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sezione II civile; sentenza 4 aprile 1987, n. 3262; Pres. Maresca, Est. Sammartino, P. M. Fabi(concl. diff.); Guacci (Avv. De Mauro) c. Troso e Credito fondiario. Conferma App. Lecce 17giugno 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 2401/2402-2409/2410Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179001 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 aprile 1987, n. 3579; Pres. D'Alberto, Est. Marotta, P. M. Gazza ra (conci, conf.); Leanza (Avv. D'Agostino) c. I.n.p.s. (Avv. Maresca, Bartoli). Cassa Trìb. Patti 29 marzo 1985.
Previdenza sociale — Pensione — Diritto — Attività lavorativa svolta in un solo Stato membro della CEE — Disciplina (L. 17 luglio 1954 n. 823 ratifica e esecuzione dei seguenti accordi conclusi tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di
Germania: a) convenzione in materia di assicurazioni contro la disoccupazione e protocollo finale conclusi in Roma il 5 mag gio 1953; b) convenzione in materia di assicurazioni sociali e
protocollo finale conclusi in Roma il 5 maggio 1953; c) accor do aggiuntivo della convenzione in materia di assicurazioni so ciali del 5 maggio 1953 sulla concessione di rendite e pensioni per il periodo anteriore all'entrata in vigore della convenzione e protocollo finale conclusi in Roma il 12 maggio 1953: con
venzione, art. 1, 2, 3; reg. 25 settembre 1958 n. 3 CEE del
consiglio, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza socia le ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, art. 9, 12).
Ove l'attività lavorativa sia stata svolta esclusivamente in uno Stato membro della Comunità economica europea ed in questo soltanto risulti costituito il relativo rapporto assicurativo, il la voratore potrà pretendere la prestazione previdenziale solo nei
confronti dello Stato alla cui legislazione è stato sottoposto e nel quale, in conseguenza, è stato assicurato in via esclusiva
(nella specie, è stata confermata la sentenza che aveva respinto la domanda di pensione d'invalidità avanzata nei confronti del l'I. n.p.s. da lavoratore che aveva svolto la sua attività soltanto nella Repubblica federale tedesca). (1)
Svolgimento del processo. — Esperito con esito negativo il pre scritto procedimento amministrativo, Benedetta Leanza, nata il
18 dicembre 1923, operaia, con ricorso depositato il 26 marzo
1980 — assumendo di essere affetta da malattie tali che ne aveva no ridotto la capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle
sue attitudini, nella misura richiesta dalla legge per la concessione
del trattamento di pensione — adiva il Pretore di Patti, in fun
zione di giudice del lavoro, per ottenere, nei confronti dell'I.n.p.s., l'accertamento del suo diritto alla pensione di invalidità e la con
seguente condanna dell'istituto di previdenza a corrisponderle la
predetta prestazione. Instauratosi il contraddittorio, l'I.n.p.s., costituitosi, eccepiva
la infondatezza della domanda, che, però, l'adito pretore, esple tata consulenza tecnica medico-legale, con sentenza dell'11-22 ago sto 1983, aderendo al parere espresso dal consulente, accoglieva
integralmente. La decisione, su appello dell'I.n.p.s., cui resisteva la Leanza,
veniva riformata dal Tribunale di Patti, che, con sentenza del
20-29 marzo 1985, rigettava la pretesa. Osservava il tribunale che
la Leanza — avendo svolto attività lavorativa soltanto nella Re
pubblica federale tedesca e non vantando nessun periodo assicu
rativo in Italia — non poteva pretendere la richiesta prestazione dall'istituto che gestisce in Italia l'assicurazione obbligatoria, non
consentendo la normativa comunitaria che il periodo assicurativo
(1) Conf. Cass. 10 maggio 1986, n. 3124, Foro it., Rep. 1986, voce Previdenza sociale, n. 159. Al di là della fattispecie decisa, il principio enunciato chiarisce che la contribuzione maturata nei paesi membri della CEE non vale di per sé a determinare l'insorgenza di alcun diritto in materia previdenziale a carico dello Stato di origine del lavoratore in cui
questi non possa far valere la qualità di assicurato. Ne deriva che tale condizione di assicurato va considerata il presupposto indefettibile perché possa farsi luogo alla totalizzazione dei periodi di contribuzione compiuti in due (o più) Stati, tanto ai fini del conseguimento delle prestazioni pen sionistiche vere e proprie che di ogni altro requisito occorrente per otte nere benefici indirettamente finalizzati al conseguimento della pensione quale, ad esempio, l'autorizzazione ai versamenti volontari.
Giova ricordare in proposito che l'unica ipotesi in cui viene concessa
dall'I.n.p.s. la pensione in assenza di un preesistente rapporto di lavoro e di assicurazione sociale in Italia è quella in cui il titolare di contribuzio ne estera maturata in paesi della CEE abbia prestato un periodo di servi zio militare obbligatorio in Italia. Tale periodo, infatti, è ritenuto accreditabile quale contribuzione figurativa nella assicurazione italiana in
base ai soli periodi di contribuzione estera, a seguito di una interpretazio ne in tal senso dell'art. 13, § 2, lett. d), del regolamento CEE n. 1408/71, destinato a garantire ai lavoratori che abbiano prestato il servizio militare
nell'ambito comunitario i benefici previdenziali riconosciuti dalle singole legislazioni nazionali. Tale interpretazione è stata estesa, in via equitati va, anche ai lavoratori cui risultano applicabili le convenzioni di sicurez
za sociale, vincolanti per l'Italia.
Il Foro Italiano — 1987.
in uno Stato possa essere utilizzato per ottenere le prestazioni da un altro Stato, in cui il lavoratore abbia trasferito la residenza
e non vi abbia però svolto attività lavorativa soggetta all'assicu
razione obbligatoria, ma soltanto che il lavoratore nazionale o
straniero, che vanti in Italia un periodo assicurativo, possa cu
mulare con questo quello maturato in un altro Stato della Comu nità economica europea.
