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Sezione II civile; sentenza 25 gennaio 1960, n. 68; Pres. Piazzalunga P., Est. Rossi G., P. M. Gedda...

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Sezione II civile; sentenza 25 gennaio 1960, n. 68; Pres. Piazzalunga P., Est. Rossi G., P. M. Gedda (concl. conf.); Labisi (Avv. Paolo) c. Contino (Avv. Nicolò) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 2017/2018-2023/2024 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151576 . Accessed: 25/06/2014 09:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.163 on Wed, 25 Jun 2014 09:06:11 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione II civile; sentenza 25 gennaio 1960, n. 68; Pres. Piazzalunga P., Est. Rossi G., P. M. Gedda (concl. conf.); Labisi (Avv. Paolo) c. Contino (Avv. Nicolò)

Sezione II civile; sentenza 25 gennaio 1960, n. 68; Pres. Piazzalunga P., Est. Rossi G., P. M.Gedda (concl. conf.); Labisi (Avv. Paolo) c. Contino (Avv. Nicolò)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 2017/2018-2023/2024Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151576 .

Accessed: 25/06/2014 09:06

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

base a criteri diversi da quelli di legge, basandosi cioè sul

vantaggio clie la medesima poteva procurare alla Società anziché sulle limitazioni che creava alla libertà del con

traente più debole. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 25 gennaio 1960, n. 68 ; Pres.

Piazzalunga P., Est. Rossi Gr., P. M. Gedda (conci,

conf.) ; Labisi (Avv. Paolo) c. Contino (Avv. Nicolò).

(Cassa App. Messina 8 ottobre 1958)

Prova testimoniale — Ammissibilità — Limiti —

« Traditio » di «in bene — Estremi (Cod. civ., art.

2721, 2729). Prova testimoniale — Ammissibilità — Limiti —

Contratti nulli — Ripetizione d'indebito — Appli cabilità (Cod. civ., art. 2721, 2729).

Donazione — Convivenza « more uxorio » — Presta

zione risareitoria alla donna — Obbligazione naturale o donazione remuneratoria — Accerta

mento incensurabile (Cod. civ., art. 770). Donazione — Figli naturali non riconoscibili —

Elargizioni — Natura — Obbligazione naturale — Limiti (Cod. civ., art. 279).

Donazione — Dazione diretta di denaro — Natura — Forma -— Previsione di un determinato reim

piego — Irrilevanza (Cod. civ., art. 782).

La traditio di un bene, ove sia dedotta in giudizio non come

semplice fatto materiale, ma come espressione di volontà

negoziale qualificata dal fine perseguito, soggiace ai

limiti di valore stabiliti per Vammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni. (1)

I limiti posti dalla legge all'ammissibilità della prova per testimoni e per presunzioni trovano applicazione anche

rispetto ai contratti dei quali si deduca la nullità al fine della ripetizione di indebito. (2)

L'attribuzione patrimoniale, diretta ad eliminare il pregiu dizio d'ordine economico derivato alla concubina dalla

relazione more uxorio, si configura normalmente come

adempimento di un'obbligazione naturale e non come

donazione remuneratoria : l'accertare, comunque, se nella

fattispecie ricorrano gli estremi dell'uno o dell'altra

costituisce apprezzamento di fatto insindacabile in Cassa

zione. (3)

(1) Non risultano precedenti iu termini. Nel senso che i limiti di valore all'ammissibilità della prova testimoniale concernono i

negozi e non i fatti ed operano ove il contratto sia invocato come

tale, cioè come fonte di rapporti giuridici e non come semplice fatto storico influente sulla risoluzione della lite, vedi Cass. i febbraio 1959, n. 340, Foro it., Rep. 1959, voce Prova testimo

niale, n. 6 ; App. Eoma 26 marzo 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 12 ; App. Trieste 5 gennaio 1957, ibid., n. 40 ; Trib. Alba 20

luglio 1955, id., Rep. 1956, voce cit., n. 7 ; App. Bari 21 ottobre

1953, id., Rep. 1954, voce cit., nn. 4-6; App. Trieste 18 luglio 1951 e 15 gennaio 1952, id., Rep. 1952, voce cit., nn. 13, 14 ; Cass. 7 gennaio 1950, id., Rep. 1950, voce cit. n. 17 ; 7 luglio 1947, id., Rep. 1947, voce cit., n. 15 (annotata da G. Tomei, in Oiur. Cass. civ., 1947, vol. XXVI, 544) ; 15 marzo 1946, Foro it.,

Rep. 1946, voce cit., n. 8 ; 19 aprile 1945 e 12 maggio 1944, id.,

Rep. 1943-45 voce cit., nn. 23, 24.

