+ All Categories
Home > Documents > Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M....

Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: dangtuong
View: 217 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
5
Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo (Avv. Colli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1977/1978-1983/1984 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151106 . Accessed: 28/06/2014 09:58 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo

Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M.Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo (Avv.Colli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1977/1978-1983/1984Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151106 .

Accessed: 28/06/2014 09:58

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo

1977 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1978

stesso. E tale equiparazione è legislativamente riflessa

nell'art. 1729 cod. civ., il quale detta che gli atti che il

mandatario ha compiuto prima di conoscere l'estinzione

del mandato sono validi « nei confronti del mandante

o dei suoi eredi ».

Già altra volta questa Sezione (sent. n. 1957 del 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Scrittura, n. 58) ha ritenuto

che nei confronti di una scrittura privata di compra vendita immobiliare non registrata nè autenticata, sot

toscritta da persona qualificatasi rappresentante del ven

ditore in virtù di regolare procura, il soggetto che rila

sciò la procura non può considerarsi terzo e non può

pretendere, dall'acquirente, la prova della certezza della

data ai sensi dell'art. 2704 cod. civ., allo scopo di stabilire

se la compravendita sia stata stipulata prima o dopo la

intervenuta revoca della procura. Ulteriormente sviluppando e motivando tale principio,

va rilevato che esso deve essere tenuto fermo anche se la

causa di estinzione del potere di rappresentanza sia diversa

dalla revoca della procura e quindi sia operativa senza che

debba essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

È opportuno ricordare che, per espresso disposto di legge

(1° comma dell'art. 1708 cod. civ.), il mandato a compiere un determinato negozio importa anche il mandato a compiere tutti gli atti o fatti funzionalmente connessi con il compi mento di quel negozio e che, anzi, da tale principio la

dottrina ha ricavato la implicita autorizzazione, del man

dante al mandatario, a compiere prestazioni addirittura

eterogenee rispetto alla prestazione caratteristica prevista nel inandato, purché collegate con quest'ultima. Ne consegue

che, tenuta presente la efficacia costitutiva della forma

scritta nelle compravendite immobiliari, l'attività svolta

dal mandatario, in nome e per conto del mandante, nella

formazione della scrittura, riflette direttamente i propri effetti nella sfera giuridica del soggetto che rilasciò la

procura. Detto soggetto non è quindi terzo rispetto alle

enunciative contenute in quella scrittura (e quindi anche

rispetto alla enunciazione della data) e non può quindi in

vocare, a proprio favore, la tutela che l'art. 2704 detta

specificamente ed esclusivamente a favore dei terzi.

E poiché l'erede non è terzo, rispetto al proprio autore

che aveva rilasciato la procura a vendere il diritto immo

biliare, le stesse conclusioni sopra esposte valgono per esso

erede.

Tale principio non può restare infirmato dalle ulteriori

osservazioni della sentenza impugnata e del resistente, e consistenti nel rilevare che : a) l'art. 2704 pone, tra i

fatti dai quali può ricavarsi la certezza della data, il decesso

o la sopravvenuta impossibilità fisica « di colui o di uno di

coloro che l'hanno sottoscritta », con implicito rif. rimento

ai sottoscrittori dell'atto in senso materiale ; b) l'escludere

che il mandante possa essere considerato terzo ai fini spe cifici dell'art. 2704 espone detto mandante al pericolo di dover subire l'efficacia di un negozio che, in realtà, sia stato concluso dopo la cessazione del mandato.

Il rilievo di cui sub a) non è sufficiente per ricavarne

che debbono essere considerati terzi, ai fini dell'art. 2704, tutti coloro che non sottoscrissero materialmente l'atto.

Infatti, l'art. 2704 non può essere avulso dai principi essen

ziali dei diversi istituti compatibili con la sottoscrizione

dell'atto. Ne consegue che la interpretazione dell'articolo

in discussione deve essere posta in relazione anche con i già

lumeggiati principi sulla estensione del mandato, nonché

con i principi sulla rappresentanza, sicché ne deriva che deve

imputarsi al mandante anche la enunciativa della data

apposta, nella scrittura privata, dal mandatario con rap

presentanza. Ne consegue ancora che è esatto che la previsione della

fisica impossibilità di sottoscrivere (per decesso o per altra

causa) non può riferirsi che al soggetto che ha materialmente

sottoscritto l'atto, ma ciò importa solo che le conseguenze

giuridiche di detta impossibilità si riflettono anch'esse

direttamente sul soggetto che aveva rilasciato la procura a sottoscrivere, sicché la materiale impossibilità della

sottoscrizione da parte del procuratore diventa, sul piano

giuridico, impossibilità del mandante, ma non vale a tra

sformare il mandante in terzo, ai fini della tutela che l'art. 2704 accorda solo ai terzi, che non parteciparono, diretta mente o per interposta persona, alla formazione del contenuto della scrittura, data compresa.

