui si riferiva la domanda di esecuzione specifica del contratto, era infondata in quanto la nota di trascrizione aveva riguardato la richiesta di trasferimento di 12

particelle comprese nei fogli 102 e 103 e quindi di tutta la

proprietà terriera della Romano, la quale non aveva mosso alcuna obiezione contro tale trascrizione: in conseguenza, in virtù di tale

trascrizione, i terzi, tra cui il Bertoni, erano stati resi consapevoli che su tutti i terreni compresi nei detti fogli operavano gli effetti

giuridici propri della trascrizione, per cui il Bertoni, acquistando un lotto compreso in quelli cui si riferiva la nota di trascrizione, aveva scientemente affrontato l'alea dell'acquisto del lotto stesso.

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso sia il Bertoni che la Romano, ciascuno proponendo due motivi di ricorso (il ricorso del Bertoni, che è parallelo e non in contrasto con quello della Romano, ha assunto per ragioni cronologiche carattere

principale e quello della Romano ha conseguentemente assunto

carattere incidentale). I Michelotti e litisconsorti hanno proposto distinti controricorsi contro ciascun ricorso.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — Va previamente disposta la riunione

dei ricorsi in quanto proposti nei confronti della medesima

sentenza.

Per ragioni di ordine logico va data la precedenza all'esame del

ricorso incidentale, cioè della Romano, la quale con i suoi motivi

investe questioni riguardanti la stessa validità e persistenza in

vita del contratto preliminare di cui trattasi, mentre il ricorso del

Bertoni riguarda questioni logicamente posteriori (inefficacia nei

suoi confronti della trascrizione della citazione introduttiva del

giudizio e importo dell'indennità spettantegli ex art. 936 c.c.). Col primo motivo del suo ricorso la Romano — dedotte

violazione e falsa applicazione degli art. 1346, 1418, 2932 c.c. in

relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — censura il capo della

decisione di merito che ha riconosciuto la determinabilità, in base

agli elementi contenuti nel contratto preliminare, del -bene costi

tuente l'oggetto di tale contratto. La ricorrente sostiene che i giudici di merito si sono all'uopo

basati sulla planimetria allegata al contratto ed in essa richiama

ta, senza tenere presente che nel contratto preliminare avente ad

oggetto il trasferimento di un immobile tutti gli elementi essenzia

li del contratto devono rivestire la forma scritta, anche se si

tratta di allegati uniti al contratto, mentre nella fattispecie la

planimetria allegata al preliminare non era stata affatto sottoscrit

ta dalle parti, per cui essa costituiva un elemento equivoco indiretto privo di alcuna garanzia di autenticità.

La ricorrente ricorda al riguardo di avere nell'atto di appello

specificamente fatto presente la carenza di sottoscrizione della

planimetria allegata al preliminare e pertanto sostiene che i

giudici di merito, avendo del tutto obliterato tale sua eccezione, hanno omesso di esaminare un punto decisivo della controversia.

Soggiunge la ricorrente che, una volta escluso ohe la planimetria

potesse essere utilizzata per l'individuazione dell'immobile pro messo in vendita, il preliminare doveva dichiararsi nullo per assoluta indeterminatezza dell'oggetto del trasferimento.

Tali censure sono infondate. È invero esatto che l'oggetto di un

contratto di trasferimento o di costituzione o di estinzione di un

diritto reale immobiliare, come pure quello di un preliminare di

tipo corrispondente, deve essere consacrato o per iscritto, come

previsto dagli art. 1350 e 1351 c.c., per cui la determinazione

dell'oggetto del contratto non può essere rimessa ad una futura

determinazione di volontà delle parti (come avviene in tema di

vendita di un genus: art. 1378 c.c.) o di un terzo (come previsto in linea generale dall'art. 1349 c.c.), ma ciò non esclude affatto

che lo scriptum indichi gli elementi — estranei al contratto ed

esistenti nel mondo esterno — idonei ad individuare in modo

chiaro, certo ed indiscutibile il bene oggetto del contratto stesso.

