Sezione II civile; sentenza 26 ottobre 1961, n. 2416; Pres. Lorizio P., Est. Albano, P. M. Toro(concl. conf.); Istituto naz. luce (Avv. Giacheddu, Sechi) c. Masetti (Avv. Fornario)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 987/988-991/992Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150610 .
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987 PARTE PRIMA
decreto del 1936 per lo svolgimento della prescritta fase
amministrativa, senza ohe peraltro l'eventuale protrazione di tale fase o la sua riapertura a seguito di rinnovazione
della istanza di liquidazione possano valere come atti inter -
ruttivi del termine di prescrizione annuale che, per il suo
carattere speciale, può essere interrotto solo dall'effettivo
esercizio dell'azione giudiziaria. Come la protrazione del
procedimento amministrativo oltre il tempo che il legisla tore ha ritenuto sufficiente per il suo espletamento non può
più avere alcun effetto sospensivo rispetto al decorso del
termine di prescrizione, così le successive richieste, intese
a sollecitare nuovi accertamenti dell'Istituto per il ricono
scimento della indennità, non possono interromperne il
decorso già iniziato. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 10 novembre 1961, n. 2616 ; Pres. Verzì P., Est. Presa, P. M. Cutrupia (conci,
conf.) ; Ghisetti (Avv. Azzolina, Marinelli) c. Sesini
(Avv. Aliprandi, Lombardi).
(Conferma A pp. Brescia 18 giugno 1959)
Inabilitazione e interdizione — Causa promossa dall'inabilituto — Curatore — Poteri processuali — Impugnazione delle sentenze — Inammissibi
lità (Cod. civ., art. 428).
Il curatore dell'inabilitato, che lo ha assistito nel giudizio da questi promosso, non può impugnare la relativa sen
tenza. (1)
La Corte, eco. —- Con il primo motivo la ricorrente
denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art.
323, 334 e 339 cod. proc civ., in relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice. In particolare deduce che la Corte
di merito ha erroneamente escluso la legittimazione di essa
Ghisetti a proporre l'impugnazione, perchè non ha consi
derato che curatore e inabilitato hanno una legittimazione
congiunta, per cui l'esercizio dell'azione spetta ad entrambi
i soggetti con la conseguenza che sia l'uno sia l'altro, avendo la veste formale di parte, può proporre appello in caso di soccombenza.
La censura non è fondata.
Il giudizio di annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere fu promosso dallo stesso incapace ai sensi dell'art. 428 cod. civ. Nella prima fase della proce dura la G-hisetti intervenne nella sua qualità di curatrice,
per assistere il marito che era stato dichiarato inabilitato.
L'assistenza era necessaria perchè il Palanti non era in
grado di difendersi pienamente a causa della limitazione
della sua capacità. L'assistenza, però, non può essere confusa con la rap
presentanza perchè l'inabilitato, a differenza dell'inter
detto, conserva la sua personalità giuridica e può anche
compiere atti di normale amministrazione : peraltro, nei
(1) In senso conforme, per il curatore speciale della minore in conflitto d'interessi con il coniuge, Cass. 20 marzo 1962, n. 554, retro, 637, con nota di richiami.
Sull'assistenza processuale del curatore dell'inabilitato, v. Cass. 10 aprile 1953, n. 939, Foro it., 1954, I, 342 ; sulla pos sibilità dell'intervento in appello dell'inabilitato, che così sana
l'irregolare costituzione del rapporto processuale ad opera del curatore, Oass. 12 giugno 1950, n. 1477, id., Rep. 1950, voce Inabilitazione, n. 35.
Nega che il curatore dell'inabilitato ne abbia la rappresen tanza, Cass. 7 aprile 1947, n. 521, id., Rep. 1947, voce cit., n. 17.
App. Torino 28 gennaio 1946, id., Rep. 1946, voce cit., n. 14, riconosce al curatore il potere di agire per l'annullamento dell'atto eccedente l'ordinaria amministrazione, compiuto dall'ina bilitato senza la sua assistenza.
giudizi in cui egli sia attore o convenuto, è imposto dalla
legge l'intervento del curatore per integrare la sua capacità e consentirgli una piena difesa delle proprie ragioni. Conse
guentemente la Grhisetti, quale semplice curatrice del co
niuge inabilitato, non aveva la rappresentanza di questo ultimo perchè la sua funzione era limitata all'assistenza.