§^, In quanto, poi, al pericolo che il mandante possa trovarsi

esposto a dover subire un negozio concluso dopo la ces sazione del [mandato, se i terzi hanno contrattato, senza

colpa, con il procuratore dopo l'avvenuta scadenza del

mandato, il 2° comma dell'art. 1396 cod. civ. espressamente consacra una ipotesi di ultrattività del mandato e prescrive che le cause di estinzione automatica del potere di rappre sentanza non sono opponibili ai terzi che le hanno senza

colpa ignorate. Se, invece, si verificò una ipotesi di antidata zione dolosamente concordata tra il procuratore e i terzi, va rilevato che : a) la stessa eccezionalità della ipotesi di collusione fa sì che essa non possa valere per la inter

pretazione del disposto di legge in esame (e cioè dell'art.

2704) ; b) il pericolo di una ipotesi eccezionale di collusione era stato già avvertito in sede di interpretazione dell'art. 1327 cod. 1865, e parte della dottrina aveva, fin da allora,

segnalato la opportunità, de iure condendo, della modifica di quell'articolo. Al contrario, il legislatore, che pur non

ignorava le discussioni già svoltesi in relazione al men

zionato art. 1327 cod. 1865, ha preferito riprodurre inalterato il contenuto di detto disposto di legge del vigente art.

2704, ritenendolo giustificato da'la normalità dei casi e

dalla opportunità di non alterare i principi in tema di

rappresentanza ; e) comunque, l'interessato può sempre denunziare e dimostrare una eventuale collusione in suo

danno, senza peraltro incorrere (come già era stato sotto lineato in sede di interpretazione dell'art. 1327 cod. 1865) in alcuna limitazione di prova, dato che oggetto della prova stessa non sarebbe già il diniego della provenienza, da

parte dei sottoscrittori (art. 2702 cod. civ.), della enunciativa

della data, ma il fatto semplice che la data apposta alla

scrittura non è quella vera.

Concludendo, i primi tre mezzi del ricorso devono essere accolti nei limiti fin qui precisati. Tale accoglimento de

termina l'assorbimento del quinto mezzo, con il quale i

coniugi Landoni-Monza avevano denunziato che la sentenza

impugnata non aveva preso in considerazione il rilievo

subordinato, da essi avanzato in sede di merito, circa la

certezza, ricavabile attraverso le prove raccolte in occasione

della istruttoria penale, che le due scritture erano state

effettivamente sottoscritte prima del decesso di Paradisi

Michele.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627 ;

Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi

(conci, conf.) ; Lombardi (Avv. Carneltjtti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo (Avv. Colli).

(Conferma App. Firenze 2 settembre 1958)

Successione — Istituzione (li erede sotto condizione

risolutiva — Erede apparente — Tutela dell'acqui

rente dall'erede apparente — Requisiti (Cod.

civ., ^rt. 534). Sentenza in materia civile -— Impugnazione del

contratto concluso con l'erede apparente — Dedu

zione della colpa dell'acquirente da parte del

(|iudicc -—■ Ultrapetizione — Insussistenza (Cod.

civ., art. 534 ; cod. proc. civ., art. 112).

Successione -—• Erede apparente — Tutela dell'acqui

rente a titolo oneroso —- Presupposto —- Conse

guenza (Cod. civ., art. 534, 1147).

Il capoverso dell'art. 534 eod. civ., che tutela il terzo acqui rente a titolo oneroso dall'erede apparente, è applicabile anche a chi abbia contrattato con l'istituito sotto condizione

risolutiva, ritenendo che la condizione ncn si sia verifi cata. (1)

This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo

1979 PARTE PRIMA 1980

Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, dovendo decidere sulla validità o meno del contratto a titolo oneroso

conchiuso con l'erede apparente, nel silenzio delle parti rilevi d'ufficio l'esistenza della colpa che esclude la buona

fede. (2) Il capoverso dell'art. 534 cod. civ. è inapplicabile nei casi

in cui l'errore del terzo acquirente sia dipeso dall'omissione della normale diligenza in ordine all'accertamento della

reale situazione giuridica. (3)

La Corte, ecc. — Premesso che i due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti, la Corte osserva clie il ricorso principale, a cui, come si è detto, ha

prestato adesione il ricorrente incidentale Magherini Ora

ziani, consta di due mezzi.