Ed invero — vedi in punto, proprio in relazione ad un

preliminare di vendita avente ad oggetto un appezzamento di

terreno da distaccarsi da un maggior fondo, la sentenza 29

ottobre 1975, n. 3677 (Foro it., Rep. 1976, voce Contratto in

genere, n. 141) — si ha determinabilità dell'oggetto quando, mancando l'esatta identificazione dell'appezzamento di terreno

promesso in vendita, nel contratto siano contenuti elementi,

prestabiliti dalle parti, idonei per l'identificazione dell'appezza mento medesimo: elementi prestabiliti dalle parti e contenuti nel

contratto, che possono anche consistere nel riferimento a dati di

fatto esistenti e sicuramente accertabili, tali da richiedere una

mera loro applicazione con un procedimento tecnico che indivi

dui l'appezzamento di terreno nei suoi confini e nella sua

dislocazione nell'ambito del maggior fondo. È cioè ben lecito che l'individuazione dell'oggetto di un con

tratto di compravendita immobiliare (o di un corrispondente

preliminare) possa avvenire per relationem, allorché cioè il titolo

contenga elementi indiretti per la determinazione del confine e

tra tali elementi indiretti rientrano sia i dati catastali «ia appunto il tipo di frazionamento allegato al contratto, sottoscritto o meno dalle parti: la circostanza della sottoscrizione diviene indifferente una volta che le parti abbiano fatto nel contratto riferimento

esclusivo alla planimetria allegata al contratto stesso per l'indivi

duazione del bene compravenduto, per cui tale planimetria viene a costituire l'unico elemento idoneo ad identificare il bene immo bile venduto o promesso in vendita (vedi Cass. 19 febbraio 1981, n. 1044, id., Rep. 1981, voce cit., n. 206; 13 gennaio 1976, n. 91,

id., Rep. 1976, voce Vendita, n. 130; 29 ottobre 1975, n. 3677,

cit.; 8 luglio 1975, n. 2670, id., Rep. 1975, voce Proprietà (azioni a difesa), n. 53).

Orbene, poiché i giudici di merito hanno in linea di fatto

accertato che le parti nel preliminare, al fine di individuare

l'appezzamento di terreno promesso in vendita, da distaccarsi dal

maggior fondo della Romano, fecero esclusivo riferimento alla

planimetria allegata al contratto, che in ordine alla corrisponden za della planimetria a quella esibita in giudizio non è mai stata

posta alcuna contestazione e che la planimetria stessa fornisce

elementi tali da determinare in modo certo ed obiettivo i confini

dell'appezzamento promesso in vendita, resta pienamente soddi

sfatto il requisito della determinabilità, in base al documento

contrattuale, del bene oggetto del contratto preliminare. Col secondo motivo di ricorso la Romano — dedotte violazione

e falsa testimonianza dell'art. 1351 in relazione agli art. 1350, 1372 c.c., 14 disp. prel. e all'art. 360, n. 3, c.p.c. — censura il

capo della decisione di merito che ha ritenuto necessaria la forma

scritta per la risoluzione consensuale di un contratto preliminare avente ad oggetto l'obbligo di trasferimento della proprietà di un

immobile.

Sostiene la ricorrente che un tale negozio risolutorio non

rientra affatto tra quelli per i quali gli art. 1350 e 1351 c.c.

richiedono la forma scritta, per cui i giudici di merito hanno

violato il principio generale della libertà della forma dei contratti, ove non diversamente previsto da norme specifiche o tassative.

Nemmeno tale doglianza appare fondata. Essa riguarda invero

la tormentata questione se i contratti risolutori di contratti

preliminari riguardanti il trasferimento, la costituzione o l'estin

zione di diritti reali immobiliari siano anch'essi soggetti alla

forma scritta ad substantiam ovvero possano essere stipulati nella

forma più 'libera: la questione, controversa sia in dottrina che in

giurisprudenza, si pone infatti in quanto i contratti risolutori di

precedenti contratti di per se stessi costituiscono, in base all'art.

1321 c.c., figure giuridiche autonome rispetto ai contratti — intesi

a costituire o a regolare rapporti giuridici — ohe ne costituiscono

il presupposto, per cui si è sostenuto che le forme solenni

previste per i contratti costituenti il presupposto non possano senz'altro estendersi ai contratti risolutori, a meno che, ovviamente,

questi non rientrino di per sé nel novero dei contratti per i quali è espressamente prevista la forma scritta ad substantiam.

