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Sezione II civile; sentenza 4 maggio 1960, n. 1002; Pres. Fibbi P., Est. Rossi G., P. M. Toro...

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Sezione II civile; sentenza 4 maggio 1960, n. 1002; Pres. Fibbi P., Est. Rossi G., P. M. Toro (concl. conf.); Gaeta e Società immob. Nuova Nomentana (Avv. Andrioli) c. Costa (Avv. Placidi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 5 (1960), pp. 729/730-735/736 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174899 . Accessed: 28/06/2014 16:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.135 on Sat, 28 Jun 2014 16:17:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 4 maggio 1960, n. 1002; Pres. Fibbi P., Est. Rossi G., P. M. Toro(concl. conf.); Gaeta e Società immob. Nuova Nomentana (Avv. Andrioli) c. Costa (Avv. Placidi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 5 (1960), pp. 729/730-735/736Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174899 .

Accessed: 28/06/2014 16:17

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

t. u. citato, ed aveva quindi esaurito il suo compito, niun'al tro provvedimento era da adottare ; e ciò è stato posto in

risalto dalla Corte di Ancona, eke esattamente ha sotto lineato la chiara riconoscibilità, nel silenzio serbato dal l'Amministrazione sulla rimostranza della Belluzzi, del valere confermativo del precedente provvedimento.

Non era quindi ipotizzabile in tesi una colpa dell'Ammi

nistrazione per non aver riesaminato il provvedimento medesimo, in quanto trattavasi di una facoltà del tutto

discrezionale di detta Amministrazione di rivedere e modi

ficare il proprio atto definitivo, di talché dal mancato uso

di tale facoltà non sarebbe potuta derivare in ogni caso

alcuna giuridica pretesa dell'interessata nei confronti

dell'Amministrazione stessa.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 4 maggio 1960, n. 1002 ; Pres.

Fibbi P., Est. Rossi G., P. M. Toeo (conci, conf.) ; Gaeta e Società immob. Nuova Nomentana (Avv. An

dkioli) c. Costa (Avv. Placidi).

(Conferma App. Boma 17 ottobre 1958)

Spese giudiziali — Procuratore territorialmente non

abilitato — Chiamata d'un terzo in garanzia ■—

Compensazione delie spese — Ripetizione in auto

nomo giudizio — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043 ;

cod. proc. civ., art. 92, 162 ; r. d. 27 novembre 1933

n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e

procuratore, art. 5).

Ove il convenuto, costituitosi a mezzo di procuratore territo

rialmente non abilitato, chiami in garanzia un terzo e il

giudizio si concluda con il rigetto della domanda dell'at

tore, la dichiarazione di nullità della costituzione del con

venuto e di inesistenza della chiamata in garanzia e con

la compensazione delle spese giudiziali tra tutte le parti, il chiamato in garanzia può ripetere in autonomo giu

dizio dal chiamante e dal suo procuratore quanto erogato

per la propria difesa. (1)

(1) Non risultano precedenti specifici. Per l'inesistenza dell'attività compiuta dal procurator

legale extra territorium, si vedano (a proposito di sottoscrizion

del precetto) Cass. 14 marzo 1960, n. 507 e 4 luglio 1959, n. 2135.

retro, 574, con ampia nota di richiami a tutti i precedenti giù

risprudenziali ed alla opinione (prevalentemente contraria) dell

dottrina. Sul principio dell'obbligo per il giudice di pronunziare sulle

spese anche senza domanda di parte, si veda, da ultimo, Cass.

23 giugno 1958, n. 2228, id., Rep. 1958, voce Spese giudiziali n. 22 ; 31 marzo 1958, n. 1123, ibid., n. 23 ; 30 luglio 1957, n. 3224

e 28 maggio 1957, n. 1970, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 8, 9 ;

30 aprile 1954, n. 1339, id., Rep. 1954, voce cit., n. 13 (per le

svolgimento storico di tal principio, si consulti Chiovenda, La

condanna nelle spese giudiziali2, Roma, 1935, pag. 406 e segg.).

Per riferimenti, Cass. 7 aprile 1954, n, 1100, Foro it., Rep.

1954, voce cit., n. 17, ha ritenuto ammissibile il ricorso per vizii

d'omessa pronunzia sulle spese da parte del giudice d'appello :

Cass. 19 febbraio 1957, id., 1957, I, 1004 (con nota di Chicco;

che all'omessa pronunzia sulle spese non possa ripararsi col pro

cedimento di correzione degli errori materiali.

