Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M.Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo (Avv.Colli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1977/1978-1983/1984Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151106 .
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1977 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1978
stesso. E tale equiparazione è legislativamente riflessa
nell'art. 1729 cod. civ., il quale detta che gli atti che il
mandatario ha compiuto prima di conoscere l'estinzione
del mandato sono validi « nei confronti del mandante
o dei suoi eredi ».
Già altra volta questa Sezione (sent. n. 1957 del 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Scrittura, n. 58) ha ritenuto
che nei confronti di una scrittura privata di compra vendita immobiliare non registrata nè autenticata, sot
toscritta da persona qualificatasi rappresentante del ven
ditore in virtù di regolare procura, il soggetto che rila
sciò la procura non può considerarsi terzo e non può
pretendere, dall'acquirente, la prova della certezza della
data ai sensi dell'art. 2704 cod. civ., allo scopo di stabilire
se la compravendita sia stata stipulata prima o dopo la
intervenuta revoca della procura. Ulteriormente sviluppando e motivando tale principio,
va rilevato che esso deve essere tenuto fermo anche se la
causa di estinzione del potere di rappresentanza sia diversa
dalla revoca della procura e quindi sia operativa senza che
debba essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.
È opportuno ricordare che, per espresso disposto di legge
(1° comma dell'art. 1708 cod. civ.), il mandato a compiere un determinato negozio importa anche il mandato a compiere tutti gli atti o fatti funzionalmente connessi con il compi mento di quel negozio e che, anzi, da tale principio la
dottrina ha ricavato la implicita autorizzazione, del man
dante al mandatario, a compiere prestazioni addirittura
eterogenee rispetto alla prestazione caratteristica prevista nel inandato, purché collegate con quest'ultima. Ne consegue
che, tenuta presente la efficacia costitutiva della forma
scritta nelle compravendite immobiliari, l'attività svolta
dal mandatario, in nome e per conto del mandante, nella
formazione della scrittura, riflette direttamente i propri effetti nella sfera giuridica del soggetto che rilasciò la
procura. Detto soggetto non è quindi terzo rispetto alle
enunciative contenute in quella scrittura (e quindi anche
rispetto alla enunciazione della data) e non può quindi in
vocare, a proprio favore, la tutela che l'art. 2704 detta
specificamente ed esclusivamente a favore dei terzi.
E poiché l'erede non è terzo, rispetto al proprio autore
che aveva rilasciato la procura a vendere il diritto immo
biliare, le stesse conclusioni sopra esposte valgono per esso
erede.
Tale principio non può restare infirmato dalle ulteriori
osservazioni della sentenza impugnata e del resistente, e consistenti nel rilevare che : a) l'art. 2704 pone, tra i
fatti dai quali può ricavarsi la certezza della data, il decesso
o la sopravvenuta impossibilità fisica « di colui o di uno di
coloro che l'hanno sottoscritta », con implicito rif. rimento
ai sottoscrittori dell'atto in senso materiale ; b) l'escludere
che il mandante possa essere considerato terzo ai fini spe cifici dell'art. 2704 espone detto mandante al pericolo di dover subire l'efficacia di un negozio che, in realtà, sia stato concluso dopo la cessazione del mandato.
Il rilievo di cui sub a) non è sufficiente per ricavarne
che debbono essere considerati terzi, ai fini dell'art. 2704, tutti coloro che non sottoscrissero materialmente l'atto.
Infatti, l'art. 2704 non può essere avulso dai principi essen
ziali dei diversi istituti compatibili con la sottoscrizione
dell'atto. Ne consegue che la interpretazione dell'articolo
in discussione deve essere posta in relazione anche con i già
lumeggiati principi sulla estensione del mandato, nonché
con i principi sulla rappresentanza, sicché ne deriva che deve
imputarsi al mandante anche la enunciativa della data
apposta, nella scrittura privata, dal mandatario con rap
presentanza. Ne consegue ancora che è esatto che la previsione della
fisica impossibilità di sottoscrivere (per decesso o per altra
causa) non può riferirsi che al soggetto che ha materialmente
sottoscritto l'atto, ma ciò importa solo che le conseguenze
giuridiche di detta impossibilità si riflettono anch'esse
direttamente sul soggetto che aveva rilasciato la procura a sottoscrivere, sicché la materiale impossibilità della
sottoscrizione da parte del procuratore diventa, sul piano
giuridico, impossibilità del mandante, ma non vale a tra
sformare il mandante in terzo, ai fini della tutela che l'art. 2704 accorda solo ai terzi, che non parteciparono, diretta mente o per interposta persona, alla formazione del contenuto della scrittura, data compresa.