(2) Le affermazioni di cui alla massima trovano precedenti in Cass. 19 dicembre 1953, n. 3745, Foro it., Rep. 1953, voce Prova testimoniale, n. 18, criticata da -Natoli-Febrrcci. Della tutela dei diritti, in Comm. cod. civ., Torino, 1959, I, 353.

Per la irrilevabilità d'ufficio della violazione dei limiti di valore entro cui la legge ammette la prova per presunzioni semplici, v. Cass. 18 ottobre 1960, n. 2808, retro, 1726, connota di richiami.

(3) La massima è aderente al pi il recente orientamento della

Suprema corte ; vedi, da ultimo, Cass. 17 gennaio 1958, n. 84, Foro

it., 1959, I, 470, con nota di richiami.

Il Fobo Italiano — Volume LXXXIV — Parte 7-129.

Le elargizioni in favore dei figli naturali non riconosciuti

ne riconoscibili, fuori delle ipotesi previste dall'art. 279

cod. civ., sono da considerare come donazione anziché

come adempimento di un'obbligazione naturale, ove, per l'entità dell'attribuzione patrimoniale, superino di gran

lunga i limiti della prestazione alimentare dovuta nei

casi stabiliti dal citato art■ 279. (4) La donazione di denaro, ancorché fatta in vista del reimpiego

per l'acquisto di beni immobili da parte del beneficiario, va configurata come donazione diretta di denaro, soggetta, anche per quanto riguarda la forma, alla relativa disci

plina. (5)

La Corte, ecc. — (Omissis). Fondata è, invece, l'altra

censura formulata con il primo mezzo nell'interesse dei

minori ; con essa si lamenta che la Corte di merito, dopo avere riconosciuto clie nei confronti di costoro non poteva far fede la scrittura a firma della Azzaro, abbia erronea

mente ritenuto che la prova dell'erogazione, da parte del

Contino delle somme, di cui si controverte potesse desu

mersi da presunzioni, senza tenere alcun conto dei limiti

posti dal combinato disposto degli art. 2721 e 2729 cod.

civ. all'ammissibilità della prova per testimoni e per pre sunzioni.

Al riguardo si osserva che la sentenza impugnata, nel

reputare ammissibile la prova per presunzioni si è fon

data sul rilievo che la controversa erogazione di danaro

costituisce un « fatto semplice » e che non fossero perciò

applicabili le disposizioni limitative testé indicate.

Senonchè, la traditio di un bene è senza dubbio un

fatto materiale, ma questo fatto, salvo che sia posto in

essere per una causa giuridicamente irrilevante (come nella ipotesi di traditio avvenuta ioci causa o a scopo meramente dimostrativo), è qualificato dal fine perse

guito, ed in funzione di esso si profila come la estrinse

cazione di volontà negoziale (pagamento datio in solutum,

mandato, deposito, ecc.) : onde, se, come tale, forma og

getto di controversia, trovano applicazione anche rispetto ad esso i limiti segnati dalla legge all'ammissibilità della

prova per testimoni e per presunzioni. Ora, nella specie, esula a priori l'ipotesi della traditio,

avvenuta per scopi privi di giuridica rilevanza, giacché il

Contino, nello specificare i fatti costitutivi della sua pre tesa, dedusse di avere erogato le somme, di cui si di

scute, nell'intento di porre in essere, a favore della Az

zaro e dei figli minori della stessa, attribuzioni patrimo

In dottrina, nel senso fatto proprio dalla massima, Torrente, La donazione, Milano, 1956, pag. 194 e segg.

(4) In senso conforme, Trib. Alba 6 maggio 1959, Foro it., 1960, I, 1624 ; nonché la sentenza cassata, App. Messina 8 ot tobre 1958, id., Rep. 1958, voce Donazione, n. 13 ; cui adde, per qualche riferimento, in motivazione, Cass. 22 giugno 1957, n. 2385, id., 1957, I, 1956 ; nonché, App. Catania 5 maggio 1956, id., 1957, I, 1956 (annotata da Sgroi, Il divieto di indagini sulla

paternità o maternità e la nullità della donazione al figlio naturale non riconoscibile, in Giust. eiv., 1957, I, 352).

Nel senso che la donazione fatta dal genitore ai figli non rico noscibili per assicurare loro i mezzi di sostentamento dopo la sua

morte, realizza l'adempimento di un dovere morale, vedi App. Napoli 23 maggio 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Filiazione, n. 90.

Sulla questione, in dottrina, cfr. Torrente, op. cit., pag. 197 e 383 e seg.