Non poteva, pertanto, essere considerata parte nel giudizio
perchè era rappresentata, nè era portatrice di un interesse
proprio. In difetto di tale veste non poteva proporre ap
pello avverso la sentenza di primo, grado perchè tale diritto
spettava soltanto al Palanti che aveva promosso il giudizio. A tali principi si è uniformata la decisione impugnata
con adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici, e pertanto la censura si rivela sotto ogni aspetto priva di
fondamento. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 26 ottobre 1961, n. 2416 ; Pres.
Lorizio P., Est. Albano, P. M. Toro (conci, conf.) ; Istituto naz. luce (Avv. G-iacheddu, Sechi) c. Masetti
(Avv. Poxinario).
(Conferma App. Boma 9 luglio 1959)
Competenza e giurisdizione in materia civile — Sen
tenza del giudice di merito allermante la giuris dizione — Passaggio in giudicato — Condizioni.
Lavoro (rapporto) — Art. 2087 eod. civile — Carat
tere non innovativo (Cod. civ., art. 2087). Lavoro (rapporto) — Infermità prodotta ed aggravata
dalla prestazione di lavoro — Denuncia del dipen dente — Obblighi dell'imprenditore — Conseguenza
(Cod. civ., art. 2087).
La sentenza, con la quale il giudice di merito afferma la
propria giurisdizione, è suscettibile di passare in giudicato solo se contemporaneamente decida questioni inerenti al
merito della controversia. (1) L'art. 2087 cod. civ., che impone all'imprenditore di adottare,
nell'esercizio dell'impresa, le misure necessarie a tutelare
l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di
lavoro, non ha carattere innovativo. (2)
L'imprenditore, al quale il dipendente denunci di avere, a
causa della prestazione di lavoro, contratto un'infermità o subito l'aggravamento di essa, deve sottoporre il dipen dente ad adeguati accertamenti sanitari e adottare le mi sure conseguenziali necessarie, non escluso il licenzia
mento per inidoneità fisica ; in difetto, egli risponde del danno subito dal prestatore di lavoro per effetto della
ulteriore permanenza nel posto di lavoro. (3)
(1) La massima si conforma al più recente indirizzo : v. Cass. 15 marzo 1960, n. 527, Foro it., 1961, I, 48!, con ampia nota di richiami, cui adde, nel medesimo senso, Cass. 12 marzo 1900, n. 494, id., Rep. 1960, voce Competenza civ., n. 261. Le due sentenze sono richiamate nella motivazione della presente, come Cass. 11 aprile 1959, n. 1072, riprodotta in questa rivista, 1959, I, 755.
(2-3) Sul carattere non innovativo dell'art. 2087, cfr. Cass. 25 febbraio 1945 (Foro it., Rep. 1943-45, voce Impresa, n. 8 : citata nella motivazione), secondo cui la norma « non ha fatto che codificare un principio già consolidato nella dottrina e nella
giurisprudenza nell'ultimo cinquantennio ». Y. anche la nota redaz. a Cass. 19 aprile 1945, n. 275 (id., 1944-46, I, 32), una delle prime sentenze che abbiamo applicato l'art. 2087.
Sul rapporto fra l'art. 2087 e l'art. 4 r. decreto 17 agosto 1935 n. 1765, v. per tutte Cass. 4 giugno 1956, n. 1898, id., 1956, I, 1816, con ampia nota di richiami (Cass. 22 ottobre 1955, n. 3459, ivi citata dal Repertorio, è riprodotta nel medesimo vo lume, I, 1686).
Sull'art. 2087, in generale, Cass. 12 aprile 1960, n. 845, id., 1960, I, 953 ; sul danno risarcibile, Trib. Venezia 22 luglio 1960, id., Rep. 1960, voce Lavoro (rapporto), n. 736 ; cfr. Cass. 3 aprile 1959, n. 996, id., Rep. 1959, voce Infortuni, nn. 374, 375.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, ecc. — Il ricorso principale dell'Istituto e
quello incidentale della Masetti vanno riuniti, essendo rela
tivi alla stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civile). Con il primo mezzo l'Istituto Luce denuncia la viola
zione dell'art. 2909 cod. civ. e dell'art. 11 delle preleggi, nonché il difetto di motivazione su punto decisivo (art.