Nella dottrina Andbiou, Commento, Is, pag. 259, affermi-,

che il vincitore se, per omissione del giudice, non ha ottenuto la

condanna nelle spese del vinto, non ha rimedi a propria disposi

zione all'infuori del mezzo d'impugnazione ordinario del provve

dimento su tal punto manchevole; Satta, Commentario, I, pag.

303, nega si possa agire con azione autonoma per la condanni

nelle spese non pronunziata in sentenza.

Per i rapporti tra omessa pronuncia e giudicato (trattati

nella motivazione della sentenza in epigrafe), si vedano, nello

stesso senso, App. Palermo 21 gennaio 1950, Foro it., Rep. 1950,

voce Cosa giudicata civ., n. 22 ; contra la stessa Corte 14 febbraio

1947, id., Rep. 1947, voce cit., nn. 20, 21 ; App. Napoli 3 febbrai"

1945, id., Rep. 1943-1945, voce cit., n. 53 ; Cass. 26 luglio 1941,

La Corte, ecc. — I due motivi del ricorso vanno esami nati congiuntamente, già che riflettono profili strettamente connessi di un'unica questione, la quale, enunciata nei suoi termini essenziali, consiste nello stabilire se la violazione dell'art. 5 della legge professionale forense (r. decreto 27

novembre 1933 n. 1578), che vieta al procuratore legale di

esercitare le sue funzioni dinanzi a tribunali non compresi nel distretto giudiziario di cui fa parte il tribunale nel

cui albo è iscritto, possa dar luogo a responsabilità dello

stesso procuratore e della parte da lui rappresentata per le

spese sostenute dalla controparte, convenuta in giudizio,

per costituirsi e difendersi.

È opportuno premettere che, nella specie, la questione si pone in relazione ad un precedente processo, instaurato

dinanzi al Tribunale di Roma dall'avv. Mario Morelli, nel

quale la Soc. immobiliare Nuova Nomentana, convenuta, si costituì a mezzo dell'avv. Gaeta, non legittimato all'eser

cizio della funzione di procuratore dinanzi a quel Tribunale, e con atto sottoscritto da questo stesso legale citò in garanzia le germane Costa ; che il detto giudizio fu definito con sen

tenza del Tribunale, ormai passata in giudicato, che rigettò la domanda del Morelli, ma nel contempo, rilevato che

l'aw. Gaeta era carente dello ius postulandi, dichiarò la

nullità della costituzione della Società nonché della chia

mata in garanzia delle Costa, e compensò le spese proces suali fra le parti ; che la sentenza della Corte di Roma, ora

impugnata, interpretando la suindicata sentenza, ha rite

nuto che il provvedimento di compensazione delle spese in

essa contenuto, si riferisce al rapporto tra l'attore princi

pale Morelli e le altre parti, e non anche al rapporto tra la

Società convenuta e le germane Costa, dalla prima chia

mate in garanzia. r

Ora, con i due motivi del ricorso, si lamenta che la

Corte di merito, dopo avere riconosciuto la giuridica esi

stenza del rapporto di mandato tra la Soc. immobiliare

Nuova Nomentana e l'aw. Gaeta, abbia poi ritenuto che,

non essendo quest'ultimo investito dello ius 'postulandi, l'attività processuale da lui compiuta, in quanto radical

mente nulla, non fosse riferibile alla sua cliente, ed inte

grasse invece un fatto illecito di cui egli era tenuto a rispo

n. 2295, id., Rep. 1941, voce cit., n. 43 e 25 giugno 1941, n. 1906,

ibid., n. 64 ; 14 febbraio 1931, n. 1365, id., Bop. 1031, nn. 37-39.

Per riferimenti, a proposito di omessa pronunzia sugli inte

ressi, Cass. 21 gennaio 1957, id., 1957, X, 563, con commento di

Antonio Sci alo ja. Nella dottrina (per quella precedente l'entrata in vigore

dell'attuale codice : Cristofolini, Omissione di pronunzia, in

Ri v. dir. proc. civ., 1938, I, 96 ; Carnelittti, Effetti della cassa

zione per omessa pronunzia, ibid., II, 68 e segg.) si consulting :

Calvosa, Omissione di pronunzia e cosa giudicata, id., 1950, I,

225, il quale ritiene (pag. 259) che, se l'omissione di pronunzia è

totale, il perdurare della litispendenza impedisce di riproporre,

in altra sede, la domanda o le domande ; se è parziale, la parte

può impugnare la sentenza oppure lasciare che passi in giudicato e riproporre domanda o eccezioni non decise in nuovo processo ;

in senso contrario Segni, nel Commentario del cod. civ., a cura di

A. Soiat.oja e G. Branca, art. 2900-2969, pag. 342 (ritiene che

l'omessa pronunzia equivalga a rigetto della domanda e nega che

l'art. 112 cod. proc. civ. porti elementi per risolvere la questione);