(5) In senso conforme : Oass. 31 marzo 1958, n. 115, Foro

it., Hep. 1958, voce Donazione, n. 30 ; Trib. Perugia 21 novembre

1956, id., Rep. 1957, voce cit., n. 10 ; Cass. 4 maggio 1957, n. 1500,

ibid., n. 21; 26 aprile 1956, n. 1273, id., Rep. 1956, voce cit., n. 14 (richiamata in motivazione) ; 12 ottobre 1955, n. 3066, id.,

Rep. 1955, voce cit., n. 16 ; 24 maggio 1949, n. 1327, id., 1950,

I, 45 ; e 11 febbraio 1946, id., 1947, I, 34, con nota adesiva di G.

Stolfi. Sulla questione connessa della restituzione dell'immobile o

del denaro donato, l'orientamento prevalente della giurisprudenza, limitatamente all'ipotesi di donazione tra coniugi, è nel senso che, essendo il negozio vietato, l'acquisto dell'immobile deve intendersi

avvenuto in favore del coniuge che ha erogato il denaro ed a que sti va restituito, anche per evitare che l'altro consegua un qual siasi beneficio in frode alla legge ; v., da ultimo, Cass. 4 maggio 1961, n. 1012, retro, 1709, con ampia nota di richiami.

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2019 PARTE PRIMA 2020

niali, e precisò che a tanto era stato indotto da spirito di liberalità. È cliiaro, quindi, che, a prescindere per il momento da un più approfondito esame circa l'esatta

qualificazione giuridica della fattispecie concreta, si è in

presenza di un fatto che, secondo l'assunto dello stesso

deducente, realizza un negozio traslativo a titolo gratuito. Nè in contrario ha rilievo la circostanza che lo stesso

Contino ha dedotto la nullità di tale negozio, onde otte

nere la restituzione delle somme che assume di avere

erogato in forza di esso. Il negozio giuridico, ancorché

nullo e quindi inidoneo a produrre gli effetti tipici che

ad esso la legge ricollega, non si risolve sol per questo in un mero fatto, ma esiste pur sempre come « fattispecie

negoziale », ossia come manifestazione di volontà, sia

pure invalida, diretta, nell'intenzione dell'autore, a pro durre determinati effetti, e viene in considerazione appunto come tale, sia ai fini dell'indagine sulla nullità, quando essa ricorre in funzione dell'essenza e della specifica causa

del negozio stesso, sia ai fini dell'accertamento inter partes

degli effetti secondari, abnormi o negativi, che è pur sempre suscettibile di generare (ad esempio, nel caso di donazione,

quelli che la legge ricollega alla conferma o all'esecuzione

volontaria da parte degli eredi del donante, ed in genere

quelli consistenti nell'obbligo della restituzione). E sotto

questo aspetto è da ritenere, in conformità del principio

già affermato da questo Supremo collegio, che i limiti

posti dalla legge all'ammissibilità della prova per testi

moni e per presunzioni trovano applicazione anche rispetto ai negozi dei quali si alleghi la nullità al fine di ottenere

la restituzione di quanto sia stato prestato in esecuzione

di essi.

Infine, neppur giova opporre, come fa il resistente, che i detti limiti non hanno carattere assoluto, giacché la legge (art. 2721, capov.) consente al giudice di dero

gare ad essi in considerazione della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.

L'esercizio in concreto di questa facoltà è rimesso in via

esclusiva al prudente apprezzamento del giudice di me

rito ; il quale, se intenda avvalersene, deve dirlo espres samente e deve esporre, con specifico riferimento ai cri

teri di massima testé indicati, le ragioni che a tanto lo

inducono. Nella specie, la Corte di merito, come già accen

nato, ha ritenuto ammissibile la prova per presunzioni esclusivamente in base al presupposto, giuridicamente erroneo, che, trattandosi di accertare dei fatti semplici, i limiti fissati dal 1° comma dell'art. 2721 non dovessero

essere osservati, ed in conseguenza non si è affatto proposta e non ha vagliato il quesito se, avuto riguardo alle pecu liarità della fattispecie concreta, fosse o meno il caso di

esercitare la facoltà prevista dal 2° comma dello stesso articolo.

Né l'esame di tale quesito può essere compiuto in que sta sede, al fine di stabilire se la decisione adottata dai Giudici di merito, in ordine all'ammissibilità della detta

prova, possa ritenersi giustificata sotto un profilo diverso da quello da essi enunciato ; è chiaro, infatti, che non si tratta di correggere la motivazione della sentenza impu gnata con considerazioni di stretto diritto (ipotesi con

templata dall'art. 384, ult. comma, cod. proc. civ.), ma di procedere piuttosto ad una indagine di mero fatto, che non è stata punto compiuta in sede di merito e che

trascende i limiti del giudizio di Cassazione.