§^, In quanto, poi, al pericolo che il mandante possa trovarsi
esposto a dover subire un negozio concluso dopo la ces sazione del [mandato, se i terzi hanno contrattato, senza
colpa, con il procuratore dopo l'avvenuta scadenza del
mandato, il 2° comma dell'art. 1396 cod. civ. espressamente consacra una ipotesi di ultrattività del mandato e prescrive che le cause di estinzione automatica del potere di rappre sentanza non sono opponibili ai terzi che le hanno senza
colpa ignorate. Se, invece, si verificò una ipotesi di antidata zione dolosamente concordata tra il procuratore e i terzi, va rilevato che : a) la stessa eccezionalità della ipotesi di collusione fa sì che essa non possa valere per la inter
pretazione del disposto di legge in esame (e cioè dell'art.
2704) ; b) il pericolo di una ipotesi eccezionale di collusione era stato già avvertito in sede di interpretazione dell'art. 1327 cod. 1865, e parte della dottrina aveva, fin da allora,
segnalato la opportunità, de iure condendo, della modifica di quell'articolo. Al contrario, il legislatore, che pur non
ignorava le discussioni già svoltesi in relazione al men
zionato art. 1327 cod. 1865, ha preferito riprodurre inalterato il contenuto di detto disposto di legge del vigente art.
2704, ritenendolo giustificato da'la normalità dei casi e
dalla opportunità di non alterare i principi in tema di
rappresentanza ; e) comunque, l'interessato può sempre denunziare e dimostrare una eventuale collusione in suo
danno, senza peraltro incorrere (come già era stato sotto lineato in sede di interpretazione dell'art. 1327 cod. 1865) in alcuna limitazione di prova, dato che oggetto della prova stessa non sarebbe già il diniego della provenienza, da
parte dei sottoscrittori (art. 2702 cod. civ.), della enunciativa
della data, ma il fatto semplice che la data apposta alla
scrittura non è quella vera.
Concludendo, i primi tre mezzi del ricorso devono essere accolti nei limiti fin qui precisati. Tale accoglimento de
termina l'assorbimento del quinto mezzo, con il quale i
coniugi Landoni-Monza avevano denunziato che la sentenza
impugnata non aveva preso in considerazione il rilievo
subordinato, da essi avanzato in sede di merito, circa la
certezza, ricavabile attraverso le prove raccolte in occasione
della istruttoria penale, che le due scritture erano state
effettivamente sottoscritte prima del decesso di Paradisi
Michele.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627 ;
Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi
(conci, conf.) ; Lombardi (Avv. Carneltjtti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo (Avv. Colli).
(Conferma App. Firenze 2 settembre 1958)
Successione — Istituzione (li erede sotto condizione
risolutiva — Erede apparente — Tutela dell'acqui
rente dall'erede apparente — Requisiti (Cod.
civ., ^rt. 534). Sentenza in materia civile -— Impugnazione del
contratto concluso con l'erede apparente — Dedu
zione della colpa dell'acquirente da parte del
(|iudicc -—■ Ultrapetizione — Insussistenza (Cod.
civ., art. 534 ; cod. proc. civ., art. 112).
Successione -—• Erede apparente — Tutela dell'acqui
rente a titolo oneroso —- Presupposto —- Conse
guenza (Cod. civ., art. 534, 1147).
Il capoverso dell'art. 534 eod. civ., che tutela il terzo acqui rente a titolo oneroso dall'erede apparente, è applicabile anche a chi abbia contrattato con l'istituito sotto condizione
risolutiva, ritenendo che la condizione ncn si sia verifi cata. (1)
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1979 PARTE PRIMA 1980
Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, dovendo decidere sulla validità o meno del contratto a titolo oneroso
conchiuso con l'erede apparente, nel silenzio delle parti rilevi d'ufficio l'esistenza della colpa che esclude la buona
fede. (2) Il capoverso dell'art. 534 cod. civ. è inapplicabile nei casi
in cui l'errore del terzo acquirente sia dipeso dall'omissione della normale diligenza in ordine all'accertamento della
reale situazione giuridica. (3)
La Corte, ecc. — Premesso che i due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti, la Corte osserva clie il ricorso principale, a cui, come si è detto, ha
prestato adesione il ricorrente incidentale Magherini Ora
ziani, consta di due mezzi.