Otteixo, nel Commentario del cod. proc. civ., diretto da D'Amelio,

Torino, 1943, pag. 486 ; Andrioli, op. cit., pag. 324 (l'omessa

pronunzia su alcuna delle domande realizza un vizio di attività

del giudice che, come ogni altro, si converte in motivo di gravame

il cui difetto impedisce la riproposizione della domanda in

altro giudizio). Il Satta, Dir. proc. civ.', pag. 133, ritiene che per la solu

zione del problema va tenuto presente l'art. 346, in tema di

impugnazioni; nel Commentario, cit., pag. 437, s«& art. 112,

afferma che la formula di quest'ultimo articolo riferita alla do

manda come esercizio d'una determinata azione è priva di giuri

dica consistenza, in quanto il mancato giudizio su una domanda

non preclude la riproposizione in un successivo giudizio. Invece la

ma.ncata pronuncia come vizio del giudizio, che infirma tutta

la sentenza, esula dall'ipotesi dell'art. 112, per rientrare in quello

generica dell'errore in indicando, o in quella specifica dell'omessa

esame di un fatto (e quando vi sia giudicato anche su una do

manda non presa in considerazione è cosa che si stabilisce in

base ai principi che regolano la cosa giudicata).

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731 PARTE PRIMA 732

dere, a titolo di colpa extra contrattuale, in dipendenza del

pregiudizio che il fatto stesso aveva causato ai ricorrenti, sarebbe contraddittorio ed aprioristico, e sarebbe altresì

inficiato da errori di diritto, giacché, secondo il loro assunto, la violazione dell'art. 5 della legge professionale forense

può incidere esclusivamente sul rapporto tra patrono e

cliente, oltre che sulla posizione processuale di quest'ultimo, ma è giuridicamente irrilevante rispetto alla controparte e

non può assurgere a fonte autonoma di responsabilità verso la stessa.

Inoltre, si censura la sentenza per avere escluso che la

pretesa delle Costa fosse preclusa dalla efficacia di giudicato da cui è presidiata la sentenza che definì il precedente

giudizio. Ed all'uopo si deduce che esse Costa, quali chia

mate in garanzia, avrebbero potuto ottenere la rivalsa

delle spese soltanto dall'attore principale, dal momento

che il medesimo era rimasto soccombente, e pertanto, in

seguito al provvedimento di cofripensazione, adottato dal

Tribunale avrebbero dovuto darsi carico di proporre appello, che, d'altro canto, anche ammesso che la sentenza del

Tribunale non abbia affatto provveduto sulle spese con

riferimento al rapporto tra la Società convenuta e le chia

mate in garanzia, queste ultime, posto che fosse configu rabile nei confronti della prima l'obbligo di rivalsa, delle

spese da esse sostenute, avrebbero dovuto denunciare in

appello la omessa pronuncia sul punto, tanto più che il

giudice può e deve provvedere sulle spese anche di ufficio,

talché, in definitiva, il detrimento subito dalle Costa, per non avere conseguito nel pregresso giudizio la rivalsa delle

spese, sarebbe da imputarsi alia loro inerzia, e non varrebbe

a legittimare la domanda da esse proposta in separata sede.

Queste doglianze sono tutte destituite di fondamento. In primo luogo, per la organicità e linearità della trat

tazione, è il caso di sgomberare il terreno della discussione dalla exceptio indicati.

Come si è già notato, la Corte di merito ha opinato che il provvedimento di compensazione delle spese adottato dalla sentenza che definì il precedente giudizio si riferisse al solo rapporto tra l'attore principale e tutte le altre parti (convenute e chiamate in garanzia), e che non fu emessa,

neppure in modo implicito, alcuna statuizione sulle spese nel rapporto tra la chiamante e le chiamate in garanzia. E questo apprezzamento, che attiene all'interpretazione di una sentenza pronunciata in altro giudizio, si coordina ad. una indagine di mero fatto, demandata in via esclusiva ai

giudici di merito, e non è quindi suscettibile di giudicato in questa sede, né, del resto, in relazione ad esso è stata formulata una specifica censura.

Ora, da ciò discende che dal passaggio in giudicato della

pronuncia di compensazione non deriva alcuna preclusione rispetto alla domanda proposta dalle Costa nel presente giudizio che concerne esclusivamente il rapporto sul quale, secondo la detta interpretazione, non fu adottato alcun prov vedimento, ed involge quindi una questione a suo tempo non esaminata e decisa, e quindi tuttora impregiudicata.