Pertanto, una volta affermato il principio dell'applica bilità nella specie del divieto sancito in via di massima dal citato art. 2721, 1° comma, la sentenza impugnata, che ad esso non si è adeguata, deve essere senz'altro cassata per ciò che concerne i minori. E spetterà, se mai, al giudice di rinvio il decidere se sia o meno il caso di

derogare al detto divieto, ai sensi del 2° comma. A complemento dei rilievi fin qui svolti, va osservato

che non ha ragion d'essere la doglianza secondo cui la

Corte di Messina avrebbe a torto attribuito rilevanza

perfino all'atteggiamento difensivo del rappresentante dei minori, senza neppure considerare che in realtà era stato espressamente contestalo, che i vari acquisti immo

biliari fossero stati compiuti con danaro all'uopo for

nito dal Contino. In realtà, la Corte di merito, dopo avere

ritenuto che questo assunto era provato da presunzioni

precise e concordanti, ha tratto argomento dall'atteggia mento processuale del Labisi, solo per ciò che attiene

alla determinazione del preciso ammontare delle somme

occorse per i detti acquisti. E questo apprezzamento è

giuridicamente incensurabile, perchè, se èjjf vero che le

eventuali ammissioni del rappresentante dei minori o

del suo procuratore ad litem non potevano valere come

confessione e fare piena prova, è tuttavia innegabile che

l'atteggiamento processuale del medesimo ben poteva assumersi, ai sensi dell'art. 116 cod. proc. civ., come un

elemento di giudizio liberamente valutabile.

Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono che. la

sentenza impugnata abbia qualificato donazioni le pre tese attribuzioni patrimoniali a favore della Azzaro e dei

di lei figli, laddove avrebbe dovuto tener conto che per vari anni la Azzaro aveva convissuto more uxorio con il

Contino ; che questi, stando al suo stesso assunto, era

convinto di essere il padre dei figli generati dalla donna

in costanza di tale relazione, ed avrebbe dovuto dedurre

che le dette attribuzioni costituivano in ogni caso l'adem

pimento spontaneo di obbligazioni naturali, e quindi, se

pur vere, erano irripetibili. La natura delle elargizioni a favore della concubina

è vivamente dibattuta in dottrina, giacché alla tesi se condo cui esse si inquadrano nello schema della dona

zione remuneratoria (art. 770 cod. civ.), si contrappone quella che configura tali elargizioni come l'adempimento di un'obbligazione naturale, che si coordina al dovere

morale dell'uomo di riparare il pregiudizio subito dalla

donna a causa della relazione more uxorio. E questo con

trasto di opinioni attinge le sue radici anche e soprattutto nel dissenso, che tuttora divide la dottrina in ordine aliai

questione di fondo, relativa all'essenza dell'obbligazione naturale ed ai limiti in cui essa è ipotizzabile.

La prima delle due tesi è conforme all'indirizzo a

lungo prevalso nella giurisprudenza di questa Corte, la

quale ha più volte ritenuto che le attribuzioni patrimo niali a favore della concubina, ancorché intese ad assol vere il dovere morale di riparare, sia pure in parte e nei

suoi riflessi economici, il danno risentito dalla donna,

integrano la fattispecie della donazione remuneratoria,

inquadrandosi in questa non solo le attribuzioni dirette a compensare un servizio o un beneficio, ma anche quelle rivolte a riparare un torto o un danno, sempre che ad

esse non faccia riscontro un obbligo giuridico. Senonchè, una recente pronuncia, riesaminata la que

stione, ha apportato un temperamento all'assolutezza del principio testé enunciato, avendo affermato che anche

le attribuzioni a favore della concubina sono configu rabili come adempimento di un'obbligazione naturale,

quando, avuto riguardo alle particolari circostanze del caso concreto, possa ritenersi che sussista a carico del l'uomo il dovere, sia pure soltanto morale, di provvedere in futuro al mantenimento della donna, e che la presta zione eseguita ne realizzi, in tutto o in parte, il contenuto.