In conseguenza, mentre, ad es., non v'ha dubbio che per i

contratti ohe eliminano il precedente trasferimento contrattuale di

un immobile è indispensabile la forma scritta in quanto si tratta

di un negozio di ritrasferimento del bene al precedente venditore

per cui si rientra nell'ambito dell'art. 1350, n. 1, c.c., si dubita

invece se i contratti risolutori di precedenti contratti preliminari di trasferimento di diritti reali immobiliari siano soggetti alla

forma scritta in quanto il contratto preliminare non determina

trasferimento immobiliare ma solo nascita di un'obbligazione di

trasferimento di un diritto reale immobiliare, cioè di un'obbliga zione di fare, per cui si è ritenuto da una parte della dottrina e

della giurisprudenza che il contratto risolutorio di una tale

obbligazione, quale contratto estintivo autonomo rispetto al con

tratto preliminare, non sia soggetto al requisito della forma

scritta, prevista solo per la verificazione degli effetti immediata

mente traslativi-costitutivi-estintivi ovvero per l'assunzione del

l'obbligazione di realizzare uno di tali effetti (art. 1351 c.c.) ma

non già per l'estinzione di una tale obbligazione. Questo collegio, esaminata attentamente la questione, ritiene di

dovere aderire all'indirizzo giurisprudenziale che richiede la for

ma scritta anche per i contratti risolutori di contratti preliminari aventi ad oggetto il trasferimento-costituzione-estinzione di diritti reali immobiliari.

Va invero tenuto presente che il principio generale della 'libertà

della forma dei contratti viene derogato dal legislatore in tutte

quelle ipotesi in cui una serie di esigenze concorrenti (rivolte a

garantire la seria e ponderata determinazione delle parti, la più efficace documentazione del negozio quale presupposto della sua efficacia esecutoria o della prescritta pubblicità quale condizione di efficacia verso i terzi) determina la necessità dell'adozione di una forma solenne. Ciò avviene per categorie di atti aventi

particolari funzioni ed effetti. Tra questi gli atti di disposizione (traslativi, costitutivi, modificativi, estintivi) di diritti reali immo biliari (varie ipotesi dell'art. 1350 c.c.).

L'art. 1351 c.c., costituente norma nuova rispetto al codice civile del 1865, sancisce l'onere della forma scritta per i contratti

preliminari prodromici a contratti definitivi rientranti in una delle

figure previste dall'art. 1350 o da altra norma prescrivente la

forma scritta a pena di nullità.

L'innovazione del legislatore del 1942 è coerente con l'altra novità del nuovo codice e cioè con la possibilità, in esso prevista per la prima volta, che il contratto preliminare costituisca titolo

per ottenere, in caso di mancato adempimento della controparte, un titolo giudiziale avente gli stessi effetti del contratto definitivo

previsto nel preliminare (art. 2932 c.c.). Era ovvio, infatti, che non potesse conciliarsi il vincolo di

stipulare un contratto definitivo a forma vincolata con la libertà formale del contratto da cui tale vincolo veniva a sorgere.

Pertanto, è la natura dell'effetto di diritto reale immobiliare derivante dal previsto contratto definitivo che vincola le parti a

stipulare in forma scritta ad substantiam anche il relativo preli minare, per cui è evidente che è proprio la natura di tale effetto

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Page 5: Sezione II civile; sentenza 24 novembre 1983, n. 7047; Pres. Carotenuto, Rel. Sammartino, Est. Pierantoni, P. M. Corasaniti (concl. parz. diff.); Bertoni (Avv. Manzi, Boccini) c. Michelotti

PARTE PRIMA

che refluisce sul preliminare e ne condiziona la forma. Da ciò

consegue che, per legge, esiste equiparazione assoluta fra atto di

disposizione immediata, realizzato con contratto definitivo, e atto di disposizione mediata, attraverso l'assunzione dell'obbligazione che è propria del preliminare. E poiché non può dubitarsi ohe

anche il contratto risolutorio di un negozio precedente sia un atto

di disposizione, in quanto incide direttamente sulla produzione

degli effetti del negozio medesimo, il contratto stesso deve neces

sariamente essere rivestito della medesima forma solenne, sia che

il negozio risolto sia definitivo, sia ohe esso sia preliminare. Bene a ragione, quindi, con le sentenze nn. 945 del 27 aprile