360, n. 5, cod. proc. civile). Lamenta che erroneamente la
Corte di appello abbia ritenuto che la precedente sentenza, da essa emessa nello stesso processo, statuendo sulla giurisdi zione, non abbia delimitato la materia del contendere, con pronuncia passata in giudicato, all'esistenza o meno
di una colpa extracontrattuale ex art. 2043 cod. vig. e
1151 cod. 1865. Sostiene che, invece, la detta precedente sentenza avrebbe proprio stabilito che i riflessi e profili
giuridici dei fatti di causa attenevano esclusivamente alla
esistenza o meno di una responsabilità per colpa a qui liana
dell'Istituto, con esclusione del profilo contrattuale, e pro
prio su tali basi aveva escluso che ricorressero le condizioni
per l'applicazione delle norme sulla giurisdizione esclusiva
del Consiglio di Stato. Aggiunge, infine, che, in ogni caso, l'affermata applicabilità dell'art. 2087 cod. civ. costituisce
violazione del principio della non retroattività della legge, dato che i fatti di cui è causa si sono esauriti prima del
l'entrata in vigore del nuovo codice civile.
Le censure non hanno fondamento. Invero, a prescin dere che, come questo Supremo collegio ha più volte sotto
lineato (cfr., da ultimo, decisioni 11 aprile 1959, n. 1072, Foro it., 1959, I, 755 ; 12 marzo 1960, n. 494, id., Rep.
1960, voce Competenza civ., n. 261, e 15 marzo 1960, n.
527, id., 1961, I, 481), la cosa giudicata sul punto della
giurisdizione può formarsi solo quando si sia formato il
giudicato su una questione attinente al merito della con
troversia o quando la decisione sulla giurisdizione promani dalla Corte di cassazione (e nella specie è pacifico che non
si è avuta alcuna sentenza della Cassazione sul punto rela
tivo alla giurisdizione, mentre la precedente sentenza della
Corte di appello, che si assume passata in giudicato, non
riguardava nessuna questione di merito, ma solo la que stione di giurisdizione), è certo che, nella specie, la Corte
di appello, nella sua prima sentenza, ebbe a statuire sem
plicemente che la causa promossa dalla Masetti contro
l'Istituto Luce, essendo attinente ad un'azione di risarci
mento di danni, si ricollegava soltanto occasionalmente al
rapporto di pubblico impiego intercorso con l'Istituto e
quindi non rientrava nell'ambito della giurisdizione esclu
siva del giudice amministrativo.
Il fatto, poi, che nel corso della motivazione (sempre della prima sentenza) la Corte, dopo aver accennato a
quella che risultava la causa petendi della domanda risar
citoria, e cioè la violazione di norme di elementare pru denza e comune esperienza e la omissione delle misure
necessarie a tutelare la integrità fisica dei prestatori di
opera, abbia incidentalmente rilevato che la suddetta do
manda, come proposta dall'attrice, appariva posta in rela
zione con la responsabilità per fatto illecito prevista dal
l'art. 2043 cod. civ., non può certamente significare, come
esattamente è stato posto in rilievo pure nella sentenza
ora impugnata, che la Corte avesse inteso escludere l'ap
Per altri riferimenti consulta :
a) Trib. Roma 19 ottobre 1957 (id., Rep. 1958, voce In
fortuni, nn. 311, 312), sull'onere della prova del rapporto cau
sale tra l'evento dannoso ed il fatto che integra violazione del l'art. 2087 ;
b) Trib. Milano 16 maggio 1957 (id., Rep. 1957, voce Lavoro (rapporto), n. 540), che considera giusta causa di recesso
del lavoratore la violazione dell'art. 2087 da parte dell'impren ditore (nella specie : per mancato riscaldamento dell'ambiente di
lavoro nella stagione invernale) ; c) Oass. 21 aprile 1955, n. 1111 (id., 1956, I, 1817, dove
anche richia ni circa il problema della natura contrattuale od extracontrattuale della responsabilità derivante dalla viola
zione dell'art. 2087), affermativa della responsabilità dell'im
prenditore anche quando l'infortunio sia stato determinato
dall'impiego di strumenti pericolosi apprestati dal lavoratore,
che, all'atto dell'assunzione, abbia fatto noto di volersene
avvalere.
plicabilità nella controversia in esame anche delle norme
sulla responsabilità contrattuale ed in particolare del di
sposto dell'art. 2087 cod. civ., e ciò in quanto tale statui
zione, che avrebbe esulato dai limiti del giudizio di impu
gnazione, non avrebbe costituito un presupposto logico e
necessario del dispositivo della sentenza.