Né, in contrario, è attendibile il rilievo che, dovendo il giudice provvedere anche di ufficio sulle spese, e ricor rendo in ogni caso, con riferimento al rapporto tra la So cietà immobiliare e le Costa, l'ipotesi della omissione di

pronuncia, si è in presenza di un vizio della sentenza che le stesse Costa avrebbero potuto e dovuto far valere me diante appello : con la conseguenza che, non essendosi avvalse di tale facoltà, sarebbe rimasta pur sempre pre clusa la possibilità di agire per lo stesso obietto in un

separato giudizio. La tesi potrebbe forse trovare qualche addentellato in

alcune pronunce e non recenti di questa Corte (cfr. sent, n. 1365 del 1931, Foro it., Rep. 1931, voce Cosa giudicata civ., n. 37 ; e n. 238 del 1930, id.. Rep. 1930, voce Sentenza civ., n. 58). Tuttavia, a prescindere, per il momento, da altre considerazioni che traggono la loro ragion d'essere dalle peculiarità della fattispecie concreta, un attento rie same della questione induce a rilevare che la omessa pro nuncia, quando si riferisca ad una domanda o ad una

questione a se stante, pur se connessa alle domande

e questioni decise, integra bensì un vizio che la parte inte

ressata può dedurre in sede di impugnazione ; ma l'esercizio

di questo potere, che, nell'ipotesi in cui la sentenza inficiate

da tale vizio sia stata pronunciata in primo grado, implica la rinunzia ad un grado di giurisdizione, non costituisca

un « onere » o una condicio sine qua non per potere fare

ulteriormente valere la stessa pretesa. Invero, se la impu

gnazione non è proposta viene meno bensì la possibilità di ottenere nello stesso processo una pronuncia sul punto controverso non esaminato, ma posto, s'intende, che abbia

carattere autonomo, è da escludere che anche in ordine ad

esso la sentenza possa acquistare efficacia di giudicato in

senso sostanziale, perchè questa efficacia può inerire sol

tanto ad una statuizione che affermi o neghi, ex professo, o magari implicitamente, la esistenza di una volontà di

legge che garantisce un bene ad una delle parti, ma non

è giuridicamente ipotizzabile, per la mancanza del suo indi

spensabile presupposto, quando una tale statuizione manchi

del tutto. In questa ipotesi, quindi, nulla impedisce che

il capo di domanda non deciso sia riproposto ex novo in

altro processo. Ora, la questione concernente il regolamento delle spese,

pur se intimamente connessa alle altre questioni, di rito

0 di merito, tanto che il giudice può deciderla anche di

ufficio, costituisce tuttavia un punto controverso distinto

ed a sè stante, onde, anche rispetto ad esso, nell'ipotesi di

omissione di pronuncia, può trovare applicazione, come è

stato opinato da una dottrina molto autorevole, il princi

pio testé enunciato.

Passando ad esaminare le censure relative al merito della

questione, si deve anzitutto escludere che il ragionamento su cui è impostata la decisione della Corte di Roma sia

inficiato da un'insuperabile contraddizione, per avere am

messo l'esistenza del mandato tra la Soc. immob. Nomen

tana e l'avv. Gaeta, ed aver poi ritenuto che, non essendo

questi abilitato all'esercizio delle funzioni di procuratore dinanzi al Tribunale di Roma, tutta l'attività da lui svolta

in tale veste fosse radicalmente nulla e costituisse un fatto

illecito di cui egli era tenuto a rispondere verso le Costa, che di fatto ne avevano subito le conseguenze dannose.

Senza dubbio il detto mandato, in quanto inteso a confe

rire all'avv. Gaeta la rappresentanza della mandante nel

processo, non era suscettibile di pratica attuazione dato

che il procuratore designato difettava del requisito indispen sabile per poter agire in sostituzione della parte, ed era

quindi inidoneo a produrre sul piano processuale gli effetti

normali e caratteristici del tipo di negozio avuto di mira

dai contraenti ed a realizzare il risultato pratico da essi

perseguito. Invero, secondo l'indirizzo ormai costantemente

seguito da questa Corte, al quale si adeguò la sentenza

pronunciata dal Tribunale di Roma nel precedente giu dizio. gli atti compiuti da un procuratore non iscritto in

uno degli albi del distretto in cui ha sede il giudice aditò

sono giuridicamente inesistenti, e tale vizio incide sulla

legittimazione processuale del soggetto da lui rappresen

tato, nel senso che il soggetto stesso, se ha la posizione di convenuto, non può considerarsi ritualmente costituito

e quindi presente nel processo ; mentre, se è attore, non

assume punto la veste di parte e resta quindi del tutto

estraneo al processo, con la conseguenza che, in difetto di

regolare contraddittorio, non sorge nel giudice adito il

potere-dovere di pronunciare sulla lite irritualmente in

staurata.

Tuttavia, ad onta di ciò non si può disconoscere che il

rapporto di mandato sia giuridicamente esistente come

fattispecie di diritto sostanziale, dalla quale possono pur

sempre scaturire effetti giuridici, ancorché anormali e ma

gari negativi, e che l'attività esplicata de jacto dal manda

tario possa costituire fonte di responsabilità non soltanto

in funzione o nell'ambito di quel rapporto, ma anche verso

1 terzi nei cui confronti l'attività stessa fu posta in essere.

A prescindere dall'applicabilità o meno in via analogica del disposto dell'art. 1398 cod. civ., soccorre al riguardo il principio generale sancito dall'art. 2043, e per quanto

particolarmente concerne la Società Nuova Nomentana il

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

principio enunciato nell'art. 1388, secondo cui il mandante

risponde, entro i limiti del mandato, dell'operato del man datario.

Ciò posto, si tratta di stabilire se nella specie sia oppur no configurabile, in base ai suaccennati principi, una respon sabilità dell'avv. Gaeta e della sua cliente verso le Costa. La sentenza impugnata ha risolto il quesito in senso affer

mativo, richiamando appunto il disposto dell'art. 2043, e

ritenendo in sostanza che, appunto in conseguenza del

l'abnorme situazione processuale determinatasi in seguito all'attività illegittimamente svolta dall'avv. Gaeta nella

veste, in realtà insussistente, di procuratore ad litem, le

Costa avevano subito un pregiudizio dato che, quali chia

mate in garanzia, si erano costituite in giudizio per resistere

alla pretesa dell'attore principale, nonostante l'esito favo

revole della causa, non avevano potuto ottenere la rivalsa

delle spese processuali nè dall'attore principale, che pure era risultato soccombente, nè dalla Società Nuova Nomen

tana, in nome della quale erano state citate. In proposito i ricorrenti obiettano che la violazione non può costituire

fonte di responsabilità verso le Costa, giacché la norma è

dettata nell'interesse della parte che si avvale dell'opera del procuratore e non già a tutela della controparte, la

quale non ha alcun interesse all'osservanza di essa, ma

anzi sotto certi aspetti si può giovare dei vizi che rendono

illegittima ed inoperante la costituzione della parte avversa, e da ciò poi deducono che il danno subito dalle Costa, in

conseguenza delle vicende del precedente processo, si pro fila come un « danno di fatto », e non come un « danno

ingiusto », che sia suscettibile di risarcimento ai sensi

del cit. art. 2043. Ma questi rilievi sono inattendibili.

Anzitutto, la disposizione dell'art. 5 cit., secondo cui

il procuratore è legittimato ad esercitare le sue funzioni

solo nell'ambito del distretto in cui è iscritto, trae la sua

ragion d'essere da esigenza connessa alla peculiare natura

della rappresentanza processuale, alla complessa disciplina relativa alla organizzazione della professione forense, non

ché da esigenze inerenti all'ordinato e proficuo svolgimento del processo. Sotto questo profilo la norma in esame, lungi dall'essere intesa a tutelare direttamente interessi indivi

duali del soggetto a favore del quale il procuratore è chia

mato a svolgere nel processo la sua attività sostitutiva

degli altri soggetti che partecipano al processo stesso, at

tiene senza dubbio alla disciplina di questo e risponde a

finalità ed interessi di ordine pubblico. Ed è appunto in

considerazione di ciò che la giurisprudenza di questo Su

premo collegio si è decisamente orientata nel senso che gli atti compiuti dal procuratore legale extra territoriwm sono

inesistenti e non suscettibili di sanatoria e che la loro inva

lidità assoluta può essere dedotta da chiunque vi abbia

interesse, ed è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e

grado del processo, ancorché ciò torni a svantaggio della

stessa parte che si è avvalsa dell'opera di quel procuratore

(come nel caso in cui siano state già emesse pronunce ad

essa favorevoli). Fatta questa precisazione, va peraltro rilevato che le

considerazioni inerenti alla ratio della detta norma ed agli interessi da essa tutelati non sono affatto conferenti e deci

sive, al fine di decidere se in concreto la violazione di essa

possa costituire fonte di responsabilità ai sensi dell'art.

2043. È ben vero che non tutti i fatti dannosi integrano la fattispecie prevista da quest'articolo, occorrendo all'uopo che si tratti di un fatto colposo o doloso e che il danno sia

« ingiusto », ed è pur vero che il danno in tanto può quali ficarsi ingiusto e antigiuridico in quanto incida sopra un

interesse direttamente tutelato dalla legge. Senonchè, nella

specie, il danno latnentato dalle germane Costa assume

carattere di antigiuridicità non in funzione della lesione

dell'interesse specificamente tutelato dall'art. 5 della legge

professionale, ma perchè, a quanto si assume, la violazione

di questa norma ha determinato altresì la lesione dell'inte

resse di esse Costa alla integrità patrimoniale, interesse,

questo, direttamente protetto dalla legge con precetti di

portata generale, di cui costituiscono un'applicazione le

disposizioni concernenti la ripetibilità delle spese proces

suali. In altri termini, l'oggetto del danno di cui si do manda il risarcimento è costituito non già dall'interesse all'osservanza di quella norma, bensì dall'interesse, assai più individualizzato, delle Costa alla ripetizione delle spese sostenute per costituirsi e difendersi nel giudizio in cui furono irritualmente convenute, e la inosservanza della norma stessa viene in considerazione non in sè per sè, ma come fatto che, appunto perchè in contrasto con una tas sativa prescrizione di legge, ha carattere colposo ed illecito, e che, per la sua efficienza causale, ha pregiudicato anche l'interesse or ora indicato, in guisa da violare altresì le norme che specificamente lo tutelano.

D'altra parte, è innegabile che tra il pregiudizio come

sopra denunciato dalle Costa e la violazione del ripetuto art. 5 sussista un nesso causale.

Al riguardo va rilevato che fu appunto in considera zione della detta violazione e della conseguente nullità della chiamata in garanzia che il Tribunale, nonostante la soccombenza dell'attore principale, ritenne di non poter porre a carico del medesimo le spese sostenute dalle Costa. Nè giova opporre che, nella ipotesi di chiamata in garanzia propria, il garante assume la veste di parte nella causa

principale, e nel caso di soccombenza dell'attore ha diritto di ripetere direttamente dallo stesso le spese processuali, per modo che l'obbligo dell'attore in garanzia di rimbor sare le spese sostenute dal chiamato non è ipotizzabile se non nel caso in cui, in seguito all'accoglimento della do manda principale, sia stata presa in esame e decisa nega tivamente la domanda in garanzia.

Questa argomentazione, in quanto intesa a sostenere che il danno subito dalle Costa si ricollega esclusivamente alla detta statuizione del Tribunale ed al fatto che, pur essendone pregiudicate, esse omisero di impugnarla, pre scinde del tutto dalle peculiarità del caso concreto, giacché non tiene conto che i principi come sopra richiamati si rife riscono alla ipotesi di chiamata in garanzia ritualmente

proposta, e non sono applicabili nella ipotesi in cui questa sia dichiarata radicalmente nulla, o inesistente, come è

avvenuto nella specie. In questo caso, infatti, ricorrono, nell'ambito della causa in garanzia ed a carico del chia

mante, gli estremi della soccombenza (la quale è configu rabile anche nel caso in cui il convenuto sia assolto per

ragioni di rito dall'osservanza del giudizio) e poiché nei

confronti del chiamato il rapporto processuale non può ritenersi validamente ed utilmente costituito, indipenden temente dall'esito della causa principale esula a -priori la

possibilità giuridica, che le spese del medesimo siano poste a carico dell'attore principale, tanto più che, come chia

ramente si desume dall'art. 92, prima parte, cod. proc. civ., la parte soccombente non può esser condannata alle spese di atti superflui o nulli posti in essere dalla controparte, o

che siano connesse e conseguenti a tali atti e sono appunto tali quelle sostenute dal chiamato in garanzia nell'ipotesi in cui la citazione del medesimo si riveli nulla. In aderenza

a questo principio, anzi, il Tribunale, anziché compensare nei confronti del Morelli le spese delle altre parti, avrebbe

dovuto, a rigore, dichiararle senza altro irripetibili, talché

è chiaro che le Costa non avevano la possibilità di far

valere utilmente alcun serio motivo di doglianza contro

quella statuizione, per conseguire in appello la condanna

del Morelli alle spese da esse sostenute.

Ora, la causa diretta di questa pregiudizievole situa

zione va appunto ravvisata nel fatto illecito dell'avv.

Gaeta, che determinò la nullità della chiamata in garanzia ed impedì così alla Corte (oltre che alla parte di cui assunse

illegittimamente la rappresentanza processuale) di poter ottenere dal Morelli la rivalsa delle spese. E che di ciò

debba rispondere, in aderenza al principio generale di cui

all'art. 2043, è altresì confermato dal disposto dell'art. 162

cod. proc. civ. che, ispirandosi in sostanza a quello stesso

principio, di cui costituisce una applicazione, sancisce ex

professo l'obbligo del difensore, del cancelliere e dell'uffi

ciale giudiziario, di risarcire i danni subiti da alcuna delle

parti in conseguenza della nullità di atti processuali ad essi

imputabile.

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Page 5: Sezione II civile; sentenza 4 maggio 1960, n. 1002; Pres. Fibbi P., Est. Rossi G., P. M. Toro (concl. conf.); Gaeta e Società immob. Nuova Nomentana (Avv. Andrioli) c. Costa (Avv.

735 PARTE PRIMA 736

Aggiungasi che la responsabilità dell'avv. Gaeta verso

le Costa non può essere esclusa in base al rilievo che esse

avrebbero potuto in ogni caso pretendere il rimborso delle

spese dalla parte che le aveva fatte chiamare in garanzia

posto che la condanna alle spese può esser pronunciata anche quando il convenuto sia assolto dall'osservanza del

giudizio. Si è già detto che la sentenza del Tribunale di

Roma non contiene alcuna statuizione sulle spese stesse, con riferimento al rapporto tra la Soc. Nuova Nomentana

e le Costa, e quindi, sebbene queste ultime non abbiano

appellato, non si è formato il giudicato circa la sussistenza

o meno del loro diritto a ripetere le spese dalla prima. Ma, a complemento di questo rilievo, occorre ora precisare che

in realtà neppure per la detta omissione di pronuncia le

Costa potevano utilmente proporre appello, giacché in quel

giudizio la condanna alle spese da esse sostenute non poteva essere pronunciata neppure a carico della Società. Infatti,

poiché il Tribunale ritenne che la chiamata in causa delle

Costa era nulla (o addirittura inesistente, come è stato

ripetutamente affermato da questo Supremo collegio) e

poiché ciò importa, sempre secondo l'indirizzo giurispru denziale dominante, che la chiamante (contumace nella

causa principale) non aveva affatto assunto la veste di

parte nella causa accessoria di garanzia, dato che il con

traddittorio non poteva considerarsi costituito nei con

fronti di lei, ne consegue che questa situazione non solo

precludeva la possibilità di una pronuncia di merito sulla

domanda invalidamente proposta, ma impediva altresì al

giudice, per le stesse ragioni, di emettere a carico della stessa

chiamante il provvedimento complementare sulle spese. Pertanto, anche queste considerazioni ribadiscono che,

a causa del fatto illecito dell'avv. Gaeta, che diede origine all'anzidetta situazione ed alle relative conseguenze, le

Costa, lungi dal conseguire alcun vantaggio, subirono un

danno, perchè dopo aver sopportato delle spese per costi

tuirsi e difendersi, si trovarono in condizione di non po terne ottenere la rivalsa in quello stesso giudizio, neppure dalla parte che aveva conferito al detto legale l'incarico

di citarle.

E stando così le cose, non v'è dubbio che fin da allora

esse avrebbero potuto domandare senz'altro che l'avv.

Gaeta fosse condannato al risarcimento ai sensi del cit.

art. 162 cod. proc. civ., il quale contempla appunto uno

dei casi in cui, secondo i risultati della elaborazione che di

essi è stata fatta in dottrina e giurisprudenza, anche dal

punto di vista sistematico e dommatico, il difensore, che di

regola non è personalmente partecipe del rapporto proces suale, assume la veste di parte in quanto soggetto passivo di obblighi che al rapporto si coordinano.

Ora, il fatto che tale domanda, certamente indispensa bile affinchè il giudice potesse provvedere nel senso testé

indicato, non sia stata a suo tempo formulata (e la ragione di ciò va ricercata nella circostanza che solo dopo la rimes sione della causa al Collegio si ebbe sentore che l'avv.

Gaeta non era investito dello ius postulimeli) non poteva ovviamente precludere la proponibilità della domanda stessa in un separato giudizio.