Questa tesi, che è in un certo senso intermedia, deve essere ora ribadita, come quella che meglio si adegua ai veri termini della questione. Invero, se il pregiudizio che deriva alla donna dalla relazione more uxorio viene considerato nei suoi riflessi di ordine morale, e cioè con

riguardo al discredito cui ella è esposta, non si può non

riconoscere che non è configurabile un dovere morale di

riparazione, che possa essere soddisfatto mediante una

prestazione patrimoniale ed atteggiarsi come obbliga zione naturale : infatti, fuori dei casi di seduzione, il

discredito è conseguenza di una situazione che la donna deve imputare anche a se stessa, sicché vale il principio volenti non fit iniuria, che è operante anche sul piano morale, e d'altra parte la riparazione del pregiudizio in

parola potrebbe essere attuata soltanto col matrimonio, posto che esso sia possibile, giacché proprio alla stregua dei principi etici, che dominano nella coscienza sociale,

ripugna che quel discredito possa essere eliminato, neu tralizzato o soltanto attenuato mercè prestazioni patri

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2021 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2022

moniali, che assicurino alla donna tranquillità ed indi

pendenza sul piano economico. •

Peraltro, è innegabile clie il pregiudizio subito dalla donna può avere anche riflessi notevoli di ordine econo

mico (ancorché non siano tra i più gravi), qualora ella, nel contrarre la relazione extraconiugale e nel persistere in essa, abbia rinunciato ad altre prospettive o siasi pre clusa, e a ciò sia stata indotta dal fatto che l'uomo, all'ini

zio della relazione o in costanza di essa, abbia assunto

un atteggiamento tale da suscitare in lei il ragionevole affidamento che la relazione stessa, lungi dal risolversi in un effimero e passeggero capriccio, avrebbe avuto carat

tere serio e duraturo, e le avrebbe garantito anche una

costante tranquillità economica. In tal caso deve esclu

dersi che l'uomo sia impegnato, sia pure soltanto moral

mente, a non interrompere la relazione, giacché il pre minente valore della libertà umana, il favore per il ma

trimonio ed il senso di deplorazione, che suscitano gene ralmente i legami illegittimi, impediscono di attribuire

rilevanza, anche dal mero punto di vista etico, ad im

pegni siffatti. Tuttavia è conforme all'ordine morale che

dall'anzidetto comportamento e dall'affidamento che ne

deriva scaturisca un dovere di coscienza, il quale com

porta che, per lo meno nella sfera economica e mate

riale, l'uomo sia tenuto a non venir meno all'impegno assunto, e qualora si determini a rompere la relazione

debba provvedere pur sempre all'avvenire della dcnna, assicurandole adeguati mezzi di sussistenza. E allora, le

elargizioni da lui fatte alla concubina in occasione o in

previsione della rottura della relazione, per assolvere

questo dovere morale, concretano appunto, sotto il pro filo giuridico, l'adempimento di un'obbligazione natu

rale : infatti, quando anche si aderisca alla concezione

più rigorosa, secondo cui tale obbligazione ha una strut

tura uguale a quella dell'obbligazione giuridica, dalla

quale si differenzia solo per la incoercibilità, ed è caratte

rizzata anch'essa dal fatto di avere per oggetto una presta zione patrimoniale determinata o determinabile, è inne

gabile che tale fattispecie ricorre puntualmente nella

ipotesi considerata, dato che la prestazione che costituisce

l'oggetto diretto ed immediato del suindicato dovere morale, oltre ad avere carattere patrimoniale, ha un contenuto

che, sebbene non determinato a priori, è tuttavia determi

nabile, sia pure con larga approssimazione, con riferimento

alle esigenze connesse al sostentamento della donna.

Ciò posto, è appena il caso di aggiungere ohe l'accer

tare se concorrano gli estremi della situazione testé deli

neata implica una indagine di fatto, che va compiuta, come già accennato, tenendo conto di tutte le peculiarità del caso concreto, e che è quindi demandata in via esclusiva

ai giudici di merito.

Ora, nella specie, la Corte di Messina ha ritenuto che

si è in presenza di atti di liberalità, anziché di atti che

concretino l'adempimento di una obbligazione naturale, non già aprioristicamente o per ragioni di mero diritto, bensì in base ad una minuziosa valutazione delle circo

stanze specifiche e delle singolarità del caso in esame :

e tale valutazione ha compiuto, in sostanza, proprio con

riferimento ai criteri giuridici testé enunciati. In parti colare, ha messo, tra l'altro, in risalto : che trattavasi di

attribuzioni patrimoniali di ingente entità, che risulta

vano sproporzionate in rapporto ai bisogni ed alla con

dizione sociale della Azzaro, ed erano state attuate in più

riprese ed in costanza della relazione, quando nulla indu

ceva a supporre che essa sarebbe cessata (come poi av

venne solo per iniziativa e per volere della stessa Azzaro) ; che il Contino, ad onta di queste attribuzioni, le quali incidevano notevolmente sulla sua condizione economica, aveva continuato, come per il passato, a provvedere direttamente al mantenimento della concubina e dei di

lei figli, ed aveva dimostrato di essere interessato al pro trarsi della convivenza. E da tutto ciò la Corte ha in

sostanza dedotto che ricorreva in concreto una situa

zione nettamente diversa da quella che giustifica l'ap

plicazione dei suesposti principi, giacché il Contino, nel

porre in essere le attribuzioni controverse, non intendeva

affatto sciogliersi dal legame con la Azzaro e liberarsi una

volta per sempre da ogni obbligo morale verso di lei e

verso i figli, ma era anzi animato da un proposito e da

un interesse diametralmente opposto, nonché da una

fiduciosa prospettiva circa la stabilità e definitività del

detto legame. Ora, queste considerazioni hanno senza

dubbio un rilievo decisivo, anche per ciò che attiene alla

sussistenza o meno in concreto dell'animus domandi, per

chè, se è vero che l'accertamento di esso deve tener conto

anche e soprattutto dell'aspetto oggettivo della causa

dell'atto, e deve costituire il punto di arrivo, anziché il

plinto di partenza dell'indagine, si deve pure riconoscere

che non si può prescindere dalla considerazione delle con

crete circostanze, che, in quanto atte ad influire sull'orien

tamento psicologico del soggetto, che pose in essere le

attribuzioni, di individuarne la causa anche in riferimento

alla reale intenzione, obiettivamente accertata e social

mente riconoscibile, del soggetto stesso.

Per quanto concerne i minori, benché la pronuncia della Corte di Messina sia inficiata dall'errore di diritto

in cui, come si è visto, essa è incorsa nel decidere la que stione relativa alla sussistenza delle erogazioni di danaro, che il Contino assume di aver fatto a loro favore, nella

convinzione che essi fossero suoi figli naturali, pur se non

riconosciuti né riconoscibili, la censura concernente la

qualificazione giuridica di tale erogazione deve essere pur

sempre esaminata : infatti, se la tesi sostenuta dai ricor

renti (con il secondo mezzo) fosse fondata, il riesame della

suindicata questione di fatto sarebbe superfluo, dal momento

che la domanda del Contino è impostata sul presupposto che le erogazioni stesse integrino donazioni.

Ciò posto, si osserva che senza dubbio le elargizioni in favore dei figli naturali non riconosciuti né ricono

scibili, nei casi in cui esulino le ipotesi previste dall'art.

279 cod. civ. e non sussista l'obbligo giuridico degli ali

menti, ben possono concretare l'adempimento di una

obbligazione naturale, giacché anche in questi casi incombe

al dans un dovere morale che, a prescindere dalla effettiva

sussistenza del legame e dalla possibilità che esso venga

dimostrato, trova senz'altro la sua radice nella opinione affermativa nutrita al riguardo dallo stesso dans, e che,

per il suo contenuto patrimoniale, può ben configurarsi come obbligazione naturale. Tuttavia, poiché non è con

cepibile che questa obbligazione abbia un obietto ed una

portata più ampia della corrispondente obbligazione giuri

dica, è da escludere che possano considerarsi attuate in

adempimento di essa, invece che a titolo di liberalità, attribuzioni patrimoniali la cui entità ecceda di gran lunga i limiti che caratterizzano le prestazioni alimentari, dovute

ai figli naturali non riconoscibili nei casi previsti dal citato

art. 279.

L'opposta tesi dei ricorrenti, secondo cui, una volta

ammessa la sussistenza di un dovere morale suscettibile

di assurgere ad obbligazione naturale, la determinazione

del modo e della misura in cui esso debba essere soddis

fatto dovrebbe considerarsi rimessa al criterio del pre sunto genitore, e si dovrebbe, quindi, prescindere, ai fini

della qualificazione della prestazione che sia stata di fatto

eseguita, dal tener conto della concreta entità di essa, è

manifestamente inattendibile. Se così fosse, tutte le attri

buzioni patrimoniali attuate sul presupposto della esistenza

della relazione di paternità o maternità naturale tra il

dans ed i beneficiari costituirebbe, a priori ed indiscrimi

natamente, adempimento della detta obbligazione naturale ; ed in pratica resterebbe così frustrato il disposto dell'art.

780 cod. civ., che commina la nullità delle donazioni a

favore dei figli naturali non riconosciuti e non ricono

scibili, e si giungerebbe all'assurdo di dover ravvisare gli estremi della fattispecie nell'adempimento di obbligazione

naturale, anche rispetto ad attribuzioni che, se fatte a

favore di figli legittimi o naturali riconosciuti, sarebbero

senz'altro qualificate donazioni. Risulta perciò dimo

strato, per absurdum, che la detta fattispecie è integrata solo da attribuzioni che, per le circostanze in cui seno state

compiute e per la loro entità, siano oggettivamente con

tenute entro i limiti delle prestazioni alimentari, E di

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Page 5: Sezione II civile; sentenza 25 gennaio 1960, n. 68; Pres. Piazzalunga P., Est. Rossi G., P. M. Gedda (concl. conf.); Labisi (Avv. Paolo) c. Contino (Avv. Nicolò)

2023 PARTE PRIMA 2024

ciò offre ulteriore conferma, anche sotto il profilo siste

matico, il disposto del 2° comma del citato art. 780, che

configura espressamente come « atto di liberalità » le attri

buzioni fatte ai figli naturali non riconosciuti e non rico

noscibili, in occasione di matrimonio o per la loro sistema

zione professionale, ancorché esse si coordinino pur sem

pre ad un dovere etico che trova larga risonanza nella

valutazione sociale, e per di più le dichiara valide, in

deroga al divieto generale sancito dal 1° comma, solo se

non superino un certo limite quantitativo, ragguagliato alle condizioni economiche e sociali del donante.

Ora, nel caso in esame la Corte ha ritenuto che le

somme di danaro, che il Contino assumeva di aver ero

gato a favore dei minori, per la loro ingente entità erano

assolutamente sproporzionate rispetto alle esigenze con

nesse al loro mantenimento, al quale, del resto il Con

tino intendeva continuare a provvedere, ed avrebbe di

fatto provveduto, nonostante le dette erogazioni, se la Az

zaro non avesse interrotto la relazione, e miravano in

realtà ad assicurare ad essi in futuro un'agiata situazione

finanziaria. Ed alla stregua di questi rilievi, che impli cano ovviamente un apprezzamento di fatto insindacabile

in questa sede, la conclusione cui la Corte è pervenuta, allorché ha affermato che si era in presenza di donazioni, è perfettamente corretta sotto il profilo giuridico e logico,

giacché si adegua puntualmente ai principi poc'anzi enunciati. Pertanto, è evidente : che per la decisione della

controversia non si può prescindere dal riesame della

questione di fatto circa la effettiva sussistenza delle asserte

erogazioni ; e che, d'altro canto, ove queste dovessero

risultare integralmente provate, il giudice di rinvio, in

aderenza ai detti principi, dovrebbe uniformarsi al giudizio come sopra formulato in ordine alla qualificazione giuridica delle erogazioni stesse.

Con il terzo motivo si lamenta che la sentenza impu

gnata abbia ritenuto aprioristicamente che ricorresse la

fattispecie della donazione tipica, attuata mediante la

consegna diretta ai beneficiari delle somme destinate

all'acquisto di immobili, laddove avrebbe dovuto consi

derare che tali somme erano state depositate su libretti

bancari intestati ai minori, ed avrebbe dovuto dedurre

che in ogni caso si versava nell'ipotesi della donazione

indiretta, giacché il Contino per attuare le asserte libe

ralità si sarebbe avvalso del deposito bancario, ossia di

un contratto essenzialmente diverso dalla donazione, utilizzandolo come mezzo per raggiungere un risultato

pratico ulteriore (l'arricchimento dei beneficiari), che era

estraneo alla causa tipica di esso.

La questione riproposta con questo mezzo, per i ter

mini in cui è impostata, ha ragione d'essere soltanto a

proposito delle pretese erogazioni di danaro a favore dei

minori, giacché è pacifico, e la sentenza ne dà atto, che i libretti di deposito bancario menzionati dai ricorrenti

erano nominativi ed intestati appunto ai minori, e che la

relativa valuta, previa autorizzazione del giudice tutelare, fu utilizzata esclusivamente nel loro interesse, e cioè per

pagare la quota dei prezzi di acquisto a carico di essi. Per contro, per ciò che concerne le altre somme occorse per il pagamento della quota dei prezzi a carico della Azzaro, delle differenze di prezzo non risultanti dagli atti pubblici, nonché per le spese contrattuali, fiscali e di mediazione

e per quelle di restauro di alcuni immobili, i rilievi intesi a sostenere che ricorre la fattispecie della donazione indi

retta, trattandosi di attribuzione attuata mediante deposito bancario, si rivelano prima facie assolutamente incoerenti,

per la pacifica insussistenza del presupposto di fatto da cui prendono le mosse. D'altronde, la tesi della donazione

indiretta non è stata mai prospettata sotto altro aspetto, rivolto ad escludere che la elargizione delle dette somme sia stata attuata mediante la traditio diretta di esse al la Azzaro : talché, posto che sia realmente avvenuta (il che costituisce ormai un punto fermo nei riguardi della

Azzaro), tale elargizione integra senza dubbio una dona

zione diretta o tipica, dato che, secondo il più recente

orientamento di questo Supremo collegio, la dazione diretta

di danaro, fatta in vista del reimpiego di esso per l'acquisto

di beni da parte del beneficiario, va configurata quale donazione tipica del danaro stesso, ed è quindi soggetta,

quanto alla forma, alla relativa disciplina (cfr. la sent,

n. 1273 del 26 maggio 1956, Foro it., Rep. 1956, voce

Donazione, n. 14). (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE D'APPELLO DI CATANIA.

Sentenza 5 settembre 1961 ; Pres. Biondi P., Est. La Rosa ; Sidoti (Avv. Mazzamuto, Pugliatti) c. Fall. Soc. Sidoti

ed altri.

Società — Società «li capitali — Garanzie e sovven

zioni prestate dai soci a favore della società —

Natura di apporti ad altra società di iallo tra soci

e società — Condizioni (Cod. civ., art. 2247, 2253).

Garanzie e sovvenzioni, prestate ad una società di capitali dai suoi soci, non possono dar luogo alla costituzione di

altra società di fatto tra la società ed i soci, se non viene

dimostrata la volontà, da parte dei soci, di effettuarle come

conferimenti di capitali (1).

La Corte, ecc. — L'appello dei Fratelli Sidoti è fondato

limitatamente all'insussistenza della così detta superso cietà ed alla conseguente illegittima dichiarazione di falli

mento di detto inesistente ente.

I fatti, posti dal Tribunale a fondamento dell'accerta

mento di detta supersocietà, al lume dei principi posti nella sentenza di rinvio, si dimostrano insufficienti ad avva

lorare detto accertamento. Invero tutti quei negozi giu ridici che sono stati posti in essere dai Fratelli Sidoti e clie

si sostanziano nella assunzione di garanzia per le obbliga zioni contratte dalla Società a responsabilità limitata, « Francesco Sidoti e F.lli » o in sovvenzioni fatte alla stessa

Società, non offrono alcun elemento perchè possano rive

lare, in via d'interpretazione, la volontà dei suddetti di

attuarli come conferimento di capitali. Essi quindi vanno

definiti per quello che risulta dalle singole manifestazioni

di volontà e cioè a seconda dei casi come fideiussioni o

avalli cambiari o negozi di finanziamento, posti tutti in

essere dai Fratelli Sidoti al fine di agevolare il più possi bile il funzionamento della Società a responsabilità limitata,

raggiungendo lo scopo pratico dell'esercizio di un'attività

commerciale senza incorrere in una propria responsabilità

patrimoniale, oltre i limiti delle singole garanzie e dei sin

goli finanziamenti da essi consentiti. È invece infondata la tesi degli appellanti circa l'asse

rita cessazione della Società di fatto già fra essi costituita. Su tale punto invero l'accertamento contenuto nella sen tenza appellata ha autorità di cosa giudicata, essendo stato il relativo capo confermato, nel primo giudizio di appello ed essendo stata rigettata dal Supremo collegio la doglianza da tale organo proposta su tal punto, come risulta dal conte nuto della sentenza di rinvio, riferito in narrativa. Tale

sentenza, come è noto, oltre a porre espressamente i prin cipi cui deve uniformarsi il giudice di rinvio, implicitamente decide e supera tutte le questioni che avrebbero potuto essere prospettate dalle parti o rilevate di ufficio dalla

Corte di cassazione, quale presupposto necessario della pro nuncia.

Pertanto la pronuncia di assorbimento dei ricorsi inci

(1) Le sentenze 9 marzo 1957 del Tribunale di Messina, 29 novembre 1957 della Corte d'appello e 30 marzo 1960, n. 694 della Cassazione, che, parzialmente cassando la pronuncia di secondo grado, aveva rinviato la causa per nuovo esame del punto relativo all'esistenza della società di fatto (supersocietà) tra la società di fatto e la società di capitali tra gli stessi soci, sono rispettivamente riprodotte in Foro it., 1957, I, 886 ; 1958, I, 260 ; 1960, I, 1141, con note di richiami, cui adde, in questa, raccolta 1960, I, 1213, la postilla di Bigia vi ; Schermi, in Giusi, civ., 1960, I, 1405.

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