1961 (id., 1961, I, 1256) e 267 del 28 gennaio 1976 {id., Rep. 1976, voce Contratto in genere, n. 144) si è affermato che, accanto al principio generale della libertà della forma dei contrat

ti, esiste l'altro principio, del pari affermato dal legislatore, secondo il quale tutti gli atti ed i contratti che hanno per oggetto la contrattazione di beni immobili, stante l'importanza degli

obblighi che le parti assumono, devono essere accompagnati e

rivestiti di particolari garanzie di forma, per cui tale principio va

applicato in tutte le esteriorizzazioni nelle quali ricorre la mede

sima ratio che ha ispirato il legislatore per la soddisfazione delle

esigenze sopra ricordate e quindi anche per tutte le manifestazio

ni di volontà che mirano a modificare od estinguere il contratto

preliminare. Giova d'altra parte osservare che è del tutto pacifico che i

contratti modificativi di precedenti contratti rientranti nell'ambito

delle figure di cui all'art. 1350 c.c. devono rivestire la forma

scritta allorché la modifica riguardi elementi essenziali del con

tratto precedentemente stipulato (v., da ultimo, Cass. 24 novem

bre 1980, n. 6231, id., Rep. 1981, voce cit., n. 113, e, appunto in

tema di preliminare, Cass. 8 febbraio 1982, n. 732, id., Rep. 1982, voce cit., n. 301): eppure i contratti modificativi non sono

necessariamente identici, quanto agli effetti, a quelli previsti dall'art. 1350 né potrebbero farvisi rientrare — quali figure estintive di precedenti trasferimenti o costituzione di diritti reali

immobiliari — ove la modifica riguardi l'elemento essenziale

costituito dai prezzo dell'immobile.

Sarebbe pertanto palesemente assurdo ritenere che per i contratti

modificativi di precedenti contratti implicanti la forma scritta sia

richiesta la forma scritta, allorché la modifica riguardi elementi

essenziali dell'originario contratto, mentre invece l'esigenza di tale

forma verrebbe meno in occasione di un contratto risolutorio del

precedente e quindi di un contratto che elimina dal mondo del

diritto l'intero rapporto creato col precedente contratto. Per una

diminuzione, anche infinitesimale, del prezzo della compravendita o dell'estensione dell'immobile venduto sarebbe necessario l'atto

scritto ad substantiam, mentre ciò non sarebbe richiesto per la

riduzione « a zero » sia del prezzo sia dell'immobile. Come se il

negozio modificativo e quello risolutorio non rientrassero, en

trambi, nella medesima categoria degli atti di disposizione dei

diritti derivanti dal contratto modificato o risolto.

Il ricorso della Romano deve essere pertanto integralmente

rigettato. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 12 novem

bre 1983, n. 6734; Pres. Granata, Est. Bologna, P. M. Antoci

(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato M. Fanelli) c. Soc.

CONAL (Aw. Contaldi, Zola, Ferreri). Conferma App. Torino

2 luglio 1977.

Dogana — Diritti di visita sanitaria — Latte e prodotti caseari — Prodotti della pesca — Legge istitutiva nazionale — Con

trasto con regolamenti comunitari precedenti — Riscossione —

Illegittimità (Reg. 27 giugno 1968 n. 804 CEE del consiglio, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del

latte e dei prodotti lattiero-caseari, art. 22; reg. 20 ottobre 1970

n. 2142 CEE del consiglio, relativo all'organizzazione comune

del mercato dei prodotti della pesca; 1. 30 dicembre 1970 n.

1239, modifiche ed integrazioni alla tabella dei diritti per la

visita del bestiame, dei prodotti ed avanzi animali ai confini

dello Stato, ecc., art. un.).

Dogana — Diritti di visita sanitaria — Latte e prodotti caseari — Prodotti della pesca — Disciplina comunitaria — Riscossio

ne illegittima — Prodotti importati da paesi terzi — Inclusione

(Reg. 27 giugno 1968 n. 804 CEE del Consiglio, art. 19; reg. 20

ottobre 1970 n. 2142 CEE del Consiglio, art. 17).

Dogana — Pagamento di tributo non dovuto — Restituzione —

Detentore delle merci al momento dell'importazione — Legitti

mazione attiva (Cod. civ., art. 2033; d.p.r. 23 gennaio 1973 n.

43, t.u. delle disposizioni legislative in materia doganale, art.

38, 56).