Col primo di essi si sostiene che nella specie doveva

senz'altro ritenersi che il terzo acquirente fosse versato

in buona fede al momento dell'acquisto, in considera

zione del comportamento, a lui noto, dei coniugi Mels

Colloredo, i quali, pur essendo gli unici interessati a far

valere l'avveramento della condizione risolutiva, avevano, nonostante il detto avveramento, lasciato che l'apparente erede continuasse a possedere pacificamente i beni ereditari.

Ì E si aggiunge che, ad ogni modo, la Corte del merito

non avrebbe potuto, in mancanza della relativa eccezione

e della relativa prova, ritenere l'inefficacia della buona

fede del terzo acquirente, per il motivo che tale buona

fede era dipesa da uno stato d'ignoranza addebitabile a

colpa del terzo.

Col secondo mezzo si deduce poi che la Corte errò nel ritenere che, nel caso previsto dall'art. 534 cod. civ.,

gli effetti della buona fede del terzo acquirente, da detta

norma stabiliti, siano esclusi tutte le volte in cui l'errore

del terzo dipenda dall'inosservanza della normale dili

genza ; e si sostiene che invece, in applicazione analoga del principio sancito dagli art. 535 e 1147, quegli effetti

sono esclusi soltanto se l'errore dipende da colpa grave. Resistendo ai predetti mezzi i coniugi Mels Colloredo

deducono pregiudizialmente che in ogni caso la disposi zione dell'art. 534, 2° comma, di cui con i mezzi stessi si la

(1,3) Per la qualifica dell'istituzione nel caso concreto, vedi Cass. 6 agosto 1953, Foro it., Rep. 1953, voce Saccessione, no. 167-172.

La sentenza confermata App. Firenze 2 settembre 1958 è riassunta nel nostro Rep. 1958, voce cit., nn. 87, 88.

Sull'inapplicabilità dell'art. 534, al. 2, cod. civ. qualora l'erede sia istituito a condizione risolutiva, vedi, a quanto risulta dalla massima, Oass. 25 febbraio 1943, ined., id., Rep. 1943-45, voce

cit., n. 151 ; e 7 febbraio 1936, id., Rep. 1936, voce cit., n. 181. Per qualche riferimento, vedi Cass. 10 agosto 1949, n. 2273, id., 1949, I, 905 ; App. Genova 9 maggio 1953, id., Rep. 1953, voce

cit., n. 178.

Sull'applicabilità dell'art. 534, al. 2, cod. civ. qualora l'erede sia istituito sott" condizione sospensiva, vedi Cass. 26 marzo 1953, n. 775, id., 1953, I, 1629 : la sentenza è annotata da G. Greco, in Temi, 1954, 109.

Nel vigore del codice del 1865 si riteneva che la buona fede del terzo avente causa dall'erede apparente fosse esclusa in caso di dolo o di colpa grave (vedi Cass. 7 ottobre 1954, Foro it., Rep. 1954, voce cit., n. 91 ; 12 giugno 1945, id., Rep. 1943-45, voce cit., nn. 152, 153), e si richiedeva che il terzo dovesse versare in errore scusabile : vedi Cass. 20 gennaio 1942, id., 1942, I, 345, con nota di richiami. Nel vigore del codice del 1942 si è ritenuto che la buona fede consista nell'errato convincimenti di avere effettuato un acquisto da cui non derivi la spogliazione del vero

proprietario : vedi App. Napoli 11 febbraio 1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 86 ; oppure nella fiducia di acquistare diritti da chi aveva il diritto di disporre : vedi App. Reggio Calabria 28 feb braio 1957, ibid., n. 89. E si è ritenuto che non è in buona fede colui che non usa la ordinaria diligenza nella indagine circa la qualità e la quantità di erede del venditore : vedi Trib. Rossano 22 dicembre 1951, id., Rep. 1952, voce cit., n. 18.