Per la cassazione di tale sentenza, ricorre la Leanza sulla base di un unico motivo di annullamento. L'I.n.p.s. resiste con con troricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo, cui è affidato il ricorso, la Leanza — denunciando violazione e falsa applica zione dell'art. 10 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, nonché violazione
o, quanto meno, omessa applicazione degli art. 1, 2, 3 ss. della convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di Germania stipulata il 5 giugno 1953 in materia di assicurazione sociale (1. 17 luglio 1954 n. 823) — censura la impugnata senten
za, per averle il tribunale negato il diritto di beneficiare, in Italia, al fine di ottenere le relative prestazioni dall'I.n.p.s., del fondo
previdenziale costituito in Germania, non potendo far valere nes sun rapporto assicurativo costituito presso l'I.n.p.s. Sostiene la ricorrente che erroneamente il tribunale abbia ritenuto che la vi
gente normativa comunitaria non consenta al lavoratore italiano, che abbia svolto la sua attività lavorativa esclusivamente in Ger mania e non sia titolare di alcun rapporto assicurativo con
l'I.n.p.s., di pretendere, sulla base della contribuzione assicurati va eseguita in Germania, le relative prestazioni dall'istituto che in Italia gestisce l'assicurazione generale obbligatoria.
La censura non è fondata. Come questa sezione ha già avuto modo di rilevare (cfr. sent. n. 3124 del 10 maggio 1986, Foro
it., Rep. 1986, voce Previdenza sociale, n. 159), la citata conven zione tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di Ger mania è stata sostituita, per effetto dell'art. 5 del regolamento n. 3 emanato dal consiglio della Comunità economica europea per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti, il 25 settembre
1958, dalle disposizioni del medesimo regolamento. Queste, peraltro, per quanto riguarda il punto in esame, non
divergono sostanzialmente da quelle della convenzione e da en trambe le discipline si desume che presupposti della loro applica bilità sono Io svolgimento di attività lavorativa e la conseguente costituzione del rapporto assicurativo, sia nello Stato di origine, sia nello Stato estero, membro della CEE. Infatti, la computabi lità delle contribuzioni eseguite presso Stati diversi (art. 9 regola mento cit.) e la «totalizzazione» dei periodi di assicurazione, in
quanto non si sovrappongano, sono previste unicamente per il caso in cui un lavoratore subordinato o assimilato sia stato sotto
posto «successivamente» o «alternativamente» alla legislazione di due o più Stati membri (art. 2, 17 e 18 convenzione cit., art.
16, 27, 32, 33 e 39 regolamento cit., art. 13 regolamento n. 4 in vigore dal 1° gennaio 1959).
Dalla esaminata normativa consegue che — ed il principio è stato già affermato nella citata sentenza n. 3124 del 10 maggio 1986 — ove l'attività lavorativa sia stata svolta esclusivamente in uno Stato ed in questo soltanto sia stato costituito il relativo
rapporto assicurativo, il lavoratore, come è stato esattamente ri
tenuto dal tribunale nella impugnata sentenza, potrà pretendere le prestazioni previdenziali solo nei confronti dello Stato, alla cui
legislazione è stato sottoposto e nel quale è stato quindi assicura
to in via esclusiva (art. 12 regolamento n. 3 cit.). Il ricorso dev'essere, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 4 aprile
1987, n. 3262; Pres. Maresca, Est. Sammartino, P. M. Fabi
(conci, diff.); Guacci (Avv. De Mauro) c. Troso e Credito fon
diario. Conferma App. Lecce 17 giugno 1983.
Divisione — Progetto predisposto dal consulente tecnico — Man
canza di contestazioni — Sentenza — Nullità — Insussistenza
(Cod. proc. civ., art. 789). Divisione — Progetto di divisione giudiziale — Natura giuridica
— Assenza di una parte nell'udienza di discussione del proget to — Irrilevanza (Cod. proc. civ., art. 789).
Anche ove nel giudizio divisorio non siano state sollevate conte
stazioni in ordine alla attribuzione delle quote secondo il pro
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2403 PARTE PRIMA 2404
getto del consulente tecnico, non è nulla la divisione disposta dal tribunale con sentenza, anziché dal giudice istruttore con
ordinanza. (1) Posto che la vincolatività del progetto di divisione non ha fonda
mento negoziale, ma processuale, è irrilevante l'assenza delle
parti (come pure la contumacia) alla discussione de! progetto stesso (nella specie, una parte, pur costituita, era rimasta as
sente nella udienza di discussione del citato progetto). (2)
(1) Unico precedente edito, in senso esattamente conforme, è Cass.
3 agosto 1977, n 3451, Foro it., Rep. 1977, voce Divisione, n. 31, richia
mata nella motivazione della sentenza in epigrafe; v. altresì", per implicito riferimento, Cass. 26 marzo 1981, n. 1779, id., Rep. 1981, voce cit., n. 53 («Il provvedimento ex art. 789 c.p.c. con cui in difetto di contesta
zioni è dichiarato esecutivo il progetto divisionale predisposto in corso
di causa, anche se emesso in forma di sentenza, trattandosi di pronuncia
priva di natura decisoria... non è impugnabile da soggetti estranei al rap
porto divisionale»). (2) La sentenza riprende un orientamento risalente nel tempo, ma di
recente ridotto in minoranza, secondo il quale il giudizio di scioglimento di comunione, anche laddove difetti del carattere contenzioso, non ha
mai natura contrattuale, rinvenendo sempre il suo fondamento negli isti
tuti di diritto processuale. V., in tal senso, Cass. 23 gennaio 1978, n.
289, richiamata nella motivazione della sentenza in epigrafe, Foro it.,
Rep. 1978, voce Divisione, n. 23 e, in extenso, con nota' di C. Carbone, Divisione giudiziale, rendiconto e poteri dell'avvocatura dello Stato nel
processo civile, in Giust. civ., 1978, I, 916; Comm. centrale 3 aprile 1963, n. 97475, Foro it., Rep. 1964, voce Registro, n. 487.
All'interno di questo orientamento generale è dato, peraltro, individua
re articolazioni differenti, correlate al modo di intendere la natura del
l'ordinanza stessa e più generalmente, del giudizio divisorio. Possono infatti
individuarsi tre posizioni giurisprudenziali e dottrinali:
a) al provvedimento si riconosce natura cognitoria contenziosa, come
il processo di cui partecipa (v., infatti, Cass. 22 ottobre 1973, n. 2676,
id., 1974, I, 1461, e 18 dicembre 1973, n. 3434, id., Rep. 1974, voce
Divisione, n. 35, e, con nota di A. Cerino-Canova, in Giur. it., 1976,
I, 1, 200; 25 gennaio 1949, nn. 95 e 99, Foro it., Rep. 1949, voce cit., nn. 63, 62, con nota di E. Minoli, Natura delle sentenze pronunciate nel corso del giudizio divisorio, in Giur. it., 1949, I, 1, 661). In particola re, l'ordinanza de qua viene qualificata come provvedimento decisorio, cioè come sentenza in senso sostanziale (v., al riguardo, Trib. Benevento
1° marzo 1952, Foro it., Rep. 1952, voce cit., n. 69, e E. Allorio, Giudi
zio divisorio e sentenza parziale con pluralità di parti, in Giur. it., 1946,
I, 1, 79, nonché Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Riv.
trim. dir. e proc. civ., 1948, 487) o come provvedimento ordinatorio ai
sensi degli art. 177 e 178 c.p.c. (v., in tal senso, Cass. 30 aprile 1955, n. 1216, Foro it., Rep. 1955, voce cit., n. 54, annotata da P. Pajardi, La funzione del notaio nel giudizio divisionale, in Giur. it., 1956, I, 1,
234, nonché I. An dolina, Note sull'oggetto del giudizio divisorio, in Riv.
dir. civ., 1960, II, 590); b) l'ordinanza è un provvedimento esecutivo, come lo stesso giudizio
divisorio si che, a mente dell'art. 176 c.p.c., detta ordinanza, dichiarata
dalla legge non impugnabile, è da considerarsi irrevocabile. V., in senso
conforme, E. Minoli, Contributo alla teoria del giudizio divisorio, Mila
no, 1950, 96;
c) l'ordinanza è un provvedimento non contenzioso ma volontario; per tanto, pur riconducendosi l'effetto divisorio alla statuizione giudiziale, esso ha quale presupposto necessario la «non contestazione» delle parti in ordine al progetto di divisione. In questo senso v. Trib. Napoli 9 gen naio 1958, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 73, nonché E. Fazzalari, La giurisdizione volontaria, Padova, 1953, 201, e C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Torino, 1974, III, 186.
A sostegno, invece, della più recente e prevalente giurisprudenza (tenu ta a battesimo da Cass. 15 ottobre 1958, n. 3272, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 82), intesa a ricondurre il nuovo assetto giuridico, conse
guenza dello scioglimento ex art. 789 c.p.c., all'accordo negoziale delle
parti, concretato dalla non contestazione esplicita o presunta del proget to, e ad escludere ogni incidenza della funzione giurisdizionale su una materia regolata dalla pattuizione contrattuale, v. Cass. 21 giugno 1985, n. 3728 e 26 gennaio 1985, n. 398, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 35, 36; 20 dicembre 1983, n. 7525, id., Rep. 1983, voce cit., n. 38; 4 maggio 1982, n. 2737, id., Rep. 1982, voce cit., n. 34, e in extenso, con nota di C. Mandrioli, Sui rimedi contro l'ordinanza che approva il progetto di divisione pronunciata senza i presupposti di legge, in Giur. it., 1982, I, 1, 1514. Pertanto, all'ordinanza si assegna la semplice funzione di omo
logazione: cfr. Cass. 24 agosto 1981, n. 4984, Foro it., Rep. 1982, voce
cit., n. 37; 27 giugno 1980, n. 4032, id., Rep. 1980, voce cit., n. 22; 22 ottobre 1973, n. 2676, id., 1974, I, 1461.
Più puntualmente, all'interno di questo orientamento si afferma, per un verso che gli effetti sostanziali della divisione derivano dalla volontà delle parti (v. Cass. 25 gennaio 1983, n. 695, id., Rep. 1983, voce cit., n. 43; 31 gennaio 1983, n. 843, ibid., n. 42; Trib. Ariano Irpino 2 marzo
1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 33, e con nota di G. Azzariti, in Giur. merito, 1982, 791; Cass. 26 marzo 1981, n. 1779, Foro it., Rep.
Il Foro Italiano — 1987.
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 7 febbraio 1980
il tribunale di Lecce dispose la divisione di un immobile, fra Mi
chele Ruggiero e Raffaele Guacci — che ne erano comproprietari in parti uguali — in conformità al progetto redatto in istruttoria
da un c.t.u., e nominò un notaio perché procedesse all'estrazione
a sorte dei lotti «al passaggio in giudicato della sentenza» me
desima.
La corte leccese — in contumacia di Luigi Troso e del Credito
fondiario s.p.a. di Roma, creditori ipotecari chiamati in causa — dichiarò inammissibile l'appello proposto da Guacci, osser
vando in relazione ai motivi del gravame — tra l'altro — che
il tribunale aveva provveduto in sostituzione del g.i. e quindi il
provvedimento impugnato aveva natura di ordinanza ex art. 789/3
c.p.c., come tale non impugnabile, che non era mai sorta conte
stazione fra le parti sulla formazione delle quote reali di cui al
progetto predisposto dallo stesso giudice istruttore e che la legge non pretende che il progetto divisionale sia discusso tra le parti
personalmente comparse ma abilita a ciò gli stessi procuratori
legali. Guacci ricorre con due motivi:
1) Violazione dell'art. 789 c.p.c. e nullità della sentenza: la
tesi sostenuta dalla corte di merito non è esatta perché, data la
natura negoziale dell'accettazione del progetto predisposto dal giu
dice istruttore, che l'ordinanza da questi pronunciata si limita
a dichiarare (tanto che un'eventuale impugnativa è ammessa, e
non in via processuale ma con normale azione cognitiva, contro
l'accordo e non contro l'ordinanza) la partecipazione personale dei condividenti è indispensabile e i difensori potrebbero valida mente sostituirli solo se muniti di mandato ad hoc.
2) Nullità della sentenza sotto il diverso profilo che, avendo,
in prime cure, il giudice istruttore rimesso la causa al collegio,
aveva con ciò manifestato il proprio intento di non operare nei
sensi voluti dal 3° comma dell'art. 789 e tale iniziativa non pote
va essere sindacata dal giudice del gravame. Gli intimati non si sono costituiti. Motivi della decisione. — 1. - Il secondo motivo — che convie
ne esaminare per primo — è infondato perché la corte di merito
era investita dell'impugnazione contro la «sentenza» del tribuna
le, e si pronunciò nei limiti di tale impugnazione, applicando il
principio pacifico in giurisprudenza che, comunque rimessa la causa
dall'istruttore al collegio, questo ha pieni poteri sostitutivi anche
con riguardo ai provvedimenti che l'istruttore avrebbe dovuto emet
tere ai sensi dell'art. 789 c.p.c. (tra le altre: Cass. n. 3451/77,
Foro it., Rep. 1978, voce Divisione, n. 31) e pertanto non ha
alcun rilievo l'osservazione contenuta in sentenza, e di cui si la
menta il ricorrente, che il giudice istruttore meglio avrebbe fatto
a non rinviare avanti il collegio le parti perché tra di esse «non
v'era mai stata controversia né sull'art dividendum né sull'entità
della quota a ciascuna spettante». 2. - Anche la questione sollevata col primo motivo va risolta
in senso contrario alla tesi sostenuta dal ricorrente.
A. - Dal confronto tra l'art. 789 e l'art. 791 in relazione al
l'art. 790 si evince che, mentre, nel caso in cui le operazioni di
divisione sono dirette da un notaio, esse si svolgono alla presenza delle parti personalmente comparse (tale essendo la ratio del 2°
comma dell'art. 790, dove l'assistenza dei procuratori è prevista solo come eventuale) nel caso in cui sono dirette dal giudice istrut
tore, il rapporto tra questi e le parti si instaura (e prosegue) nel
modo proprio e normale di ogni procedimento che, come quello
divisorio, si promuove con una citazione avanti al tribunale, cioè
attraverso la rappresentanza processuale dei loro procuratori ex
art. 82/3 c.p.c. L'art. 789, infatti, non contiene alcunché in senso
1981, voce cit., n. 53; 6 ottobre 1978, n. 4464, id., Rep. 1978, voce cit., n. 25; 9 ottobre 1975, n. 3200, id., Rep. 1975, voce cit., n. 30; 22 maggio 1973, n. 1482, id., 1974, I, 488); per l'altro verso, che l'ordinanza con cui si dichiara esecutivo il progetto di divisione non contestato non ha natura decisoria (v. Cass. 12 febbraio 1980, n. 1012, id., Rep. 1980, voce
cit., n. 18; 8 settembre 1977, n. 3919, id., 1978, I, 2871; Trib. Napoli 17 giugno 1974, id., Rep. 1976, voce cit., n. 26).
In dottrina, per una rassegna accurata dei diversi orientamenti emersi sul punto, v. A. Cerino-Canova, Correzione del progetto di divisione dichiarato esecutivo (art. 789 c.p.c.), in Giur. it., 1976, I, 1, 201; per un'analisi della giurisprudenza e dottrina che fanno capo all'orientamen to contrattualistico, v. M. Acone, nota a Cass. 29 ottobre 1971, n. 3056, in Foro it., 1972, I, 64; S. Satta, Sulla natura giuridica del procedimento di divisione, id., 1947, I, 356.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
contrario e l'espressione «il decreto» — di fissazione dell'udienza
di discussione del progetto — «è comunicato alle parti» deve in
tendersi nel significato in cui simili espressioni sono pacificamen te intese nell'intero codice di rito, in base al principio per cui,
quando le parti debbono stare in giudizio col ministero di un
procuratore legalmente esercente, le comunicazioni si fanno al
procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti (art.
170): e l'art. 789/2 non contiene eccezioni alla regola. Conforta questa tesi la considerazione che la domanda intro
duttiva di controversie del genere ha per oggetto — nella maggior
parte dei casi, e anche nella specie — sia l'accertamento del dirit
to alla divisione o allo scioglimento di qualsiasi altra comunione
di chi agisce, sia l'attuazione di tale diritto, che passa necessaria
mente attraverso la predisposizione e la discussione di un proget to ad hoc, donde è lecito argomentare che il legislatore ha voluto
attribuire al procuratore ad litem il potere di compiere non solo
tutti gli atti che servono alla miglior difesa del diritto della parte ad dividendum, ma anche del diritto di essa ad ottenere quella
porzione di beni che sia conforme alla quota spettantele in base
al titolo e/o alla legge e soddisfaccia le altre sue lecite aspettative. Né varrebbe obiettare che il difensore con procura non può
compiere atti che, pur non essendo espressamente dalla legge ri
servati alla parte, come nella specie, importano tuttavia disposi zione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto altrettanto
espressamente il potere (art. 84 c.p.c.) poiché gli atti dispositivi dalla legge vietati sono quelli che contrastano o che sono in qual che modo difformi o devianti o riduttivi rispetto all'interesse che
la parte ha domandato con la citazione di voler tutelare e per la cui difesa ha dato la procura al difensore, mentre, al contra
rio, il consenso di questi al progetto depositato dal giudice istrut
tore si presume dato sul presupposto della conformità di esso
al diritto del cliente ed eventualmente nel rispetto delle istruzioni
in merito avute nei normali abboccamenti col medesimo, proprio come in ogni altro caso in cui egli, nel corso del giudizio, propo ne istanza o si oppone ad istanze delle controparti, se ciò ritiene
di fare nell'interesse del mandante.
D'altra parte se l'art. 789 dovesse interpretarsi nel senso voluto
dal ricorrente, dovrebbe ripudiarsi più di un indirizzo giurispru denziale in materia, che sembra invece ormai consolidato, o af
fatto prevalente come, ad es.: a) quello per cui la contumacia
di un condividente in quanto vale mancanza di contestazione, non preclude la pronuncia dell'ordinanza di esecutorietà del pro
getto (tra le altre: Cass. 3291/53, id., Rep. 1953, voce cit., n.
47; 7/69, id., Rep. 1969, voce cit., n. 45; 1482/73, id., 1974, I, 488; 3162/73, id., Rep. 1973, voce cit., n. 43; 4984/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 48): non si spiegherebbe perché l'ordi
nanza sarebbe invece preclusa quando la mancanza di contesta
zione è riferibile ad un condividente costituito nel giudizio, non
presente di persona all'udienza, in cui è presente il solo difenso
re; b) quello per cui, agli effetti della rimessione della causa al
collegio per insorte contestazioni sul progetto predisposto dal giu dice istruttore, valgono anche le contestazioni sollevate da taluno
dei procuratori prima della fissazione dell'udienza di discussione, ad es. con memorie o con consulenze di parte (tra le altre —
non traspare dalla massima e lo si legge nel testo integrale —
Cass. 6181/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 47): se è potere dispo sitivo del diritto in contesa, che non rientra nel mandato ad litem
conferitogli al momento dell'instaurazione del giudizio, quello di
dare il consenso al progetto — che la parte, esercitando detto
potere personalmente all'udienza, potrebbe voler negare — do
vrebbe parimenti qualificarsi dispositivo il potere di negare il con
senso medesimo che la parte, se presente di persona all'udienza,
potrebbe voler dare.
B. - Ma a favore della soluzione qui prospettata vi è di più. È noto che è tuttora fortemente controverso in dottrina il pro
blema se la vincolatività del progetto predisposto e depositato dal giudice istruttore, e su cui non siano sorte contestazioni, ab
bia un fondamento negoziale ovvero processuale, cioè se la man
canza di contestazioni equivale alla prestazione di un reciproco
consenso tra i condividenti (da intendersi espresso per chi, pre
sente all'udienza, lo abbia dato con parole; tacito o presunto per
chi abbia taciuto in udienza o sia stato assente all'udienza mede
sima o addirittura contumace nel giudizio), in modo che tra loro
possa dirsi intervenuto un vero e proprio accordo, avente natura
contrattuale, si che l'ordinanza del g.i. nulla aggiunga d'imperio ma sia soltanto una specie di omologazione di tale accordo, un'at
testazione che il contratto si è regolarmente formato e quindi le
Il Foro Italiano — 1987 — Parte I-157.
parti sono tenute a darvi esecuzione perché, come ogni contratto, ha forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.).
Non ritiene questa corte di poter aderire a detta teoria, per le seguenti considerazioni.
Anzitutto valgono le differenze sostanziali — altrimenti inspie
gabili — tra formazione del progetto avanti al giudice istruttore
e formazione del progetto avanti al notaio delegato. Avanti al
notaio i due elementi, dell'indispensabile presenza delle parti in
persona (assistite o no dai propri procuratori) e dell'accordo che
tra loro deve intervenire perché il progetto diventi esecutivo (art. 791: «...se le parti non si accordano... il notaio trasmette il pro cesso verbale al giudice istruttore...»), sono in carattere con i
requisiti che l'art. 1325 richiede per la nascita di un contratto
(accordo delle parti, causa, oggetto e forma, quando richiesta
a pena di nullità) a nulla certo rilevando la sede e l'occasione
nelle quali avviene l'incontro dei consensi.
Consegue: a) che al contratto devono partecipare (di persona o a mezzo di mandatario ad hoc) tutti i condividenti (oltre ai
creditori intervenuti nel giudizio) e l'assenza o la contumacia di
taluno impedisce la conclusione di un valido contratto di divisio
ne (o di scioglimento della comunione); b) che il contratto, una
volta concluso, è soggetto «al comune regime d'impugnazione degli atti negoziali per vizi di volontà», ed eventualmente per difetto
dei requisiti posti a pena di nullità (o anche al regime della rescis
sione) indipendentemente dalla pronuncia del provvedimento che
dispone l'estrazione a sorte dei lotti (secondo Cass. 1045/83, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 41, l'azione di rescissione per lesione
ultra dimidium è proponibile solo dopo l'approvazione del verba
le di sorteggio). Avanti al giudice istruttore, invece, non è richiesto l'accordo
delle parti sul progetto, ma soltanto la mancanza di contestazio
ni, e, data la contiguità delle rispettive norme, alla differenza
delle locuzioni adoperate i procedimenti per altri versi analoghi, trattati sotto lo stesso titolo (il V: «Dello scioglimento di comu
nioni») non può non corrispondere, nel linguaggio del nostro co
dice di rito, una differenza di istituti.
Nel giudizio divisorio, mentre la fase notarile non ha natura
giurisdizionale, svolgendosi al di fuori del contatto col giudice e potendo addirittura i difensori esserne estromessi, sicché, esclu
sa come non necessaria la difesa tecnica, il notaio si trova di
fronte ai condividenti nella stessa qualità che avrebbe rivestito
se fosse stato stragiudizialmente incaricato da tutti di redigere
l'atto, la fase giudiziale viceversa si nutre delle garanzie proprie della giurisdizione poiché il progetto è predisposto da un giudice
(anche se si avvalga dell'opera di un esperto che però presta giu ramento avanti a lui — art. 194 disp. att. c.p.c. — e ne esegue le istruzioni e ne subisce il controllo) al di fuori di trattative e
contrattazioni vere e proprie dei condividendi e dei creditori in
tervenuti e in base alle rispettive situazioni soggettive prospettate dai difensori nella citazione e nelle comparse (tranne che siano
tra loro confliggenti, nel qual caso dovrà intervenire il collegio) delle quali egli deve tenere conto, nel formare le porzioni, secon
do diritto.
E la mancanza di contestazioni, all'udienza fissata per la di
scussione, se implica l'assenza di lite — donde la non necessità
di una sentenza — non implica necessariamente un accordo nel
senso tecnico-giuridico di cui al cit. art. 1321 c.c.: norma di dirit
to sostanziale — ma si traduce in un comportamento delle parti che l'ordinanza conclusiva valorizza in senso prettamente proces suale. Ciò significa che — ancora a differenza della fase notarile,
dove, se le parti personalmente si accordano sulle quote e sui
lotti come da progetto, il contratto cosi stipulato li vincola imme
diatamente ex art. 1372 c.c. — la mancanza di contestazioni al
l'udienza di discussione avanti al giudice non è sufficiente a
vincolare le parti al progetto, abbisognando per espressa volontà
della legge di quell'ulteriore, essenziale, atto che è l'ordinanza
del giudice istruttore.
Solo qualificando la mancanza di contestazioni in senso pro
cessuale, e non in senso sostanziale, si spiega come sia giuridica
mente possibile imporre anche agli assenti e addirittura ai
contumaci il progetto predisposto dal giudice alla cui discussione
essi non hanno partecipato. La contumacia è un comportamento che non può essere interpretato come consenso, sia pure tacito
o presunto, a quanto avviene nel giudizio divisorio, specie consi
derando che il contumace è già tale fin dall'inizio del procedi mento e quindi prima che il giudice (nomini l'esperto e)
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2407 PARTE PRIMA 2408
predisponga il progetto e fissi l'udienza di discussione (che non
va comunicata al contumace).
