Sezione II civile; sentenza 28 luglio 1965, n. 1801; Pres. Marletta P., Est. E. Pedroni, P. M.Silocchi (concl. conf.); De Mundo (Avv. Andrioli) c. De Mundo (Avv. Fazzalari)Source: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1966), pp. 1379/1380-1381/1382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155958 .
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1379 PARTE PRIMA 1380
Nè la responsabilità della S.i.p.e.i. potrebbe profilarsi sotto l'aspetto del mancato controllo, da parte di questa ultima, dell'asserito calo di peso della bombola, prima che
la stessa fosse consegnata al Trinca, perchè lo stato rego lamentare della bombola, quale risultava dalle indicazioni
della punzonatura, esoneravano la distributrice di metano
da una indagine peraltro commessa dalla legge ad uno
specifico organo. Con il secondo mezzo il ricorrente denuncia la viola
zione e falsa applicazione degli art. 2043, 2050, 2055 cod.
civ., 8, 10, 13 della legge n. 640 del 1950, 37 del decreto
pres. 16 dicembre 1950 n. 1121, 112 cod. proc. civ. in re
lazione agli art. 132, n. 4, e 360, nn. 3 e 5, del codice
stesso, assumendo che la erroneità della decisione, con la
quale è stata esclusa nei confronti della S.i.p.e.i. la re
sponsabilità prevista dalla legge per i danni dipendenti dall'esercizio di un'attività pericolosa, sarebbe confermata
dalla considerazione ch'esso Trinca sarebbe coperto dalla
assicurazione per la responsabilità civile dei proprietari delle bombole, delle centrali di compressione e dei distri
butori verso i terzi, fra i quali anch'egli dovrebbe, quale utente, essere annoverato.
Anche tale censura è priva di fondamento. È bensì
vero che gli art. 13, n. 4, della già citata legge n. 640 del
1950 e 37 del relativo regolamento approvato con decreto
pres. 16 dicembre 1950 n. 1121 impongono l'assicurazione
contro la responsabilità civile verso i terzi dei proprietari delle bombole, delle centrali di compressione, dei distribu
tori e degli utenti e che, ai fini dell'indennizzo, si considera
terzo anche l'utente, ancorché sia proprietario della bom
bola, ma è da rilevare che l'obbligo della prestazione assi
curativa presuppone l'accertamento della responsabilità civile dell'assicurato : nella specie della S.i.p.e.i., che, in
vece, è stata ritenuta indenne da colpa. Con il terzo mezzo il Trinca deduce la violazione e falsa
applicazione degli art. 1571, 1575, 1579, 1703, 1720, 1731,
1741, 1766, 1781, 1803, 1812 cod. civ., 112 e 115 cod.
proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., assumendo che la denunciata sentenza erroneamente avrebbe
ritenuto superflua la indagine circa la natura giuridica del
rapporto costituitosi tra esso Trinca e la S.i.p.e.i. ed al
trettanto erroneamente lo avrebbe, ad ogni modo, qualifi cato comodato anziché locazione o deposito.
La censura non è meritevole di accoglimento. La corte
del merito, pur considerando ineccepibile la qualificazione di comodato data dal tribunale al rapporto tra la S.i.p.e.i. e il Trinca, con la conseguenza che la prima avrebbe dovuto
rispondere del danno subito dal secondo solo se, venuta
a conoscenza del difetto della bombola, non ne avesse
avvertito il comodatario : il che non era provato ; ha, tut
tavia, ritenuto che la questione circa la configurabilità di
una responsabilità contrattuale della S.i.p.e.i. era priva di
rilevanza per la decisione della controversia.
Il che non può addebitarsi ad errore della denunciata
sentenza, non tanto per il motivo da questa addotto che
il Trinca avesse dedotto a fondamento della domanda la
responsabilità aquiliana della S.i.p.e.i., quanto per l'altro
motivo, emergente dalla impugnata sentenza, che le con
dizioni della bombola erano regolamentari e tali, pertanto, da escludere la responsabilità anche contrattuale della
S.i.p.e.i., quale che fosse la qualificazione giuridica da asse
gnarsi al rapporto tra la stessa S.i.p.e.i. e il Trinca.