(2) Nella specie la Corte suprema ha appplicato la distinzione che in ordine alle eccezioni aveva delineato nella sentenza 13 aprile 1959, Foro it., 1959, I, 954, con nota di richiami.

In argomento, da ultimo : Cabnelutti, Un lapsus evidente ?, e Liebman, Intorno ai rapporti tra azione ed eccezione (postilla), in Biv. dir. proc., 1960, I, 446, e, da ultimo, Cabnelutti, Ecce zione e analisi dell'esperienza, ibid., 644.

menta la mancata applicazione, non sarebbe stata applica bile nella specie per le seguenti assorbenti ragioni :

а) perchè l'erede sotto condizione risolutiva non

potrebbe mai essere considerato erede apparente ;

б) perchè il ricorrente Lombardi, avendo acquistato il fondo da chi, come egli bene sapeva, era stato istituito erede sotto condizione risolutiva, ed essendo quindi piena mente consapevole dell'alea a cui il suo acquisto era sotto

posto, non avrebbe potuto in alcuna ipotesi essere consi derato in buona fede.

Tali deduzioni dei resistenti, alle quali si è associato, nella discussione orale, il Procuratore generale presso questa Corte, non sono fondate.

Già questo Supremo collegio, con la sentenza n. 775 del 1953 (Foro it., 1953, I, 1629), ha riconosciuto che la

figura dell'erede apparente può realizzarsi anche relati vamente ad un erede istituito sotto condizione. Nel caso

preso in esame in quella sentenza si trattava di una istitu zione di erede sottoposta a condizione sospensiva, e, pur non essendosi ancora verificata la condizione, l'istituito si comportava nei rapporti con i terzi ed era generalmente considerato come erede. E nella citata sentenza si affermò

che, appunto perchè l'istituito non era ancora erede, ma tale soltanto appariva, in quanto era generalmente rite nuto che la condizione si fosse già verificata, i terzi che da lui avevano acquistato a titolo oneroso ed in buona fede un bene ereditario potevano invocare la tutela di cui all'art. 534, 2° comma, purché naturalmente la loro buona fede si fosse estesa all'elemento, nella specie costi tutivo dell'apparenza, dell'avveramento della condizione.

Per le stesse ragioni va ora precisato che analoga soluzione deve essere adottata nell'ipotesi, presa in esame dalla sentenza denunziata, di un erede, cioè istituito sotto condizione risolutiva, il quale, dopo l'avveramento della

condizione, continui a comportarsi e ad essere general mente considerato come erede.

Non è dubbio, infatti, che, verificatasi la condizione risolutiva apposta all'istituzione di erede, l'istituito non è più erede ; ed anzi, per il noto effetto retroattivo del

l'adempimento della condizione (art. 646), deve addi rittura ritenersi che egli erede non sia mai stato. Onde se egli, nonostante ciò, continua a comportarsi come erede e tale continua ad essere generalmente considerato, in quanto l'avveramento della condizione è generalmente ignorato, egli deve essere ritenuto appunto un erede appa rente. In conseguenza, qualora un terzo, sapendo che egli è stato istituito erede sotto condizione risolutiva, e cre dendo in buona fede che la condizione non si sia verificata, abbia acquistato da lui a titolo oneroso un bene ereditario, l'art. 543, 2° comma, deve senz'altro trovare applicazione.

Nè la buona fede del terzo può essere esclusa per il solo fatto che egli sa di contrattare con un erede istituito sotto condizione risolutiva. Se il terzo ignora che la con dizione si è già verificata, quel fatto importa soltanto la

conoscenza, da parte sua, della futura risolubilità del suo

acquisto per effetto dell'eventuale futuro avveramento della condizione. Ed è chiaro che altra cosa è l'acquisto di un diritto in atto esistente, anche se eventualmente risolubile in futuro, e tutt'altra cosa è invece l'acquisto di un diritto

già in atto inesistente, quale è precisamente l'acquisto di un bene ereditario dall'erede istituito sotto condizione risolutiva dopo l'avveramento di questa.

Secondo un notissimo principio generale, l'acquisto di un diritto, che, per non appartenere più all'alienante, non potrebbe essere da costui più trasferito, sarebbe di

per sè senz'altro privo di qualsiasi effetto nei confronti del vero titolare del diritto medesimo. Ma, in virtù della

deroga a quel principio generale stabilita, a tutela della buona fede del terzo, dal 2° comma dell'art. 534, se con corrono i requisiti da detta norma indicati, l'acquisto deve tuttavia considerarsi efficace.