L'ordinanza, in caso di contumacia di taluno dei condividenti, trova fondamento e forza cogente in un principio generale valido
per ogni tipo di giudizio: l'accertamento e l'attuazione del diritto
di chi si rivolge al giudice non può trovare ostacolo nella non
partecipazione della controparte (regolarmente citata) e pertanto il riconoscimento del diritto potestativo a dividere, o a sciogliere la comunione, deve avvenire nonostante la contumacia della con
troparte, e cosi anche la formazione del progetto delle quote e
dei lotti. Non una manifestazione di volontà del contumace con
forme al progetto (consenso a un contratto) ma la redazione e
l'esecuzione di un progetto in assenza di qualsiasi manifestazione
di volontà del contumace e perciò scontando anche una sua pos sibile contrarietà al progetto medesimo.
A riprova si può aggiungere che se all'udienza fissata per la
discussione nessuna delle parti si presenti, sarebbe arduo ritenere
che la situazione sia da equipararsi alla mancata insorgenza di
contestazioni in presenza (almeno di una) di esse e che non sia
invece applicabile anche al giudizio divisorio l'art. 309 in relazio ne all'art. 181, con la conseguenza che il giudice istruttore, dopo i prescritti adempimenti, emetterà, si, un'ordinanza non impu
gnabile, ma di cancellazione della causa dal ruolo e non certo
di esecutorietà del progetto, che, in tal caso, non avrebbe alcuna
efficacia, tanto meno come contratto divisorio.
Questa corte ritiene, pertanto, che il progetto divisorio predi
sposto e depositato dal giudice istruttore ai sensi dell'art. 789
c.p.c. diventa vincolante per i condividenti per il combinato ef
fetto sia del comportamento di quelli fr^loro che siano comparsi all'udienza di discussione (mancata contestazione) sia dell'ordi
nanza con cui il giudice, nel dichiararlo esecutivo, esplicitamente o implicitamente dà atto della non insorgenza di contestazioni
e insieme suggella la regolarità degli atti che l'hanno preceduto e accompagnato, dando cosi rispettivamente conto del perché non
c'è bisogno né di emettere una sentenza né di attendere oltre o
compiere ulteriori attività per giungere a un titolo esecutivo.
Il solo comportamento delle parti — che suoni mancanza di
contestazioni — non è sufficiente a vincolarle (dovrebbe esserlo
se si configurasse, come vuole l'opposta tesi, come concretamen
te un contratto divisorio); né lo è la (sola) ordinanza del giudice istruttore che sia emessa in difetto di quel presupposto.
Ciò significa in una parola che il fondamento del vincolo è
prettamente processuale (concetto che nella sentenza n. 289/78,
id., Rep. 1978, voce cit., n. 23, è stato sinteticamente espresso col dire che gli «effetti di diritto sostanziale», che l'ordinanza
del giudice istruttore produce «nella sfera patrimoniale delle par
ti», «si ricollegano non manifestazioni di volontà riconducibili
al procedimento di formazione dei contratti, ma a momenti e
situazioni che sono tipiche del processo, cioè in definitiva ad una
condotta processuale in cui il mancato assolvimento dell'onere
di contestare il progetto assume rilevanza sufficiente ai fini della
legittimità dell'ordinanza del giudice»). Né vale l'obiezione che in tal modo si attribuisce natura deciso
ria a detta ordinanza e che all'istruttore non si attaglia il potere di decidere: proprio perché non c'è controversia da decidere, l'or dinanza non ha una vera e propria natura decisoria, essa sempli cemente chiude una fase del processo, nella forma che il legislatore ha ritenuto più idonea, in considerazione che il progetto è stato
predisposto nella piena garanzia giurisdizionale. Non è questo l'u
nico caso in cui il codice investe l'istruttore del potere di chiudere una fase processuale: ciò pure accade, ad es., nella specie regola ta dall'art. 350/1, in cui «se non sorgono contestazioni», l'istrut
tore dichiara con ordinanza — non importa se reclamabile al
collegio — l'inammissibilità o l'improcedibilità del giudizio di ap pello — e deve anche liquidare le spese — e non si può negare che si tratta di provvedimento idoneo a influire sulle posizioni sostanziali delle parti.
L'indirizzo giurisprudenziale prevalente accoglie la teoria con
trattualistica ma — ad avviso di questa corte, che ritiene di aderi
re, insieme con Cass. n. 289/78, cit., esaminato funditus il
problema, alla teoria processualistica — non sembra superare in maniera coerente lo scoglio rappresentato dall'incidenza della con tumacia di taluno dei condividenti sulla formazione del contratto di divisione e inoltre vi si colgono alquante perplessità.
Le sentenze nn. 1482 e 3162 del 1973 parlano di «accordo delle
parti» e di «negozio giuridico» pure in caso di contumacia ma non spiegano come questa (che come già detto, è propriamente
Il Foro Italiano — 1987.
un istituto processuale) si concilii con quelli (che sono regolati dal diritto sostanziale).
La sentenza n. 3291 del 1953, invece, parla di «accordo nego ziale» quanto al progetto predisposto dal notaio (divisione ami
chevole) e aggiunge che «la contumacia di uno o più interessati
impedisce la formazione di tale «accordo negoziale» ma non ha
effetto alcuno se il progetto è predisposto dal giudice istruttore
(divisione giudiziale): a stare alla massima, quindi, avanti al giu dice istruttore la vincolatività del progetto non poggia su di un
accordo.
La sentenza n. 4468 del 1978 (id., Rep. 1978, voce cit., n. 25)
nega che nella contumacia di taluno dei condividenti possa confi
gurarsi una «regolamentazione negoziale» della divisione quando il progetto è predisposto dal g.i.
La sentenza n. 3434 del 1973 (id., Rep. 1973, voce cit., n. 37) — in una specie in cui, dopo l'ordinanza di esecutorietà del pro
getto, il g.i. aveva rimesso le parti al collegio per la decisione
sulle spese, unico punto in contestazione, e il collegio con la sen
tenza aveva, in più, corretto alcuni errori materiali del progetto — nella prima parte ribadisce che l'ordinanza ha il contenuto
di un semplice controllo di legalità, mentre gli effetti sostanziali
della ripartizione si ricollegano ad un titolo negoziale soggetto alle comuni azioni contro i negozi giuridici (e quindi dichiara va
lida la statuizione dei giudici di merito sulle spese processuali, non modificativa del progetto) nella seconda parte, nel dichiarare
il ricorrente privo d'interesse perché si era doluto del modo e
non del risultato della correzione, afferma che, a norma dell'art.