Con il quarto ed ultimo mezzo il ricorrente, denunciando
la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 in relazione
all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., assume che la corte
del merito lo avrebbe condannato alle spese del doppio
grado anche verso l'E.n.i., nonostante che questo fosse
stato chiamato in causa dalla S.i.p.e.i. sulla base di un
rapporto di garanzia impropria e nonostante che nessuna
domanda o conclusione esso Trinca avesse proposto contro
l'E.n.i., onde non si sarebbe potuto affermare che le spese dal medesimo sostenute fossero state provocate da esso
stesso Trinca.
La censura non può essere attesa. Le spese anticipate dal terzo chiamato in causa dal convenuto sono legittima mente poste a carico dell'attore principale soccombente ;
ancorché il medesimo non abbia proposto alcuna domanda o conclusione contro il terzo, ove il giudice di merito ac
certi, come lia accertato insindacabilmente nella specie, che la chiamata del terzo è stata comunque provocata dal comportamento della parte soccombente (Cass. 20 aprile 1963, n. 983, Foro it., Rep. 1963, voce Spese giudiziali, nn. 27, 28 ; 17 ottobre 1962 n. 3025, id., Eep. 1962, voce
cit., n. 25). Il ricorso dev'essere, pertanto, rigettato, con le conse
guenze di legge. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 28 luglio 1965, n. 1801 ; Pres.
Mabletta P., Est. E. Pedboni, P. M. Silocchi (conci,
conf.) ; De Mundo (Avv. Andrioli) c. De Mundo (Avv.
Fazzalari).
(Conferma App. Catanzaro 13 giugno 1964)
Divisione — Progetto dichiarato esecutivo dal giu dice istruttore —- lrreela inabilità dell'ordinanza
al collegio — Inappellabilità della sentenza (Cod.
proc. civ., art. 178, 340, 789, 791).
È irreclamabile al collegio l'ordinanza, con cui il giudice istruttore, malgrado le contestazioni di alcuno dei co'ndi
dividenti, dichiara esecutivo il progetto di divisione. (1) È inappellabile la sentenza, con cui vien dichiarato inam
missibile il reclamo avverso l'ordinanza del giudice istrut
tore, che, malgrado le contestazioni di alcuno dei condivi
denti, dichiarò esecutivo il progetto di divisione. (2)
La Corte, ecc. — Con l'unico motivo del ricorso il ri
corrente, denunciando la violazione degli art. 177, 178,
187, 279, 340, 789 e 791 cod. proc. civ., sostiene che,
allorquando il giudice istruttore, dichiarando esecutivo
un progetto di divisione nonostante le contestazioni di
alcuno dei condividenti, usurpa funzioni proprie del col
legio, il suo provvedimento ha natura decisoria ; che
l'unico rimedio contro un simile provvedimento è costi
tuito dal reclamo al collegio, in armonia sia con il principio della sottordinazione dell'istruttore al collegio sia con
l'altro che ravvisa nell'istruttore non un ufficio giudiziario ma un complesso di funzioni, di volta in volta ed in occa
sione di ogni processo, assegnato ad un membro del col
legio ; che il provvedimento emesso dal Tribunale di Ros
sano sotto forma di ordinanza aveva natura decisoria, in
quanto l'art. 789 cod. proc. civ. assegna al collegio la fun
zione di decidere le contestazioni sul progetto di divisione ; che il medesimo, essendo privo degli elementi formali
propri della sentenza, era nullo ed era impugnabile con
l'appello. Ritiene la Corte suprema che la tesi suesposta non sia
da condividere e che, di conseguenza, il ricorso debba
essere respinto. Invero, anche nella ipotesi che il giudice istruttore,
(1-2) La sentenza 13 giugno 1964 della Corte d'appello di
Catanzaro, ora confermata, è riassunta in Foro it., Rep. 1965, voce Divisione, nn. 30, 31.
Nel senso che il potere del giudice istruttore di dichiarare
esecutivo il progetto di divisione viene meno solo nell'ipotesi di espresse contestazioni e non quando uno o più condividenti
si siano resi contumaci Cass. 22 ottobre 1964, n. 2642, id., Rep. 1964, voce cit., n. 54.