Col primo di essi si sostiene che nella specie doveva
senz'altro ritenersi che il terzo acquirente fosse versato
in buona fede al momento dell'acquisto, in considera
zione del comportamento, a lui noto, dei coniugi Mels
Colloredo, i quali, pur essendo gli unici interessati a far
valere l'avveramento della condizione risolutiva, avevano, nonostante il detto avveramento, lasciato che l'apparente erede continuasse a possedere pacificamente i beni ereditari.
Ì E si aggiunge che, ad ogni modo, la Corte del merito
non avrebbe potuto, in mancanza della relativa eccezione
e della relativa prova, ritenere l'inefficacia della buona
fede del terzo acquirente, per il motivo che tale buona
fede era dipesa da uno stato d'ignoranza addebitabile a
colpa del terzo.
Col secondo mezzo si deduce poi che la Corte errò nel ritenere che, nel caso previsto dall'art. 534 cod. civ.,
gli effetti della buona fede del terzo acquirente, da detta
norma stabiliti, siano esclusi tutte le volte in cui l'errore
del terzo dipenda dall'inosservanza della normale dili
genza ; e si sostiene che invece, in applicazione analoga del principio sancito dagli art. 535 e 1147, quegli effetti
sono esclusi soltanto se l'errore dipende da colpa grave. Resistendo ai predetti mezzi i coniugi Mels Colloredo
deducono pregiudizialmente che in ogni caso la disposi zione dell'art. 534, 2° comma, di cui con i mezzi stessi si la
(1,3) Per la qualifica dell'istituzione nel caso concreto, vedi Cass. 6 agosto 1953, Foro it., Rep. 1953, voce Saccessione, no. 167-172.
La sentenza confermata App. Firenze 2 settembre 1958 è riassunta nel nostro Rep. 1958, voce cit., nn. 87, 88.
Sull'inapplicabilità dell'art. 534, al. 2, cod. civ. qualora l'erede sia istituito a condizione risolutiva, vedi, a quanto risulta dalla massima, Oass. 25 febbraio 1943, ined., id., Rep. 1943-45, voce
cit., n. 151 ; e 7 febbraio 1936, id., Rep. 1936, voce cit., n. 181. Per qualche riferimento, vedi Cass. 10 agosto 1949, n. 2273, id., 1949, I, 905 ; App. Genova 9 maggio 1953, id., Rep. 1953, voce
cit., n. 178.
Sull'applicabilità dell'art. 534, al. 2, cod. civ. qualora l'erede sia istituito sott" condizione sospensiva, vedi Cass. 26 marzo 1953, n. 775, id., 1953, I, 1629 : la sentenza è annotata da G. Greco, in Temi, 1954, 109.
Nel vigore del codice del 1865 si riteneva che la buona fede del terzo avente causa dall'erede apparente fosse esclusa in caso di dolo o di colpa grave (vedi Cass. 7 ottobre 1954, Foro it., Rep. 1954, voce cit., n. 91 ; 12 giugno 1945, id., Rep. 1943-45, voce cit., nn. 152, 153), e si richiedeva che il terzo dovesse versare in errore scusabile : vedi Cass. 20 gennaio 1942, id., 1942, I, 345, con nota di richiami. Nel vigore del codice del 1942 si è ritenuto che la buona fede consista nell'errato convincimenti di avere effettuato un acquisto da cui non derivi la spogliazione del vero
proprietario : vedi App. Napoli 11 febbraio 1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 86 ; oppure nella fiducia di acquistare diritti da chi aveva il diritto di disporre : vedi App. Reggio Calabria 28 feb braio 1957, ibid., n. 89. E si è ritenuto che non è in buona fede colui che non usa la ordinaria diligenza nella indagine circa la qualità e la quantità di erede del venditore : vedi Trib. Rossano 22 dicembre 1951, id., Rep. 1952, voce cit., n. 18.
(2) Nella specie la Corte suprema ha appplicato la distinzione che in ordine alle eccezioni aveva delineato nella sentenza 13 aprile 1959, Foro it., 1959, I, 954, con nota di richiami.
In argomento, da ultimo : Cabnelutti, Un lapsus evidente ?, e Liebman, Intorno ai rapporti tra azione ed eccezione (postilla), in Biv. dir. proc., 1960, I, 446, e, da ultimo, Cabnelutti, Ecce zione e analisi dell'esperienza, ibid., 644.
menta la mancata applicazione, non sarebbe stata applica bile nella specie per le seguenti assorbenti ragioni :
а) perchè l'erede sotto condizione risolutiva non
potrebbe mai essere considerato erede apparente ;
б) perchè il ricorrente Lombardi, avendo acquistato il fondo da chi, come egli bene sapeva, era stato istituito erede sotto condizione risolutiva, ed essendo quindi piena mente consapevole dell'alea a cui il suo acquisto era sotto
posto, non avrebbe potuto in alcuna ipotesi essere consi derato in buona fede.
Tali deduzioni dei resistenti, alle quali si è associato, nella discussione orale, il Procuratore generale presso questa Corte, non sono fondate.
Già questo Supremo collegio, con la sentenza n. 775 del 1953 (Foro it., 1953, I, 1629), ha riconosciuto che la
figura dell'erede apparente può realizzarsi anche relati vamente ad un erede istituito sotto condizione. Nel caso
preso in esame in quella sentenza si trattava di una istitu zione di erede sottoposta a condizione sospensiva, e, pur non essendosi ancora verificata la condizione, l'istituito si comportava nei rapporti con i terzi ed era generalmente considerato come erede. E nella citata sentenza si affermò
che, appunto perchè l'istituito non era ancora erede, ma tale soltanto appariva, in quanto era generalmente rite nuto che la condizione si fosse già verificata, i terzi che da lui avevano acquistato a titolo oneroso ed in buona fede un bene ereditario potevano invocare la tutela di cui all'art. 534, 2° comma, purché naturalmente la loro buona fede si fosse estesa all'elemento, nella specie costi tutivo dell'apparenza, dell'avveramento della condizione.
Per le stesse ragioni va ora precisato che analoga soluzione deve essere adottata nell'ipotesi, presa in esame dalla sentenza denunziata, di un erede, cioè istituito sotto condizione risolutiva, il quale, dopo l'avveramento della
condizione, continui a comportarsi e ad essere general mente considerato come erede.
Non è dubbio, infatti, che, verificatasi la condizione risolutiva apposta all'istituzione di erede, l'istituito non è più erede ; ed anzi, per il noto effetto retroattivo del
l'adempimento della condizione (art. 646), deve addi rittura ritenersi che egli erede non sia mai stato. Onde se egli, nonostante ciò, continua a comportarsi come erede e tale continua ad essere generalmente considerato, in quanto l'avveramento della condizione è generalmente ignorato, egli deve essere ritenuto appunto un erede appa rente. In conseguenza, qualora un terzo, sapendo che egli è stato istituito erede sotto condizione risolutiva, e cre dendo in buona fede che la condizione non si sia verificata, abbia acquistato da lui a titolo oneroso un bene ereditario, l'art. 543, 2° comma, deve senz'altro trovare applicazione.
Nè la buona fede del terzo può essere esclusa per il solo fatto che egli sa di contrattare con un erede istituito sotto condizione risolutiva. Se il terzo ignora che la con dizione si è già verificata, quel fatto importa soltanto la
conoscenza, da parte sua, della futura risolubilità del suo
acquisto per effetto dell'eventuale futuro avveramento della condizione. Ed è chiaro che altra cosa è l'acquisto di un diritto in atto esistente, anche se eventualmente risolubile in futuro, e tutt'altra cosa è invece l'acquisto di un diritto
già in atto inesistente, quale è precisamente l'acquisto di un bene ereditario dall'erede istituito sotto condizione risolutiva dopo l'avveramento di questa.
Secondo un notissimo principio generale, l'acquisto di un diritto, che, per non appartenere più all'alienante, non potrebbe essere da costui più trasferito, sarebbe di
per sè senz'altro privo di qualsiasi effetto nei confronti del vero titolare del diritto medesimo. Ma, in virtù della
deroga a quel principio generale stabilita, a tutela della buona fede del terzo, dal 2° comma dell'art. 534, se con corrono i requisiti da detta norma indicati, l'acquisto deve tuttavia considerarsi efficace.
Naturalmente, ripetesi, nell'ipotesi in esame, in cui
l'apparenza della qualità ereditaria dell'alienante incide
soprattutto sid mancato avveramento della condizione
risolutiva, in effetti avveratasi, la buona fede del terzo
acquirente deve estendersi soprattutto a tale mancato
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1981 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1982
T
avveramento ; il terzo acquirente, cioè, deve ritenere in
buona fede che la condizione risolutiva non si sia ancora
verificata.
Passando, dopo di ciò, all'esame del ricorso principale, la Corte osserva che le due censure del primo mezzo sono
entrambe infondate.
Quanto alla prima, va rilevato die il comportamento dei coniugi Mels Colloredo, che erano i maggiori interessati
a far valere l'avveramento della condizione risolutiva (in
quanto, a seguito di esso, l'eredità si era devoluta, secondo
il testamento, ai loro figli minori e ai loro figli nascituri) e che tuttavia, ignorando che la condizione si fosse verifi
cata, avevano continuato a considerare come erede il
Magherini Graziani, era, di per sè, soltanto un elemento
costitutivo dell'apparenza della persistente qualità eredi
taria del detto Magherini Graziani.
Ma è chiaro che, proprio perchè il detto comporta mento atteneva soltanto all'apparenza della qualità eredi
taria, il terzo acquirente Lombardi non poteva essere
considerato in buona fede per il solo fatto della conoscenza
di esso. Tale conoscenza, invero, non era senz'altro idonea
ad escludere che il Lombardi avesse tuttavia saputo, ovvero avesse potuto agevolmente sapere, che la condi
zione si era verificata e che quindi il Magherini Graziani
non era erede.
Ora, la sentenza denunziata, mentre riconobbe la
qualità di erede apparente nel MagheriDi Graziani, ritenne
che il Lombardi, nel contrattare con costui come se fosse
stato l'erede vero, era versato in colpa grave, perchè, nonostante il comportamento dei coniugi Mels Colloredo, a lui noto, se avesse usato un minimo grado di diligenza, avrebbe potuto facilmente accertare che la condizione
risolutiva apposta all'istituzione di erede del Magherini Graziani si era verificata. È codesto un mero apprezza mento di fatto contro il quale nessuna specifica censura
è stata proposta, e che, comunque, essendo sorretto da
una motivazione adeguata esente da vizi logici ed errori
di diritto, sfuggirebbe in ogni caso al sindacato del Supre mo collegio ; è per appunto sulla base di esso che la sen
tenza denunciata escluse che l'ignoranza, da parte del
Lombardi, dell'avveramento della condizione risolutiva
giustificasse l'applicazione, in favore del Lombardi stesso, della tutela stabilita dal 2° comma dell'art. 534.
Quanto alla seconda censura, deve bensì riconoscersi
che la buona fede consiste in una situazione psicologica di ignoranza della realtà, e che, nei casi in cui gli effetti
giuridici di essa sono esclusi dalla circostanza che l'igno ranza sia addebitabile al soggetto a titolo di colpa, la
colpa costituisce un fatto impeditivo della produzione di
quegli effetti giuridici. Ma deve subito soggiungersi che
tale fatto impeditivo non dà luogo ad un'eccezione in
senso proprio, cioè ad una di quelle eccezioni sulle quali il giudice non può, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ.,
pronunciare senza la relativa deduzione della parte inte
ressata. Come questa Corte ha ampiamente dimostrato, sulla
scorta di un'autorevolissima dottrina, con la recente
sentenza n. 1086 del 1959 (Foro it., 1959, I, 954), le ecce
zioni in senso proprio o in senso stretto, le quali possano essere proposte soltanto dalle parti, sono, oltre quelle
espressamente previste dalla legge (es. art. 1242 e 2938
cod. civ.), soltanto quelle che corrispondono a contro
diritti del convenuto, rivolti all'impugnazione del diritto
fatto valere in giudizio dall'attore ; controdiritti che
potrebbero anche farsi valere separatamente in via di
azione autonoma, e senza l'esercizio dei quali il diritto
dell'attore non potrebbe essere disconosciuto.
Trattasi, in altri termini, di quei diritti potestativi
(di annullamento, di risoluzione, di rescissione, eco.) il
cui esercizio in giudizio da parte del titolare è necessario
perchè si verifichi il mutamento della situazione giuridica
preesistente al quale essi tendono.
Invece tutti gli altri fatti impeditivi, modificativi od
estintivi del diritto dell'attore, appunto perchè i relativi
effetti si sono già verificati fuori del processo, senza neces
sità di alcun atto di volontà del convenuto diretto alla
loro costituzione giudiziale, possono e debbono essere
rilevati d'ufficio dal giudice, nell'esercizio del suo potere dovere di accertare la fondatezza o meno della domanda dell'attore.
Il giudice deve infatti ritenere infondata la domanda se rileva che, pur esistendo il fatto costitutivo del diritto su cui essa si fonda, tale diritto non è sorto, ovvero si è
modificato od estinto in conseguenza di un altro fatto,
rispettivamente, impeditivo, modificativo od estintivo
(è appena il caso di precisare clie il fatto modificativo
potrà importare, in taluni casi, soltanto una infondatezza
parziale della domanda, mentre i fatti impeditivi o estintivi
daranno sempre luogo all'infondatezza totale). Naturalmente il giudice potrà rilevare i fatti impeditivi,
modificativi od estintivi del diritto dell'attore soltanto
se essi risultano dagli atti, in quanto, ad esempio, sponta neamente ammessi dall'attore (il quale, per altro, come
è ben noto, non ha l'onere di provarne l'inesistenza), ovvero allegati e provati dal convenuto.
Ma se essi risultano dagli atti, il giudice non potrà certo esimersi dall'attribuire loro la efficacia impeditiva, estintiva o modificativa che è loro propria, soltanto
perchè tale efficacia non è stata allegata dal convenuto, il quale li abbia pe? avventura dedotti ad altri fini.
Ora, nei casi previsti dalla legge, la colpa opera di pieno diritto come fatto impeditivo della produzione degli effetti
giuridici della buona fede, indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà della parte, in danno della quale
quegli effetti giuridici dovrebbero prodursi. Ed è quindi senz'altro da escludere che ad essa corrisponda una ecce
zione in senso proprio. Consegue che la sentenza denun
ziata non violò affatto il precetto sancito dall'art. 112
cod. proc. civ., quando, pur in mancanza di una formale
eccezione dei convenuti, ritenne che l'effetto giuridico della buona fede del terzo acquirente, stabilito dall'art.
534, 2° comma, cod. civ., non si fosse nella specie pro dotto, perchè l'ignoranza della reale situazione giuridica, in cui il terzo era versato contrattando con l'erede appa
rente, era stata cagionata da colpa grave addebitabile
allo stesso terzo.
Nè sussiste alcuna violazione del precetto di cui all'art.
115 cod. proc. civ., perchè la sentenza, nel ritenere che il
Lombardi fosse stato in colpa grave nell'ignorare l'avvera
mento della condizione risolutiva, non fece che utilizzare :
a) una circostanza (notorietà dell'avveramento della
condizione nell'ambiente in cui il Magherini Graziani era
vissuto nel 1945), che era stata allegata e provata dai
convenuti, al fine di sostenere che il Lombardi aveva cono
sciuto l'avveramento della condizione e doveva quindi considerarsi in mala fede ;
b) un'altra circostanza (omissione di qualsiasi inda
gine, di parte del Lombardi, nell'ambiente in cui il Maghe rini Graziani era vissuto ne] 1945, al fine di accertare se la
condizione si fosse verificata o meno) che risultava dalla
prova testimoniale assunta, e che era ammessa dallo stesso
Lombardi.
La sentenza ritenne bensì, contrariamente alla tesi
dei convenuti, che il Lombardi avesse ignorato l'avvera mento della condizione ; ma dalle due circostanze sopra indicate ben legittimanente desunse il convincimento che
l'ignoranza del Lombardi era dipesa da colpa grave, con
sistente nell'omissione di qualsiasi anche sommaria inda
gine in ordine a quell'avveramento, nell'ambiente in cui
il Magherini Graziani era vissuto nel 1945, ed in cui
l'avveramento stesso era universalmente noto.
Ancor meno sussiste la denunziata violazione dell'art.
2697, 2° comma, cod. civ., dato che delle due circostanze
predette, quella sub a) risultava provata dalla sentenza
25 ottobre 1950 del Tribunale di Firenze, una copia della
quale era stata prodotta nel processo dai coniugi Mels
Colloredo, e quella sub b) risultava provata da alcune
delle testimonianze assunte ed era comunque, ripetesi,
esplicitamente ammessa dallo stesso Lombardi.
Relativamente al secondo mezzo deve rilevarsi che in
effetti la sentenza denunziata, nelle premesse generali della sua motivazione, manifestò l'avviso, conforme del
resto alla giurisprudenza di questa Corte (veggasi, più
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1983 PARTE PRIMA 1984
particolarmente, per tutte, nella motivazione, la sentenza n. 775 del 1953, dianzi citata), che la tutela della buona fede del terzo acquirente dall'erede apparente, stabilita
dal 2° comma dell'art. 534 cod. civ., non sia applicabile tutte le volte in cui l'errore del terzo sia dipeso dall'omis
sione, da parte sua, della normale diligenza in ordine
all'accertamento della reale situazione giuridica. Col secondo mezzo, come si è detto, il ricorrente
sostiene invece, che, anche nel caso previsto dal 2° comma
dell'art. 534, gli effetti della buona fede sono esclusi sol tanto dalla colpa grave, secondo quanto è espressamente stabilito dallo stesso codice civile, sia pure con diretto
riferimento ad altra fattispecie, negli art. 535, ult. comma, e 1147, 2° comma, avendo il principio enunciato in codeste norme carattere generale.
Il Collegio ritiene esatto il principio affermato dalla
Corte di merito. Tuttavia non si sofferma nell'esporre le
ragioni che ne suffragano la fondatezza (per cui è sufficiente
riportarsi alla pregressa giurisprudenza sulla buona fede di questa Corte, risultante da numerose sentenze anche successive a quella del 1953 sopramenzionata), per l'assor bente considerazione che la Corte fiorentina, pur avendo affermato in via generale che, nel caso previsto dall'art.
534, la buona fede del terzo non giova se l'errore è dipeso anche solo da colpa lieve, essa ritenne poi in concreto che nella specie l'errore del Lombardi era dipeso da colpa grave, in quanto il Lombardi stesso era incorso in « grave negligenza », per non aver svolto una sia pur « minima
indagine » nell'ambiente in cui il Magherini Graziani era vissuto nel 1945 ed in cui, essendo l'avveramento della condizione risolutiva universalmente noto, egli evrebbe
potuto assai agevolmente aver notizia di quell'avvera mento.
Pertanto sarebbe ultronea ogni altra discussione giuri dica, che, peraltro, neppure i difensori delle parti hanno creduto di sviluppare, su quel contrario principio da essi soltanto accennato come avente carattere generale.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455 ; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; i.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv.
Libonati).
(Gassa App. Roma 20 luglio 1957)
Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Sinistro verificatosi prima dei tre mesi della loro conoscenza — Diritti dell'assicuratore
(Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu
rato —- Dolo — Nozione (Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) —- Reticenze dell'assicu
rato —- Clausola di incontestabilità — Malafede —
Nozione.
Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Onere dell'accertamento del rischio da
parte dell'assicurato — Insussistenza.
L'onere da parte dell'assicuratore di impugnare il contratto di assicurazione sussiste solo qualora sia decorso il ter mine di tre mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza delle inesattezze o reticenze dell'assicurato, e non quando tale termine non sia decorso, in quanto in tal caso non sus siste per l'assicuratore stesso alcun obbligo di pagare la somma assicurata. (1)
È sufficiente ad integrare il dolo nelle dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, lo stato subiettivo del contraente
stesso, consistente nella volontarietà delle dichiarazioni inesatte o reticenti e nella coscienza della loro illiceità, senza che occorrano ulteriori caratterizzanti elementi obiettivi. (2)
Il concetto di malafede accolto nella clausola di incontesta
bilità delle polizze di assicurazioni delVI.n.a. si fonda sul
solo elemento subiettivo, così come il dolo di cui all'art.
1892 cod. civile ; conseguentemente l'assicuratore, per ef
fetto della clausola, trascorso il termine di contestabilità
perde il diritto al recesso per dichiarazioni inesatte o reti
centi senza dolo o colpa grave ed il diritto all'annullamento
nel caso di colpa grave, ma conserva il diritto all'impugna zione nel caso di malafede. (3)
L'assicuratore, pur dovendo usare la normale diligenza, non è tenuto ad un particolare comportamento positivo di ac
certamento del rischio che forma oggetto del contratto. (4)
La Corte, ecc. ■— Col ricorso incidentale, del quale va
disposta la riunione a quello principale e di cui per ragioni
logiche e giuridiche è preliminare l'esame, il La Grotta, de ducendo la violazione degli art. 1892 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sul pre
supposto che l'art. 1892 preveda un caso di annullamento
del contratto che, dettato a tutela dell'assicuratore, non lo
dispenserebbe dal proporre la relativa azione, afferma che la sentenza impugnata avrebbe deciso extra petita ritenendo
proposta la domanda di annullamento con la richiesta di
rigetto dell'istanza dell'attore, in contrasto con l'asssunto dell'I.n.a. di non essere tenuto a proporre la domanda di
annullamento.
La censura è destituita di giuridico fondamento. L'onere dell'assicuratore, al fine di evitare la decadenza
sancita dall'art. 1892, 2° comma, cod. civ., di dichiarare, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza delle dichiarazioni o le reticenze dell'assicurato, di voler
esercitare l'impugnazione, sussiste sul presupposto della normale vitalità del contratto, che quel termine oltrepassi. L'onere suddetto, infatti, opera solo nel caso che il sinistro si verifichi oltre tale termine, e non per quello in cui il si nistro si verifichi prima che il termine sia decorso o, addi
rittura, prima che l'assicuratore abbia avuto conoscenza dell'inesattezza e reticenza delle dichiarazioni, rese con dolo o colpa grave.
In questi due ultimi casi, la decadenza dall'azione di annullamento del contratto non può venire in considera zione perchè non esiste l'obbligo dell'assicuratore di pagare la somma assicurata (art. 1892, 3° comma) in quanto, come è chiarito nella Relazione al libro delle obbligazioni (n. 220), « nel caso di dolo o di colpa grave l'assicurato ri mane scoperto di assicurazione durante il termine assegnato all'assicuratore per dichiarare di voler esercitare l'azione ».
L'assicuratore non deve necessariamente impugnare il contratto per non pagare la somma assicurata quando il
(1-4) In senso conforme alla prima massima, v. Cass. 31 ot tobre 1958, n. 3589, Foro it., 1959, I, 391 ; per ulteriori richiami, v. App. Milano 25 settembre 1956, id., 1957, I, 1799. Adde : Oass. 18 aprile 1958, n. 1270, id., Rep. 1958, voce Assicurazione (con tratto), il. 91 ; 31 ottobre 1958, n. 3589, ibid., n. 94.
Sulla nozione di dolo in materia di assicurazione, e in senso conforme alla seconda massima, v. Cass. 12 marzo 1958, n. 834, ibid., n. 71.
Sui rapporti fra la malafede, di cui alla clausola di incontesta bilità I.n.a., e il dolo di cui all'art. 1892 cod. civ., v. App. Roma 19 giugno 1957, ibid., n. 328 e in Assicurazioni. 1958, II, 107, con nota di Bianchi d'Espinosa, che, in senso difforme dalla sen tenza annotata, ha ritenuto che il dolo si concreti in una attività positiva, mentre la malafede si concreti nella semplice conoscenza della lesione dell'altrui diritto. Si veda inoltre la sent, cassata riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 92. In dottrina il Salandra, Assicurazioni, in Commentario al cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1954, pag. 218, definisce il dolo come « intenzione di ingannare l'assicuratore » e la colpa grave come «crassa negligenza nelle dichiarazioni».
Sulla quarta massima, in senso conforme : Trib. Roma 21 dicembre 1956, Foro it., Rep. 1957, voce cit., n. 30 ; App. Roma 20 febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 88. In senso contrario Trib. Macerata 25 aprile 1952, id., Rep. 1952, voce cit., nn. 121 123. In dottrina, v. Salandra, op. cit., pag. 224.
La presente sentenza è annotata da E. Simonetto, La malafede dell'assicurato nella clausola d'incontestabilità. L'art. 1892, 2° comma, cod. civ., in Assicurazioni, 1959, II, 260.
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