288, ultima parte, c.p.c. — capo V: «Della correzione delle sen
tenze e delle ordinanze» — oggetto dell'appello avrebbe dovuto
essere lo stesso provvedimento corretto (senza spiegare come si
concilia la natura di negozio attribuita al progetto — erroneo — non contestato dalle parti, con la natura di provvedimento
giurisdizionale dato all'atto da correggere ed effettivamente cor
retto dal giudice di merito). La sentenza n. 1012 del 1980 (id., Rep. 1980, voce cit., n. 16)
— letta in extenso da un lato afferma che la ratio della norma
sta nella presunzione che le parti abbiano dato il consenso a che
la divisione avvenga nel modo predisposto dal g.i. (e quindi sem
bra sposare la tesi contrattualistica), dall'altro dice che «la legge
pone a carico delle parti l'onere delle contestazioni intorno al
progetto di divisione nell'udienza apposita, in difetto delle quali
impone al giudice di dichiarare con ordinanza esecutivo il proget to» (e non spiega come il principio di preclusione cioè la non
osservanza di un onere nel processo — possa armonizzare col
fondamento contrattuale — di diritto sostanziale — del vincolo
all'osservanza del progetto). Se dunque il fondamento su cui poggia la vincolatività del pro
getto predisposto dal giudice istruttore ha natura prettamente pro
cessuale, viene a cadere uno dei principali argomenti a favore
della tesi che vorrebbe le parti in persona presenti all'udienza
di discussione. Se si tratta di esaminare un progetto divisionale, magari con
l'ausilio di un consulente di parte, e di verificarne la corrispon denza alla posizione soggettiva del cliente come in precedenza
illustrata, e contemporaneamente controllare che siano state adem
piute tutte le condizioni imposte dal rito perché il procedimento sia regolare e si avvii validamente alla conclusione, non si vede
perché la facoltà di sollevare o no contestazioni sul progetto non
possa farsi rientrare nei poteri che il difensore con procura eserci
ta normalmente nel processo. Da notare in proposito che anche se tale principio (della non
necessità che le parti siano presenti di persona) non risulta for
malmente enunciato nelle massime ufficiali, nelle sentenze di cui
è dato leggere il testo integrale esso è pacificamente implicito e
sotteso alla trattazione in fatto e in diritto, che sempre si riferisce
a udienze di discussione svoltesi in presenza dei soli procuratori
(tra le altre: sent. n. 2864/76, id., Rep. 1976, voce Istruzione
preventiva, n. 8, comunicazione dell'ordinanza di fissazione del
l'udienza di discussione al procuratore costituito che non ha reso
noto al giudice ed alla controparte il decesso del cliente; n. 289/78
cit., «mancato insorgere dei difensori delle parti avverso il conte
nuto del progetto»; n. 1012/80, id., Rep. 1980, voce Divisione, n. 19, all'udienza fissata non potevano ritenersi sollevate conte
stazioni solo perché un legale aveva chiesto un rinvio, in quanto
egli non era munito di procura ad litem, mentre il vero difensore
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non era comparso: dal che si deduce che, se fosse comparso in
udienza il procuratore costituito, avrebbe potuto validamente sol
levare contestazioni o dare il consenso). Sebbene non sia strettamente indispensabile ai fini della deci
sione del ricorso, mette conto esaurire l'ambito del primo motivo
là dove, a prova della natura negoziale delle dichiarazioni di ac
cettazione, espresse o tacite o presunte, rese dalle parti all'udien
za di discussione del progetto, si deduce che un'eventuale
impugnativa potrebbe rivolgersi solo contro l'accordo cosi rag
giunto — con le normali azioni cognitive ammesse per i contratti
in generale — e non contro l'ordinanza di esecutorietà.
La coerenza di tale conclusione con la premessa (è un accordo) è innegabile, ma se cade la premessa (non è un accordo) la con
clusione non può che essere diversa. Il riscontro della coerenza
logico-giuridica di una diversa conclusione con la diversa premes sa da cui la corte è partita serve ad un ulteriore controllo della
correttezza di questa e della sua conformità al sistema.
Ora, il giudizio divisorio fallirebbe il suo scopo (che è quello di pervenire, in unica fase o attraverso varie fasi a seconda delle
pretese e dell'intreccio degli interessi e dei nodi da sciogliere, alla
definitiva attribuzione a ciascuno dei condividenti di una porzio ne di beni della massa, se, al di fuori dei normali mezzi che i
contendenti hanno a disposizione per porre fine al giudizio senza
un intervento del giudice che non sia puramente dichiarativo (tran sazione extraprocessuale, rinuncia, cancellazione ed estinzione da
inattività) lo si facesse terminare con un atto puramente interlo
cutorio e fornite di altre cause fra le parti. Il c.d. contratto divi
sorio stipulato all'udienza nulla avrebbe di diverso da un contratto
di divisione amichevole che le parti stipulassero avanti ad un no
taio senza (o prima di) ricorrere al tribunale, cosicché, impugna to che sia tale contratto con le normali azioni, e dovendosi la
ricostituita comunione una buona volta sciogliere, stavolta giudi
zialmente, cioè in modo contenzioso, si perverrebbe di nuovo ad
un accordo divisorio ex art. 789, di nuovo impugnabile con le
normali azioni: e cosi via, con quale danno, specie per la parte in buona fede, è facile immaginare.
Ma questo illogico meccanismo non corrisponde affatto a quello
giuridicamente configurabile, alla stregua degli art. 784 ss. c.p.c. Il progetto è predisposto dal g.i. — ripetesi — in stretta ade
renza alle posizioni soggettive dei condividenti e in fedele appli cazione delle norme sostanziali che regolano la comunione, ereditaria o no, il modo in cui deve essere sciolta e i diritti che
ai singoli condividenti devono residuare. Non è assimilabile a un
tentativo di conciliazione, che è tutt'altra cosa e in occasione del
quale il g.i. può utilizzare anche ragioni di convenienza o di equi tà o metagiuridiche.
Pertanto (oltre che seguire la formazione stessa del progetto,
quando è affidata a un c.t.u., attraverso la nomina di un consu
lente tecnico di parte) i condividenti, ai quali deve esserne data
comunicazione, dal momento del deposito fino alla chiusura del
l'udienza di discussione si trovano in presenza di uno schema
di attuazione della divisione completa di tutti i dati necessari e
sufficienti perché ciascuno possa controllare con ogni garanzia la legalità e la giustizia sotto ogni profilo (la corrispondenza delle
porzioni alle quote ideali, il valore delle porzioni ai fini dei con guagli, l'entità e il valore dei frutti se ve ne sono, la congruità dei termini e delle altre modalità per le prestazioni accessorie, la stessa consistenza fisica e topografica degli immobili o parti di immobili inclusi nelle rispettive porzioni, ecc.).
E lo scopo precipuo dell'udienza di discussione è proprio quel lo di permettere alle parti (le quali, si presume, hanno previamen te esaminato a dovere il progetto depositato) di sollevare quelle
contestazioni, su qualsiasi punto o aspetto soggettivo/oggettivo, sostanziale o processuale, che ritengono a difesa dei propri diritti
(e che solleverebbero, come «impugnazioni» in senso strettamen
te giuridico-processuale, contro la sentenza che, in ipotesi di in
sorte contestazioni disponesse la divisione secondo uno schema
diverso da quello predisposto dall'istruttore) di modo che se le
parti non ritengono di sollevare contestazione alcuna, ed è emes
sa l'ordinanza di esecutorietà, ripugna al sistema permettere a
taluno di proporre in separata sede, in un giudizio ex novo, quel
le contestazioni (impugnazioni) per proporre le quali il codice ap
presta lo speciale procedimento del titolo V del libro quarto.
Promuovere una causa dopo l'ordinanza — inimpugnabile — (o
anche dopo il decreto di approvazione del verbale di sorteggio
delle quote: Cass. n. 1045/83 cit.) quando la stessa causa poteva
essere instaurata (e subito rimessa in decisione al collegio) in esito
Il Foro Italiano — 1987.
all'udienza di discussione perché le ragioni del promuoverla pren devano radice proprio in quel progetto sulla cui legalità e giusti zia i condividenti erano chiamati a discutere, sembra a questa corte svuotare il giudizio divisorio della sua specifica natura ri
spetto ad ogni altro giudizio. Un'ipotesi del genere si è verificata
proprio nell'attuale giudizio in cui il ricorrente, che nulla aveva
obiettato al progetto predisposto dall'istruttore e che, unitamente
alla controparte, aveva chiesto al collegio la restituzione degli atti
a quest'ultimo per l'estrazione a sorte dei lotti, si ricordò che
le porzioni non erano uguali alle quote (che è l'indagine principa le da svolgere in presenza di un progetto divisorio) solo in appel
lo, dopo che il tribunale, in conformità alle concordi richieste
e sostituendosi al g.i., aveva dichiarato esecutivo il progetto e
disposto per l'estrazione a sorte (e quindi, come statuito dalla
corte leccese, tardivamente).
Quanto sopra non significa che le parti, di fronte all'ordinanza
di esecutorietà, non hanno modo di reagire a qualunque anoma
lia od abnormità che essa suggella.
a) Intanto, se il g.i. esorbita dalle proprie attribuzioni funzio
nali (ad es. decidendo le questioni sorte in sede di discussione
e che dovrebbero invece essere rimesse al collegio) si ha un prov vedimento assolutamente estraneo e deviante rispetto al tipo re
golato dalla legge e insuscettibile dei normali mezzi d'impugnazione
proprio perché il legislatore non ha previsto l'anomalia, donde
la risorsa estrema del ricorso per cassazione ex art. Ill Cost., avendo il provvedimento sostanza decisoria.
b) In secondo luogo, le irregolarità e le nullità inerenti ai sin
goli atti e provvedimenti che precedono la pronuncia dell'ordi
nanza sono deducibili all'udienza di discussione insieme con le
doglianze riguardanti le valutazioni, le ripartizioni e le attribuzio
ni che costituiscono la parte sostanziale del progetto. Non c'è
motivo di non fissare per quelle lo stesso momento preclusivo di queste; se il processo è funzionale all'attuazione del diritto, la parte soddisfatta della porzione e del trattamento che ritiene
stia per toccarle in base al progetto, non ha interesse a dedurle; in caso contrario esse pure costituiranno oggetto delle «contesta
zioni» su cui dovrà decidere il collegio con sentenza.
c) Per quanto riguarda, infine, quegli elementi o presupposti la cui mancanza rende il provvedimento inesistente o inutiliter
dato (ad es.: difetto di sottoscrizione del giudice, non integrità del contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario, mancata
partecipazione all'udienza di discussione dipendente da omessa
o nulla comunicazione del decreto di compensazione dei condivi
denti ex art. 789/2) valgono gli stessi rimedi (come la querela
nullitatis, sia da esperirsi in separato normale giudizio cognitivo, sia da esperirsi, per quelle nullità non potute dedurre nel giudizio
divisorio, anche in sede di opposizione all'esecuzione) che, am
messi dall'ordinamento contro i provvedimenti giurisdizionali su
scettibili, siccome decisori, di passare in giudicato, non c'è motivo
che non lo siano anche contro l'ordinanza de qua, che anche
se natura decisoria in senso proprio non ha, si vede attribuire
dalla legge la stessa o un'analoga efficacia (inimpugnabilità, ese
cutività). La relativa ampiezza del presente excursus (che, è ovvio, non
può essere esauriente) si è resa necessaria sia per la stretta intera
zione fra gli istituti coinvolti (se c'è contratto, può essere stipula to solo dalle parti in persona o da loro speciali mandatari, non
è ammissibile l'assenza o la contumacia, e l'impugnazione è am
messa solo tramite le normali azioni in via cognitiva; se non c'è
contratto, allora i procuratori legali sono abilitati a fare le di
chiarazioni, l'assenza o contumacia è irrilevante e gioca la preclu sione con le eccezioni elencate) sia per dare doverosamente conto
delle ragioni che inducono questa corte a non seguire — con la
sent. n. 289/78 (id., Rep. 1978, voce cit., n. 23) e qualche altro
sporadico precedente — la teoria contrattualistica che, a stare
alle massime ufficiali, sembra prevalente ma non offre una sod
disfacente composizione armonica di quei medesimi istituti (è un
contratto, ma può essere stipulato anche da parti assenti all'u
dienza o addirittura contumaci, quelle costituite sono rappresen tate alla medesima udienza semplicemente dai loro procuratori senza mandato ad hoc, l'impugnazione è ammessa solo con le
normali azioni cognitive in via separata, e tuttavia è ammesso
anche il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, come contro
un provvedimento decisorio).
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