Naturalmente, ripetesi, nell'ipotesi in esame, in cui

l'apparenza della qualità ereditaria dell'alienante incide

soprattutto sid mancato avveramento della condizione

risolutiva, in effetti avveratasi, la buona fede del terzo

acquirente deve estendersi soprattutto a tale mancato

This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo

1981 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1982

T

avveramento ; il terzo acquirente, cioè, deve ritenere in

buona fede che la condizione risolutiva non si sia ancora

verificata.

Passando, dopo di ciò, all'esame del ricorso principale, la Corte osserva che le due censure del primo mezzo sono

entrambe infondate.

Quanto alla prima, va rilevato die il comportamento dei coniugi Mels Colloredo, che erano i maggiori interessati

a far valere l'avveramento della condizione risolutiva (in

quanto, a seguito di esso, l'eredità si era devoluta, secondo

il testamento, ai loro figli minori e ai loro figli nascituri) e che tuttavia, ignorando che la condizione si fosse verifi

cata, avevano continuato a considerare come erede il

Magherini Graziani, era, di per sè, soltanto un elemento

costitutivo dell'apparenza della persistente qualità eredi

taria del detto Magherini Graziani.

Ma è chiaro che, proprio perchè il detto comporta mento atteneva soltanto all'apparenza della qualità eredi

taria, il terzo acquirente Lombardi non poteva essere

considerato in buona fede per il solo fatto della conoscenza

di esso. Tale conoscenza, invero, non era senz'altro idonea

ad escludere che il Lombardi avesse tuttavia saputo, ovvero avesse potuto agevolmente sapere, che la condi

zione si era verificata e che quindi il Magherini Graziani

non era erede.

Ora, la sentenza denunziata, mentre riconobbe la

qualità di erede apparente nel MagheriDi Graziani, ritenne

che il Lombardi, nel contrattare con costui come se fosse

stato l'erede vero, era versato in colpa grave, perchè, nonostante il comportamento dei coniugi Mels Colloredo, a lui noto, se avesse usato un minimo grado di diligenza, avrebbe potuto facilmente accertare che la condizione

risolutiva apposta all'istituzione di erede del Magherini Graziani si era verificata. È codesto un mero apprezza mento di fatto contro il quale nessuna specifica censura

è stata proposta, e che, comunque, essendo sorretto da

una motivazione adeguata esente da vizi logici ed errori

di diritto, sfuggirebbe in ogni caso al sindacato del Supre mo collegio ; è per appunto sulla base di esso che la sen

tenza denunciata escluse che l'ignoranza, da parte del

Lombardi, dell'avveramento della condizione risolutiva

giustificasse l'applicazione, in favore del Lombardi stesso, della tutela stabilita dal 2° comma dell'art. 534.

Quanto alla seconda censura, deve bensì riconoscersi

che la buona fede consiste in una situazione psicologica di ignoranza della realtà, e che, nei casi in cui gli effetti

giuridici di essa sono esclusi dalla circostanza che l'igno ranza sia addebitabile al soggetto a titolo di colpa, la

colpa costituisce un fatto impeditivo della produzione di

quegli effetti giuridici. Ma deve subito soggiungersi che

tale fatto impeditivo non dà luogo ad un'eccezione in

senso proprio, cioè ad una di quelle eccezioni sulle quali il giudice non può, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ.,

pronunciare senza la relativa deduzione della parte inte

ressata. Come questa Corte ha ampiamente dimostrato, sulla

scorta di un'autorevolissima dottrina, con la recente

sentenza n. 1086 del 1959 (Foro it., 1959, I, 954), le ecce

zioni in senso proprio o in senso stretto, le quali possano essere proposte soltanto dalle parti, sono, oltre quelle

espressamente previste dalla legge (es. art. 1242 e 2938

cod. civ.), soltanto quelle che corrispondono a contro

diritti del convenuto, rivolti all'impugnazione del diritto

fatto valere in giudizio dall'attore ; controdiritti che

potrebbero anche farsi valere separatamente in via di

azione autonoma, e senza l'esercizio dei quali il diritto

dell'attore non potrebbe essere disconosciuto.