Per ciò che concerne, poi, la Società Nuova Nomentana, una volta dimostrato che nei suoi confronti non sussiste il giudicato, che proprio la dichiarata nullità della chia mata in garanzia rese giuridicamente impossibile, ad onta

della soccombenza dell'attore principale, la condanna di

quest'ultimo alle spese in favore delle chiamate, che l'at tività sostitutiva illegittimamente compiuta dall'aw. Gaeta si coordinava pur sempre al mandato che la Società stessa

gli aveva conferito, e che tale mandato, pur se inidoneo a produrre sul piano processuale gli effetti tipici della

procura ad litem deve tuttavia, considerarsi esistente ad altri effetti, come fattispecie di diritto sostanziale, ne de

riva che la responsabilità della Società per il danno come

sopra subito dalle Costa, se non poteva essere a suo tempo affermata per ragioni di mero ordine processuale (carenza nei confronti della medesima di regolare contraddittorio) che, precludendo al giudice di pronunciare anche sulla que stione relativa alle spese, è stata poi giustamente Sanzio

nata dalla sentenza ora impugnata, trovando il suo fonda

mento appunto in quel rapporto di mandato che rende

imputabili alla mandante le conseguenze nocive dei fatti

compiuti dal mandatario in esecuzione dell'incarico ricevuto.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili ; sentenza 2 maggio 1960, n. 968 ; Pres.

Oggioni P. P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Pomo

doro (conci, conf.) ; Ditta Hugo Trumpy (Avv. Pasa

nisi, Satta, Manca) c. Soc. S.a.l.g.o.i.l. (Avv. Piaggio, Lefebvre D'Ovidio).

(Gassa A'pp. Genova 27 giugno 1957)

Arbitrato estero — Protocollo di Ginevra 24 settem bre 1923 — Clausola compromissoria per arbi

trato da svolgersi in uno Stato non aderente al

Protocollo — Validità.

Arbitrato estero —- Qualifica contrattuale attribuita

alla clausola compromissoria — Forma — Norme

di diritto internazionale applicabili — Art. 26

disp. preliminari. Arbitrato estero — Clausola compromissoria con

tenuta in un contratto concluso mediante moduli o formulari -—- Contratto stipulato negli Stati

uniti d'America — Mancanza di specifica appro vazione scritta — Validità.

Arbitrato estero — Legge straniera regolante la

forma degli atti — Mancanza di norma analoga

agli art. 1341 e 1342 cod. civ. — IVon è contraria

all'ordine pubblico (Cod. civ., art. 1341, 1342 ; cod.

proc. civ., art. 2 ; disp. prel., art. 26, 27).

Il Protocollo di Ginevra 24 settembre 1923, relativo alle clausole di arbitrato estero in materia commerciale, è applicabile anche se le parti abbiano convenuto di deferire la decisione della controversia ad arbitri giudicanti in uno Stato non aderente al Protocollo. (1)

La legge italiana considera la legge del compromesso non come « forma del processo » ma come « forma di un atto tra vivi » e per ricercare la norma di collegamento nei rapporti internazionali va fatto riferimento non alVart. 27 delle

preleggi, sibbene alVart. 26. (2) Pur se mancante di specifica approvazione scritta, è pienamente

valida la clausola compromissoria contenuta in un contratto di noleggio di nave concluso mediante moduli o formulari e stipulato negli Stati uniti d'America, non esistendo nella legislazione di quello Stato una norma analoga alla

disposizione contenuta negli art. 1341 e 1342 cod. civile. (3) Non è contraria all'ordine pubblico la norma straniera che

non prescrive la specifica approvazione scritta per le clausole compromissorie contenute nei contratti conclusi mediante moduli o formulari. (4)

(1-4) La prima massima, che conferma nella parte le sentenze dei Giudici di merito (App. Genova 27 giugno 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Arbitrato estero n. 5 ; Trib. Genova 6 agosto 1955, id., Rep. 1956, voce cit., n. 9), è conforme alla dottrina più autorevole : Sereni, Sulla validità della clausola compromis soria per arbitrato estero, in Riv. dir. int., 1931, 400 ; Balladore Pallieri, L'arbitrage privè dans les rapports internationals, in Reeueil des cours, 1935, vol. I, pag. 101 ; Morelli, Diritto pro cessuale civile internazionale, Padova, 1954, pag. 227 ; La validità formale della clausola compromissoria secondo il Protocollo di Ginevra, in Riv. dir. proc., 1956, II, 71 ; Vasetti, Arbitrato estero, in Nuovissimo digesto it. Contra : Ulrich-Bansa, Sulla esistenza di un limite territoriale alla validità del Protocollo di Ginevra, in Giur. it., 1957, I, 2, 733.

Con la seconda e terza massima le Sezioni unite della Corte suprema hanno ritenuto di mutare la propria giurisprudenza.

Precedentemente era insegnamento costante, e si riteneva giurisprudenza ormai consolidata (Cass. 23 maggio 1955, n. 1515,

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