Ugualmente infondata è la censura, pure formulata dal
ricorrente, di violazione del principio della non retroatti
vità della legge (art. 11 disp. sulla legge in generale), per avere la Corte di merito ritenuto applicabile alla fatti
specie in esame l'art. 2087 cod. civ., nonostante che il
rapporto in questione si fosse esaurito nel 1941, prima, cioè, dell'entrata in vigore di tale norma.
Infatti, come ha posto in evidenza la sentenza impu gnata, uniformandosi all'orientamento di questa Suprema corte (decis. 25 febbraio 1945, Foro it., Eep. 1943-45, voce
Impresa, n. 8), l'art. 2087 cod. civ. non ha avuto carattere
innovativo, ma ha soltanto codificato un principio già con
solidato nella dottrina e nella giurisprudenza anteriori al
codice stesso ; principio che, a sua volta, almeno per la
parte relativa alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore
(specificamente invocata nel caso di specie), affondava le
sue radici nella legislazione progressivamente emanata in
Italia, dagli inizi di questo secolo in poi, in materia di
igiene e di sicurezza del lavoro. (Omissis) Con il terzo ed ultimo motivo, l'Istituto denuncia altra
violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vio
lazione degli art. 2043 e 2729 cod. civ., e art. 132, n. 4, cod. proc. civ., con riferimento agli art. 118 disp. att. e
360, n. 5, cod. proc. civile. Lamenta in sostanza il ricor
rente che la Corte di merito, pur avendo riconosciuto che
esso Istituto aveva compiuto quanto suggeriva la diligenza del buon pater familias, facendo visitare la Masetti all'inizio
e durante tutto il corso del rapporto, abbia poi erronea
mente ritenuto che sarebbe caduto in colpa quando la
Masetti avrebbe dato specifica notizia del pericolo cui la
esponeva il lavoro che essa eseguiva. Sostiene in contrario
che mancava qualsiasi prova che la Masetti avesse effetti
vamente presentato la pretesa istanza del novembre 1939, che esso Istituto aveva contestato tale presentazione e che la Masetti non aveva fornito alcuna prova sicura a sostegno della sua affermazione ; denuncia come erronei ed incon sistenti gli argomenti addotti dalla Corte in proposito.
Aggiunge che, comunque, anche se vi fosse stata la segna lazione della Masetti del novembre 1939, il logico sviluppo dei criteri esposti dalla stessa Corte avrebbe dovuto por tare ad escludere ogni colpa di esso Istituto.
Qaesta censura va esaminata insieme con quella formu
lata nell'unico motivo del ricorso incidentale proposto dalla
Masetti, in quanto entrambe riguardano la stessa parte della sentenza.
La Masetti denuncia a sua volta la violazione e falsa
applicazione degli art. 5, 1218, 1346, 2043, 2049, 2087 cod. civ. vig. ; 1116, 1123, 1151, 1153, 1218, 1225, 1226,
1627, 1628 cod. civ. 1865, nonché dei principi generali allora
vigenti circa le obbligazioni del datore di lavoro nei ri
guardi dell'igiene e della sicurezza del lavoro, nonché degli art. 1 decreto legge 15 maggio 1919 n. 818 ; 1, 2, 6, 7 r.
decreto 14 aprile 1927 n. 530 ; denuncia infine difetto e
contraddittorietà di motivazione in relazione agli art. 132, n. 4, 161, 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civile. Sostiene la
ricorrente incidentale che erroneamente la Corte, pur es
sendo rimasto accertato in fatto che le mansioni affidate
ad essa e dalla stessa espletate erano particolarmente affa
ticanti per l'unico occhio rimastole e ne danneggiavano la funzionalità e che il lavoro veniva svolto in condizioni
tutt'altro che ideali dal punto di vista dell'igiene dei locali, del trattamento preventivo dei lavoratori e della quantità del lavoro richiesto, abbia affermato che nessuna responsa bilità poteva addebitarsi all'Istituto, per aver fatto lavo
rare essa Masetti in condizioni pregiudizievoli della sua
residua capacità visiva, se non dalla data in cui l'Istituto
stesso aveva avuto notizia specifica del peggioramento delle
condizioni di essa dipendente. Denuncia l'erroneità, per tale capo, della decisione e la violazione delle norme indi
cate, sostenendo il fondamento del proprio assunto ten
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PARTE PRIMA
dente ad ottenere una declaratoria di completa responsa bilità dell'Istituto.
Entrambe le doglianze non hanno fondamento. In rela
zione particolarmente a quella formulata dall'Istituto Luce, è da osservare che la statuizione dei Giudici di merito, secondo cui la responsabilità aquiliana dell'Istituto doveva
ritenersi pienamente sussistente quanto meno in ordine al
periodo dal novembre 1939 in poi, in cui, cioè, nonostante
una specifica denuncia allo stesso Istituto da parte della
dipendente di un notevole aggravamento delle proprie, già
ridotte, facoltà visive, tale da renderla inidonea alle man
sioni cui era adibita, l'Istituto medesimo, violando una
norma di comune prudenza, non aveva sottoposto, come
pure avrebbe avuto obbligo, la donna ad adeguati accerta
menti sanitari, non merita alcuna censura.
Infatti, esattamente la Corte ha enucleato siffatto ob
bligo particolare dell'Istituto, di sottoporre la propria di
pendente ad adeguati accertamenti sanitari, in conseguenza della denuncia dell'infermità contratta od aggravata a
causa del servizio prestato, da una norma di comune pru
denza, cioè da un principio collegato al precetto generale del neminem laedere, la cui violazione costituisce il presup
posto e il fondamento della colpa aquiliana. In sostanza,
quando un dipendente denunci al proprio datore di la
voro di aver contratto, a causa della propria prestazione di lavoro, una malattia o di aver subito un aggravamento di una infermità preesistente, il datore di lavoro ha, in
ogni caso, l'obbligo specifico, in ottemperanza di una norma
di comune prudenza (e perciò indipendentemente dall'esi
stenza o meno di una particolare disposizione legislativa o
regolamentare in tal senso), di sottoporre il proprio di
pendente ad adeguato accertamento sanitario, adottando
poi le opportune misure consegiienziali, non esclusa quella del licenziamento per inidoneità fisica. Ove il datore di
lavoro non ottemperi all'obbligo suddetto, esattamente esso
va ritenuto responsabile delle conseguenze dannose deri
vate, per effetto del suo comportamento colposo, al dipen dente medesimo. Pertanto, nella specie, non merita cen
sura la statuizione della Corte di appello che ha affermato
la responsabilità dell'Istituto, in conseguenza del suo com
portamento omissivo, a far tempo dal novembre 1939.
Nè può valere a contestare la legittimità del principio
sopra affermato il rilievo, ripetuto dal ricorrente Istituto
anche in questa sede, secondo cui, cioè, essendo stati affi
dati, nella specie, al servizio sanitario dell'E.n.p.i. (Ente naz. prevenzione infortuni) l'accertamento ed il controllo
dell'idoneità fisica dei dipendenti, ogni eventuale segnala zione da parte del lavoratore avrebbe dovuto essere fatta
al detto Ente e non al datore di lavoro, con esclusione
pertanto di qualsiasi obbligo di controllo, e quindi di re
sponsabilità, a carico di quest'ultimo. In confutazione di tale rilievo non vi è che da confer
mare quanto già sostenuto in sostanza dai Giudici di me
rito, e cioè che, a prescindere che, nella specie, il periodico controllo sanitario dell'E.n.p.i. riguardava principalmente
l'apparato respiratorio, come quello vulnerabile per effetto
delle sostanze tossiche adoperate nelle operazioni di svi
luppo e stampa dei films, l'obbligo dell'Istituto di sotto
porre la Masetti a specifico accertamento oculistico discen
deva nel caso in esame esclusivamente dal fatto che proprio ad esso Istituto costei aveva denunziato la sua infermità
o l'aggravamento di questa nel novembre 1939. Pertanto, come è stato esattamente ritenuto dai Giudici di appello, in
dipendentemente dall'operato dei sanitari dell'E.n.p.i., l'Isti
tuto, in conseguenza della denuncia ad esso rivolta, avrebbe
dovuto provvedere direttamente all'accertamento specifico della infermità denunziata. Non avendo a tanto provveduto, la sua responsabilità non può essere posta in discussione.