Trattasi, in altri termini, di quei diritti potestativi

(di annullamento, di risoluzione, di rescissione, eco.) il

cui esercizio in giudizio da parte del titolare è necessario

perchè si verifichi il mutamento della situazione giuridica

preesistente al quale essi tendono.

Invece tutti gli altri fatti impeditivi, modificativi od

estintivi del diritto dell'attore, appunto perchè i relativi

effetti si sono già verificati fuori del processo, senza neces

sità di alcun atto di volontà del convenuto diretto alla

loro costituzione giudiziale, possono e debbono essere

rilevati d'ufficio dal giudice, nell'esercizio del suo potere dovere di accertare la fondatezza o meno della domanda dell'attore.

Il giudice deve infatti ritenere infondata la domanda se rileva che, pur esistendo il fatto costitutivo del diritto su cui essa si fonda, tale diritto non è sorto, ovvero si è

modificato od estinto in conseguenza di un altro fatto,

rispettivamente, impeditivo, modificativo od estintivo

(è appena il caso di precisare clie il fatto modificativo

potrà importare, in taluni casi, soltanto una infondatezza

parziale della domanda, mentre i fatti impeditivi o estintivi

daranno sempre luogo all'infondatezza totale). Naturalmente il giudice potrà rilevare i fatti impeditivi,

modificativi od estintivi del diritto dell'attore soltanto

se essi risultano dagli atti, in quanto, ad esempio, sponta neamente ammessi dall'attore (il quale, per altro, come

è ben noto, non ha l'onere di provarne l'inesistenza), ovvero allegati e provati dal convenuto.

Ma se essi risultano dagli atti, il giudice non potrà certo esimersi dall'attribuire loro la efficacia impeditiva, estintiva o modificativa che è loro propria, soltanto

perchè tale efficacia non è stata allegata dal convenuto, il quale li abbia pe? avventura dedotti ad altri fini.

Ora, nei casi previsti dalla legge, la colpa opera di pieno diritto come fatto impeditivo della produzione degli effetti

giuridici della buona fede, indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà della parte, in danno della quale

quegli effetti giuridici dovrebbero prodursi. Ed è quindi senz'altro da escludere che ad essa corrisponda una ecce

zione in senso proprio. Consegue che la sentenza denun

ziata non violò affatto il precetto sancito dall'art. 112

cod. proc. civ., quando, pur in mancanza di una formale

eccezione dei convenuti, ritenne che l'effetto giuridico della buona fede del terzo acquirente, stabilito dall'art.

534, 2° comma, cod. civ., non si fosse nella specie pro dotto, perchè l'ignoranza della reale situazione giuridica, in cui il terzo era versato contrattando con l'erede appa

rente, era stata cagionata da colpa grave addebitabile

allo stesso terzo.

Nè sussiste alcuna violazione del precetto di cui all'art.

115 cod. proc. civ., perchè la sentenza, nel ritenere che il

Lombardi fosse stato in colpa grave nell'ignorare l'avvera

mento della condizione risolutiva, non fece che utilizzare :

a) una circostanza (notorietà dell'avveramento della

condizione nell'ambiente in cui il Magherini Graziani era

vissuto nel 1945), che era stata allegata e provata dai

convenuti, al fine di sostenere che il Lombardi aveva cono

sciuto l'avveramento della condizione e doveva quindi considerarsi in mala fede ;

b) un'altra circostanza (omissione di qualsiasi inda

gine, di parte del Lombardi, nell'ambiente in cui il Maghe rini Graziani era vissuto ne] 1945, al fine di accertare se la

condizione si fosse verificata o meno) che risultava dalla

prova testimoniale assunta, e che era ammessa dallo stesso

Lombardi.

La sentenza ritenne bensì, contrariamente alla tesi

dei convenuti, che il Lombardi avesse ignorato l'avvera mento della condizione ; ma dalle due circostanze sopra indicate ben legittimanente desunse il convincimento che

l'ignoranza del Lombardi era dipesa da colpa grave, con

sistente nell'omissione di qualsiasi anche sommaria inda

gine in ordine a quell'avveramento, nell'ambiente in cui

il Magherini Graziani era vissuto nel 1945, ed in cui

l'avveramento stesso era universalmente noto.

Ancor meno sussiste la denunziata violazione dell'art.