£ illegittima la riscossione dei diritti di visita sanitaria al confine sulle importazioni di latte, prodotti caseori e prodotti della

pesca effettuate nel 1973 in quanto la legge nazionale istitutiva

di questi diritti è da ritenersi caducata ab origine per il

contrasto con la disciplina comunitaria già esistente (nella

specie, si trattava della l. 30 dicembre 1970 n. 1239 entrata in

vigore successivamente ai regolamenti comunitari n. 804 del

1968 e n. 2141 del 1970). ( 1)

L'illegittimità della riscossione dei diritti di visita sanitaria al

confine sulle importazioni di latte, prodotti caseari e prodotti della pesca effettuate nel 1973 riguarda non solo i prodotti

provenienti dai paesi della CEE, ma anche quelli importati da

paesi terzi, estranei alla Comunità. (2) Colui che presenta la merce importata alla dogana o la detiene al

momento del passaggio della linea doganale ancorché dichiari

la propria funzione di rappresentante ed indichi l'effettivo

proprietario della merce, è legittimato ad esperire la condictio

indebiti per i tributi doganali, non dovuti, che ha pagato. (3)

II

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 9 novem

bre 1983, n. 6630; Pres. Granata, Est. Battimelo, P. M. An

toci (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato M. Fanelli) c. Leonelli (Avv. Castellani, Simonazzi). Cassa App. Trieste

17 marzo 1979.

Dogana — Diritti di visita sanitaria — Pollame — Imposizione relativa alle importazioni successive al 15 febbraio 1971 — Le

gittimità — Limiti (Direttiva 15 febbraio 1971 n. 71/118 CEE

del consiglio, relativa a ,problemi sanitari in materia di scambi

di carni fresche di volatili da cortile, art. 15, 16).

L'imposizione di diritti di visita sanitaria successivamente alla

notifica della direttiva CEE n. 118 del 1971 (con cui è

consentita la deroga al divieto, sancito dal regolamento CEE n.

123 del 1967, di esigere dazi doganali diversi da quelli indicati

nella tariffa doganale comune e tasse nazionali di effetto

equivalente) è legittima indipendentemente dal fatto che lo

Stato membro interessato abbia o no adottato i provvedimenti necessari per conformarsi alle disposizioni della direttiva stessa, ma solo nei confronti delle carni fresche di volatili da cortile e

non anche per le importazioni di animali vivi da cortile. (4)

III

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; ordinanza 20 ot

tobre 1983, n. 760; Pres. Granata, Rei. Bologna, P. M. Antoci

(conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato M. Fanelli) c.

Soc. CONAL (Avv. Contaldi, Zola, Ferreri).

Dogana — Diritti doganali all'importazione — Diritti di visita

sanitaria — Indebita corresponsione — Restituzione — Con

dizioni — Questione non manifestamente infondata di costi

tuzionalità (Cost., art. 3, 11, 24; d.l. 30 settembre 1982 n. 688, misure urgenti in materia di entrate fiscali, art. 19; 1. 27 no

vembre 1982 n. 873, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 settembre 1982 n. 688).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame

alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzio

nale dell'art. 19, 1° e 2° comma, d.l. 30 settembre 1982 n. 688,

che subordina a nuove condizioni la ripetizione di diritti doga nali all'importazione (nella specie, diritti di visita sanitaria al

confine) indebitamente pagati (perché equivalenti a dazi doga nali vietati da regolamenti comunitari), in riferimento agli art.

3, 24 e 11 Cost. (5)

(1-5) Proseguono, con alterne fortune, le vicende dei diritti di visita

sanitaria. A distanza di poco più di un anno la Cassazione (ci si

riferisce alla sentenza 1290/82 cit. infra) si imbatte nuovamente nel

delicato tema dell'imposizione di tasse sanitarie al confine, con tutti i

problemi connessi alla legittimità di una tale riscossione ed alle tecniche di ripetizione dei tributi indebitamente percepiti che hanno

già formato oggetto di ampio e vivace dibattito nella giurisprudenza di casa nostra ed in quella comunitaria.

I. - Cass. 6630/83 chiude definitivamente le vicende dei diritti di visita sanitaria imposti sulle importazioni di pollame. Queste colonne

avevano già ospitato il penultimo atto del presente giudizio (Cass. 12

marzo 1982, n. 1290, Foro it., 1982, I, 1297, con nota di richiami di

Di Paola) con cui la Cassazione aveva dichiarato l'illegittimità delle tasse riscosse sino al 1971 (in virtù del regolamento CEE n. 123 del

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