Infine è da osservare che neppure merita accoglimento l'ultima doglianza dell'Istituto, secondo cui, cioè, manche
rebbe, in ogni caso, nella specie, la prova che effettiva
mente nel 1939 la Masetti avrebbe fatto istanza di trasfe
rimento ad altro reparto, denunciando la sua infermità
agli occhi.
Al riguardo è da considerare che la Corte di merito, valutando gli elementi probatori acquisiti agli atti, ha, con
ampia ed esauriente motivazione, ritenuto sicuramente av
venuta la presentazione dell'istanza in questione alla data
dell'8 novembre 1939, e tale apprezzamento di fatto non
è, come tale, sindacabile in questa sede.
Passando quindi ad esaminare le doglianze formulate
dalla Masetti nel ricorso incidentale, nessuna censura me
rita la sentenza di appello in ordine al diniego di responsa bilità dell'Istituto per il periodo anteriore all'8 novembre
1939, alla presentazione, cioè, della più volte ricordata
istanza di trasferimento ad altro reparto per aggravamento delle condizioni visive.
Invero l'affermazione della Corte, secondo cui nessuna
colpa poteva essere attribuita all'Istituto in relazione a
tale periodo precedente, avendo il detto Istituto, all'atto
dell'assunzione della Masetti e anclie nel corso del rap
porto, controllato periodicamente, tramite i sanitari del
l'E.n.p.i., le condizioni fisiche generali e anche visive della
propria dipendente, senza che costei avesse mai sollevato alcuna contestazione in ordine ai costanti e periodici giudizi di perfetta idoneità fisica al servizio di passafilms, al quale del resto essa Masetti era stata assegnata, su sua richiesta, fin dal momento dell'assunzione (1935), è assolutamente
ineccepibile sia dai punto di vista logico sia giuridico. Invero, come esattamente ha pure posto in rilievo la
Corte di appello, l'Istituto, avendo affidato ai sanitari
dell'E.n.p.i. il controllo sulla idoneità fisica dei dipendenti, non era tenuto a controllare, a sua volta, l'operato dei sani
tari, in mancanza di rilievi da parte degli interessati, di
guisa che il periodico giudizio degli stessi sull'idoneità dei
dipendenti doveva ritenersi sufficiente a rassicurare l'Isti tuto sulla persistenza della predetta idoneità nel corso del
rapporto.
Ugualmente infondate sono le doglianze della ricor
rente incidentale in ordine alla limitazione della responsa bilità dell'Istituto, sotto il riflesso della violazione delle norme relative alla tutela delle condizioni di lavoro e quindi del principio codificato nell'art. 2087 cod. civ., allo stesso
periodo compreso tra l'8 novembre 1939 e la fine del rap porto, avvenuta nel 1941.
A tale proposito occorre precisare che la Corte di ap pello ha ritenuto che, nella specie, la violazione delle norme relative alla tutela delle condizioni di lavoro fosse da rap portarsi solo al compimento in misura eccessiva di lavoro
straordinario, dato che questo talvolta si protraeva durante tutta la notte, sino all'alba (con esclusione perciò, contra riamente a quanto affermato dalla Masetti, di qualsiasi altra violazione, specie in relazione alle condizioni di igiene dei locali e al trattamento in genere dei lavoratori), ma ha limitato l'efficienza produttiva di danni di tale eccesso di lavoro straordinario al solo periodo successivo alla pre sentazione del noto esposto dell'8 novembre 1939, in quanto, essendo solo in tale data l'Istituto venuto a conoscenza, tramite il suddetto esposto, delle precarie condizioni visive della Masetti, esso avrebbe dovuto, quanto meno con decor renza da quella data, astenersi dall'imporre in prosieguo di tempo a costei turni prolungati e gravosi di lavoro straor
dinario, che non potevano che fatalmente aggravare le sue facoltà visive.
Anche siffatta valutazione dei Giudici di merito, es sendo esaurientemente e logicamente motivata, si sottrae al sindacato di questa Suprema corte.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
I
Sezione I civile ; sentenza 25 ottobre 1961, n. 2366 ; Pres. Torrente P., Est. Iannuzzi, P. M. Colli (conci, conf.) ; Soc. Giurlani (Avv. Zappia) c. Romeo (Avv. Macrì).
(Gassa App. Catanzaro 29 agosto 1959)
Fallimento — Opposizione a sentenza dichiarativa — Intervento del creditore non istante — Legit
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