2697, 2° comma, cod. civ., dato che delle due circostanze

predette, quella sub a) risultava provata dalla sentenza

25 ottobre 1950 del Tribunale di Firenze, una copia della

quale era stata prodotta nel processo dai coniugi Mels

Colloredo, e quella sub b) risultava provata da alcune

delle testimonianze assunte ed era comunque, ripetesi,

esplicitamente ammessa dallo stesso Lombardi.

Relativamente al secondo mezzo deve rilevarsi che in

effetti la sentenza denunziata, nelle premesse generali della sua motivazione, manifestò l'avviso, conforme del

resto alla giurisprudenza di questa Corte (veggasi, più

This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: Sezione II civile; sentenza 29 settembre 1959, n. 2627; Pres. Di Pilato P., Est. Gentile, P. M. Silocchi (concl. conf.); Lombardi (Avv. Carnelutti, Allegri) c. Magherini e Mels-Colloredo

1983 PARTE PRIMA 1984

particolarmente, per tutte, nella motivazione, la sentenza n. 775 del 1953, dianzi citata), che la tutela della buona fede del terzo acquirente dall'erede apparente, stabilita

dal 2° comma dell'art. 534 cod. civ., non sia applicabile tutte le volte in cui l'errore del terzo sia dipeso dall'omis

sione, da parte sua, della normale diligenza in ordine

all'accertamento della reale situazione giuridica. Col secondo mezzo, come si è detto, il ricorrente

sostiene invece, che, anche nel caso previsto dal 2° comma

dell'art. 534, gli effetti della buona fede sono esclusi sol tanto dalla colpa grave, secondo quanto è espressamente stabilito dallo stesso codice civile, sia pure con diretto

riferimento ad altra fattispecie, negli art. 535, ult. comma, e 1147, 2° comma, avendo il principio enunciato in codeste norme carattere generale.

Il Collegio ritiene esatto il principio affermato dalla

Corte di merito. Tuttavia non si sofferma nell'esporre le

ragioni che ne suffragano la fondatezza (per cui è sufficiente

riportarsi alla pregressa giurisprudenza sulla buona fede di questa Corte, risultante da numerose sentenze anche successive a quella del 1953 sopramenzionata), per l'assor bente considerazione che la Corte fiorentina, pur avendo affermato in via generale che, nel caso previsto dall'art.

534, la buona fede del terzo non giova se l'errore è dipeso anche solo da colpa lieve, essa ritenne poi in concreto che nella specie l'errore del Lombardi era dipeso da colpa grave, in quanto il Lombardi stesso era incorso in « grave negligenza », per non aver svolto una sia pur « minima

indagine » nell'ambiente in cui il Magherini Graziani era vissuto nel 1945 ed in cui, essendo l'avveramento della condizione risolutiva universalmente noto, egli evrebbe

potuto assai agevolmente aver notizia di quell'avvera mento.

Pertanto sarebbe ultronea ogni altra discussione giuri dica, che, peraltro, neppure i difensori delle parti hanno creduto di sviluppare, su quel contrario principio da essi soltanto accennato come avente carattere generale.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455 ; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; i.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv.

Libonati).

(Gassa App. Roma 20 luglio 1957)

Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Sinistro verificatosi prima dei tre mesi della loro conoscenza — Diritti dell'assicuratore

(Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu

rato —- Dolo — Nozione (Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) —- Reticenze dell'assicu

rato —- Clausola di incontestabilità — Malafede —

Nozione.

Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Onere dell'accertamento del rischio da

parte dell'assicurato — Insussistenza.

L'onere da parte dell'assicuratore di impugnare il contratto di assicurazione sussiste solo qualora sia decorso il ter mine di tre mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza delle inesattezze o reticenze dell'assicurato, e non quando tale termine non sia decorso, in quanto in tal caso non sus siste per l'assicuratore stesso alcun obbligo di pagare la somma assicurata. (1)

È sufficiente ad integrare il dolo nelle dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, lo stato subiettivo del contraente

stesso, consistente nella volontarietà delle dichiarazioni inesatte o reticenti e nella coscienza della loro illiceità, senza che occorrano ulteriori caratterizzanti elementi obiettivi. (2)

Il concetto di malafede accolto nella clausola di incontesta

bilità delle polizze di assicurazioni delVI.n.a. si fonda sul

solo elemento subiettivo, così come il dolo di cui all'art.