Nel senso che l'ordinanza del giudice istruttore, che dichiara
esecutivo il progetto di divisione parziale o di stralcio, malgrado il difetto di contestazioni, sia impugnabile con ricorso alla Cassa
zione, Cass. 4 aprile 1962, n. 707, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 44, 15 ; 17 giugno 1959, n. 1902, id., 1960, I, 1384, con nota di ri
chiami, cui adde, in nota alla stessa sentenza, Acone, in Riv. Mr. proc., 1961, 131.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
straripando dai limiti ad esso segnati dall'art. 789 ood. proc. civ., usurpi i poteri decisori conferiti dalla legge al collegio in tema di contestazioni al progetto di divisione, emettendo
ordinanza omologativa malgrado il disaccordo dei condi
videnti, il suo provvedimento, pur se viziato da un eccesso
di potere giurisdizionale in quanto l'esecutorietà al pro
getto è data solo se ricorre l'accordo espresso o presunto dei partecipi alla divisione, non muta fisionomia e perciò resta ognora sottratto, secondo quanto prescrive il citato
art. 789, alla possibilità del reclamo al collegio. Meditando
il delicato problema ritiene questa corte che l'ordinanza
dell'istruttore non muta la sua natura, anche se non ri
specchia il modello della previsione normativa, dacché la
classificazione di un provvedimento deve obbedire alla sua
configurazione astratta e paradigmatica e non già seguire le mutevoli e contingenti anomalie ed atipicità che l'evo
luzione del processo può comportare. Il che equivale a dire che il provvedimento dell'istrut
tore sul progetto di divisione conserva sempre il carattere
di ordinanza omologativa sia che sia emanata sulla base
di un assenso espresso o presunto dei condividenti sia che
sia emanata quando tale assenso difetti.
In ogni caso ciò che conta rilevare è che la riscontrata
discrepanza fra fattispecie legale ed astratta e fattispecie concreta non autorizza il reclamo al collegio, il quale re
clamo nell'ordinamento processuale è contemplato esclu
sivamente come strumento per provocare il perenne con
trollo del collegio contro i provvedimenti di carattere istrut
torio adottati dall'organo all'uopo delegato. Ritiene la corte che la predetta non reclamabilità resti
ferma sia che si voglia ritenere che il provvedimento ille
gittimo non abbia perduto, a cagione della usurpazione dei poteri riservati al collegio, il suo astratto e connatu
rale carattere ordinatorio, dovendosi considerare soltanto
afflitto da un error in procedendo, prodotto precisamente dalla trasgressione da parte dell'istruttore del divieto di
interloquire sul progetto divisorio quando sia assente lo
elemento condizionante della esecutorietà e cioè l'adesione
espressa o presunta dei condividenti, sia che si voglia pro
pendere, come ha già opinato questa Corte suprema, per la tesi secondo la quale l'ordinanza dell'istruttore, ove
non si adegui allo schema formale e sostanziale previsto nella fattispecie complessa dell'art. 789, smette ogni carattere ordinatorio del processo per acquistare un con
tenuto tipicamente decisorio di un abnorme provvedimento di merito.
In realtà, ove si voglia accedere alla prima configura
zione, che meglio risponde ad un canone fondamentale
dell'ortodossia processuale, secondo il quale la singolarità
dell'organo, cui nello svolgimento del processo sono affi
date funzioni meramente istruttorie, non consente espli cazione di attività decisoria, si avrà che il vizio che inquina il provvedimento, risolvendosi in un vizio del negozio di diritto sostanziale che l'ordinanza è destinata a rece
pire, può esser fatto valere solo mediante l'esperimento, in sede ordinaria di cognizione, delle normali azioni d'im
pugnativa dei negozi giuridici disposte dalla legge per la
invalidazione dei medesimi (cfr. sent. n. 3276 del 15 ot
tobre 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Divisione, nn. 82
84). Ove, invece, si voglia condividere la tesi secondo la
quale il provvedimento, in conseguenza della usurpazione da parte dell'istruttore dei poteri spettanti al collegio, diviene abnorme e si trasforma in provvedimento deci
sorio di merito, la reclamabilità al collegio sarebbe sem
pre da escludere, dacché, in presenza della non impu
gnabilità proclamata dal più volte citato art. 789, sot
tentrerebbe come rimedio succedaneo, la denunciabilità
in Cassazione del provvedimento illegittimo, a termini
dell'art. Ill Cost., il quale, secondo la costante giu
risprudenza di questa corte, assoggetta al predetto ri
medio di legittimità tutti i provvedimenti giurisdizionali di carattere decisorio, quale che sia la forma da essi appa rentemente rivestita, rispetto ai quali non sia prevista dalla legge altra specifica impugnazione (cfr. sentenza
n. 1902 del 17 giugno 1959, id., 1960, I, 1384). In linea di mera astrazione, potrebbe anche consen
tirsi che, oltre al rimedio, in sede ordinaria di cognizione, dell'azione volta all'annullamento o alla dichiarazione di
nullità del negozio illegittimamente omologato dall'ordi
nanza dell'istruttore ed oltre alla impugnativa per cassa
zione del provvedimento ritenuto di contenuto decisorio, il condividente non consenziente al progetto abbia a sua
disposizione, per non lasciare impunito l'abuso di potere
giurisdizionale consumato dall'istruttore, anche il rimedio
dell'appello e ciò traendo partito da quell'orientamento
giurisprudenziale di questo Supremo collegio, secondo il
quale l'ordinanza di convalida della licenza di sfratto,
quando si riscontri che la sua emissione sia avvenuta nel di
fetto dei presupposti che, a norma dell'art. 663 cod. proc.
civ., debbono condizionarla e cioè attestazione della per sistente morosità dell'inquilino e mancata opposizione di
costui, cessa di essere non impugnabile, in quanto, benché
emesso in forma di ordinanza, acquista l'intrinseco conte
nuto di sentenza, soggetta, come tale, al rimedio dell'ap
pello. Ma, pur volendo concedere in via del tutto teorica una
così ampia latitudine di gravami contro l'ordinanza viziata
dell'istruttore che abbia dato il suggello della esecuto
rietà al progetto di divisione che in presenza di contesta
zioni, resta in ogni caso da escludere, ai fini circoscritti
per cui è causa, che tra i rimedi consentiti possa essere
compreso quello sperimentato da Luigi De Mundo e cioè
il reclamo al collegio, che mal si concilia, come già rilevato, con la natura e la portata dell'ordinanza, priva di ogni finalità istruttoria.
Si sostiene, peraltro, dal ricorrente che la carenza
di questioni istruttorie nel reclamo proposto al collegio e la sussistenza esclusiva, invece, di questioni processuali, nella soluzione delle quali doveva esaurirsi il potere cogni tivo del Tribunale di Rossano adito col reclamo, impone vano a quel collegio di rivestire il provvedimento reiet
tivo, che andava ad adottare, della forma della sentenza, con la conseguenza che l'appello proposto avanti la corte
di Catanzaro doveva ritenersi perfettamente ammissibile.
Tale assunto si confuta agevolmente considerando
anzitutto che la forma data alla decisione del tribunale
è quella propria dell'ordinanza non suscettibile di appello e non già quella della sentenza soggetta a tale rimedio e
rilevando soprattutto che il tribunale non poteva dare,
sotto l'aspetto formale, altra risposta diversa dall'ordi
nanza al reclamo non consentito, essendo lo stesso tribu
nale munito soltanto del potere di riscontrare, ovviamente
con ordinanza, la non reclamabilità del provvedimento dell'istruttore ed essendo, correlativamente, privo in quella sede di ogni altro potere decisorio di merito (arg. ex art. 178,
6° comma, cod. proc. civile).
Esattamente, quindi, la corte di Catanzaro ha dichia
rato inammissibile l'appello proposto contro l'ordinanza
del tribunale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione iii civile ; sentenza 10 maggio 1965, n. 879 ; Pres. Giansiracusa P., Est. Sparvieri, P. M. Pedace (conci, conf.) ; Risi e Callosi (Avv. Arrighi, P. Barile, Ca
mici) c. Soc. Galbani (Avv. Calabrese, Barberio
Corsetti).
(Conferma App. Milano 17 maggio 1962)
Mandato — Esercizio dei diritti di credito derivanti
dall'esecuzione del mandalo — Natura dell'azione — Incompatibilità con la cessione dei crediti (Cod. civ., art. 1705, 2° comma).
Poiché l'azione del nmiulanle avente per oggetto Vesercizio dei
diritti di credito nascenti dal mandato, lia carattere di
azione diretta e non di azione surrogatoria, non è ipotiz
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