1892 cod. civile ; conseguentemente l'assicuratore, per ef

fetto della clausola, trascorso il termine di contestabilità

perde il diritto al recesso per dichiarazioni inesatte o reti

centi senza dolo o colpa grave ed il diritto all'annullamento

nel caso di colpa grave, ma conserva il diritto all'impugna zione nel caso di malafede. (3)

L'assicuratore, pur dovendo usare la normale diligenza, non è tenuto ad un particolare comportamento positivo di ac

certamento del rischio che forma oggetto del contratto. (4)

La Corte, ecc. ■— Col ricorso incidentale, del quale va

disposta la riunione a quello principale e di cui per ragioni

logiche e giuridiche è preliminare l'esame, il La Grotta, de ducendo la violazione degli art. 1892 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sul pre

supposto che l'art. 1892 preveda un caso di annullamento

del contratto che, dettato a tutela dell'assicuratore, non lo

dispenserebbe dal proporre la relativa azione, afferma che la sentenza impugnata avrebbe deciso extra petita ritenendo

proposta la domanda di annullamento con la richiesta di

rigetto dell'istanza dell'attore, in contrasto con l'asssunto dell'I.n.a. di non essere tenuto a proporre la domanda di

annullamento.

La censura è destituita di giuridico fondamento. L'onere dell'assicuratore, al fine di evitare la decadenza

sancita dall'art. 1892, 2° comma, cod. civ., di dichiarare, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza delle dichiarazioni o le reticenze dell'assicurato, di voler

esercitare l'impugnazione, sussiste sul presupposto della normale vitalità del contratto, che quel termine oltrepassi. L'onere suddetto, infatti, opera solo nel caso che il sinistro si verifichi oltre tale termine, e non per quello in cui il si nistro si verifichi prima che il termine sia decorso o, addi

rittura, prima che l'assicuratore abbia avuto conoscenza dell'inesattezza e reticenza delle dichiarazioni, rese con dolo o colpa grave.

In questi due ultimi casi, la decadenza dall'azione di annullamento del contratto non può venire in considera zione perchè non esiste l'obbligo dell'assicuratore di pagare la somma assicurata (art. 1892, 3° comma) in quanto, come è chiarito nella Relazione al libro delle obbligazioni (n. 220), « nel caso di dolo o di colpa grave l'assicurato ri mane scoperto di assicurazione durante il termine assegnato all'assicuratore per dichiarare di voler esercitare l'azione ».

L'assicuratore non deve necessariamente impugnare il contratto per non pagare la somma assicurata quando il

(1-4) In senso conforme alla prima massima, v. Cass. 31 ot tobre 1958, n. 3589, Foro it., 1959, I, 391 ; per ulteriori richiami, v. App. Milano 25 settembre 1956, id., 1957, I, 1799. Adde : Oass. 18 aprile 1958, n. 1270, id., Rep. 1958, voce Assicurazione (con tratto), il. 91 ; 31 ottobre 1958, n. 3589, ibid., n. 94.

Sulla nozione di dolo in materia di assicurazione, e in senso conforme alla seconda massima, v. Cass. 12 marzo 1958, n. 834, ibid., n. 71.

Sui rapporti fra la malafede, di cui alla clausola di incontesta bilità I.n.a., e il dolo di cui all'art. 1892 cod. civ., v. App. Roma 19 giugno 1957, ibid., n. 328 e in Assicurazioni. 1958, II, 107, con nota di Bianchi d'Espinosa, che, in senso difforme dalla sen tenza annotata, ha ritenuto che il dolo si concreti in una attività positiva, mentre la malafede si concreti nella semplice conoscenza della lesione dell'altrui diritto. Si veda inoltre la sent, cassata riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 92. In dottrina il Salandra, Assicurazioni, in Commentario al cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1954, pag. 218, definisce il dolo come « intenzione di ingannare l'assicuratore » e la colpa grave come «crassa negligenza nelle dichiarazioni».

Sulla quarta massima, in senso conforme : Trib. Roma 21 dicembre 1956, Foro it., Rep. 1957, voce cit., n. 30 ; App. Roma 20 febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 88. In senso contrario Trib. Macerata 25 aprile 1952, id., Rep. 1952, voce cit., nn. 121 123. In dottrina, v. Salandra, op. cit., pag. 224.

La presente sentenza è annotata da E. Simonetto, La malafede dell'assicurato nella clausola d'incontestabilità. L'art. 1892, 2° comma, cod. civ., in Assicurazioni, 1959, II, 260.

This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended